12.13.2013
Gli auguri di Camusso a Renzi
12.05.2013
Chimica: Miceli (Filctem), sbagliato cedere quote Eni
LAVORO E DIRITTI
a cura di www.rassegna.it
“Non sono preoccupato dalle privatizzazioni, ma dalla cessione di partecipazioni delle quote Eni del Tesoro, si. È sbagliato cederle, soprattutto perché si rafforzerà un orientamento dell'azienda proteso a concentrare la propria attenzione fuori dall'Italia”. A dirlo è Emilio Miceli, segretario generale Filctem Cgil, nel suo intervento al coordinamento nazionale delle strutture e dei delegati del settore chimico-farmaceutico tenutosi oggi (4 dicembre) a Porto Marghera, Venezia.
“L'Italia – ha aggiunto – deve valutare l'impatto che queste operazioni hanno sugli investimenti, sulla ricchezza, sul Pil e il rischio è che il Governo perda il controllo, non azionario ma politico, sugli investimenti dell'Eni che pure si era recentemente affacciato – dopo 10 anni – a reinvestire nella petrolchimica, nelle bonifiche, nella “chimica verde”. In una parola – ha concluso – su un futuro di politica industriale con al centro sostenibilità e innovazione di cui il nostro paese ha drammaticamente bisogno”.
In precedenza Marco Falcinelli, segretario nazionale Filctem, nella sua relazione introduttiva ha rivendicato con nettezza una politica industriale degna di questo nome: “Al Governo e alle istituzioni – ha detto – chiediamo di convocare quel tavolo nazionale della chimica, cancellato con troppa fretta, che pure aveva costruito proposte e modalità di confronto, elaborando politiche industriali per il settore. All'Eni – ha aggiunto – chiediamo un nuovo piano per la chimica, in grado di tenere insieme la chimica di base e la chimica verde”.
Quanto al settore farmaceutico, in profonda trasformazione, Falcinelli ha avanzato una proposta al Governo: “I notevoli risparmi del Servizio sanitario nazionale derivanti dall'utilizzo del farmaco generico siano utilizzati non per fare cassa o dirottare risorse per coprire altri buchi della spesa statale, ma per incentivare le attività di ricerca pubblica e favorire quella delle aziende private, defiscalizzandone gli utili reinvestiti in ricerca”.
“Ma ad un patto – ha concluso il relatore – che le aziende devono invertire quella tendenza che oggi le vede investire più sulle strategie commerciali, che non in ricerca e sviluppo, unico volano per mantenere il settore competitivo e salvaguardare l'occupazione”.
12.01.2013
Per il lavoro sarebbe un massacro
11.28.2013
Edilizia: si riparte dall'ambiente (2/2)
Per il lavoro sarebbe un massacro
LAVORO E DIRITTI
a cura di www.rassegna.it
Camusso: "La manovra non va bene, rischiamo un massacro occupazionale nel 2014". Angeletti: "Al via una grande campagna di informazione". Bonanni: "Letta non bluffi sulle tasse". Il 14 manifestazioni regionali
Senza un cambiamento vero "nel 2014 ci sarà un nuovo massacro occupazionale che renderà sempre più difficile immaginare una prospettiva". A dirlo è il segretario della Cgil, Susanna Camusso, parlando agli esecutivi unitari di Cgil Cisl Uil convocati ieri a Roma. "Il tempo non è una variabile indipendente", ha sottolineato Camusso. Le tre sigle hanno rilanciato la mobilitazione per cambiare la manovra. "Basta con la politica di contenimento e galleggiamento nella quale c'è l'idea di ridimensionare il ruolo del sindacato. Questa legge di Stabilità non va bene - prosegue Camusso - perché segue quanto fatto dai governi precedenti: non c'è nessun segnale verso il cambiamento delle regole dell'economia" con in più il rischio deflazione alle porte. "Il tema è invece rilanciare la domanda, che è l'unico modo per la crescita. Di annunci infiniti non ne possiamo più".
Nel suo discorso c'è anche un passaggio di autocritica: "Non possiamo nasconderci - osserva - il fatto che non abbiamo raggiunto un livello di mobilitazione che risponda a queste esigenze. Si discute da cinque anni della tassazione sulla casa, questo dice che abbiamo difficoltà, che dobbiamo provare a rimontare parlando col resto del mondo e non solo con chi raggiungiamo nei luoghi di lavoro organizzati". Quanto alla spending review, a suo giudizio "assolutamente necessaria", occorre però contrastare l'idea che i lavoratori siano ridotti a un oggetto del risparmio: "Non può essere una misura contabile che pensa solo alla mobilità, si deve pensare a una nuova organizzazione del lavoro pubblico". Senza dimenticare le due grandi emergenze: quella degli esodati ("un'ingiustizia terribile") e la questione degli ammortizzatori sociali. Chi pensa di rivedere la cassa integrazione, conclude Camusso, "sappia che ce ne sarà ancora più bisogno in futuro: per tutto il lavoro, anche per il pubblico, servono i contratti di solidarietà".
“Siamo in un paese dove per anni si è costruita l'idea che i lavoratori pubblici sono la causa di tutti i mali. Noi dobbiamo ripartire dal fatto che i lavoratori pubblici sono una straordinaria risorsa del paese e che anche quando indichiamo delle cose che appaio banali, come il fatto che beni e servizi non sono la stessa cosa, stiamo esattamente indicando da un lato il livello dello spreco e dall'altro la funzione dei lavoratori pubblici nei confronti della popolazione”. “La spending review – spiega il segretario generale della Cgil - non può essere semplicemente una misura amministrativa e contabile. La spending review è l'idea di quale amministrazione pubblica serve al paese ed è per questo che è connessa anche al fatto che non si possono fare continui annunci di riforme istituzionali per decreto per poi ricordarsi che invece servono delle norme costituzionali – sottolinea Camusso -, perché anche in questo modo si è costruita una situazione insostenibile nei confronti dei lavoratori”.
“Lo abbiamo visto con la cassa integrazione in deroga, i fondi inter professionali, le provenienze dalla produttività, cioè l'idea che si investa sul lavoro è un'idea che non c'è e come si fa a non investire sul lavoro?”, si chiede il leader della Cgil e prosegue: “Si contrappongono sempre interessi di lavoratori tra gli uni e gli altri. Lo si è fatto sulla cassa in deroga, lo si fa sui pubblici, si rischia di farlo sulle questioni delle politiche industriali e le riorganizzazioni dei grandi settori. Allora noi dobbiamo essere molto chiari nel fatto che invece l'obiettivo di questa nostra rivendicazione è l’obiettivo di aumentare le risorse al lavoro e facendolo – conclude Camusso - mettiamo anche a disposizione le nostre competenze, le nostre professionalità perché tutto ciò avvenga concretamente”.
"Vogliamo un risultato, non ci arrendiamo e non ci arrenderemo, vogliamo una consistente riduzione delle tasse su lavoro e pensioni". Così il segretario della Uil, Luigi Angeletti, ha aperto la riunione. Il dirigente sindacale ha annunciato l'inizio di una imponente campagna di informazione per cambiare la manovra che culminerà con manifestazioni regionali il 14 dicembre e che in ogni caso "terminerà solo il giorno in cui questo risultato sarà ottenuto", ha precisato. I sindacati puntano "a rendere esplicito il fatto che la stragrande maggioranza di chi rappresenta il lavoro è contrario" a questa legge di Stabilità. E questa volta, afferma Angeletti, lo faranno non con uno sciopero, che sarebbe "uno strumento limitato", ma con una grande campagna di informazione ("tappezzeremo tutto il paese con milioni di volantini e manifesti") perché l'interlocutore, il governo, è un soggetto politico e dunque "si deve intaccare il ciò che ha di più caro, cioè il consenso dell'opinione pubblica".
"Il governo - afferma Angeletti nella sua analisi - ha solo cercato di stabilizzare il deficit 2013 attraverso una tradizionalissima manovra" e lo ha fatto "nel modo più neutrale possibile". Il contenimento della spesa "è avvenuto tramite la privazione di diritti sindacali di 3 milioni e mezzo di lavoratori pubblici e con la mancata reintroduzione dell'indicizzazione delle pensioni, ecco dove hanno fatto i veri risparmi". "Probabilmente - afferma - l'esecutivo non puntava a una manovra recessiva, tuttavia la compressione della domanda interna" che ne deriva "rende irrealistica ogni prospettiva di crescita, per quanto possano andare bene le esportazioni". Per far crescere la domanda interna serviva invece "una redistribuzione, anche modesta, degli impieghi delle risorse pubbliche", cosa che si poteva fare "eliminando gli sprechi e costi indiretti della politica". Insomma, è stata fatta "un'operazione per rendere stabile il quadro politico, e forse non ci sono neanche riusciti, senza pensare ai veri problemi del paese".
"Letta annuncia sul giornale (Il Sole 24, ndr) novità sul cuneo fiscale: ci aspettiamo un abbassamento delle tasse su lavoro e pensioni grazie al recupero di risorse dalla spending review, dall'evasione e dalle rendite. Risorse da collegare automaticamente al taglio delle tasse. Vedremo se il governo, nel gioco degli emendamenti alla Camera, si prenderà la responsabilità di presentare il proprio emendamento, rendendo fruibile una proposta fatta così nettamente da sindacati e imprese. Così sarà chiaro se è bluff o se c'è una reale volontà di farlo". A dirlo è il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, chiudendo la riunione.
"Non ci basta il brodino di 13 euro - prosegue il dirigente sindacale riferendosi alle prime cifre circolate -, ci aspettiamo e possiamo ottenere qualcosa di molto consistente, ma dipende anche da come ci poniamo noi". Quanto alle pensioni, "non siamo d'accordo con il governo, lo diciamo con chiarezza, sul balletto indegno della rivalutazione: è poco serio annunciare aumenti, perfino il ministro l'ha fatto, e vedere le stesse istituzioni che poi indietreggiano". La proposta del commissario alla spending review, Carlo Cottarelli, per Bonanni non è banale: "Per la prima volta è ben dettagliata. La mobilitazione, per noi, significa organizzarci, posto per posto, per aprire una discussione e non far mancare mai dati, proposte, denunce. Lì dobbiamo fare ciò che la politica spesso non fa: saper dire ciò che è prioritario e ciò che viene subito dopo per riqualificare i servizi e riabilitare la contrattazione nel pubblico impiego".
Parliamo di socialismo - La ragione di Letta e la fede di Rehn
di Nunziante Mastrolia
Il presidente del Consiglio Enrico Letta ha pronunciato parole sacrosante in risposta alle critiche del commissario Olli Rhen circa la legge di stabilità: “di solo rigore si muore”. C’è da sperare che al prossimo consiglio Ecofin le parole ragionevolissime del nostro presidente del Consiglio vengano prese in seria considerazione. Eppure ho qualche dubbio.
Perché? Perché mentre la risposta di Enrico Letta cade appunto nel campo della ragionevolezza, della più consolidata teoria economica e soprattutto del buon senso (non puoi mettere uno a pane ed acqua per giorni e poi pretendere che vinca i cento metri), le critiche europee alla nostra manovra finanziaria ricadono invece nel campo della fede: conforma la tua vita alle virtù teologali del liberismo e, dopo aver attraversato questa lacrimosa crisi economica prodotta dai tuoi stessi peccati, per te si apriranno le porte del paradiso della crescita miracolosa. E ancora: sta attento a non cedere alla tentazione della spesa pubblica, liberati dalle tue partecipazioni statali, liberati del fardello dello stato sociale e soprattutto non varcare mai la soglia del 3%, altrimenti forze oscure, dopo essersi accorte che hai abbandonato la via della virtù, riprenderanno ad attaccarti; tutti allora ti scacceranno, nessuno finanzierà più il tuo debito e niente potrà allora salvarti dall’inferno greco. Fede e ragione, dunque. E, per quanto ne so, la fede non sente ragioni.
Ovviamente qui, la fede non c’entra nulla. Allora, come stanno le cose? Vediamo: assodato che il rigore non produce crescita economia sana, quindi per tutti (a contrario: a ripartire sono i paesi che se ne sono infischiati della politiche del rigore). Se non c’è crescita, non si può neanche sperare di mettere in ordine i conti pubblici, a meno di non ingaggiare una corsa devastante con la depressione: più cala il PIL più crescono le tasse, ma il fondo del barile è lì che aspetta, ansioso di farsi raschiare. Almeno si può dire che tutto ciò ci serve a tenere lontano l’attacco della speculazione? No, neanche quello.
Perché? Il Giappone ha un debito che è del 236% rispetto al PIL ed un rapporto deficit/PIL del 10%, per non parlare del debito americano che è del 120% (e parliamo del solo debito federale). Per inciso, la massima parte del debito giapponese è nella mani dei propri cittadini. Era così anche in Italia fino a qualche anno fa, poi forse qualcuno ha pensato che faceva troppo provinciale. E ancora: “i tassi di interesse sul debito britannico sono molto più bassi di quelli sul debito spagnolo (…) anche se la Gran Bretagna ha un debito e dei disavanzi più elevati, e presumibilmente una prospettiva fiscale peggiore rispetto alla Spagna, pur tenendo conto della deflazione spagnola” (Krugman, 2012).
Ci sono forse attacchi speculativi contro Tokyo, Washington o Londra? Per quanto ne so, no. Ed il motivo è che agli investitori interessa sapere una cosa molto semplice: “se le cose vanno male, chi paga?”. Il Giappone, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna (ed altri) hanno la risposta a questa domanda: “state tranquilli! Se le cose vanno male chiediamo alle nostre banche centrali di stampare un po’ di soldi e possiamo così ripagare i nostri debiti”.
In Europa questo non poteva succedere, perché alla BCE questa manovra non era concessa. Poi, per fortuna, è arrivato Mario Draghi e quando ha affermato che la BCE avrebbe fatto di tutto per difendere l’euro (ed ha iniziato a comprare il debito dei paesi in difficoltà), gli attacchi della speculazione si sono fermati e lo spread è crollato, passando da un picco di 538 a un minimo a 236.
Questo cosa significa? Significa che, se a Draghi viene consentito di fare ciò che ha promesso, se la BCE continua a fare da creditore di ultima istanza, non ha nessun senso continuare ad insistere sulle politiche di austerity, quanto meno durante una recessione, che aspira a diventare una depressione. Il che vuol dire che i vari accordi – dal Fiscal Compact, al Six Pack – non solo sono dannosi, ma anche, ironia della sorte, inutili.
11.21.2013
Edilizia: si riparte dall'ambiente (1/2)
REDDITO MINIMO GARANTITO (2/2)
Poco prima dell'inizio dei negoziati che portarono all'approvazione del Trattato di Maastricht, l'allora Presidente della Commissione europea Jacques Delors tentò di far approvare una Direttiva che obbligasse tutti gli Stati ad adottare schemi di RMG, ma senza riuscirvi. L'idea dell'insigne politico socialista era quella di coniugare l'intensificazione dei legami economici tra i paesi membri con l'approntamento distandards minimi di trattamento di natura sociale, sì da impedire il pericolo di un social dumping tra paesi membri, cioè una concorrenza sleale nell'abbassare le tutele sociali al fine di attirare gli investimenti.
Una Commissione di esperti recentemente riunitasi sotto l'impulso del Ministro per il welfare Giovannini ha elaborato una proposta di SIA (sostegno per l'inclusione attiva) che, stante la modestia dei fondi previsti, certamente non potrebbe essere coerente con i parametri europei che -come abbiamo visto – sono molto precisi, almeno dal punto di vista quantitativo. Peraltro il SIA, contrariamente a quanto previsto dalla Carta dei diritti UE, ha come punto di riferimento la famiglia e i suoi redditi e non la persona ed i suoi bisogni.
L’illusione di una governance delle liquidità
11.15.2013
Disoccupazione giovanile, a Roma il prossimo vertice Ue
Una società del disimpegno di massa?
11.10.2013
L’Europa tra deflazione e sviluppo
La sfida dello sviluppo eurasiatico.
di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)
e Paolo Raimondi, Economista
L'ultimo Rapporto semestrale del Tesoro americano sulla situazione economica internazionale addebita tutte le responsabilità della mancata stabilità dell'economia mondiale alla Germania. Il suo surplus commerciale sarebbe la causa di tutti i mali.
Più che un'esagerazione ci sembra una pura provocazione non solo nei confronti della Germania ma dell'Unione Europea. I malfunzionamenti e gli squilibri nel vecchio continente pur ci sono e spetta a noi affrontarli e risolverli.
In passato nel mirino c'era soprattutto la Cina a cui si addebitava che la mancata rivalutazione dello yuan avrebbe aggravato le difficoltà economiche degli Usa e di conseguenza anche del resto del mondo.
Oggi il problema sarebbero le troppe esportazioni tedesche. Nel 2012 il surplus tedesco è stato di 238,5 miliardi di dollari superando di gran lunga i 193,1 miliardi della Cina. E nel primo semestre del 2013 il surplus tedesco è aumentato ancora andando oltre il 7% del Pil.
Questi andamenti, secondo il Tesoro americano, e in mancanza di una crescita della domanda interna tedesca, starebbero provocando una situazione di deflazione, con un'inflazione più bassa delle aspettative ed una stagnazione nei consumi in tutta Europa. Con conseguenze negative per gli Usa e il resto del mondo.
Fa un certo effetto sentir dire che una inflazione contenuta e un surplus commerciale, che solitamente è un sintomo di alta competitività e di una domanda globale di prodotti tecnologici di qualità, possano destabilizzare il sistema economico.
Il Rapporto in verità sembra soprattutto voler esaltare il successo degli Usa nella crescita dell'occupazione che dal 2010 ad oggi sarebbe stata di ben 7,6 milioni di nuovi posti di lavoro. In Europa, invece, e in particolare in Italia, la disoccupazione, soprattutto giovanile, purtroppo è aumentata pericolosamente. Ma non è tutto oro ciò che luce.
Infatti il vero problema sistemico americano è legato ad una ripresa drogata da continue iniezioni di nuova liquidità. Si spiega così il persistente deficit commerciale che, nel solo settore dei beni, è stato di circa 740 miliardi di dollari negli anni 2011 e 2012. Evidentemente oggi si pagano le conseguenze della deregulation selvaggia, della delocalizzazione e della deindustrializzazione effettuate degli ultimi 20 anni. Ovviamente la stessa qualità dell'occupazione creata è assai discutibile.
Perciò è stravagante e miope giustificare i propri fallimenti con i comportamenti e le difficoltà altrui. Lo stesso varrebbe per l'Europa se volesse sempre richiamare le responsabilità della finanza americana nello scatenamento della crisi globale.
Ciò detto, le discrepanze all'interno dell'Unione Europea non sono più tollerabili. L'economia tedesca ha una indubbia forza interna dovuta alla sua nota capacità di innovazione tecnologica, di qualificazione della sua forza lavoro e soprattutto di saper operare come "sistema-paese".
Certamente la Germania ha meglio sfruttato le opportunità del mercato unico europeo e forse ha guadagnato anche sulle debolezze dei suoi partner.
Sarebbe però la fine dell'Unione e di fatto anche l'indebolimento dell'economica tedesca se la Germania non comprendesse che la vera forza dell'Europa sta nella stabilità economica dell'intero continente.
Non si tratta di elargire sovvenzioni alle regioni europee più deboli ma di coinvolgerle, per esempio, in una strategia di vera integrazione economica, tecnologica e infrastrutturale del continente euro-asiatico. In quest'ottica ci sembra interessante il progetto, recentemente enunciato nel seminario "Conoscere l'Eurasia" di Verona, del corridoio infrastrutturale eurasiatico Razvitie, che in russo significa "sviluppo".
Non sarebbe solo una moderna "via della seta" ma un nuovo approccio complessivo e un programma di massicci investimenti di lungo periodo nei settori dei trasporti, dell'energia, delle comunicazioni e delle nuove tecnologie oltre che nella ricerca, nella cultura, nell'istruzione e nelle risorse umane per elevare le condizioni di vita e per modernizzare l'intero territorio continentale con eventuali nuovi insediamenti e nuove realtà urbane.
E' una sfida alta. Ma la risposta vincente alla persistente crisi economica non è solo nella crescita lineare di più merci prodotte o di più consumi misurata in punti percentuali di Pil. Sta in una nuova idea di sviluppo che punti sulla crescita sociale e che colga le grandi sfide della modernizzazione tecnologica da una parte e della coesione tra i popoli e i continenti dall'altra.
11.05.2013
Italiani nel mondo - L’INCA SVIZZERA CHIUDE
L'INCA Svizzera chiude i battenti a causa di una mega-truffa ai danni di anziani assistiti. L'autore del raggiro esploso nel 2008, Antonio Giacchetta, era all'epoca dirigente nazionale del patronato e ne guidava l'ufficio di Zurigo. In seguito, durante la lunga carcerazione preventiva cui venne sottoposto dall'estate del 2009 alla primavera del 2010, il funzionario ha ammesso le proprie responsabilità per una cifra complessiva che ammonterebbe a diverse decine di milioni.
Il giornalista ticinese Fabio Dozio, presentando Veleno dentro, documentario della TSI sul Caso Giacchetta, ha posto alcune semplici, ma inquietanti domande: "Come ha potuto operare senza che nessuno se ne accorgesse? Dove sono finiti i milioni rubati? E che ruolo hanno avuto il Consolato Italiano di Zurigo e le compagnie svizzere d'assicurazione?" Queste domande sono rimaste a tutt'oggi senza risposta.
Mentre l'istruttoria penale è in corso, sul piano civilistico la Corte federale ha intanto sancito però un obbligo di rifusione da parte del Patronato nei riguardi dei propri assistiti. In seguito a questa sentenza, passata in giudicato alcuni mesi fa, l'Inca-Cgil ha chiuso i propri uffici nella Confederazione. Lo dichiara la Presidenza della Associazione INCA Svizzera non senza esprimere un sentimento identitario che sembra preludere a ulteriori sviluppi della vicenda: "Se oltre cinquant'anni di storia, di impegno, di tutela ai nostri connazionali, finiscono per colpa di un criminale e di chi ne strumentalizza politicamente le azioni", si legge nel comunicato, "non permetteremo comunque che a pagarne il prezzo siano i nostri assistiti".
Marco Tommasini, presidente del Comitato Difesa Famiglie (CDF), associazione che riunisce "i danneggiati del caso Inca-Giacchetta", ci ha inviato il commento che di seguito, doverosamente, riportiamo. (A.E.)
Grande Festa! Grande Vergogna!
Grande Festa! - Il 22 settembre 2007 l' INCA/ CGIL festeggiava il giubileo dei 50 anni in Svizzera. Grande festa al Casinò di Montbenon a Losanna.
Corposo il programma di festeggiamenti in presenza di personalità della vita politica locale, del segretario generale del più importante sindacato italiano (CGIL), Guglielmo Epifani, e di numerosi rappresentanti del movimento sindacale svizzero ed italiano.
Diversi gli avvenimenti culturali. Tra questi in programma un caffè letterario sul tema "Quando gli emigrati producono cultura", con la partecipazione di autori spiccati. Il dibattito era introdotto e moderato dal Forum svizzero sugli studi delle migrazioni.
La "Salle des Fêtes", invece, ospitò l'esposizione fotografica dal titolo "Emigrati di qui e d'altrove" in presenza dell'autore.
Dopo la parte ufficiale, la "Salle Paderewsky" ospitò una serie di concerti, con le esibizioni di un gruppo locale e di cantautori italiani di primo piano. La serata era animata da un'attore ed autore di spettacoli e show televisivi. Grande Festa!
Grande Vergogna! - Ora il patronato chiude i battenti e lo fa in silenzio per la vergogna. Si sono spenti i riflettori dopo che centinaia di assistiti sono stati truffati dall' INCA/CGIL a Zurigo. I protagonisti dell'esposizione fotografica "Emigrati di qui e d'altrove" della "Salle des Fêtes" si sono fatti sentire.
Non hanno accettato che al Casinò di Montbenon a Losanna di cinque anni fa, si festeggiasse mentre nello stesso tempo si truffava, ci si abbuffasse mentre a loro veniva tolto il pane e ci si ubriacasse con il loro sudore e le loro lacrime.
I partecipanti del caffè letterario ora sono muti. Gli elogi di allora si sono spenti. Dove è rimasta l'orazione funebre? Dove sono le personalità della vita politica, il segretario generale della CGIL per svolgere il funerale dell'INCA? Grande Vergogna!
Quello che rimane è un comunicato dove la Presidenza dell'Associazione INCA Svizzera in presenza della sentenza del tribunale federale che li condanna nega ogni colpa. Nessun ripensamento, nessuna scusa, nessun pentimento.
Rimane un vuoto immenso, una tristezza incolmabile e la certezza amara che gli organismi istituzionali italiani non sono all' altezza del loro compito. I parlamentari della circoscrizione italiana, i Comites, il CGIE come se non esistessero.
La chiusura del patronato INCA/ CGIL in Svizzera è una sconfitta per tutti noi.
Un giorno di lutto per la Repubblica Italiana e per tutta l'emigrazione.
Sul "Caso Giacchetta" si consiglia la visione del documentario Veleno dentro di Maria Roselli, Gianni Gaggini, Marco Tagliabue (TSI, © Falò).