5.23.2013

Istat, l'Italia del lavoro è in ginocchio

LAVORO E DIRITTI

a cura di www.rassegna.it

 

Secondo l'Istituto di statistica, disoccupati e scoraggiati toccano quota 6 milioni. Boom dei neet, e per chi lavora aumenta il part time non volontario e il precariato. Si allunga la durata della disoccupazione e 15 mln di italiani sono in difficoltà

 

L'Italia del lavoro è in ginocchio. Disoccupati, precari e sfiduciati sono ormai la maggioranza nel paese. Lo dice chiaramente il rapporto annuale Istat.

    Le persone potenzialmente impiegabili nel processo produttivo, afferma l'Istituto di statistica sono quasi 6 milioni, se ai 2,74 milioni di disoccupati si sommano i 3,08 milioni di persone che si dichiarano disposte a lavorare anche se non cercano (tra loro gli scoraggiati), oppure sono alla ricerca di lavoro ma non immediatamente disponibili.

    Il calo dell'occupazione si accompagna a una polarizzazione delle tipologie contrattuali. Il lavoro standard, cioè quello a tempo indeterminato full time, continua a diminuire (-5,3% dal 2008 equivalente a 950mila unità e -2,3% nell'ultimo anno pari a -410mila unità), soprattutto per le fasce di età fino ai 49 anni.

    Secondo l'Istituto di statistica, l'Italia, tra l'altro, ha 'la quota più alta d'Europa' di giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano né studiano. Si tratta dei cosiddetti Neet, arrivati a 2 milioni 250 mila nel 2012, pari al 23,9%, circa uno su quattro. Basti pensare che in un solo anno sono aumentati di quasi 100 mila unita'.

    Aumentano invece l'occupazione part time a tempo indeterminato (+16,4% pari a 425mila unità dal 2008; +9,1% nel 2012 pari a 253mila unità) e quella atipica, ossia a tempo determinato e collaboratori (0,7% in più dal 2008 equivalente a 20mila unità; +3,3% pari a 89mila unità nel 2012).

    Per di più, si allunga la durata della disoccupazione. Le persone in cerca di lavoro da almeno 12 mesi sono aumentate dal 2008 di 675mila unità, riferisce l'Istat nel suo rapporto annuale, e rappresentano nel 2012 il 53% del totale contro una media Ue a 27 del 44,4%. La durata media della ricerca è pari nel 2012 a 21 mesi (15 mesi nel Nord e 27 mesi nel Mezzogiorno) e arriva ai 30 mesi per chi è in cerca di prima occupazione.

    La situazione è critica soprattutto per i giovani. Solo il 57,6% dei giovani laureati o diplomati italiani lavora entro tre anni dalla conclusione del proprio percorso di formazione. E' quanto emerge dal Rapporto annuale dell'Istat nel quale si ricorda che l'obiettivo europeo nel 2020 e' fissato all'82% mentre il valore medio europeo dell'indicatore nel 2011 e' stato pari al 77,2%. In Italia, l'indicatore e' al 57,6% quasi 20 punti percentuali in meno.

    La conseguenza è che sono ormai quasi 15 milioni a fine 2012 gli individui in condizione di deprivazione o disagio economico, circa il 25% della popolazione (40% al Sud). Nel rapporto Istat cui si sottolinea che in grave disagio sono invece 8,6 milioni di persone, cioè il 14,3%, con un'incidenza più che raddoppiata in 2 anni (6,9% nel 2010).

       

 

LAVORO E DIRITTI

a cura di www.rassegna.it

 

Cgia, perse 85mila imprese

di artigiani e commercianti

 

La crisi ha colpito duramente anche i lavoratori autonomi. Dal suo inizio (gennaio 2008) a oggi (l'ultimo dato disponibile è riferito a marzo 2013) abbiamo perso quasi 85.500 unità imprenditoriali costituite da artigiani e da piccoli commercianti.

    I numeri sono stati elaborati dalla Cgia di Mestre su dati Infocamere-Movimprese.

    Se all'inizio della recessione questi due settori contavano, complessivamente, quasi 2.369 mila aziende, cinque anni dopo si sono attestate poco sopra i 2.283 mila unità.

    Tra gli artigiani, in particolare, si è registrata una vera e propria ecatombe: delle 85.500 imprese che non ci sono più ben 77.670 (pari al 90,9%) erano artigianali. Nell'ultimo trimestre la moria è aumentata ancora: tra il 31 dicembre dell'anno scorso e il 31 marzo di quest'anno ci ritroviamo con 27.800 imprese in meno.

        

 

Economia

 

La paura fa novanta!

 

di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)

e Paolo Raimondi, Economista

 

I due economisti americani, Kenneth Rogoff e Carmen Reinhart, rispettivamente dell’università di Harvard e dell’università del Maryland, con i loro studi hanno spesso fornito l’alibi “scientifico” a politiche economiche e finanziarie restrittive che hanno provocato effetti negativi dirompenti in molti Paesi, compreso l’Italia 

    Recentemente sono venuti alla ribalta per una loro teoria, secondo cui il rapporto debito pubblico/pil al 90% rappresenta il limite massimo oltre il quale inizia il crollo della crescita economica di un Paese. Essa non solo è errata ma si è dimostrato che è il frutto di grossolane manipolazioni statistiche.

    Nel frattempo però la citata “quota novanta” è diventata il vangelo in molti centri politici europei, a cominciare da Berlino e dalla Commissione europea di Bruxelles.

    Come è sempre stato anche con i responsi delle agenzie di rating, tutti gli oracoli negativi e le terapie depressive originati negli Usa trovano una supina applicazione in Europa! Forse tanta evidente sudditanza meriterebbe una qualche terapia psicoanalitica.

    Da anni, soprattutto nel vortice della crisi dell’euro e della destabilizzazione della stessa Ue, le politiche di austerità e di taglio di bilancio imposte ai Paesi europei più indebitati e più deboli sono state giustificate anche con la “teoria del 90%”.

    Il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schauble nel suo intervento al Parlamento tedesco lo scorso 6 settembre 2011, citava i due economisti americani per sostenere le sue tesi rigoriste. Appena poche settimane fa lo stesso Olli  Rehn, commissario europeo per l’Economia, ha utilizzato gli stessi argomenti per auspicare la politica di ferrea austerità.

    Per fortuna molti, anche in Germania, si stanno rendendo conto che simili politiche imposte ai Paesi del Sud Europa stanno riverberando effetti negativi sull’economia tedesca, a partire dal settore auto. Infatti le esportazioni tedesche di automobili di piccola e media cilindrata, solitamente acquistate dalle fasce della popolazione lavorativa dei Paesi mediterranei, sono crollate imponendo anche lì il ricorso alla cassa integrazione in diverse fabbriche.

    E’ evidente l’errore dei due economisti succitati. La verità è che quando la crescita si ferma, parte l’aumento del debito pubblico. Lo sforzo perciò dovrebbe essere quello di individuare le migliori proposte per sostenere gli investimenti e la ripresa produttiva.

    In verità il duo Rogoff-Reinhart  elaborò subito dopo lo scoppio della grande crisi un'altra teoria meccanicistica, quella dell’ “inflazione controllata”. Sostenevano che per abbreviare il periodo di «doloroso deleveraging (riduzione del debito) e di crescita lenta» ci vuole la spinta di una moderata e controllata inflazione del 4-6 % annuo per diversi anni.

    Tale teoria venne subito stoppata dalla Germania, memore della devastante inflazione nel periodo della Repubblica di Weimar. Con l’inflazione non si scherza in quanto è un processo facilmente programmabile al computer ma difficilmente controllabile nella realtà.

    Ci auguriamo che i fallimenti di simili teorie riportino l’Europa verso la vecchia ma solida economia sociale di mercato che nei decenni passati è stata determinante nella costruzione di uno sviluppo sociale ed economico più stabile e più equilibrato.

 

5.10.2013

Malamente, come la Fed

Anche la Bce vuol comprare titoli tossici per gonfiare di liquidità il sistema. Ma è proprio vero che l'economia americana sia uscita dalla palude della recessione mentre quella del Vecchio Continente continua sulla strada della depressione economica?

di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)
e Paolo Raimondi, Economista



Gli Usa sono ai livelli minimi di disoccupazione dal 2008 con un tasso del 7,5% e l'Europa della zona euro invece è ai massimi con il 12,1%. Questi dati sembrano per certi versi sorprendenti e anche molto provocatori.

Ma è proprio vero che l'economia americana sia uscita dalla palude della recessione mentre quella del Vecchio Continente continua sulla strada della depressione economica?

Se è così, dov'è la "magia americana" che noi europei non siamo capaci di replicare?

Noi riteniamo che quanto sta accadendo negli Usa possa rivelarsi un "grande bluff". Certo c'è un'effimera e momentanea ripresa "drogata" dalla liquidità creata a piene mani dalla Federal Reserve. Dopo le enormi immissioni di liquidità fatte a seguito del crollo bancario, dallo scorso settembre la Fed sta, infatti, immettendo sul mercato 85 miliardi di dollari ogni mese. Cioè 1.000 miliardi all'anno!

E' una cifra enorme di cui una parte viene destinata all'acquisto di titoli, come dei derivati asset-backed-security in gran parte speculativi, a giovamento dei bilanci delle banche. Si ricordi che i citati abs sono obbligazioni emesse sulla base di altri titoli di debito ben "impachettati" e piazzati sul mercato con la garanzia della solvibilità dei titoli sottostanti. Essi fungono da moltiplicatori di credito e furono anche causa della bolla che provocò il crollo finanziario.

Un'altra parte viene utilizzata per l'acquisto di obbligazioni del Tesoro al fine di coprire i nuovi debiti del governo fatti per finanziare spese pubbliche e investimenti. Così si sostengono i livelli di consumo delle famiglie e naturalmente si creano anche dei posti di lavoro, in gran parte precario.

Recentemente il Federal Open Market Committee, l'organismo di politica monetaria della Fed, ha ribadito la scelta di continuare senza esitazione anche per il futuro con tale "politica monetaria accomodante" se fosse necessario.

In pratica è la liquidità del cosiddetto "quantitative easing" che, a nostro avviso, rischia di destabilizzare l'intero sistema economico e monetario internazionale scaricando sul resto del mondo i suoi effetti inflazionistici di medio periodo. Ma oggi a Washington questo non interessa: preme di più sfruttare gli effetti "cosmetici" immediati. I danni saranno spalmatati domani su tutte le economie del pianeta!

Sulla scia degli Usa anche l'Inghilterra e il Giappone stanno creando liquidità nello stesso modo. L'Unione europea, invece, non può farlo perché i meccanismi della Bce non lo permettono.

A Bratislava nella sua ultima conferenza stampa Mario Draghi, oltre ad annunciare la riduzione del tasso di sconto allo 0,5%, ha lasciato intendere un certo malumore per il fatto che la Fed utilizzi le rotative, cosa che non è consentita alla Bce.

Ha fatto notare la differenza tra il mercato Usa e quello dell'Europa nella creazione del credito. Nel primo l'80% dell'intermediazione finanziaria passa attraverso il mercato mentre nel secondo essa passa attraverso il sistema bancario.

Perciò in una situazione di credit crunch, come quella attuale in Europa e soprattutto in Italia, quando le banche chiudono i rubinetti, tutto si blocca.

Si ricordi inoltre che, a differenza della Fed, alla Bce non è permesso l'acquisto di titoli di Stato né tanto meno di intervenire per stabilizzare i bilanci delle banche.

Draghi ha annunciato che sta studiando per superare tali limiti per poter acquistare ABS immettendo nuova liquidità nel sistema. Consapevole dei rischi insiti in tali titoli ha assicurato che saranno scelti gli ABS "buoni" e non quelli tossici.

In definitiva, risulta evidente che i vari approcci e negli Usa e in Europa e nel resto del mondo ricalcano i paradigmi del vecchio sistema finanziario fallimentare. Si propongono soluzioni di stampo monetarista e si continua a credere nelle meraviglie di un dio-mercato.

Proseguire su questa strada significa abbandonare ogni speranza di una globale e condivisa riforma del sistema e tanto meno di realizzare una nuova Bretton Woods.

5.04.2013

Perugia, Primo maggio 2013 La riunificazione del mondo del lavoro

I sindacati uniti contro la crisi, dopo anni di fratture e divisioni. Camusso: "Le grandi conquiste sono state sempre fatte da un movimento dei lavoratori unito per cambiare la storia. Abbiamo diritto a un futuro migliore, e lo costruiremo"



di Davide Orecchio



"Senza il lavoro il Paese muore, e questo Paese non può morire". Si può sintetizzare in questa formula drammatica lanciata da Susanna Camusso a Perugia, dal palco della manifestazione nazionale di Cgil Cisl e Uil, il senso di questo Primo Maggio 2013. Forse la festa più difficile dei lavoratori italiani da molti decenni, al sesto anno di crisi, senza certezze e con poche speranze. Ma i sindacati hanno voluto lanciare un messaggio di ottimismo, denunciando di avere un "obbligo confederale" all'ottimismo, alla ricostruzione del mondo del lavoro. E l'hanno fatto a partire da una rinnovata unità, sancita dal cammino comune che li porterà a Roma il 22 giugno per una manifestazione nazionale per il lavoro, simbolo che lunghi anni di fratture e divisione sono forse alle spalle.

'Priorità lavoro': con questo slogan i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, Susanna Camusso, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti sono intervenuti a Perugia per la manifestazione nazionale del Primo maggio. Festa dei lavoratori che i tre sindacati confederali quest'anno hanno deciso di celebrare nella città umbra teatro, all'inizio dello scorso marzo dell'omicidio di due impiegate della Regione uccise da un imprenditore che, poi, si e' suicidato. Un episodio divenuto simbolo, per Cgil, Cisl e Uil, della necessita' di restituire centralità al lavoro. Il corteo ha attraversato Perugia accompagnato dagli striscioni e dalle bandiere dei tre sindacati, rosse, verdi e blu. 'Primo maggio Umbria 2013' con su entrambi i lati lo slogan 'priorita' lavoro' è lo striscione che apre il corteo. A seguire, tra gli altri, quelli delle diverse categorie. In piazza anche alcuni rappresentanti degli artigiani con le magliette e le bandiere Cna Umbria.

Il Primo Maggio "può essere una festa amara - ha detto Luigi Angeletti dal palco -, e purtroppo lo festeggiamo immersi in molti problemi e in alcune gravi tragedie. Siamo qui per ricordare due persone, due lavoratrici vittime di un atto criminale e folle, morte lavorando". "Le persone che lavorano fanno funzionare questo paese - prosegue il leader Uil -. C'è sempre qualcuno che lavora, se noi possiamo avere beni e servizi. I tre milioni di disoccupati in Italia, però, non sono il frutto di una generica crisi mondiale, contro cui non possiamo far niente, perché l'Italia è l'unico paese Ocse in recessione. Ci sono responsabilità che attengono alle scelte di politica economica che sono state fatte in questo paese". Un paese, dice Angeletti, che "affonderà se non risolverà il problema del lavoro. Questo goperno si è formato solo grazie al patriottismo del presidente della Repubblica, un grande italiano oltre che un grande presidente, che ha segnalato il bisogno di un governo che ponga il problema del lavoro al centro della sua azione".

Ma per Angeletti "ci sono delle priorità. Il governo deve prima rispettare i patti: finanziare cig e cig in deroga. Seconda questione: ridurre le tasse sul lavoro. Siamo favorevoli alla riduzione dell'Imu sulla prima casa. Ma ogni euro disponibile deve essere finalizzato a ridurre la tasse sul lavoro e a favorire la stabilizzazione del lavoro giovanile. I programmi del governo sono condivisibili - conclude Angeletti -, ma si devono tradurre nel giro di poche settimane in decisioni, in scelte".

"Siamo qui per i disoccupati, e sono molti, e perché vogliamo ricordare che c'è tanto da fare per gli esodati, per i cassintegrati": così il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni. Il lavoro "è al centro. Senza lavoro una persona non ha dignità, non ha libertà, non ha la possibilità di sostenersi e sostenere la propria famiglia". E' "l'unica cosa - prosegue Bonanni - che può curare queste malattie".

"Le classi dirigenti - dice Bonanni - devono occuparsi dell'economia. Senza una buona economia avremo disoccupazione, cassintengrati, più povertà. Il governo ha lanciato segnali interessanti, ma li vogliamo verificare alla luce del sole". Per Bonanni "le famiglie sono caricate come muli, non reggono più il carico fiscale nazionale che non ha precedenti nella storia d'Italia e d'Europa. Chiediamo che le tasse sul lavoro siano ridotte notevolmente. E il reato di evasione fiscale dev'essere un reato penale".

"Letta chiarisca un aspetto - prosegue il leader Cisl -: quando parla di riforme istituzionali, l'Italia ha una selva di amministrazioni e istituzioni che sono la causa di tante tasse che paghiamo e dell'immobilismo che c'è. I dipendenti pubblici sono stati offesi per coprire le brutture che avvengono in queste istituzioni". Inoltre "dobbiamo rilanciare l'industria, l'unica occasione per avere occupazione" Per farlo "il governo deve avere coraggio. L'Italia si salva se tutti si impegneranno per salvarla. Serve un nuovo clima - afferma Bonanni -, un'energia nuova popolare che dia forza a coloro che vogliono spendersi con coraggio per risolvere i problemi del Paese. L'italia dev'essere percorsa da uno spirito nuovo di servizio, come dice papa Francesco: il servizio è potere. Dobbiamo realizzare un potere liberante".

"Festeggiamo il Primo Maggio nella straordinaria difficoltà di un Paese dove manca il lavoro - esordisce Susanna Camusso -. A tutti quelli che ci chiedono: ma che senso ha festeggiare, rispondiamo: per ricordarvi che senza il lavoro questo Paese muore, e questo Paese non deve morire. Ma il lavoro non basta. Dev'essere un lavoro dignitoso, che abbia diritti. Dall'inizio dell'anno sono morte 145 persone sui luoghi di lavoro. Nei luoghi di lavoro non c'è abbastanza attenzione alla sicurezza delle persone: è un impegno per noi, perché è evidente che dobbiamo fare di più. Ma Se si muore è anche perché si è favorita la precarietà, la paura, la competizione terribile che rende le persone oggetti e non soggetti".

Camusso ricorda che il lavoro deve tornare al centro della politica. "Il nostro obiettivo è quello di redistribuire il reddito di questo paese". "È la disoccupazione il vero male di questo paese". Al governo Camusso dice con chiarezza: "guardate che la risposta su ammortizzatori sociali e esodati significa ricostruire il patto di fiducia con i lavoratori e le lavoratrici".

"È un Primo Maggio all'insegna di tanti problemi - prosegue la leader Cgil -, ma anche bello perché Cgil Cisl e Uil si presentano in tutte le piazze d'Italia con una piattaforma unitaria. Abbiamo alle spalle tante ferite, ma le persone ragionevoli curano le ferite perché sappiamo che al lavoro bisogna dare risposte: ora, non tra qualche tempo". Riferendosi all'accordo sulla rappresentanza: "Noi ci mettiamo alla prova: misuriamo chi siamo, quanti iscritti abbiamo e quanto contiamo. La democrazia c'è, se l'esigibilità degli accordi è data dal voto dei lavoratori insieme alle organizzazioni sindacali".

Poi un altro messaggio al governo Letta: "I titoli non bastano, non bastano gli annunci e le promesse. Vorremmo vedere provvedimenti concreti, e sapere che per ognuno di quei provvedimenti non ci sono nuovi tagli a servizi e pensioni o addizionali nelle tasse. Bisogna fare un'operazione vera di redistribuzione". Camusso ricorda che "sono stati 6 anni di crisi e ferite: è difficile ricostruire il filo dell'ottimismo, della speranza, della fiducia. Ma tutti noi sindacati non possiamo non avere l'idea che l'ottimismo ci possa essere. Bisogna ricostruire i fili della solidarietà. Il mondo del lavoro non può essere tutti contro tutti. La riunificazione del mondo del lavoro: è in questo che c'è l'idea della mobilitazione di Cgil Cisl e Uil che culminerà nella manifestazione del 22 giugno a Roma. Dobbiamo ricostruire quei fili. Il messaggio vero di questo Primo Maggio: non vogliamo più dividerci, abbiamo un obiettivo comune, che questo Paese ricominci a costruire lavoro. Le grandi conquiste sono state sempre fatte da un movimento dei lavoratori unito - conclude Camusso -, per cambiare la storia, abbiamo diritto a un futuro migliore, e lo costruiremo".