10.18.2012

Industria auto, cinque anni difficili

LAVORO E DIRITTI

a cura di www.rassegna.it


Uno studio Ilo: i 18 grandi produttori saranno ridimensionati. Sopravvivrà chi innoverà e ridurrà i costi. Le politiche di sostegno rischiano di perpetuare una produzione "senza domanda reale", ma bisogna "trovare una nuova forma di equilibrio"


Per rilanciare l’industria dell’auto è necessario “trovare una nuova forma di equilibrio” tra i “tentativi di ammortizzare l'impatto sociale della recessione” e “gli sforzi per ristrutturare l'intero settore”. È quanto sostiene l’Ilo (l’Organizzazione mondiale del lavoro) sul suo blog aggiungendo che “il rischio delle politiche di sostegno pubblico è che le imprese continuino a produrre auto per un mercato senza domanda reale e, come nel caso della Francia, quelle stesse imprese prima o poi chiuderanno comunque”.

    “Nel caso della Cina, invece, le forti misure protezionistiche all'importazione di auto straniere e gli incentivi del governo all'acquisto di utilitarie sono tutti mirati ad assicurare il mercato interno alle compagnie nazionali. Un simile approccio appare eccessivamente concentrato sulla produzione, senza calcolare il fattore energetico e la necessità di progettare la mobilità in un paese ancora non pienamente urbanizzato”.

    L’Ilo ricorda che “l'industria automobilistica è un pilastro importante dell'economia mondiale. Riguarda ogni aspetto della vita quotidiana ed è un'importante fonte di occupazione. Circa il 5 per cento della forza lavoro globale è, direttamente o indirettamente, impiegata nel settore”.

   Nel 2010 l’agenzia Onu del lavoro ha dedicato uno studio all'industria automobilistica, sottolineando come questa possa avere ancora un ruolo centrale nell'economia globale, se sarà capace di superare alcuni elementi di fragilità e ripensare il sistema con cui è stata gestita finora. Lo studio si concentra sulla crisi economica attuale, sui modi diversi in cui i governi stanno intervenendo per sostenere la produzione nazionale e sull'efficacia di lungo termine di questi interventi

    Stando al rapporto dell'Ilo, i 18 grandi produttori di automobili nelle tre regioni più industrializzate, ovvero Stati Uniti, Europa Occidentale e Giappone/Corea, saranno ridimensionati nei prossimi cinque anni. I fattori che decideranno della loro sopravvivenza, conclude lo studio, sono l'abilità di ridurre i costi, la dimensione dei gruppi, la performance finanziaria, l'innovazione e il posizionamento strategico sui mercati.

     “Nel dibattito di questi giorni sul futuro della Fiat in Italia – si legge sul sito dell’Ilo - sarebbe utile tenere conto della prospettiva internazionale, per meglio comprendere l'evoluzione del settore che ha caratterizzato il capitalismo e il lavoro nel secolo scorso. Nel corso del Novecento, infatti, si è assistito alla nascita, allo sviluppo e al declino della produzione di massa dell'automobile con spostamenti continui di industrializzazione e conflitto da paese a paese, da continente a continente. Ad esempio, all'industrializzazione automobilistica dell'Europa occidentale negli anni '60 è seguita quella dell'estremo Oriente negli anni '80 e '90, con un significativo passaggio dal sistema fordista a quello toyotista”.

10.01.2012

Bce: bene la mossa antispeculazione ma resta il rischio inflazione

Le semplificazioni eccessive non funzionano, soprattutto in economia. Di norma portano a valutazioni e a risultati errati. Ciò ovviamente potrebbe valere anche per la “storica” conferenza di Mario Draghi dell’inizio di settembre che ha confermato che, qualora fosse necessario, la Bce sarebbe autorizzata a comprare, “senza limiti”, titoli europei di debito pubblico.


di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)

e Paolo Raimondi, Economista


La mossa di Draghi è quella giusta e da tempo auspicata. Di fatto è una decisione “politica” che sfida la speculazione incontrollata che da mesi imperversa contro l’euro e l’Unione Europea. Gli attacchi ai paesi più deboli dell’eurozona sono sicuramente motivati da ragioni di profitto immediato, ma anche, secondo noi, da visioni geopolitiche non amiche dell’Europa unita.

    L’importante decisione della Bce non è, però, la panacea di tutti i nostri mali, né può indurre a dormire sonni tranquilli. E’ una misura di emergenza dovuta al fatto che le vere cause della crisi non sono state ancora rimosse e che le necessarie regole per controllare i flussi di capitale a breve e per limitare le operazioni finanziarie speculative non sono state ancora decise né a livello europeo né tanto meno a livello di G20.

    Comunque sarebbe un grave errore delegare alla Bce tutta la responsabilità delle decisioni finanziarie ed economiche più importanti. Si rischia di mettere l’intera economia, la crescita e la questione del lavoro sotto il dominio della finanza e della moneta. Sarebbe una iattura!

    Nel suo intervento Draghi ha più volte ribadito il fatto che egli si muove all’interno del mandato principale della banca centrale che è il mantenimento della stabilità dei prezzi e la lotta all’inflazione.

    Ha riconosciuto che i prezzi, soprattutto quelli dell’energia, avranno nel 2012 un andamento più accelerato. Non ci è sembrato molto convincente. In una situazione di crolli verticali dei consumi, se fosse vero che i mercati sono regolati dal gioco della domanda e dell’offerta, non si dovrebbe avere l’inflazione ma piuttosto la caduta dei prezzi. Certo il ruolo della speculazione sulle commodities è noto. Perciò si può affermare che l’inflazione reale in Europa è ben più alta del 2,4% ammesso dalle statistiche ufficiali. Per non parlare dell’Italia…

    In questo contesto è doveroso porre la massima attenzione ai possibili effetti futuri dell’acquisto dei titoli di stato da parte della Bce. Lo farà creando nuova liquidità, cioè stampando nuova moneta con il rischio di una inflazione più forte.

    Consapevole di ciò Draghi si è premurato di dire che questa nuova liquidità sarà comunque “sterilizzata”. Parola magica questa anche se di poco contenuto economico ma di grande effetto psicologico.

    In parole povere, per evitare il rischio d’inflazione, la Bce venderebbe altri titoli di stato in suo possesso recuperando parte della moneta emessa. Non è così semplice. Quanto grandi potrebbero essere gli acquisti di titoli da parte della Bce? Quali titoli essa venderebbe? A chi? A che prezzo? Per quanto tempo durerà l’intera operazione? Sono interrogativi che meritano risposte puntuali. Si dice che tali operazioni sarebbero attivate solo se richieste e se imposte dall’emergenza. Ma allora siamo o non siamo in una situazione di emergenza?

    Al riguardo riteniamo che sia errato l’atteggiamento di quanti cantano vittoria sulla Bundesbank tedesca. Essa non è impazzita ne è diventata la centrale di un “complotto” per scardinare l’Unione Europea. Essa semplicemente pone il problema del rischio dell’inflazione. Lo fa in modo e con argomenti sbagliati. Preme sui controlli di bilancio, sui tagli delle spese, sugli interventi automatici in caso di mancato mantenimento degli impegni presi dai governi, prima di concedere qualsiasi aiuto. In verità la Bce usa gli stessi argomenti per mantenere il controllo dopo l’intervento di salvataggio.

    Entrambe concordano nel dare al Fondo Monetario Internazionale un potere di controllo e un ruolo diretto nella gestione dell’economia dei paesi beneficiari. Ma non è lo stesso FMI che ha fallito con i paesi in via di sviluppo e che ha dormito prima e durante la grande crisi? Assegnando al Fmi il ruolo di “grande fratello”, la Bce e l’Ue ammettono ancora una volta di essere da esso dipendenti e quindi secondi anche in casa propria.

   La vera questione, secondo noi, è rimettere in modo l’economia reale. Questo però non è il compito principale delle banche centrali. E’ compito dei governi.

    E’ in ogni modo inconcepibile che si possa accettare di intervenire con migliaia di miliardi di euro per i bail out di banche decotte o per la stessa stabilità finanziaria dei singoli paesi o dell’intero sistema e che si neghi allo stesso tempo l’immediata creazione di un fondo europeo di sviluppo di alcune centinaia di miliardi per finanziare le infrastrutture, la ricerca, le nuove tecnologie e l’occupazione.

    Eppure si sa che gli interventi per la moneta e le finanze, seppur necessari, non producono ricchezza, mentre gli investimenti per rilancio dell’economia e per il sostegno all’occupazione sono essenziali per la crescita e la stabilità sociale nei singoli paesi e nell’intera Europa.