11.24.2014

La lezione di Federico Caffè per la Bce

Economia

  

Draghi a Roma per il centenario della nascita di Federico Caffè.

 

di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)

e Paolo Raimondi, Economista

 

Recentemente, anche nel mezzo di una crescente contestazione giovanile e studentesca, Mario Draghi è venuto a Roma per celebrare il centenario della nascita dello scomparso economista Federico Caffè. Draghi era stato suo allievo all’Università La Sapienza di Roma.

    Parlando della “eredità di pensiero” di Caffè, il governatore della Bce ha ricordato come per il professore “fare politica economica significasse: analisi della realtà, rifiuto delle sue deformazioni, impiego delle nostre conoscenze per sanarle”.

    Non conosciamo tutte le intenzioni e i progetti di Draghi per poter dare un giudizio definitivo. Possiamo però dire con certezza che la Bce, e certamente per responsabilità non solo di Mario Draghi, non sta facendo molto per sanare le riconosciute deformazioni del sistema.

    Non si pretende che la banca centrale copra il vuoto politico lasciato dalla mancanza di capacità e volontà di governo a livello europeo.

    Quando la Bce si è mossa con decisione e in modo corretto ha prodotto dei risultati importanti. Si ricordi soltanto come la famosa frase di Draghi “difenderemo l’euro con ogni mezzo” mise fine ad una destabilizzante speculazione internazionale contro il debito pubblico di alcuni Paesi più deboli che minava la stessa esistenza dell’Unione europea.

    Oggi si vorrebbe che la Bce con coraggio riconoscesse che certe politiche monetarie di sua competenza non hanno funzionato e non funzionano. Perciò occorre mettere in cantiere azioni nuove e più efficaci.

    Il fatto che, come Draghi ha ribadito nel discorso di Roma, le banche ancora intermedino quasi l’80% del credito nell’eurozona, non può significare che bisogna accettare di essere sottomessi a questo meccanismo inefficace.

    Si noti che la situazione del sistema bancario internazionale, anche quello europeo, è peggiorata grandemente negli ultimi anni. Secondo il rapporto dell’European Systemic Risk Board i bilanci delle banche europee sono cresciuti a dismisura. Nel 2013 il totale delle loro attività era già di oltre tre volte il Pil dell’Ue.

    Anche il loro processo di concentrazione è cresciuto enormemente. Dal 2000 gli attivi delle tre maggiori banche di ciascun Paese europeo sono aumentati e di molto. Ad eccezione dell’Italia. Un dato che merita maggior attenzione e valutazione visto che tutti gli organismi internazionali di controllo indicano proprio nel gigantismo delle banche “too big to fail” una delle maggiori cause della persistente crisi finanziaria globale.

    Queste anomalie delle banche europee si manifestano di conseguenza nel grave peggioramento del tasso di leverage, nel rapporto cioè tra il capitale proprio e i loro attivi (asset) che in media è sceso dal 6% degli anni novanta al 3% del 2008.

    Tali squilibri diventano ancora più pericolosi se si raffrontano gli attivi con le “montagne” dei derivati Otc tenuti fuori bilancio. E’ una disfunzione speculativa di tutte le grandi banche mondiali. In Europa è ancora più grande. Mentre per le 5 grandi banche americane, ciascuna con più di 40 trilioni di dollari di derivati, il rapporto Otc/attivi è di 25-50 volte, per la Deutsche Bank, la più grande banche europea, con i suoi 75 trilioni di dollari di Otc, esso è di ben 100 volte!

    Davvero non si comprende perché la Bce non inviti con forza il governo tedesco a “fare bene questo suo compito a casa” e a prendere le necessarie misure per correggere l’evidente gravissimo rischio finanziario sistemico.

    Nella sua analisi Mario Draghi ha anche ricordato che nell’eurozona gli investimenti privati dal 2007 sono calati del 15% e quelli pubblici del 12%. Ha aggiunto che per usciere dalla recessione occorre operare non solo sul fronte dell’offerta ma anche della domanda di credito per investimenti.

    A nostro modesto avviso sul fronte dell’offerta occorre individuare strade alternative a quelle bancarie per portare credito di lungo periodo e a bassi tassi di interesse direttamente alle imprese che vogliono lavorare. Si pensi, per esempio, ai project bond, ai minibond, a nuovi fondi di investimento, a nuovi sportelli di credito fuori dal circuito bancario.

    Sul fronte della domanda non si può contare soltanto sulla “magia del mercato” e sulla spontanea volontà del mondo imprenditoriale e del lavoro. Occorre che l’Unione europea e i singoli Paesi promuovano grandi e piccoli progetti di modernizzazione delle infrastrutture, della messa in sicurezza dei territori, di nuove tecnologie sul territorio europeo e anche di partecipazione attiva nei grandi lavori programmati dai Paesi del Brics, a cominciare dalla Cina e dalla Russia, per dare più spazi alle imprese.

    E’ forse opportuno citare alcune idee di Federico Caffè che furono profetiche e ancora valide oggi.

     “Da tempo sono convinto – scriveva - che la sovrastruttura finanziario-borsistica con le caratteristiche che presenta nei paesi capitalisticamente avanzati favorisca non già il vigore competitivo ma un gioco spregiudicato di tipo predatorio, che opera sistematicamente a danno di categorie innumerevoli e sprovvedute di risparmiatori.”

    Aggiungeva che “poiché il mercato è una creazione umana, l'intervento pubblico ne è una componente necessaria e non un elemento di per sé distorsivo e vessatorio.”

    E ammoniva che “al posto degli uomini abbiamo sostituito i numeri e alla compassione nei confronti delle sofferenze umane abbiamo sostituito l'assillo dei riequilibri contabili.”

    Parole sante più che mai calzanti per la situazione odierna.

 

11.17.2014

Basilicata Oil - La geopolitica del petrolio colpisce anche in Italia

 

 

di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)

e Paolo Raimondi, Economista

 

La questione petrolio è di indubbia portata globale anche se i riverberi locali incidono non poco sui territori,  nelle economie e sulla stessa salute dei cittadini residenti nelle regioni interessate alle estrazioni. Di conseguenza anche le ricerche e le estrazioni in Basilicata dipenderanno dal mercato globale, le cui oscillazioni tendono al ribasso.

    Mentre la domanda ristagna a causa della perdurante crisi industriale ed economica in Europa e del rallentamento delle economie del Far East, in primis quella cinese, l'offerta è cresciuta molto. A ciò si aggiunga che gli USA, con la produzione di shale gas, hanno notevolmente aumentato l'estrazione di greggio (+80%). Anche i significativi risultati dovuti alla cresciuta efficienza energetica, all’aumento delle energie rinnovabili, ai risparmi nei consumi e alla migliore produttività dei settori incidono notevolmente.

    Bisogna ricordare che il petrolio è sempre stata un'arma formidabile per mutare e condizionare le vicende e gli assetti geopolitici globali. Perciò la storia mondiale del petrolio è tristemente segnata, oltre che dai danni all'ambiente e alla salute, da guerre, colpi di stato, corruzione e assassinii.

    Anche oggi non pochi esperti ed analisti del settore sottolineano che dietro la decisione di far scendere il prezzo del petrolio ci sarebbe anche l’intenzione dell’Arabia Saudita, condivisa con gli alleati americani, di colpire le economie della Russia e dell’Iran. Si tenga in considerazione infatti che le entrate petrolifere rappresentano il 60% delle entrate del governo dell’Iran e il 50% di quelle della Russia.

    Una simile mossa venne fatta nel 1985 sempre dall’Arabia Saudita che per un certo periodo di tempo abbassò il prezzo del petrolio di 3,5 volte aumentando nel contempo la produzione di ben 5 volte. Gli sceicchi non dovettero rinunciare ai loro fasti, ma di conseguenza, nei grandi giochi della geopolitica mondiale, l’URSS venne messa in ginocchio.

  Certamente il petrolio ha determinato non poco lo sviluppo economico, soprattutto dei Paesi dell'Occidente. Né  si può ignorare il fatto che nei Paesi del terzo mondo, e non solo, le popolazioni, "affamate non solo di lavoro", e i governanti, spesso corrotti, hanno accettato estrazioni indiscriminate e subito le scelte delle varie compagnie petrolifere.

    In questo quadro macro si inserisce anche il caso Basilicata che registra già estrazioni per circa 100 mila barili al giorno a fronte di concessioni all'ENI e alla Total per complessivi 150 mila barili. Il Governo con la Regione, anziché imporre uno sviluppo ecocompatibile, ha previsto nel decreto “Sblocca Italia” una  certa gratificazione finanziaria, ma ha tolto alla Regione ogni potere in merito.

   A pensar male si fa peccato  - diceva Giulio Andreotti - ma spesso ci si indovina e noi riteniamo che Il rischio che il  bel e salubre territorio lucano possa diventare una groviera sia reale.

    A meno che al "casinò planetario" dei mercati finanziari il petrolio continui a perdere terreno. Nelle ultime settimane, infatti, il prezzo del greggio è sceso del 20-25 %.. Il brent è sceso fino a toccare i 73/75 dollari al barile!

    Chiaramente sono cambiamenti che non si possono addebitare alla legge della domanda e dell’offerta sul libero mercato. A giugno il prezzo era di circa 100 dollari al barile e nello stesso spazio di tempo non vi sono stati crolli della domanda del 20% o simili riduzioni delle capacità produttive della Cina e di qualche altro grande Paese.

    D’altra parte è noto che anche le impennate del prezzo del petrolio fino ad oltre i 150 dollari al barile nei mesi precedenti la crisi del 2007-8 erano frutto di speculazioni selvagge fatte con derivati finanziari e non delle variazioni nella domanda e nell’offerta globali.

    Si ricordi in ogni caso che le IOC (International Oil Companies) per riuscire a pagare le spese di investimento per ricerca ed esplorazione e garantire i dividendi ai propri soci devono avere  un prezzo che non scenda sotto  i 90 dollari al barile.

    Da ultimo, last but not least, si rammenti che c'è l’urgenza di nuove e più efficaci politiche rivolte alla riduzione delle emissioni a livello planetario. In merito l'ONU pochi giorni fa ha lanciato ai governi un allarme, affermando che "se vogliamo evitare danni gravi diffusi e irreversibili al clima, bisogna ridurre il consumo di combustibili fossili." Il monito vale  per tutti, ma crediamo valga anzitutto per i Paesi cosiddetti sviluppati, USA ed Europa in primis.

 

11.07.2014

Il piu’ grande taglio delle tasse della storia dell’uomo sarà recessivo

 
Qualche chiarimento sulla cosiddetta manovra.
 
di Gustavo Piga,
ordinario in Economia Politica, Roma Tor Vergata
 
Non è una manovra che aumenta il deficit di 11 miliardi. Il deficit si riduce, non aumenta. Non è questione da poco, anche perché dicendo che aumenta sembra che abbiamo ottenuto una grande vittoria sull'Europa. Una piccola vittoria l'abbiamo ottenuta nel senso che il deficit sì diminuisce, ma di meno di quanto inizialmente previsto. Mi direte: ma allora come fa il Premier a dire che aumenta il deficit di 11 miliardi. Oh, è un vecchio trucchetto della politica. Ma andiamo per ordine. 
    Che il deficit diminuisca, in valore sia assoluto che percentuale di PIL non lo dico io: lo dice la Nota di Aggiornamento del DEF inviata in Europa (e ancora da scrutinare da parte della Commissione europea). Più precisamente mentre il deficit 2014 si chiude al 3% di PIL e con un valore di circa 48,8 miliardi di euro, quello del 2015 di Renzi è programmato chiudersi – ha deciso il Governo – al 2,9% di PIL, 47,7 miliardi. 1 miliardo in meno, altro che 11 in più. E da dove esce fuori 11 direte? Oh semplice, dal famoso valore "tendenziale" del deficit 2015, che il Governo ha stimato al 2,2% di PIL. Siccome il deficit come abbiamo detto nel 2015 sarà del 2,9% di PIL, la differenza, 0,7% di PIL sono circa 11 miliardi. Ma che cosa è questo tendenziale? Semplice, è il valore al quale avrebbe teso "naturalmente" il deficit 2015 se non fosse stato deciso da Renzi invece che andava rifiutato e modificato, con la sua manovra, appunto, al 2,9% programmatico. Il tendenziale? Il tendenziale non ha significato economico, è il mondo come sarebbe stato se non fosse che non è stato. Per capire come il Governo ha deciso di sostenere l'economia più dell'anno precedente viste le sue difficoltà dobbiamo guardare a come è variato da un anno all'altro il deficit, non da come è variato il deficit tra quello che avrebbe potuto essere quest'anno (informazione irrilevante che non tocca l'economia) e quello che sarà. Una manovra dunque, quella di Renzi, certamente non espansiva, ma apparentemente nemmeno recessiva: infatti la riduzione dell'indebitamento dal 2014 al 2015 deriva dalla riduzione della spesa per interessi di 0,2% di PIL e dalla diminuzione dell'avanzo primario (la differenza tra entrate e uscite al netto degli interessi) da 1,7 a 1,6%. Briciole, direte.
    Un attimo per soffermarsi sulle famose slide di Renzi. Mi direte: ma come? Lui tra le cifre in entrata ha messo gli 11 miliardi di maggiore deficit! Sbagliato, come abbiamo visto il deficit diminuisce di circa 1 miliardo. Quindi le entrate non sono 36 miliardi ma circa 25. Che vanno a finanziare quali uscite? Non ha forse Renzi detto che le uscite sono pari a 36 miliardi? No, il conto deve tornare: se le risorse sono 25 miliardi, gli impieghi (le uscite) devono anche esse essere 25 per il 2015. E' probabile che vengano dall'avere inserito nel 2015 delle uscite che in realtà erano già state decise nella legge di stabilità del 2013 e che già valevano nel 2014, e che sono state confermate nel 2015: in particolare i 6 miliardi di spese per missioni all'estero ecc. e 4 miliardi di bonus fiscale. Aggiungeteci che le entrate servono anche a ridurre il deficit di 1 miliardo e ci dovremmo essere. Comunque una bella cifra 25 miliardi, ma non 36.
    25 miliardi di qua e 25 miliardi di là, manovra neutrale? Mica tanto. Perché se è vero che ci sono minori spese che finanziano minori tasse devono essere fatti alcuni distinguo essenziali. Primo, le minori tasse in una recessione come questa hanno certamente un effetto positivo minore dell'effetto negativo delle minori spese per appalti pubblici. Perché? Semplice. 1 euro in meno di spesa, specie se tagliato a casaccio – perché la spending review fino ad oggi non è mai stata fatta con il criterio che sarebbe stato necessario per individuare veri sprechi – genera riduzioni di produzione e occupazione immediati di pare ammontare: se lo Stato non domanda 100 ecomotografi, il PIL cade di 100 ecotomografi. E se l'azienda di ecotomografi fa meno soldi licenzia e/o paga meno i suoi dipendenti, che consumeranno di meno eccetera. Studi recenti su cui torneremo mostrano che 1 euro in meno di spesa pubblica in una recessione grave come la nostra tipicamente riduce il PIL di 1,2 euro. Fatevi i conti: se riduciamo la spesa di 15 miliardi, il PIL si abbasserà di circa 18 miliardi. "Ma ci sono le riduzioni della tassazione!!" direte voi. Certo. Ma non tutto il maggior reddito netto si traduce in consumi ed investimenti: tanto più si è pessimisti sul futuro, e in queste recessioni imprese e famiglie lo sono tanto, tanto meno se ne spendono, di quelle riduzioni. Se ipotizziamo ottimisticamente che l'effetto positivo delle minori tasse sia di 10 miliardi di PIL, abbiamo un PIL che calerà di 8 miliardi rispetto a quanto sarebbe stato senza questa manovra di Renzi: 0,5% del PIL attuale dunque, portando la crescita 2015 allo 0%, dallo 0,5% promesso da Padoan. Quarto anno di recessione consecutiva e debito su PIL che continua a marciare verso l'alto. Fate voi.
    Certo che l'Europa ci guarda. Ma ci guarda benignamente ed è un'ingenuità pensare che sia effettivamente irritata con l'Italia per essersi rifiutata di raggiungere traguardi ancora più ambiziosi di finanza pubblica: la Germania sta finalmente soffrendo per la mancanza di domanda italica e francese, si sta spaventando e ha chiesto di chiudere un occhio se non due sulle apparenti infrazioni italiane all'idiotico Fiscal Compact, pur di evitare una recessione peggiore. Ma la recessione ci sarà, come abbiamo visto sopra. E ci sarà perché malgrado tutti gli appelli di Renzi a Confindustria, gli imprenditori non investiranno quanto vorrebbe il Premier. E non lo faranno per colpa di quello che il Premier ha scritto, sotto dettatura europea: e cioè che anche se il deficit italiano resta al 3% di PIL oggi, scenderà al 2 e poi all'1 e poi allo zero, in tre anni. Lasciate stare che sia vero o meno: l'ha scritto. A forza di annunci recessivi di maggiori tasse o minori investimenti pubblici, richiesti dal Fiscal Compact, crolla l'economia italiana, che non ascolta i richiami all'ordine del Premier, e con essa la speranza di un'Europa diversa.
    Renzi aveva due opzioni soltanto: o a primavera di quest'anno far partire sul serio la spending review, e con 15 miliardi di tagli di veri sprechi (manovra non recessiva in questo caso) finanziare maggiori investimenti pubblici – unica vera leva per far ripartire occupazione e produzione – senza muoversi dal deficit del 3% di PIL ed abbattendo il rapporto debito PIL; o, preso atto della sua incapacità di fare laspending in tempo, come è stato, effettuare investimenti pubblici per 1% di PIL, 16 miliardi, portando il deficit al 4% di PIL ma riuscendo comunque ad abbattere il debito sul PIL grazie alla maggiore crescita di quest'ultimo e senza preoccuparsi di multe che nessun leader politico europeo avrebbe mai avuto il coraggio di comminare al fondatore Italia. No, Renzi non ha fatto nessuna delle due cose: ha scelto la via semplice di lasciare il deficit al 3% senza fare né spendingné investimenti pubblici. Così che la disoccupazione possa crescere, il PIL crollare, il debito continuare nella sua salita. Che l'abbia fatto perché glielo ha chiesto l'Europa lo esonera solo in minima parte: l'Europa siamo noi, specie in questo semestre di Presidenza europea, e sarebbe stato opportuno ricordarlo a Schäuble, collega tedesco di Padoan, che ha recentemente parlato – in una importante intervista televisiva ai margini della riunione annuale del Fondo Monetario Internazionale – ben più a lungo del legale rappresentante dell'Unione, il nostro Padoan appunto, a cui spettava la parola. Tra pochi mesi saremo qui a chiederci come mai il PIL continua a crollare malgrado ci sia stato il più grande taglio delle tasse della storia dell'uomo.
 
<> 
 
Ecco un interessante articolo del Professor Gustavo Piga. La finanziaria del Governo sembra il prodotto perfetto per fare ripartire il paese e per rivoltarsi all'Europa della Germania, ma al termine della lettura di questo articolo, non è più così. Piga toglie il velo propagandistico alla manovra palesando la sua vera natura: una non scelta. La finanziaria prevede ovviamente delle novità importanti, che pur non avendo l'ambizione di ribaltare la situazione economica, fungono da segnale importante per il paese (leggi "80 euro"), ma prevede anche un sostanziale gioco delle tre carte con la diminuzione del deficit del paese. Il grande assente è una coraggiosa scelta in campo economico che ambisca seriamente a rilanciare l'economia, che probabilmente è quello che ci si aspetta da chi ambisce a "cambiare verso".
    Interessante è anche la questione legata alla "scelta", Gustavo La Pira ci dice che Renzi aveva due opzioni soltanto: o attuare la spending o dare il via ad una serie massiccia di investimenti pubblici. Non scegliere, come è stato fatto, ha significato e significa continuare a galleggiare in attesa di qualcosa. Una scelta, in un senso o nell'altro , significherebbe lottare per provare a salvarsi, significherebbe proprio quel "fare" tanto caro al Governo.
    Rincaro la dose dicendo che sarebbe proprio opportuno non solo scegliere (vedi "fare") di dare il via ad un vasto piano di investimenti pubblici nei settori delle infrastrutture, dei trasporti, dell'ambiente (per dissesto idrogeologico e ambientale, vogliamo fare qualcosa?), ma che sarebbe anche ora di ricordarsi o rendersi conto che L'Italia è un grande paese, che è un paese fondatore dell'UE e che al momento è di turno alla presidenza dell'Unione e che quindi sarebbe anche ora di smetterla di avere paura dei diktat altrui. 
Giacomo D'Alfonso, Club PortoFranco / ADL