4.18.2013

Crisi: Italcementi taglia nove stabilimenti in Italia

LAVORO E DIRITTI

a cura di www.rassegna.it

 

 

Il gruppo ridurrà da 17 a 8 gli stabilimenti produttivi. Lo ha annunciato il direttore generale del gruppo Giovanni Ferrario durante l'assemblea degli azionisti a Bergamo. "La domanda si è allineata ai livelli della fine degli anni Sessanta"

 

Italcementi ridurrà a breve da 17 a 8 gli stabilimenti produttivi in Italia. Lo ha annunciato il direttore generale del gruppo Giovanni Ferrario durante l'assemblea degli azionisti in svolgimento a Bergamo.

    In generale il piano di razionalizzazione dei costi prevede 'efficienze per 110 milioni: il piano continua e stiamo aumentando rispetto agli obiettivi che ci siamo dati', ha concluso Ferrario.

    La giustificaziona a questa scelta l'ha fornita la stessa Italcementi durante l'assemblea. "Il mercato italiano del cemento continua ad essere caratterizzato da una sovracapacità produttiva rispetto ad una domanda che si è allineata ai livelli della fine degli anni Sessanta', affermano i vertici del grupppo in una lettera agli stake holder distribuita in avvio dell'assemblea del gruppo che ratifica il bilancio 2012. 

    "L'anno scorso le aspettative di un'inversione della tendenza negativa che aveva caratterizzato il settore delle costruzioni a partire dal 2008 -hanno  affermato il presidente di Italcementi, Giampiero Pesenti, e il figlio Carlo, consigliere delegato - si sono allontanate a causa dell'aggravarsi dello scenario congiunturale, soprattutto in Europa, in alcuni fasi entrato in una fase di recessione, spostando l'attesa di segnali concreti di ripresa sono nel prossimo futuro".

    A fronte di questa nuova realtà, “che si prevede non possa più tornare agli elevati livelli pre-crisi”, si legge ancora nel testo da Italcementi "è stato avviato un intervento con l'obiettivo di razionalizzare l'apparato industriale e distributivo nazionale, senza per questo ridurre le quote di mercato: il gruppo con il rigoroso controllo della gestione finanziaria continuerà una politica di mantenimento dell'indebitamento netto entro i prudenziali limiti che da sempre  caratterizzano il profilo della società".

    Il 2013 - prosegue la lettera dei vertici agli azionisti – “inaugura la completa integrazione nella relazione finanziaria annuale della relazione sulla sostenibilita' e le strategie e le azioni intraprese quest'anno, pur a fronte di una volatilità che contraddistingue l'evoluzione dello scenario macroeconomico mondiale, determineranno per il gruppo nuove sfide e un impegno ancora maggiore affinche' la nostra attivita' possa generare valore condiviso per tutti gli stake-holders”, concludono Giampiero e Carlo Pesenti.

 

Verrà l'ora di un'economia più sobria

Le idee

  

L'economia che uscirà dalla crisi non può essere la stessa che vi è entrata. Dovrà tener conto di nuovi vincoli: il risparmio di risorse ed energia, la riduzione delle emissioni. Da domani, giovedì 18 aprile, sarà in libreria Sbilanciamo l'economia. Una via d'uscita dalla crisi, di Giulio Marcon e Mario Pianta (Laterza, 2013, 190 pp., 12 euro). Di seguito un’anticipazione sul nuovo modello di sviluppo.

 

di Giulio Marcon e Mario Pianta

www.giuliomarcon.it, www.novesudieci.org

 L’economia che uscirà dalla crisi italiana non può essere la stessa che vi è entrata: il che cosa e come si produce deve tener conto di nuovi vincoli - il risparmio di risorse ed energia, la riduzione delle emissioni – e delle opportunità che si aprono in un’economia verde: la riconversione di tecnologie e produzioni, l’uso dei saperi, le risposte a bisogni più sobrii e diversificati.

    Un'economia sostenibile apre nuove frontiere di produzioni e consumi in grado di creare occasioni per le imprese e nuovi posti di lavoro. Occorre riconvertire nel segno della sostenibilità le produzioni energetiche, le forme e la modalità della mobilità, l'agricoltura, fino anche alla siderurgia, la chimica o all'industria delle costruzioni. La sostenibilità ambientale non è dunque un settore tra gli altri di un'economia diversa, ma è il modo in cui l'economia può riconvertirsi e indirizzarsi verso un modello di sviluppo alternativo. I cambiamenti climatici, l'esaurimento delle fonti fossili e di molte materie prime, l'insostenibilità dell'estensione del livello di consumi occidentale a tutto il pianeta, la continua espansione demografica: questi ed altri processi ci impongono di cambiare rotta.

    Non si tratta di aprire un nuovo business, quello della green economy, ma di cambiare radicalmente modo di pensare, di produrre, di consumare e con esso i nostri stili di vita e i comportamenti quotidiani. La sostenibilità ambientale è alternativa ai progetti di grandi opere come la Tav, il Ponte sullo Stretto, il ritorno al nucleare - fortunatamente evitato con il referendum del 2011 - la moltiplicazione di inceneritori e rigassificatori, la cementificazione del territorio, il sostegno all'industria dell'automobile e alla lobby degli autotrasportatori attraverso gli incentivi fiscali sull'acquisto del gasolio.

    Le alternative di un'economia diversa, ecologicamente sostenibile, si devono confrontare con le scelte strategiche di un diverso modello di sviluppo dove il cosa produrre e il cosa consumare diventano la sfida di un nuovo paradigma, che mette al centro la qualità dello sviluppo. L’epoca della rapida crescita quantitativa del Pil è davvero finita. Perfino l’ottimistico scenario di lungo termine dell'Ocse per l'Italia non va oltre un’ipotetica crescita media dell'1,4% del Pil fino al 2060, con una sostanziale stagnazione rispetto ai livelli pre-crisi e un arretramento rispetto al rapido sviluppo delle economie emergenti di Asia e America latina. L’Italia – e l’Europa – deve progettare un nuovo modello di sviluppo che metta al centro la qualità della crescita, la sostenibilità ambientale, la giustizia sociale. Le politiche vanno ridisegnate sulla base di questi obiettivi, tenendo conto delle misure di progresso alternative al Pil.

    L’economia del dopo-crisi dovrà essere basata su prodotti, servizi, processi e modelli organizzativi capaci di utilizzare meno energia, risorse naturali e territorio e di avere effetti minori sugli ecosistemi e sul clima. Tutto questo si è già tradotto in impegni internazionali del nostro paese: al G8 dell’Aquila del 2009 l’Italia ha promesso di ridurre dell’80% (rispetto ai valori del 1990) entro il 2050 le emissioni di gas – come l’anidride carbonica - che alimentano il riscaldamento del pianeta, ma finora le politiche non hanno dato seguito a questi obiettivi. Sono ormai molte le elaborazioni su come realizzare, nei diversi ambiti, i cambiamenti necessari per una maggior sostenibilità: riassumiamo qui alcune misure concrete.

    Energia: meno consumi, più rinnovabili - Il risparmio energetico e lo sviluppo di fonti rinnovabili sono due pilastri del nuovo sviluppo. A livello europeo si può fissare l’obiettivo di arrivare entro il 2050 al 100% di elettricità prodotta da fonti rinnovabili. Nel 2011 l’Italia ha installato il 28% dei pannelli fotovoltaici di tutto il mondo, un esempio di successo delle politiche di incentivo che erano state introdotte dal governo Prodi. L’efficienza energetica può crescere molto, anche con gli incentivi presenti in Italia per l’isolamento termico degli edifici.

    Si può introdurre un piano nazionale per l’efficienza energetica nella pubblica amministrazione e l'abbattimento dell’Iva per l’installazione del solare termico e la detrazione dalla dichiarazione dei redditi delle spese effettuate per l’installazione di pannelli solari per la produzione di acqua calda sanitaria. E' poi necessario estendere a tutte le fonti rinnovabili il meccanismo del conto energia previsto dalla legge 387/2003, oggi applicato solo al solare fotovoltaico, differenziando la tariffa incentivante a seconda della fonte, della taglia, della tecnologia e della qualità ambientale. E' necessario prevedere il divieto della produzione e vendita di motori elettrici ad efficienza 2 e 3 e dei frigoriferi di classe B e l'aumento degli obiettivi obbligatori di efficienza energetica a carico dei distributori di energia elettrica e gas per l'ottenimento dei “certificati bianchi”.

    La mobilità sostenibile  - L’epoca dell’automobile è al tramonto. In Italia ci sono oggi 37 milioni di automobili, quasi 5 milioni di autocarri, alcuni milioni di altri veicoli: abbiamo 1,4 veicoli per persona con patente di guida e sulla strade in media si muovono, o sono fermi, 50 veicoli per kilometro. Non c’è da sorprendersi che, con la crisi, le vendite di auto nel 2012 siano cadute del 20% rispetto all’anno prima. E’ necessario progettare forme di mobilità sostenibile ed efficiente, diverse dal trasporto privato individuale in auto e scoraggiare il trasporto merci di lunga distanza su gomma. Queste attività richiedono un grande programma di investimenti pubblici che può guidare una nuova qualità dello sviluppo locale.

    A scala urbana è necessario pensare ai modelli di smart cities, servono nuove ferrovie metropolitane, il potenziamento dei trasporti collettivi, piste ciclabili, car sharing, taxi collettivi, piani urbani della mobilità e della logistica. E' fondamentale il rilancio e la riforma del trasporto pubblico locale con servizi integrati su scala metropolitana e con il potenziamento dei servizi ferroviari sulla media e corta distanza, dove si concentra l’80% dell’utenza, attraverso consorzi interistituzionali al servizio della città diffusa. Bisogna promuovere l'utilizzo più razionale delle infrastrutture esistenti, in particolare attraverso reti ferroviarie suburbane in tutte le aree metropolitane, capaci di estendere, con spesa relativamente limitata, il raggio d’azione del trasporto urbano per 30-40 km dai poli centrali.

    E' necessaria la revisione dell’approccio alla progettazione della rete stradale primaria, mirando meno alle velocità di punta garantite dai tracciati (poco utili per un traffico di distribuzione) e più alla capacità offerta, soprattutto nei nodi maggiormente congestionati, nonché alla facilità di accesso/uscita da parte del traffico locale. Il trasporto privato individuale nei centri urbani dev’essere limitato, anche tramite l’applicazione di tariffe sull’uso dell’auto (transito, sosta, accesso). Per le automobili, occorre incentivare le modalità di trasporto meno inquinanti, promuovendo i veicoli elettrici, a metano e gpl.

    Le piccole opere - Di fronte ai faraonici programmi di “grandi opere” che richiedono un’enorme spesa pubblica e portano a pochi benefici sociali e molti danni ambientali, occorre lanciare programma di “piccole opere” che riguardi interventi integrati – ambientali, infrastrutturali, urbanistici, sociali - che possono andare dalla messa in sicurezza del territorio a rischio idrogeologico, al risanamento di aree urbane degradate, dalla messa in sicurezza delle scuole che non rispettano le normative antisismiche e antincendio, alla sistemazione della rete idrica locale, dal recupero urbanistico dei piccoli centri dell'Appennino, al risanamento ambientale di coste e aree montane.

    Ovviamente tra queste “piccole opere” destinate a migliorare la qualità dello sviluppo non rientrano progetti legati a modelli sbagliati come nuove superstrade, nuovi parcheggi o porti turistici. Possono essere utilizzati a questo scopo – come ha fatto il ministro Fabrizio Barca per alcuni interventi nel mezzogiorno - i fondi già previsti dal Cipe per le piccole e medie opere e i finanziamenti europei, soprattutto nel sud.

    La riconversione delle produzioni - In molte attività produttive – dalla chimica all’acciaio, dalla meccanica alle costruzioni - è possibile progettare un percorso di riconversione ambientale che utilizzi nuove tecnologie e processi produttivi sostenibili sul piano della qualità del lavoro e degli effetti ambientali, imitando molte esperienze già realizzate in Europa. L'industria delle costruzioni può andare nella direzione di bioedilizia e ecoefficienza; invece di cementificare le città e “consumare suolo” nelle campagne, si può puntare alla riqualificazione dei centri storici, delle periferie degradate, delle aree suburbane.

    L'agricoltura deve essere indirizzata verso la filiera corta, il “chilometro zero” e le produzioni biologiche. Il patrimonio paesaggistico e le “aree protette” possono essere valorizzate da un turismo responsabile. Si possono sviluppare “distretti dell'economia verde” insieme alle nuove forme di “altraeconomia”. C’è poi la questione dei rifiuti, spesso irrisolta nelle grandi città italiane. Qui la strada dev’essere riorganizzare l’intero ciclo di vita delle merci in modo da avvicinarsi all’obiettivo di “rifiuti zero”, favorire il recupero e riuso dei materiali, moltiplicare gli impianti di riciclaggio al posto di inceneritori e discariche.

    Come finanziare la transizione ecologica - Quest’insieme di iniziative metterebbe l’Italia sulla via della sostenibilità, ma richiede anche grandi risorse: investimenti pubblici su ambiente, città, infrastrutture leggere; investimenti privati su nuovi sistemi produttivi; maggiori costi da sostenere per alcune attività. Si tratta di un programma che potrebbe stimolare una grande domanda nell’economia del paese, facendo ripartire lo sviluppo e indirizzandolo verso produzioni e lavori di qualità. Ma come si può finanziare questa transizione ecologica?

    Innanzi tutto, le tasse ambientali possono “correggere” i prezzi dei beni che danneggiano l’ambiente e spingere produttori e consumatori a comportamenti più sostenibili. Per i conti pubblici, quest’imposizione può generare entrate per diversi miliardi di euro l’anno che possono essere destinati ai programmi di riconversione sopra descritti. Questa scelta strategica porta a una rapida crescita di nuove attività economiche capaci di attrarre grandi investimenti privati – è già successo in Germania e nei paesi del nord Europa che hanno incoraggiato nuove attività economiche sostenibili. E una nuova generazione di politiche industriali “verdi” può indirizzare le scelte produttive delle imprese.

    

(www.giuliomarcon.it, www.novesudieci.org)

 

4.15.2013

A Cipro un test premeditato - Da Durban la sfida dei Brics

Per le crisi bancarie si vuole una guerra tra contribuenti e risparmiatori. Intanto arriva posta dal summit dei Paesi Brics

di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)

e Paolo Raimondi, Economista


La decisione del governo di Cipro, spintonato da una Troika troppo invadente, di tassare tutti i conti correnti oltre i 100.000 euro delle banche cipriote in default, è stato un test premeditato e un pericoloso precedente per l’intera Ue. Lo possiamo affermare con certezza.

    La conferma del resto è arrivata dal portavoce di Michel Barnier, il Commissario europeo al mercato interno, che non ha potuto escludere la possibilità che in futuro i depositi oltre quella cifra possano essere utilizzati per operazioni di salvataggio delle banche in crisi.

    Anche l’Institute of International Finance di Washington, uno degli enti privati più noti della finanza globale,  ha sostenuto che la “soluzione” cipriota potrebbe diventare un modello per l’intera Europa.

    Al riguardo è da sottolineare che dal 10 dicembre 2012 era già in circolazione un documento della Federal Deposit Insurance Corporation (Fdic) americana e della Bank of England, il  “Resolving Globally Active, Sistemicaly Important Financial Institutions (SIFI)”, che affronta le emergenze relative all’eventuale bancarotta di istituzioni finanziarie di importanza sistemica.

    Si afferma che non si intende più utilizzare i soldi pubblici per salvare con dei bail-out le banche in crisi, come finora è sempre avvenuto dopo il fallimento della Lehman Brothers.

    Il motto è: dal bail-out al bail-in! Con il procedimento del bail-in le perdite dovranno essere sopportate dagli azionisti e dai cosiddetti “unsecured creditors”. Sembra molto razionale: perché devono essere i contribuenti a pagare per le malefatte e per i giochi fatti dai banchieri con i derivati speculativi?

    Ma il diavolo, come sempre, si nasconde tra i dettagli. Chi sono questi fantomatici “unsecured creditors”? Di certo i detentori di azioni, obbligazioni e di altri titoli di credito non garantiti. Si salvano invece i crediti vantati dalle pubbliche amministrazioni, dalle Banche Centrali, dalla Bce in Europa e da enti internazionali come il Fmi.

    Dopo la crisi del 2008, per evitare il panico e la fuga dalla banche, i governi europei opportunamente hanno deciso di garantire i depositi dei correntisti fino ad un massimo di 100.000 euro. Il che significa, almeno in teoria, che oltre quella cifra i depositi potenzialmente entrano a far parte degli “unsecured creditors”. Potrebbero essere quindi confiscati per coprire i buchi e/o forzatamente trasformati in capitali di rischio (azioni) della banca.

    Si colpiscono direttamente i risparmiatori anziché i contribuenti.

    Negli Usa la decisione di mettere in campo la Fdic, invece della Fed, è ancora qualcosa di più perverso. Infatti essa era stata creata dal presidente Roosevelt per fronteggiare la grande crisi bancaria del ’29 e proprio per garantire i depositi dei risparmiatori e delle famiglie.

    E’ importante notare che Londra a sua volta si aspetta che sia proprio la direttiva europea per evitare instabilità finanziarie in caso di crisi bancarie, la “Recovery and Resolution Directive”, a fornire maggiori poteri di intervento. Ciò sta a significare che il citato documento anglo-americano detta il nuovo corso all’intera Europa.

    Nel definire strategie di “intervento risolutivo” per singole gravi emergenze finanziarie, non si prende in considerazione la cosa più ovvia: cosa si intende fare se i meccanismi dello stesso sistema sono la causa dei fallimenti?

    D’altre parte il documento indica come un atto dovuto di riorganizzazione e di stabilizzazione delle banche in crisi la possibilità di separare le attività di deposito da quelle di investimento. Cosa naturalmente auspicabile.

    Ma allora perché non ritornare alla pura e semplice separazione tra banche commerciali e banche di investimento, proprio come indicato dalla legge Glass-Steagall del 1933? Secondo noi sarebbe la via più sicura per garantire una vera protezione per i risparmiatori e mettere al contempo fuori gioco la speculazione.

 

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Mentre in Europa gli scenari di disintegrazione dell'Ue e del sistema dell'euro diventano sempre più inquietanti, i Paesi Brics  (Brasile Russia India Cina Sudafrica) lavorano alacremente e unitamente per "creare un nuovo asse di sviluppo globale", ipotizzando profondi cambiamenti dell'ordine economico e dei poteri mondiali.

    Noi riteniamo che il quinto summit dei Brics tenutosi a Durban in Sud Africa possa essere definito storico, perché ha posto per la prima volta lo sviluppo indipendente delle infrastrutture, delle manifatture e dell'agricoltura del continente africano al centro delle discussioni.

    Vi è stata quindi una discontinuità profonda rispetto alle vecchie politiche colonialiste. Per i partecipanti al summit l'Africa è e deve essere lo spartiacque morale del mondo moderno.

    A Durban si è deciso di istituire una Banca di Sviluppo per finanziare grandi infrastrutture e altri progetti di sviluppo, con il contributo iniziale di 10 miliardi di dollari di capitale da parte di ciascun Paese. Sarà un ente indipendente e sganciato dalle logiche e dai controlli del Fmi e della Banca Mondiale.

    E' stato creato un Fondo di riserva di 100 miliardi di dollari per le emergenze che dovrebbe garantire la stabilità finanziaria dei Brics contro le speculazioni sulle commodity e contro gli effetti recessivi della crisi globale. E' stato anche rinvigorito il Joint Business Committee, il comitato promotore degli investimenti strategici nelle loro economie.

    Nella logica di un mondo multilaterale e multipolare i Brics affermano che l'attuale architettura della governance globale dominante è obsoleta, per cui essi "esplorano nuovi modelli di sviluppo più equo". Si ricordi che ormai rappresentano il 20% del Pil mondiale.

    La Cina è il primo esportatore mondiale e nel 2020 diventerà la prima economia del globo. Il Brasile è l'"azienda agricola più grande del mondo". La Russia, come noto, è ricchissima di petrolio e gas. L'India è diventata la "centrale" della tecnologia informatica. Il Sud Africa è la miniera di tutte le risorse: le sue materie prime sono oggi stimate intorno a 2,5 trilioni di dollari.

    Ma la loro principale ricchezza ovviamente sta in una popolazione di circa 3 miliardi di cittadini, in maggioranza giovani.

    Sul fronte monetario e commerciale, la dichiarazione finale di Durban contesta apertamente le decisioni delle banche centrali delle cosiddette economie avanzate. Afferma che, di fronte al proseguire della crisi, esse "hanno risposto con azioni di politica monetaria non convenzionale che hanno aumentato la liquidità mondiale…la quale a sua volta ha accresciuto la volatilità dei movimenti dei capitali, delle monete e dei prezzi delle commodity con effetti negativi sulle altre economie, in particolare su quelle dei Paesi in via di sviluppo".

    I paesi Brics ribadiscono ancora una volta "il sostegno alla riforma del sistema monetario internazionale con un paniere allargato di monete di riserva"; riaffermano la necessità di un ruolo più forte dei Diritti Speciali di Prelievo e anche il cambiamento nella composizione del paniere di monete dei Dsp.

    Richiedono inoltre "un sistema di commerci multilaterale basato sull'apertura, sulla trasparenza e sulle regole".

    Cina e Brasile, per esempio, hanno già accordi monetari che permettono loro di effettuare scambi nelle loro monete per 300 miliardi di dollari.

    Perciò il ruolo dell'Europa è fondamentale rispetto ai problemi posti dai Brics. Infatti, se l'euro venisse meno, anche la riforma monetaria del paniere di monete verrebbe bloccata con incalcolabili conseguenze geopolitiche.

    Purtroppo gli attuali assetti europei ci sembrano non adeguati rispetto alle grandi sfide. C'è troppa pigrizia – che cozza con la intelligenza, la storia e la cultura dei popoli europei. I quali, nel bene e nel male, in passato hanno svolto un ruolo incisivo rispetto agli altri continenti.

 

I SOLDI NASCOSTI ALLE CAYMAN

Da Critica liberale riceviamo e volentieri pubblichiamo



L’ultimo capitolo di Wikileaks è la rivelazione di soggetti che hanno nascosto i loro denari alle isole Cayman.

Tra questi ci sarebbero anche duecento italiani.


di Giovanni La Torre

In queste “gare” internazionali gli italiani non mancano mai di far valere la loro presenza. D’altro canto quei conti, molto probabilmente, non sono altro che l’altra faccia di quella medaglia che vede sull’altro verso i nostri primati nella corruzione e nell’evasione fiscale. Tra l’una e l’altra vengono sottratti alla collettività circa 250 miliardi di euro. Miliardi che potrebbero consentire la ripresa degli investimenti pubblici in tutti i settori e contemporaneamente l’abbassamento sostanziale della pressione fiscale ma, soprattutto, potrebbero consentire finalmente l’ingresso del nostro paese sulla strada di un capitalismo di tipo occidentale moderno, e non di tipo “feudale” e di relazione come quello attuale. Infatti sia l’evasione fiscale sia la corruzione alterano i meccanismi competitivi e consentono non solo la sopravvivenza, ma la vera e propria crescita di soggetti economici inefficienti, per nulla votati all’innovazione, i quali condannano ancora il nostro paese alla marginalità e al declino.

    La stessa democrazia viene falsata. Le forze politiche diventano ostaggio dei corruttori. Il personale politico viene selezionato non per le loro doti di amministratori e di gestori della cosa pubblica, ma per la loro acquiescenza al sistema  e per la dimestichezza a muoversi nei meandri della corruzione per sfruttarla a proprio beneficio, poi. Beneficio non solo politico ma anche, e più materialmente, di arricchimento personale. L’ingrossamento continuo, poi, dell’esercito degli evasori rende sempre più difficile il combatterli, vista la forza elettorale che si è consentito loro di raggiungere; come la mafia, che ormai ha raggiunto una forza e una potenza economica da poter sfidare anche l’esercito di uno stato come l’Italia.

    Tutto questo quadro conferisce al nostro paese una connotazione feudale. Di un paese cioè, dove qualsiasi intrapresa imprenditoriale deve fare i conti con il potente del luogo, il quale in cambio ti offre poi protezione e la promessa di una legislazione fiscale permissiva. Ma è un paese che offre anche un volto, diciamo così cinquecentesco, con quella lotta tra “famiglie” e tra potentati, che avviene senza alcun rispetto delle regole di uno stato di diritto e senza la trasparenza di un sistema capitalistico avanzato che dovrebbe attrarre gli investimenti anche stranieri.

    Il dissesto delle nostre finanze pubbliche, il dissesto del nostro sistema giudiziario, sia civile che penale, il dissesto del nostro sistema scolastico e formativo, il degrado della nostra cultura, l’abbandono delle nostre ricchezze artistiche, l’inefficienza borbonica della pubblica amministrazione, sono un tutt’uno con quel contesto di disprezzo delle regole e, diciamolo pure, malavitoso che caratterizza ormai da decenni la vita dello stato italiano.

    Mentre venivano svelati i conti alle Cayman, nelle Marche tre persone si suicidavano perché avevano difficoltà di sopravvivenza a causa della crisi. Chissà, forse qualcuno dirà che erano in difficoltà perché non riuscivano a trovare un posto libero nei ristoranti troppo pieni. Noi diciamo che queste morti, come altre simili, sono il pendant di quella corruzione e di quella evasione che sottraggono mezzi allo stato e all’economia in generale, e che fanno sì che anche in un paese del G7 si possa morire per povertà.

 

4.03.2013

Condivisione

LAVORO E DIRITTI

a cura di www.rassegna.it


Pasqua in crisi, boom di condivisione dell'auto


L'indagine: rispetto al 2012 aumentano del 500% le offerte di passaggio inserite sul social network dedicato. Con la recessione gli italiani provano una nuova modalità di trasporto, che consente di risparmiare fino al 75%: il posto auto condiviso


(Adnkronos) - Le festività di Pasqua saranno caratterizzate da un eccezionale ricorso alla condivisione di posti in auto. Secondo gli ultimi dati elaborati da BlaBlaCar.it, risulta infatti un incremento del 500% sul 2012 del numero di offerte di passaggio inserite dagli utenti del social network leader europeo.

    In tempi di crisi, piuttosto che rinunciare alle vacanze, gli italiani si affidano a una nuova modalità di trasporto che consente di risparmiare fino al 75%, e conoscere nuove persone. Nel periodo delle le vacanze pasquali, infatti, sono ad oggi già stati postati sul sito offerte di passaggio pari a più di 3 milioni di chilometri solo in Italia.

    Una cifra considerevole, corrispondente alla metà della distanza percorsa, nello stesso arco di tempo, da tutti i treni italiani. La direttrice che sta riscuotendo maggior successo è quella nord-sud: il maggior numero di offerte di passaggio risulta, infatti, da Milano, Roma e Torino verso i capoluoghi del sud Italia; tra questi, molto richieste le città pugliesi come Bari, Brindisi e Lecce.

    La fascia di età degli utenti è prevalentemente quella compresa tra i 18 e i 35 anni, ma l'età media è in crescita, soprattutto tra chi offre passaggi. A condividere passaggi sono prevalentemente studenti fuorisede che rientrano in famiglia per le festività pasquali, ma anche professionisti e impiegati.

 

 

LAVORO E DIRITTI

a cura di www.rassegna.it


Modena: nasce il supermarket per famiglie e persone in difficoltà


Il lavoro in cambio della spesa: è il progetto "Emporio Portobello" promosso dal Centro Volontariato in collaborazione con il Comune di Modena. Un luogo dove fare acquisti senza pagare in euro, ma mettendo a disposizione il proprio lavoro


A Modena nasce il primo supermercato per disoccupati e famiglie in difficoltà. Aprirà a maggio, si chiamerà Portobello e sarà un "emporio sociale contro la crisi" come si legge nel sito di presentazione del progetto. A prima vista, non sarà molto diverso da un normale supermarket: gli spazi e gli arredi ricordano infatti un tradizionale punto vendita, con la scelta di prodotti sugli scaffali (prime necessità, alimentari, igiene personale).

    E come in ogni supermarket anche qui si farà la spesa, però non pagando in euro, ma con dei punti caricati sulla tessera. "I punti vengono inseriti in base alle indicazioni dei Servizi Sociali del Comune di Modena - spiega ancora il sito di presentazione dell'iniziativa -  e la tessera è a disposizione della famiglia per un tempo limitato (alcuni mesi) e, nel caso le condizioni famigliari migliorino, verrà ceduta ad altre famiglie in graduatoria. In caso contrario la tessera può essere rinnovata".  

    Tre gli obiettivi principali indicati dai promotori: creare un luogo il più rispettoso possibile della dignità delle persone, per la raccolta e la distribuzione di beni di prima necessità; mettere in rete i diversi soggetti che già lavorano per contrastare la povertà attraverso un progetto di comunità; coinvolgere il territorio, le imprese, i cittadini che con il proprio lavoro gratuito, le donazioni economiche o di prodotti potranno sostenere il progetto.

    Già, perchè un altro pezzo importante del progetto è costituito dal lavoro che si può offrire in cambio delle merci. La parola d'ordine del progetto è infatti "dignità", e non "carità". Per questo, i 450 i nuclei in difficoltà a cui si rivolge il servizio, scelti in collaborazione con i servizi sociali, dovranno offrire in cambio aiuto con il proprio lavoro come volontari almeno una volta a settimana. "Crediamo molto in questo progetto" – dice al Fatto Quotidiano Angelo Morselli, presidente del Centro per il Volontariato di Modena, promotore dell'iniziativa – "e vogliamo si mantenga la dimensione dell'acquisto, nessuno regala niente, ma coinvolgiamo le persone in un progetto specifico. Noi vogliamo stringere un patto con gli utenti che accoglieremo nei nostri locali. Ci sono delle condizioni e sarà fondamentale per tutte le parti rispettarle".