4.20.2016

Usa: vera ripresa o nuove bolle finanziarie?

Negli Usa ritorna la paura di nuove bolle simili a quella legata ai mutui subprime che nel 2008 innescò la crisi finanziaria globale.

 

di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)

e Paolo Raimondi, Economista

 

All’origine di questa lunga crisi economico-finanziaria accadde negli USA che molti mutui erano stati concessi senza tenere in considera­zione la reale capacità di pagamento di molti sottoscrittori. In seguito i titoli collegati furono utilizzati come base per altre operazioni ad alto rischio, i derivati finanziari. La montagna di titoli virtuali, così creata, crollò su se stessa quando la percentuale dei mancati pagamenti e dei fallimenti individuali divenne insostenibile.

    Ormai è storia nota.

    Situazioni simili però si stanno ricreando anche oggi in vari settori economici, tra cui quello delle vendite di automobili e quello delle carte di credito. Anche in questo caso gli Usa precedono, indicano la strada che, anche se pericolosa, l’Europa non esita a percorrere.

    Negli anni passati chi ha acquistato un’auto lo ha fatto a debito. Così negli Usa gli acquirenti sono diventati ‘parte’ della tanto sbandierata ripresa economica americana. La domanda, si è detto, è ripartita: il cavallo è tornato a bere. Il totale dei prestiti per l’acquisto di automobili ha raggiunto il trilione (mille miliardi) di dollari.

    Le banche e altri mediatori finanziari anche in questo caso hanno ‘impacchettato’ tali debiti in apposite obbligazioni che sono state vendute sul mercato. Sulle stesse si sono moltiplicati i vari strumenti finanziari anche per darne copertura assicurativa.

    Intanto, i media statunitensi hanno cominciato a evidenziare che un numero crescente di acquirenti non è in grado di pagare le rate. Alcuni istituti finanziari hanno registrato un ritardo di pagamento di oltre 30 giorni per almeno il 12% dei prestiti da loro concessi. Anzi, per il 2,6% degli stessi è già stata attivata la procedura di fallimento e di sequestro del veicolo.  

    Ancora una volta sono le agenzie di rating a valutare la sostenibilità delle obbligazioni e degli asset-backed security (derivati) emessi dalle banche sulla base dei mutui accesi per l’acquisto di auto. Fitch Ratings riporta che i titoli ‘impacchettati’ nei passati cinque anni con un ritardo di pagamento di 60 giorni hanno raggiunto complessivamente il livello del 5,16%. Il più alto degli ultimi vent’anni.

    Alla luce dei dati succitati si può dire che le vendite record di auto non riflettono il vero andamento dell’economia americana. Tutt’al più rappresentano il più facile accesso al credito per l’acquisto di automobili.

    Altro settore delicato ci sembra quello delle carte di credito. Anche in questo settore il debito sta raggiungendo nei soli Stati Uniti il livello di un trilione di dollari. Nell’ultimo trimestre del 2015 vi è stata un’impennata che ha superato la crescita totale avvenuta nel triennio 2009-2011. E’ il caso di sottolineare che nel solo ultimo trimestre dell’anno scorso l’incremento è stato di ben 52 miliardi.

    Purtroppo il rischio di una bolla si profila anche per i crediti concessi agli studenti. Sono prestiti garantiti dallo Stato che devono essere ripagati durante la futura vita lavorativa da chi ne ha usufruito nel periodo universitario. Si stima che l’ammontare complessivo sia oggi ben oltre il trilione di dollari e che potrebbe raggiungere i 3,3 trilioni entro il 2024.

    Naturalmente il timore è dovuto al fatto che anche su questi prestiti le banche hanno emesso una serie di titoli abs il cui valore è strettamente legato al flusso di cassa dei rimborsi continui. Questa situazione si sta aggravando tanto che il tema è diventato oggetto della campagna presidenziale in corso.

    In verità la lista potrebbe essere più lunga perché vi sono tante altre ‘piccole’ bolle. Trattasi comunque di trilioni anche se non di centinaia di trilioni come per i derivati otc.

    Sono dati che cominciano ad essere oggetto di valutazione e di discussione da parte degli addetti. Considerati i riverberi che oggettivamente la finanza globalizzata può determinare nei singoli Paesi, sarebbe opportuno che le autorità di governo e di vigilanza nazionali e internazionali vi prestassero adeguata attenzione. A partire dal nostro Paese, dove, come è noto, il problema dei crediti deteriorati e delle sofferenze per 200 miliardi di euro è di prima grandezza.

 

4.07.2016

Serve un audit sul debito per i paesi del Sud Europa

RICEVIAMO E VOLENTIERI PUBBLICHIAMO

dal Granello di Sabbia

 

È urgente tornare a parlare di debito a partire da un’indagine pubblica. È necessario restituire trasparenza a un tema troppo

spesso caratterizzato dall'oscurità

 

di Francesca Coin

 

Vorrei tornare un istante al maggio 2015, nel pieno delle negoziazioni tra la Grecia e la Troika.

    Dopo mesi di discussioni svoltesi sotto il segno del ricatto, la Grecia minacciava di non pagare le rate del prestito del Fmi perché non aveva i soldi per farlo; e i creditori facevano leva sulla linea di liquidità di emergenza (Ela) messa a disposizione dalla Bce per minacciare le banche elleniche.

    In quei mesi, le cause del debito greco erano state dibattute dalla stampa internazionale in modo piuttosto semplice. La stampa aveva sostenuto con convinzione che la crisi del debito sovrano in Europa era responsabilità dei paesi periferici, “notoriamente” inclini a sperequare la spesa pubblica.

    Nel cuore delle negoziazioni, la discussione era stata influenzata dal lavoro della Commissione per la Verità sul Debito Pubblico, istituita dal governo Tsipras per volontà della Presidente della Camera Zoe Kostantinopolou allo scopo di far luce sulle cause del debito greco.

    All'interno di un discorso politico tutto incentrato sulla cronaca degli eventi, a metà giugno 2015 la Commissione di verità sul debito mette in evidenza le violazioni legali associate con la sua gestione. Diventa di dominio pubblico, in quei giorni, che il primo piano di salvataggio approvato il 2 maggio 2010 era nato in condizioni di illegittimità al fine di operare non tanto un piano di soccorso dello stato ellenico bensì un salvataggio delle istituzioni finanziarie esposte con la Grecia. In quelle settimane la Commissione di verità sul debito greco afferma che il debito greco è illegale, illegittimo e odioso. Non solo: costituisce una diretta violazione dei diritti umani dei residenti della Grecia.

    Chi ricorda quanto avvenuto la scorsa estate, ricorda forse anche come il 2 luglio lo stesso Fondo Monetario Internazionale sia stato costretto a diffondere un documento del proprio ufficio ricerche nel quale si sottolineava la strutturale insostenibilità del debito greco, il deterioramento delle condizioni macroeconomiche nel paese, la necessità di ristrutturare il debito e di alleviare le politiche di austerità. Un testo piuttosto esotico, aveva commentato all'epoca Varoufakis: non si è mai visto che il Fondo si sia trovato d'accordo con l'analisi economica del paese che intendeva devastare.

    Nonostante siamo tutti consapevoli di quali nefaste conseguenze abbia avuto la capitolazione di Tsipras pochi giorni dopo quel 2 luglio 2015, rimane innegabile come l'istituzione della Commissione di verità sul debito greco sia riuscita in quelle settimane a scardinare il discorso mainstream. Il debito non era più solo “colpa greca”, bensì un affare ben più controverso, al punto che lo stesso FMI non poteva evitare di ammettere di avere qualche scheletro nell'armadio e numerose divisioni interne.

    In generale, il discorso sul debito è sempre costruito attraverso la voce del creditore. È il creditore a usare il debito come leva per l'imposizione di politiche di austerità ed è il creditore a costruire una narrazione discorsiva fondata tutta sulla colpa del debitore. Il debito è anzitutto un soggetto la cui legittimità risiede in un rapporto di forza: è solo il rapporto di forza tra la Germania e la Grecia che impedisce alla Grecia di rivendicare, come sarebbe giusto, la riscossione dei debiti di guerra da parte della Germania.

    È esattamente quella narrazione che la commissione sul debito è riuscita a rovesciare.

    Ho trascorso molto tempo con alcuni membri della Commissione di verità sul debito greco. Una delle cose più interessanti che raccontano è come, nel lungo processo dal basso che ha portato alla sua istituzione, la proposta di una Commissione fosse mal vista da tutti. La sinistra radicale dice che l'audit (cioè l’indagine pubblica, ndr) è una iniziativa riformista, e la sinistra riformista dice che è troppo radicale. Forse precisamente per questa capacità di creare spazio tra divisioni improduttive, la Commissione sul Debito ha avuto una importanza centrale. Il punto è che lo scopo primo di un audit sul debito non è decidere cosa fare del debito, è colmare il gap informativo che impedisce alla popolazione di avere il controllo sulla trasparenza e la legittimità del debito e affermare la verità del debitore. È questo il primo passo verso l'auto-determinazione della politica sul debito, ovvero la scelta da parte dello stato di quale parte del debito pagare e se pagarla.

    In questi mesi l'audit del debito è stato usato varie volte nei paesi del Sud Europa.

    Dall'Auditoría Ciudadana de la Deuda istituita a livello cittadino in Spagna, alla Commissione di Verità sul Debito Pubblico in Grecia, la logica era rimettere il discorso sul debito nelle mani della popolazione. “Non ci si può aspettare che uno stato chiuda le sue scuole, le università e i tribunali, che lasci la sua comunità nel caos e nell'anarchia senza nessuna protezione pubblica e sociale semplicemente per avere a disposizione del denaro per ripagare i suoi creditori internazionali e nazionali”, ha sostenuto la Commissione del diritto internazionale dell’ONU.

    In Italia come in Grecia, nell'ultimo quarto di secolo il discorso sul debito si è presentato come una colpa causata dalla brutta abitudine che hanno i paesi del Mediterraneo di “vivere al di sopra delle proprie possibilità”.

    Su questo assunto si è fondata una politica di austerità e contenimento della spesa pubblica esercitata attraverso processi di privatizzazione, precarizzazione e taglio alla spesa sociale. Il problema è che, in Italia come in Grecia oppure in Spagna, l'elevato debito non dipende dalla spesa pubblica. L'Italia negli ultimi vent'anni ha avuto quasi sempre un avanzo primario al netto del pagamento degli interessi sul debito, in altre parole, una spesa pubblica regolarmente inferiore alle entrate. Nonostante ciò, tale politica virtuosa non ha condotto a una decisiva riduzione del debito, bensì alla sua crescita. Il debito dipende soprattutto dall'impatto della crisi dei mutui subprime nel 2007 sulla crisi del debito sovrano in Europa, dall'austerità e dagli squilibri intra-europei, che impongono al debito delle periferie di continuare a crescere parallelamente al surplus tedesco.

    In questo contesto è urgente tornare a parlare di debito a partire precisamente dall'audit. È necessario restituire trasparenza a un tema troppo spesso caratterizzato dall'oscurità, come testimoniato di recente dalla pubblicazione del primo Rapporto sul debito pubblico in Italia, un testo indiscutibilmente utile che, tuttavia, genera più domande di quelle a cui offra risposta.

 

Carta dei diritti del lavoro, parte la raccolta firme

LAVORO E DIRITTI - a cura di www.rassegna.it

  

Le 41.705 assemblee sono "un grande fatto di partecipazione". Al via le firme, obiettivo trasformare il nuovo Statuto in legge: "Riconsegniamo centralità al mondo del lavoro

 

Il comitato direttivo della Cgil ha approvato la Carta dei diritti universali del lavoro. Questo l'esito della discussione, che si è conclusa nella serata di ieri (21 marzo) con il documento approvato senza nessun voto contrario e con sei astenuti. "Le assemblee svolte (41.705) sono l'indice di uno sforzo politico ed organizzativo senza precedenti - si legge nel testo -, che ha coinvolto l'insieme dell'organizzazione ed un rilevante numero di non iscritti e non iscritte; un grande fatto di democrazia e partecipazione che conferma il radicamento senza eguali del sindacato confederale nella società italiana".

    Il dibattito, introdotto dal segretario generale Susanna Camusso si è concentrato sulla valutazione della consultazione straordinaria degli iscritti e dei non iscritti, che ha coinvolto quasi un milione e mezzo di persone nel corso delle assemblee nei luoghi di lavoro o nei diversi siti produttivi e dei servizi. Oltre alle informazioni e al racconto di questi due mesi di confronto con i lavoratori, la leader della Cgil ha spiegato il senso di tutta l’operazione e nel corso della sua relazione al direttivo del pomeriggio ha voluto precisare il senso politico della campagna per la Carta dei diritti universali che dovrà diventare legge. La Cgil punta a coinvolgere tutto il paese e il Parlamento che dovrà legiferare.

    I due quesiti sottoposti al giudizio dei lavoratori nel corso della consultazione, sui quali si sono espressi col voto 1.466.697 iscritte ed iscritti alla Cgil, hanno fatto registrare una larghissima maggioranza di favorevoli: il 98,49% per quanto riguarda l'approvazione della Carta dei diritti ed il 93,59% per quanto concerne il mandato al comitato direttivo della Cgil di definire quesiti referendari utili a sostenere il percorso per la trasformazione in legge.  Nello specifico dei tre quesiti, il sindacato di Corso Italia ha approvato: cancellazione del lavoro accessorio (voucher), reintroduzione della piena responsabilità solidale in tema di appalti, nuova tutela reintegratoria nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo per tutte le aziende sopra i cinque dipendenti. “La scelta referendaria, a carattere eccezionale e straordinario – si legge - è coerente ed è unicamente finalizzata al sostegno della proposta di legge di iniziativa popolare che la Cgil avanza con la Carta, che è e rimane il cuore e la finalità dell'iniziativa decisa dalla Cgil".

    Adesso si parte con la raccolta delle firme. La data di inizio è fissata per sabato 9 aprile e si concluderà venerdì 8 luglio per i quesiti referendari, termine ultimo sabato 8 ottobre per la Carta die diritti universali. L’obiettivo, spiega ancora la Confederazione, è quello di raccogliere milioni di firme per trasformare la proposta di legge di iniziativa popolare in un grande fatto politico, oltre che di partecipazione diretta dei lavoratori, come avvenuto finora. La raccolta di firme "sarà l'occasione per sviluppare, a partire da Cisl e Uil, ogni possibile interlocuzione con istituzioni, associazioni ed organizzazioni sociali, politiche, culturali e dovrà essere accompagnata in ogni territorio da iniziative pubbliche tese ad ampliare la conoscenza dei contenuti, il dibattito attorno ad essi ed a coagulare un ampio e fattivo consenso attorno alla nostra proposta, anche attraverso lo sviluppo della contrattazione inclusiva". La Cgil, con questa iniziativa, "riafferma la propria determinazione a riconsegnare centralità al lavoro, al suo valore, come risorsa imprescindibile per il paese e per realizzare l'obiettivo degli Stati Uniti d'Europa".

   

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