12.15.2008

Cento cortei in cento città

Visti dagli altri
A cura di Internazionale - Prima Pagina
Il sorpasso della Spagna
Secondo gli ultimi dati pubblicati da Eurostat nel 2006 le economie di Spagna e Italia - la quarta e la quinta in Europa - erano molto vicine: il pil pro capite in Spagna aveva raggiunto il 104 per cento del reddito medio degli abitanti dell'Unione europea, contro il 103 per cento dell'Italia. Nel 2007 il divario è cresciuto: il pil pro capite spagnolo è aumentato al 106 per cento contro il 101 per cento dell'Italia.

El País, Spagna
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Cento cortei in cento città
Un milione e mezzo di persone in piazza con la Cgil nonostante il maltempo. Grandissima partecipazione non solo allo sciopero generale ma anche alle manifestazioni che si sono tenute in 108 città, indette dalla Cgil e alle quali hanno partecipato non soltanto i lavoratori del sindacato di Epifani ma anche i movimenti, gli studenti, i migranti. 80 mila manifestanti a Milano, 30 mila a Torino e Bari, 40 mila a Napoli. Uno striscione della Cgil scuola di Genova: "Fatti non fummo per viver come... Silvio, ma per seguir virtute e conoscenza". La controriforma Gelmini costretta alla difensiva.

Guglielmo Epifani chiede al governo e a Confidustria una cabina di regia comune per affrontare la crisi: «Lo sciopero è un mezzo per raggiungere degli obiettivi e mai un fine. Gli obiettivi sono di chiedere al governo di affrontare la crisi e di intervenire come stanno facendo gli altri governi europei» - ha dichiarato il segretario generale della Cgil. «Se la crisi è eccezionale non si può affrontare con poche risorse. Perchè la Francia sostiene gli investimenti, l'Inghilterra i consumi e noi non facciamo niente?».
Altissime le adesioni allo sciopero generale indetto dal maggior sindacato italiano da parte di tutte le categorie dei lavoratori, al Nord come al Sud. Le condizioni atmosferiche non hanno fermato la protesta neppure nella capitale, ma le notizie sulla giornata di lotta sindacale sono state diaframmate, manipolate e silenziate da parte considerevole dei media, pesantemente condizionati dalla crisi del mercato pubblicitario che consegue allo
tzunami della finanza mondiale.

L'ufficio stampa della Cgil ha diffuso ieri in serata la presa di posizione che di seguito riportiamo: "Con vero stupore registriamo una serie di reazioni scomposte, tese a negare l’evidente riuscita delle nostre manifestazioni e dello sciopero generale. In alcuni casi si è fatto ricorso ad argomentazioni che offendono profondamente la nostra Organizzazione e i milioni di persone che oggi sono scese in piazza per rivendicare condizioni di vita migliori. Non intendiamo scendere sullo stesso piano. I numeri, le immagini, ciò che concretamente hanno visto gli occhi di centinaia di migliaia di persone, testimoniano la grande riuscita della giornata di lotta di oggi, nonostante le avverse condizioni meteorologiche che hanno imperversato su tutto il Paese. La scompostezza e le argomentazioni utilizzate confermano, al contrario, l’evidente risultato positivo e la delusione profonda di chi aveva scommesso sul fallimento dello sciopero e delle manifestazioni".

12.10.2008

A PROPOSITO DI ALITALIA

Dunque, la "nuova Alitalia", che attualmente ha un capitale di 160.000 euro (come un appartamentino alla periferia di Milano), si accinge a comprare la parte buona della nostra vecchia compagnia di bandiera, valutata dai periti 1.050 milioni di euro. Ma chi ci mettera’ veramente i soldi? Mentre scriviamo (venerdi’ 5 dicembre) Berlusconi incontra a Villa Madama i sedici soci di Cai (la "nuova Alitalia") per verificare chi vuol essere veramente della partita...

di M. Sironi

Clessidra, il fondo di private equity che partecipa a Cai attraverso la Lauro Quaranta spa, si è tirata indietro: troppe incertezze. Oltre al "cip" di partenza di 10.000 euro gia’ versato da tutti – ha fatto sapere Clessidra - non vi saranno altri versamenti da parte sua.

Molto incerto anche Gianluigi Aponte, patron della societa’ di crociere MSC, che doveva essere uno dei soci forti insieme alla IMMSI di Colaninno, alla Atlantia dei Benetton e naturalmente ad Intesa Sanpaolo, grande artefice dell’operazione. Ci sono poi voci di defezione da parte della Findim (Famiglia Fossati), i cui rappresentanti all’assemblea Cai del 28 ottobre si sono astenuti dal votare lo statuto, che impone ai soci di non vendere le proprie quote per i primi cinque anni. E i soliti ben informati danno per assai probabile la defezione, a tempo debito, anche di Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria: la sua partecipazione è infatti "simbolica", al solo scopo di contribuire al salvataggio di una parte storica del patrimonio industriale del Paese.

Dunque la "nuova Alitalia", che attualmente ha un capitale di 160.000 euro (come un appartamentino alla periferia di Milano), si accinge a comprare la parte buona della nostra vecchia compagnia di bandiera, valutata dai periti 1.050 milioni di euro. Ma chi ci mettera’ veramente i soldi?

Colaninno sta facendo un po’ di cassa tramite la vendita degli immobili turistici a Is Molas. C’è poi Carlo Toto, che conferira’ a Cai la sua Airone, compagnia aerea peraltro gia’ decotta e molto indebitata con la stessa Intesa Sanpaolo che l’ha sempre avuta a cuore, e che ora la salvera’ "buttandola" in Cai.

Ma pur di mandare in porto l’affare – dicono i soliti ben informati – Intesa Sanpaolo presterebbe soldi anche a tutti gli altri soci, accettando in garanzia le stesse azioni Cai che si accingono a comprare. Insomma, il solito gigantesco conflitto di interessi, che vede la banca guidata da Corrado Passera nella veste di artefice, partecipe e finanziatrice della cordata, nata apposta per rilevare una, anzi due societa’ in coma: Alitalia ed anche Airone.

Ecco il prezzo pagato dal Cavaliere perchè si costituisse in quattro e quattr’otto la "nuova Alitalia" promessa agli elettori: ha dovuto avvicinarsi a Passera, amministratore delegato di Intesa - gia’ puledro della scuderia De Benedetti come lo è stato anche Colaninno – che ha voluto tirarsi dietro pure Airone. Ma per i soci coraggiosi che vorranno salire su questa barca c’è gia’ in vista un cavaliere bianco: AirFrance, che alla fine – scommettono quasi tutti – comprera’ da chi vorra’ vendere. AirFrance ringrazia, perchè non troppo tempo fa era disposta a pagare Alitalia tre volte il prezzo attuale. Carlo Toto, patron di Airone, ringrazia e torna a fare il costruttore in Calabria. E un po’ ringrazia anche Lufthansa, che intanto ha stretto accordi con la SEA (gestore dell’aeroporto di Malpensa) e vede aumentare i propri passeggeri di mano in mano che Alitalia annulla i voli mentre i soci di Cai si dilungano in patteggi.

E gli altri? Colaninno probabilmente fara’ quello che ha fatto sempre (vedi Telecom ): comprare con i soldi delle banche, gestire per un po’, vendere incassando plusvalenze. E piu’ o meno è quanto si aspettano di fare anche gli altri soci, nessuno dei quali ha mai fatto viaggiare aerei per mestiere.

C’è qualcuno che non ringrazia? Sono i soliti. Gli azionisti della vecchia Alitalia, ex societa’ quotata, le cui azioni non valgono piu’ nulla, e tra di essi il pacchetto piu’ grosso l’ha sempre il Tesoro. Ci sono poi quelli che hanno in mano obbligazioni Alitalia: piu’ di 700 milioni in controvalore, distribuite tra risparmiatori, fondi, gestioni. E anche qui piu’ della meta’ le ha sottoscritte il Tesoro.

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Licenziamenti in vista a Telecom Italia
Si annunciano tempi duri per i lavoratori della società di telecomunicazioni italiana Telecom. Nel piano industriale per il 2009-2010 che l'azienda ha presentato a Londra sono annunciati quattromila licenziamenti in più, oltre ai cinquemila giù previsti per il 2010. L'amministratore delegato Franco Bernabè ha annunciato che l'obiettivo è ridurre il debito a cinque miliardi di euro, contro i 37,5 dello scorso agosto.

El Pais, Spagna
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A PROPOSITO DI ALITALIA

Dunque, la "nuova Alitalia", che attualmente ha un capitale di 160.000 euro (come un appartamentino alla periferia di Milano), si accinge a comprare la parte buona della nostra vecchia compagnia di bandiera, valutata dai periti 1.050 milioni di euro. Ma chi ci mettera’ veramente i soldi? Mentre scriviamo (venerdi’ 5 dicembre) Berlusconi incontra a Villa Madama i sedici soci di Cai (la "nuova Alitalia") per verificare chi vuol essere veramente della partita...

di M. Sironi
Clessidra, il fondo di private equity che partecipa a Cai attraverso la Lauro Quaranta spa, si è tirata indietro: troppe incertezze. Oltre al "cip" di partenza di 10.000 euro gia’ versato da tutti – ha fatto sapere Clessidra - non vi saranno altri versamenti da parte sua.

Molto incerto anche Gianluigi Aponte, patron della societa’ di crociere MSC, che doveva essere uno dei soci forti insieme alla IMMSI di Colaninno, alla Atlantia dei Benetton e naturalmente ad Intesa Sanpaolo, grande artefice dell’operazione. Ci sono poi voci di defezione da parte della Findim (Famiglia Fossati), i cui rappresentanti all’assemblea Cai del 28 ottobre si sono astenuti dal votare lo statuto, che impone ai soci di non vendere le proprie quote per i primi cinque anni. E i soliti ben informati danno per assai probabile la defezione, a tempo debito, anche di Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria: la sua partecipazione è infatti "simbolica", al solo scopo di contribuire al salvataggio di una parte storica del patrimonio industriale del Paese.

Dunque la "nuova Alitalia", che attualmente ha un capitale di 160.000 euro (come un appartamentino alla periferia di Milano), si accinge a comprare la parte buona della nostra vecchia compagnia di bandiera, valutata dai periti 1.050 milioni di euro. Ma chi ci mettera’ veramente i soldi?

Colaninno sta facendo un po’ di cassa tramite la vendita degli immobili turistici a Is Molas. C’è poi Carlo Toto, che conferira’ a Cai la sua Airone, compagnia aerea peraltro gia’ decotta e molto indebitata con la stessa Intesa Sanpaolo che l’ha sempre avuta a cuore, e che ora la salvera’ "buttandola" in Cai.

Ma pur di mandare in porto l’affare – dicono i soliti ben informati – Intesa Sanpaolo presterebbe soldi anche a tutti gli altri soci, accettando in garanzia le stesse azioni Cai che si accingono a comprare. Insomma, il solito gigantesco conflitto di interessi, che vede la banca guidata da Corrado Passera nella veste di artefice, partecipe e finanziatrice della cordata, nata apposta per rilevare una, anzi due societa’ in coma: Alitalia ed anche Airone.

Ecco il prezzo pagato dal Cavaliere perchè si costituisse in quattro e quattr’otto la "nuova Alitalia" promessa agli elettori: ha dovuto avvicinarsi a Passera, amministratore delegato di Intesa - gia’ puledro della scuderia De Benedetti come lo è stato anche Colaninno – che ha voluto tirarsi dietro pure Airone. Ma per i soci coraggiosi che vorranno salire su questa barca c’è gia’ in vista un cavaliere bianco: AirFrance, che alla fine – scommettono quasi tutti – comprera’ da chi vorra’ vendere. AirFrance ringrazia, perchè non troppo tempo fa era disposta a pagare Alitalia tre volte il prezzo attuale. Carlo Toto, patron di Airone, ringrazia e torna a fare il costruttore in Calabria. E un po’ ringrazia anche Lufthansa, che intanto ha stretto accordi con la SEA (gestore dell’aeroporto di Malpensa) e vede aumentare i propri passeggeri di mano in mano che Alitalia annulla i voli mentre i soci di Cai si dilungano in patteggi.

E gli altri? Colaninno probabilmente fara’ quello che ha fatto sempre (vedi Telecom ): comprare con i soldi delle banche, gestire per un po’, vendere incassando plusvalenze. E piu’ o meno è quanto si aspettano di fare anche gli altri soci, nessuno dei quali ha mai fatto viaggiare aerei per mestiere.

C’è qualcuno che non ringrazia? Sono i soliti. Gli azionisti della vecchia Alitalia, ex societa’ quotata, le cui azioni non valgono piu’ nulla, e tra di essi il pacchetto piu’ grosso l’ha sempre il Tesoro. Ci sono poi quelli che hanno in mano obbligazioni Alitalia: piu’ di 700 milioni in controvalore, distribuite tra risparmiatori, fondi, gestioni. E anche qui piu’ della meta’ le ha sottoscritte il Tesoro.


Visti dagli altri - A cura di Internazionale - Prima Pagina
Licenziamenti in vista a Telecom Italia
Si annunciano tempi duri per i lavoratori della società di telecomunicazioni italiana Telecom. Nel piano industriale per il 2009-2010 che l'azienda ha presentato a Londra sono annunciati quattromila licenziamenti in più, oltre ai cinquemila giù previsti per il 2010. L'amministratore delegato Franco Bernabè ha annunciato che l'obiettivo è ridurre il debito a cinque miliardi di euro, contro i 37,5 dello scorso agosto.

El Pais, Spagna
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10.13.2008

ALLO SBANDO

I MERCATI FINANZIARI SONO ALLO SBANDO

DI CHI E' LA COLPA? E CHI PAGHERA' ALLA FINE?


di M. Sironi
 

Se una pensionata va in banca a comprare qualche buono del Tesoro, prima di aprire un dossier titoli deve compilare un bel po' di scartoffie e sottoporsi ad un esamino da parte del funzionario, atto a stabilire il suo "profilo di rischio".

    Dopo i casi Cirio e Parmalat è d'obbligo l'assoluta correttezza. Se i funzionari dell'ufficio titoli vogliono impiegare i soldi della banca in operazioni ad alto rischio/alto rendimento sui mercati over the counter (ndr, non regolamentati) o addirittura comprare dei credit default swaps ( cioe' scommettere che, ad esempio, il Tesoro italiano fara' bancarotta), lo possono fare.  Anzi, lo hanno fatto largamente per anni, soprattutto all'estero. 

    In Italia, essendo gli "investitori istituzionali" relativamente poco numerosi, lo si è fatto un po' di meno: ecco perche', secondo gli esperti, il ciclone finanziario dovrebbe risparmiarci. A dirlo sono gli stessi esperti  che fino a ieri l'altro auspicavano una presenza assai piu' massiccia di banche d'affari e fondi di investimento,  gli institutionals appunto, i soli in grado di dare al nostro mercato dei capitali spessore e stabilita', indispensabili tra l'altro per un sano sviluppo del terzo pilastro pensionistico.

    Adesso col senno di poi sia gli operatori che le autorita' di controllo parlano di "errori di valutazione del rischio". Lo ha detto anche Alessandro Profumo, amministratore delegato di Unicredit, quando domerica scorsa ha messo in cantiere un aumento di capitale da tre miliardi per recuperare un po' di liquido.


    Tutto qui?  Negli USA l'alta dirigenza delle banche d'affari salvate dal Governo è stata congedata con premi di milioni di dollari, come da contratto di assunzione. Il perche' è semplice: non hanno commesso illeciti, non ci sono state truffe grossolane come nei casi Enron o Parmalat. E la sottovalutazione del rischio, specie se si tratta di un comportamento comune, non è un illecito.  La colpa è del sistema dei controlli, dicono gli addetti ai lavori, ormai del tutto inadeguati.

    "E' la regolamentazione finanziaria che va cambiata" – dice Gregorio De Felice, presidente AIAF (Associazione italiana analisti finanziari). "Come è possibile che  la Security and Exchange Commission  (la Consob statunitense) abbia accettato di buon grado l'incremento abnorme della leva finanziaria delle societa' che doveva controllare, arrivata fino a 40 volte il rapporto tra debito e capitale? ".

    Sconcertante, afferma De Felice, è anche l'enorme discrezionalita' con cui la FED ha deciso i suoi interventi: l'AIG è stata salvata con un'iniezione diretta di 85 miliardi di dollari, la Lehman Brothers è stata sacrificata, mentre la Bearn Stearns è stata data su un piatto d'argento alla J. P. Morgan.  Dove è finita la fede yankee nel libero mercato, ora che il Governo ha salvato Fannie Mae e Freddie Mac nazionalizzandole?

    La crisi statunitense è innanzitutto una profonda crisi di valori, scoppiata con il caso Enron e mai risolta: a cosa è servita – si chiedono in molti -  la severissima e complicata legge Sarbanes Oxley, varata di gran carriera dopo lo scandalo?  Non è servita a nulla, anzi peggio, dice Jonathan Macey (Yale Law School). Intervenendo al convegno di fine settembre della Fondazione Courmayeur, Macey ha sparato a zero tra gli applausi della platea:  la FED e soprattutto la SEC operano ormai sotto l'influenza di potentissime lobbies, mentre le societa' di revisione, come quelle di rating, sono "captive" dei loro committenti, perche' sono questi ultimi che pagano per essere giudicati.

    L'etica puritana negli affari, i timori di possibili danni reputazionali appartengono ad un tempo che fu, quando a regolare il mercato non c'erano le moltitudini di authority, di norme, di adempimenti costosissimi che troviamo ora.  Ora solo i grossi attori riescono a muoversi, e di fatto dettano legge: ecco il punto. Al G8 di meta' novembre i potenti della Terra cercheranno di riscrivere le regole del capitalismo di mercato, ormai sfuggito di mano.  La proposta di istituire un fondo di emergenza europeo per le banche in crisi è stata bocciata dall'Ecofin di lunedi' scorso: tocchera' quindi al Tesoro di ciascun paese rimediare ai propri crack domestici.

    Ed eccola li', la nostra pensionata con i BOT: gira gira, è sempre da lei che si ritorna.

9.08.2008

Narducci sull'Argentina e il Club di Parigi

L’annuncio di Cristina Fernandez sul rimborso al Club di Parigi è una buona credenziale per l’economia argentina.
Franco Narducci, Vice Presidente della Commissione Affari Esteri della Camera dei Deputati italiana ha espresso grande soddisfazione per l’impegno del Governo argentino di onorare le sue esposizioni finanziarie verso il Club di Parigi, annunciato a sorpresa dal Presidente Cristina Fernadez. “Si tratta di un passo avanti importante e apprezziamo l’atteggiamento propositivo che si coglie nelle dichiarazioni del Presidente. L’estinzione dei debiti contratti con il Club di Parigi – ha proseguito l’On. Narducci - accrescerà la fiducia a livello internazionale verso il sistema economico e istituzionale dell’Argentina, e in questa fase i mercati finanziari mondiali guardano con estrema attenzione agli indicatori che “misurano” il capitale fiducia”. Il Governo argentino rimborserà i crediti vantati da Germania, Giappone, Olanda, Italia (in misura dell’8%), Spagna e Stati Uniti, in pratica i Paesi del Club di Parigi creditori verso l’Argentina dopo il ben noto default del 2001. I 6,7 miliardi di dollari occorrenti per saldare i debiti con il Club di Parigi usciranno dalle riserve valutarie disponibili presso la Banca Centrale.
“Sono convinto che l’azione del Governo a farsi carico degli impegni e degli obblighi finanziari internazionali sia fondamentale per migliorare il posizionamento dell’Argentina sotto il profilo dell’affidabilità occorrente per rilanciare la crescita dell’economia e mettere a frutto le sue potenzialità. Mi auguro - ha concluso il Vice Presidente della Commissione affari esteri italiana - che l’atteggiamento dimostrato dal Presidente verso il Club di Parigi, possa contribuire anche a riaprire una via negoziale con i cittadini stranieri (tra cui 200 mila italiani) possessori di obbligazioni argentine, colpiti dal default del 2001”.

8.29.2008

Ricontrattare gli interessi sul debito, abolire la ritenuta alla fonte per il lavoro dipendente.

Per la battaglia d'autunno
Due obiettivi per la battaglia d'autunno:
di Rodolfo Ricci *)
1. Nella sua ultima discussa performance via audio in Piazza Navona Beppe Grillo ha ricordato una cosa nota, ma che viene continuamente fraintesa: l'Italia ha un debito pubblico pari a oltre 1.600 miliardi di Euro e gli italiani (non tutti ovviamente) pagano circa 80 miliardi di Euro annui di interessi su questo debito. Circa l'80% del debito è composto da titoli emessi dallo Stato, sia sul mercato interno (BOT, CTZ, CCT, BTP e BTP�), sia sul mercato estero (per ca. il 55%: programmi Global, MTN e Carta commerciale).
Ogni anno la cosiddetta Legge Finanziaria ha il precipuo obiettivo (occultato da una sapiente regia politico-mediatica) di reperire i soldi per pagare questi interessi.
Il Ministro dell'economia Giulio Tremonti ha ricordato questo fatto qualche settimana fa nel suo intervento alla Camera, specificando che si tratta quantitativamente del "terzo debito pubblico al mondo, pur non essendo, l'Italia, il terzo paese per PIL prodotto, ma solo il settimo".
(Noi avremmo aggiunto che invece continua ad essere settimo per spesa militare assoluta e che negli ultimi due anni essa è aumentata del 20%. La spesa militare pro-capite dell'Italia supera addirittura di 121 dollari quella tedesca: 568 USD a 447 USD!)
In un intervento nel suo blog, Grillo ipotizza tra il serio ed il faceto che questa somma prodottasi negli ultimi tre decenni (ma in particolare negli ultimi due), equivalga alla somma delle tangenti fluite tra il sistema politico e quello economico e viceversa, secondo una regola aurea che prevede di fare "una cresta" variabile fino al 30% , sui finanziamenti che vanno dal pubblico al privato.
Non so se la regola fosse così aurea o ferrea; ma forse c'è anche dell'altro e di più decisivo: è noto che l'Italia è il paese in cui la quota di PIL prodotta dall'economia sommersa è pari -secondo uno studio dell'FMI del 2002-, a circa il 27%. (10% circa per USA, 9% Svizzera). La percentuale di evasione fiscale complessiva è stimata annualmente intorno al 19-20% del PIL, cioè una cifra che si aggirava, secondo Padoa-Schioppa, intorno ai 270 miliardi di Euro nel 2006.
A fronte di queste cifre nelle quali ci dibattiamo da decenni, c'è da chiedersi, dopo tanto discutere, se non sia proprio questa la caratteristica specifica del Sistema Italia e il suo unico vero "punto di forza".
La fine della possibilità di svalutazione della Lira dopo l'ingresso nell'Euro, che costituiva il più potente strumento di politica economica italiana per garantire la concorrenza internazionale di un'economia scarsamente finanziarizzata (rispetto ad esempio a UK) e con una ancora forte presenza del settore produttivo industriale orientato fortemente all'export, ha reso più complessa la gestione della competitività internazionale del sistema, nonché quella delle politiche attive e di ridistribuzione.
Da allora, in particolare (ma l'operazione era strutturalmente iniziata negli anni '80 con l'abolizione della scala mobile), il raggiungimento di adeguati livelli di competitività internazionale viene conseguito con la compressione di salari e stipendi, anche per il basso grado di produttività del sistema e di una competitività che si gioca prevalentemente in settori produttivi a relativa alta intensità di manodopera e parallelo basso grado di innovazione tecnologica rispetto ad altre economie sviluppate.
Ma ciò non sembra, da solo, sufficiente a garantire la permanenza di profitti adeguati per il capitalismo nazionale (fatto in gran parte di PMI); l'altra condizione è per l'appunto l'evasione fiscale, che consente potenzialmente (a parte il lavoro dipendente per il quale la trattenute fiscali vengono operate alla fonte) a tutte le altre figure produttive, in misura minore o maggiore, di raggiungere punti di equilibrio reddituale e di profitti ritenuti congrui e soddisfacenti.
Si potrebbe affermare che l'evasione fiscale ha in un certo senso, sostituito la pratica della svalutazione competitiva già in regime SME ed è proseguita alla grande dopo l'introduzione dell'Euro, con il medesimo obiettivo di abbassare i costi di produzione nella tenzone internazionale.
Ciò che non è possibile fare a causa della scarsa propensione all'innovazione tecnologica, lo si è fatto e lo si fa quindi a spese dello Stato e dei lavoratori: Pacco e Contropacco !
Si deve aggiungere, ma questo è in parte un altro discorso, un'altra caratteristica del sistema Italia costituito dall'economica criminale (mafie, camorre e 'ndranghete varie) che fattura intorno ai 100 miliardi di Euro all'anno, vale a dire circa il 6% del PIL italiano e ne costituisce, ovviamente, parte integrante e "punta di eccellenza" nello scenario internazionale.
I grandi flussi finanziari e di ricomposizione del reddito nazionale avvenuti negli ultimi 20 anni sono facilmente riassumibili da queste cifre; si è trattato cioè di un enorme travaso di ricchezza nell'ordine di 3.000 ? 4.000 ? miliardi Euro che sono stati spostati dal lavoro dipendente e subalterno al capitale, dallo Stato al privato e, per quanto riguarda il sistema tangentizio, dallo Stato alla politica.
Al di là di considerazioni etiche si è trattato quindi del modo specifico in cui il capitalismo italiano ha potuto competere sul piano internazionale nella dimensione della globalizzazione, salvaguardando quella parte di capitale nazionale subalterno e relativamente arretrato la cui capacità di stare sul mercato poteva essere garantita solo dalla capacità di compressione del costo del lavoro (sia esso lavoro dipendente che, in parte, di quello che chiamiamo impropriamente lavoro autonomo, ma che in misura considerevole è lavoro dipendente "decontrattualizzato"). Dal punto di vista dell'impresa si trattava in effetti di comprimere tutto ciò che, in quanto lavoro, era ritenuto costo fisso; e, allo stesso tempo, di trasformare una parte consistente di tale costo fisso in costo variabile, attraverso la pratica dell'esternalizzazione e del decentramento produttivo che ha creato l'imponente massa di artigiani, micro imprenditori, partite IVA, COCOCO, COCOPRO, ecc.
Ciò ha comportato, in un certo senso, la costruzione, dentro i confini nazionali, di un pezzo di terzo mondo in cui il livello di salari, diritti, ecc. fosse analogo, anche se certamente non comparabile in linea assoluta con quello dei PVS, ma che disponesse allo stesso tempo, del valore aggiunto di un sistema infrastrutturale molto più avanzato di quello dei PVS.
Le recenti ipotesi di nuovi modelli di contratto su cui verte la discussione sul futuro delle relazioni industriali nel nostro paese, possono essere lette dentro la permanenza di questo scenario.
In questo pezzo di "terzo mondo" dentro i confini nazionali non hanno operato solo operai e lavoratori dipendenti, indigeni e immigrati, precari, sottopagati e con meno diritti, ma anche una infinità dei lavoratori "decontrattualizzati" autonomi, piccoli e piccolissimi imprenditori i quali nella lunga catena delle commesse al ribasso che, emanando dal vertice della grande impresa multinazionale, percorrono come in una via crucis, tutte le stazioni di un'intermediazione spregiudicata e cinica i cui effetti più visibili sono le migliaia di morti bianche che oramai non coinvolgono più esclusivamente i lavoratori dipendenti, ma anche piccoli e piccolissimi imprenditori il cui status di liberi operatori del mercato è sempre più spesso ed oggettivamente, un titolo del tutto posticcio.

2. Tuttavia questa analisi non appare ancora soddisfacentemente esaustiva, poiché si deve ricordare che negli ultimi 3 decenni il fenomeno della crescita dell'economia sommersa ed informale è riscontrabile anche in tutti gli altri paesi avanzati: nell'arco degli ultimi venti anni, esso è praticamente raddoppiato nei paesi OCSE, passando dal 10 al 20% medio (secondo una stima del FMI del 2002), con crescite rapidissime nel decennio 1990-2000, anche evidenziato in questo lasso di tempo in paesi come Francia (dal 9% al 15%), Germania (dall'11.7% al 16,3%), Spagna (dal 16% al 22,5%) e Italia (dal 22.7% al 27%), appunto.
Se il trend di crescita esponenziale dell'economia sommersa (e della conseguente parallela evasione fiscale) non è solo italiana, seppure in proporzioni differenti, c'è da dedurne che si tratta di un fenomeno strutturale della fase che abbiamo e stiamo attraversando. Questa fase è quella della cosiddetta globalizzazione imperniata, retta ed orientata dall'ideologia neoliberista.
Se ci siamo arrischiati a ipotizzare una stima del travaso di reddito da mondo del lavoro a capitale in Italia possiamo solo immaginare quali siano state le dimensioni del travaso di reddito a livello globale. Le contraddizioni e i conflitti che abbiamo di fronte, comprese secessioni, guerre, fame, povertà e miseria fuori e dentro i singoli paesi, ne sono un corollario.
Il modello applicato universalmente dal neoliberismo aveva già fornito un esempio lampante degli effetti economico-sociali che poteva produrre con le successive crisi che hanno coinvolto successivamente grandi paesi come Messico, Turchia, Argentina, passando per Russia e NICS asiatici negli anni '90 fino al 2002. Oggi ne fornisce di ulteriori, addirittura di più ampli e impressionanti, a partire dal vertiginoso aumento dei prezzi alimentari che diventano, assieme al petrolio e alle altre materie prime, i beni sostitutivi su cui scatenare, senza alcun ritegno, le giostre degli strumenti derivati dopo il crollo dei mutui sub-prime.
La disponibilità di enormi capitali nelle mani dei grandi istituti finanziari e dell'impresa multinazionale non si è tradotta in questo trentennio in corrispondenti investimenti globali, ma piuttosto è stata giocata nelle transazioni finanziarie e borsistiche sui nuovi strumenti di investimento "derivati", da una parte, e in consumi di beni di lusso, dall'altra, cosa che ha fatto affermare a diversi economisti che, con l'approccio neoliberista, viene minato ed intaccato alla radice il meccanismo classico dell'accumulazione capitalistica, secondo cui il capitale, per riprodursi, deve trasformarsi in investimenti produttivi e in beni di consumo di massa. Il punto di equilibrio del capitalismo (e quindi del mercato) è solo nell'equilibrio di queste variabili. Fuori di questo punto di equilibrio, il capitalismo deve essere salvato dallo Stato, cosa che in effetti sta accadendo negli ultimi mesi con le enormi iniezioni di liquidità delle grandi banche centrali.
Se gli investimenti produttivi si sono invece percentualmente ridotti e il consumo dei lavoratori e delle famiglie, comprese le classi medie, si è anche decisamente contratto, restano -e in effetti risultano aumentati- solo gli investimenti in titoli e il consumo delle classi elevate.
In questo è consistita e consiste la lotta di classe di fine ed inizio millennio.

3. Abbiamo visto che tra i paesi avanzati la posizione italiana ha una sua originalità: seppure i trends nazionali sono del tutto analoghi a quelli degli altri paesi, i modi e la qualità con cui essi si attuano nel nostro paese appaiono più radicali ed ovviamente legati alla specifica composizione interna del capitale e alla sua stratificazione sociale e territoriale, ma anche alla sua specifica cultura sociale e politica.
Dinamiche e squilibri nord-sud, relativamente basso livello tecnologico della composizione organica del capitale, forte presenza di PMI e dimensione ridotta delle singole imprese, livelli scadenti di scolarizzazione e formazione, scarsa efficienza delle Pubblica Amministrazione, ecc., forti egemonie mediatico-culturali (Media privati e Vaticano), pervasività dell'economia criminale, autoreferenzialità della politica fino al consolidamento della Casta, corruzione accentuata, debolezza del sistema giudiziario, ecc., fanno dell'Italia un paese del tutto particolare nello scenario dei paesi avanzati neoliberisti.
La capacità concorrenziale del sistema paese nelle dinamiche competitive con gli altri sistemi-paese ne risulta, nel suo insieme, fortemente indebolita.
Si potrebbe dire, in questo senso, che la percentuale di controllo (o di azionariato) del sistema globale neoliberista da parte dell'Italia è al di sotto di quanto potenzialmente possibile ove il sistema paese funzionasse a dovere. Ma ciò non toglie il fatto che esso produca delle punte di "eccellenza" globali, con le sue banche, le multinazionali dell'energia, le sue oligarchie speculative, i suoi apparati criminali, ecc., in grado di condividere pienamente le vette della competitività globale.
La permanenza nei vertici internazionali di questi poteri nostrani non particolarmente avanzati quanto ad efficacia produttiva, riproduttiva ed organizzativa, può tuttavia sussistere in funzione della loro capacità di penetrazione e di orientamento delle leadership politico-culturali, quindi dello Stato, e di controllo mediatico delle masse dei cittadini, che consenta loro la perpetuazione di elevati livelli di sfruttamento del lavoro, di contrazione salariale e del sistema dei diritti, più e più a fondo di quanto avvenga in sistemi-paese meno sperequati, come quelli nord europei.
Questo è stato (ed è) l'obiettivo perseguito negli ultimi trenta anni dal complesso economico-politico-mediatico-culturale, che è riuscito a ricostruire una sua potente, diffusa e trasversale egemonia dopo il decennio di protagonismo sociale 1968-1978.
L'egemonia globale neoliberista per convenzione di emanazione USA, ma non solo, si è attuata, in Italia, nell'accordo e scambio geostrategico con tali poteri. L'aumentato ruolo dell'Italia come contractor internazionale di missioni e presenza militare nel mondo per conto dei nuovi assetti strategici, costituisce una novità (perseguita da destra e da "sinistra") che rientra in questo patto.
E' per tutto ciò che la situazione italiana manifesta oggi, dal punto di vista della riflessione e dell'azione politica, caratteri di difficile permeabilità analitica e di lettura politica coerente, oltrechè di permanenti processi aggregativi e disgregativi in misura molto maggiore rispetto ad altre situazioni nazionali in cui la "purezza" neoliberista si dispiega in modo più lineare e leggibile.
Ciò non inficia un altro trend comune del neoliberismo mondiale che è consistito e consiste nella acquisizione degli apparati politico-sociali delle sinistre storiche dentro l'orbita del "pensiero unico" (Labour in UK, PD in Italia), garantendo loro una ipotetica funzione di gestione dello "spazio nazionale / sistema paese", obiettivamente e strutturalmente limitato ad alcuni settori, in una prospettiva neonazionalistica di ricerca di maggiore efficienza di sistema e in una ottica �del tutto disorientante- di reciproca competizione tra sistemi-paese dentro i paletti neoliberisti, i quali per loro natura e come il termine stesso indica, sono in linea di massima disinteressati ai confini nazionali se non per la funzione di gendarme internazionale del sistema che alcuni singoli paesi debbono assicurare e per la funzione di riproduzione ideologica e controllo culturale che invece, tutti, ognuno secondo le proprie possibilità, debbono assolvere.
In questa prospettiva è giocoforza che i sistemi di welfare e la spesa pubblica nazionale debbano essere compressi e ridotti poiché tolgono risorse al "libero mercato": tutto ciò che è privatizzabile con vantaggio (dai fondi previdenziali, ai servizi municipali, ai beni comuni), deve essere effettivamente e in progressiva misura privatizzato, poiché ciò solo garantisce l'afflusso di nuovi capitali da immettere nel sistema circolatorio del neoliberismo, come unica condizione della sua riproduzione che è sempre più sganciata dall'effettiva capacità di produrre valore!

4. Tuttavia le "resistenze" italiane a questo processo di trasferimento dello Stato in mani private continuano ad essere consistenti, sia per la specificità degli equilibrii imperfetti tra i vari poteri forti citati che pur costituendo sistema, dentro di esso si contrastano vicendevolmente, sia per una storica cultura di critica radicale degli squilibrii nazionali che pur nell'inquinamento ideale e culturale operato dai media, continua a persistere trovando esiti e sbocchi certamente contraddittori quanto imprevisti sul piano politico e che sono in grado di produrre fenomeni sociali e politici che possono variare dalla Lega Nord, ai movimenti per le autonomie che riciclano mai sopiti, quanto antistorici e surrettizi sentimenti identitari, o, sul fronte della partecipazione di base, dai movimenti di resistenza territoriale alle scelte del neoliberismo continentale (No Tav) e alla sua necessità di acquisire ulteriore spazi per la funzione di controllo militare dell'area mediterranea e mediorientale (No Dal Molin), ai girotondi e ai loro portavoce dello spettacolo che insistono sull'aspetto di controllo mediatico-culturale e del tentativo di riduzione dell'autonomia del sistema giudiziario, alla cosiddetta antipolitica del "que se vajan todos" contro la trasversale Casta, a pezzi di sindacato, ai movimenti di resistenza sociale antagonisti e contro la globalizzazione neoliberista.
Tutto ciò conferma il permanere di un forte potenziale critico del paese, che tuttavia risulta frammentato e dis-orientato da un uso spregiudicato dei media e dai tentativi di ricomposizione sociale strumentale operata dai poteri forti attraverso il massaggio delle leadership politiche e in accordo con il neoliberismo mondiale.
Ad oggi questa operazione di mediazione e di ricomposizione politica è riuscita meglio alla destra con Berlusconi e il suo canovaccio di Rinascita nazionale, attraverso un patto e uno scambio che ha valorizzato come compatibili e necessitate, libertà d'impresa ed evasione fiscale, economia sommersa e tentazioni autonomistiche, spesa sociale e riduzione del welfare, politiche di sicurezza e xenofobia razzista, ecc.
Molto meno al "partito delle tasse" (il centrosinistra) che ha riproposto una opzione lineare e rigorosa di governo conservatore ligio al dettato di Maastricht che tentava di compendiare privatizzazioni, più mercato e meno Stato, riduzione dell'evasione, "modernizzazione" del sistema di Welfare per l'ignoto futuro delle future generazioni, riducendo l'attuale in relazione alle sue compatibilità di finanziamento a venire, controllo e riduzione della spesa pubblica per rientrare nei famosi parametri, riduzione del debito, incentivazione della produttività dell'impresa attraverso il cuneo fiscale, ecc..
Entrambe le soluzioni e gli approcci, dopo le elezioni di Aprile 2008, sembrano tuttavia essere venute al capolinea. Le notevoli differenze di lettura e di impostazione che si avvertono oggi dentro gli stessi schieramenti politici, per nulla omogenei, e che rappresentano ormai trasversalmente le classi o quel che ne rimane, manifesteranno a breve termine tutte le loro incompatibilità.
In nessuna delle stagioni di governo di centro destra e di centro sinistra si è infatti ridistribuito qualcosa di significativo; negli ultimi quindici anni, il potere di acquisto dei salari si è ridotto di quasi il 40%. Oggi i salari italiani sono il 30% al di sotto della media europea. Il tasso attuale di inflazione (4% medio, ma molto più alta per la classi povere che si trovano costrette a ridurre l'acquisto di beni alimentari di prima necessità aumentate del 10-15% in un solo anno), porterà nell'arco di due anni il poter di acquisto dei lavoratori ben sotto il 50% di quello dell'inizio degli anni '90.
L'opzione del federalismo fiscale sostenuto da venti anni dalla Lega e con adepti importanti nel PD, la promessa bipartisan di riduzione delle tasse, i recenti approcci no-global e di tassazione mirata (più che altro partita di giro) dei petrolieri di Tremonti, sono destinati a non acquisire il consenso politico necessario alla loro approvazione, in un contesto reso ulteriormente pericolante dall'arrivo della grande crisi economica che è la crisi storica del neoliberismo.
In effetti c'era e c'è ben poco da ridistribuire; il reddito nazionale infatti, al netto di un'evasione annua di oltre 250 miliardi di Euro, è inferiore di 80 miliardi di Euro a quello che sarebbe disponibile senza l'erosione degli interessi sul debito. (Come accennato l'indebitamento pubblico avviene sul mercato estero e su quello interno; su quest'ultimo versante, accade, curiosamente, che una quota consistente di titoli di stato vengano acquistati proprio dalla componente degli evasori (grandi, medi e piccoli) utilizzando le somme evase al fisco, con lo strabiliante risultato che lo Stato �i cittadini lavoratori- ci rimette due volte: prima non incassando la quota di tasse legittima, poi, dovendo anche pagarci sopra gli interessi (tassati solo al 12%, diversamente dal 20% applicato in Europa). Pacco, contropacco e contropaccotto!)
La riduzione dei mercati di sbocco internazionale per le nostre merci che si manifesterà in tutta la sua evidenza nei prossimi mesi e nel prossimo anno, la crescita dell'inflazione e le politiche di contenimento operate dalla BCE con l'aumento dei tassi, lo sconvolgimento delle ragioni di scambio tra Paesi avanzati e PVS produttori di materie prime a favore di questi ultimi, renderanno molto critica la situazione.
Le recenti avvisaglie di grandi alleanze si ripropongono pur con nuove variabili. Ma sono sempre meno credibili, soprattutto a sinistra, dove lo zoccolo duro del PD comincia a manifestare sofferenza e distacco da una prospettiva e da una gestione che manifesta tutta la sua insufficienza e il suo carattere essenzialmente mediatico ed insipido. Prova ne è che la famosa manifestazione romana del No Cav 2, pur nell'oscuramento e falsificazione generalizzata dei media, ha riscontrato un gradimento di oltre il 30% dell'elettorato del centro sinistra, secondo il guru dei sondaggi Renato Mannheimer.
Le soluzioni proposte dai due schieramenti paiono entrambe già fallite essenzialmente per la manifestata incapacità di effettiva ridistribuzione dei redditi da 15 anni a questa parte a causa di vincoli strutturali di un'economia in declino e che si regge in gran parte sul sommerso e dei vincoli esterni relativi al debito.

5. La questione può così essere riassunta: o l'aumento di disponibilità di risorse attraverso la riduzione massiccia dell'evasione fiscale è compatibile con la stessa sopravvivenza di una struttura produttiva del paese (che però sappiamo derivare per il 27% del PIL dal sommerso) e con la sua capacità di stare sul mercato globale, e quindi costituisce un obiettivo realistico da attuare prioritariamente, oppure, se ciò non è praticabile o lo è solo in piccola parte, bisogna parallelamente andare ad una ricontrattazione del debito che liberi almeno una quota di risorse degli 80 miliardi di interesse, da destinare ai consumi interni, agli investimenti e al welfare.
Mentre la prima soluzione non mette in crisi il dogma del libero mercato, la seconda sì; per questo pare più difficile da affermare o solo da pensare. Ma, come già si è visto, il mercato non è libero, né autosufficiente: fiumi di miliardi di Euro e di Dollari dei risparmiatori corrono da mesi dalle banche centrali a sostenere la rete criminale della finanza mondiale perché è su di essa che si regge tutto l'almanacco del neo-liberismo. Ed inoltre, abbiamo visto che il crescere dell'economica sommersa e quindi di un'alta evasione fiscale è stato ed è un fenomeno comune ai paesi industrializzati e in buona misura incentivato dal modello di globalizzazione neoliberista.
Una politica centrata sul recupero di risorse attraverso la riduzione dell'evasione fiscale risulta poi ulteriormente invendibile sul piano del consenso, in un momento di accentuata e crescente crisi. Al contrario è più difficilmente contrastabile una proposta che rimetta almeno su un piano di pari condizioni fiscali lavoro salariato e dipendente e lavoro autonomo e d'impresa.
Terminata la stagione balneare dei congressi delle sinistre extraparlamentari, le cui dinamiche e contenuti coinvolgono alcune migliaia di cittadini in un paesi di 60 milioni di abitanti, qualcuno a sinistra dovrà occuparsi della materia. Né entusiasma la tenzone tra tasso di inflazione programmata (1,7% per il Governo) e di inflazione reale (3,8-4,2% secondo l'Istat) in cui sono stazionano i vertici sindacali, nel momento in cui crollano di ben oltre il 10% i consumi di pane, pasta, indumenti fino a quelli di bibite e gelati nella torrida estate. Altro che detassazione degli straordinari!
A meno che non si voglia che i temi dell'opposizione sociale non trovino il maggiore interprete nazionale in Giulio Tremonti, secondo una tentazione classica dell'autoritarismo che si costruisce la propria ala destra e sinistra, dovremmo impegnarci a costruire un fronte sociale e politico intorno a due obiettivi: uno, la ricontrattazione degli interessi sul debito, prima che sia troppo tardi. Argentina docet in tempi, dinamiche ed effetti. Due, la cancellazione dell'imposta alla fonte per il lavoro dipendente, poiché è costituzionalmente stabilito che tutti i cittadini debbano disporre di pari condizioni ed opportunità anche su un sistema di detrazioni e di tempistica del versamento delle imposte sul reddito del tutto analogo a quello utilizzato da lavoro autonomo e impresa.
Ai timorosi e alle Cassandre concentrati su cosa di negativo ne possa derivare, bisogna ricordare quello che è già accaduto: l'attuale sistema ha infatti consentito che il lavoro dipendente abbia in maniera precipua finanziato lo Stato Sociale anche per la parte di popolazione nazionale che ha evaso e, allo stesso tempo, abbia finanziato l'esborso di enormi somme di interessi andati in buona parte nelle tasche di evasori autoctoni e istituti finanziari internazionali. Il lavoro dipendente, quello precario e sottopagato, il lavoro autonomo "de-salarizzato" hanno cioè finanziato loro malgrado l'ascesa e il consolidamento del neoliberismo da una parte e hanno puntellato, dall'altra, un sistema economico nazionale che, oggi è evidente, fa acqua da tutte le parti.
Se non è ancora ora di invertire la direzione di questi flussi, è almeno il momento di bloccarli. Poi si ridiscuta pure di un moderno e sostenibile welfare, di nuove relazioni industriali, di federalismo, eccetera eccetera.

*) Segretario nazionale Federazione Italiana Emigrazione e Immigrazione (Filef-FIEI)

8.27.2008

Si salvi chi sa

E se sotto l’ombrellone, oltre ai gialli e alle riviste di gossip, gli italiani si fossero portati anche qualche testo di finanza per passare il Ferragosto? Lamberto Cardia, presidente della Consob, ne sarebbe felice perche’ in tema di risparmio gli italiani hanno bisogno di cultura finanziaria.

di M. Sironi
E se sotto l’ombrellone, oltre ai gialli e alle riviste di gossip, gli italiani si fossero portati anche qualche testo di finanza per passare il Ferragosto? Lamberto Cardia, presidente della Consob, ne sarebbe felice perche’ "le iniziative mirate di educazione finanziaria" – recita testualmente il suo discorso del 14 luglio all’Incontro Annuale con la comunita’ finanziaria - "sono diventate una priorita’ della Consob".

Oltre a preannunciare interventi in questa direzione, Cardia si augura per di piu’ coinvolgimenti dei cittadini "sin dalla piu’ giovane eta’". Ecco dunque i compiti delle vacanze per grandi e piccini che il presidente della Commissione ci assegna: meglio i fondi di investimento o le polizze, meglio le polizze o i CCT, meglio i CCT o i soldi sotto il materasso? Il problema esiste, ed anzi si fa sempre piu’ serio.

E’ di giovedi’ 7 agosto il dato di Assogestioni sull’ennesimo saldo negativo della raccolta fondi: in luglio il deflusso e’ stato di 13,5 miliardi, cioe’ 84 miliardi in totale nel 2008 a prosecuzione di un trend discendente iniziato nel 2006. E francamente, viste le performance dei nostri fondi comuni, non c’è da stupirsi.

Il fatto e’ che i risparmiatori fuggono dal risparmio gestito, spesso uscendone in perdita, attratti dal fascino di prodotti come le polizze vita e le obbligazioni bancarie che, "se non altro", assicurano il rimborso del capitale. Le obbligazioni bancarie, strutturate e non, hanno gia’ battuto i fondi nelle preferenze delle famiglie italiane, nove su cento delle quali le hanno messe in portafoglio, contro le sette su cento che optano per i fondi comuni.

Purtroppo, se gli capitasse di dover liquidare il suo investimento prima della scadenza, il risparmiatore scoprirebbe che l'unico acquirente possibile dei prodotti d'investimento bancari e’, con tutta probabilita’, quella stessa banca che quei prodotti gli ha venduto... e, ovviamente, il prezzo di riacquisto lo decide lei.

Poco cambia se si tratta di obbligazioni quotate, perche’ le quotazioni sul MOT – il mercato appositamente gestito da Borsa Italiana - sono sempre piu’ basse del prezzo di emissione, con sconti che vanno dal 5% al 15%.

A Cardia allora non resta che richiamare gli intermediari "ad una particolare diligenza nel proporre investimenti per i quali non sono disponibili mercati di scambio caratterizzati da adeguati livelli di liquidita’ e di trasparenza". E anche sulla trasparenza ci sarebbe da dire, specie in tema di polizze e obbligazioni strutturate (quelle cioe’ che pagano cedole legate all’andamento degli indici di Borsa, o delle valute, o dei tassi, o altri svariati parametri detti "sottostanti").

A fronte dell’impegno a pagare cedole tanto piu’ pingui quanto meglio performa il sottostante, i prezzi di emissione di questi prodotti complessi sono gravati da costi che arrivano fino al 9%. Né e’ semplice capirne le ragioni. L’abbondante documentazione fornita al momento della sottoscrizione e’ altrettanto complessa. Insomma, salvo fasi di boom – e purtroppo non la stiamo attraversando – e’ ben difficile che qualcuno si arricchisca con i prodotti strutturati.

Il Rapporto Annuale della Consob per il 2007 lo dice chiaramente: "Quasi il 75% delle obbligazioni bancarie, sia ordinarie che strutturate, hanno rendimenti a scadenza inferiori a quelli dei BTP di analoga vita residua". E questo sopratutto a causa del loro "mispricing", che in parole povere significa che le spese e le commissioni incidono troppo. Per fortuna i BTP e i titoli di Stato in genere sono ancora i piu’ amati dagli italiani, ed entrano nel portafoglio di tredici famiglie su cento. Peccato pero’ che le loro cedole riescano a malapena a battere l’inflazione (e figurarsi le obbligazioni e le polizze).

Allora: che fare? Studiare, confrontare, valutare, dice la Consob. Anche perche’ le capacita’ delle societa’ di rating - quelle cioe’ che danno il "voto" ad azioni e obbligazioni suggerendone l’acquisto o la vendita - "sono state messe in discussione a ragion veduta", sia per quanto diguarda i giudizi espressi, sia per la validita’ dei modelli di assegnazione dei voti, che possono "risultare distorti da conflitti di interesse". E' sempre Cardia a dirlo, nel citato discorso del 14 luglio. Insomma, si salvi chi sa.

7.11.2008

L'ELDORADO DEI DERIVATI?

L’ITALIA E’ L’ELDORADO DEI DERIVATI? FORSE NON TUTTA L’ITALIA, MA I NOSTRI ENTI LOCALI SÌ.

Il Rendiconto Generale dello Stato per il 2007, presentato il 26 giugno dalla Corte dei Conti, fa un bilancio pieno di luci ed ombre. Ma il Belpaese, oltre ad una spesa corrente difficile da controllare, ha anche 1800 miliardi di beni di Stato che, se venduti, annullerebbero il debito pubblico. Per non parlare della ricchezza immobiliare dei nostri squattrinati comuni, di cui le banche estere specializzate in derivati si sono gia’ abbondantemente accorte.

di M. Sironi

Il caso e’ scoppiato il 27 giugno, cioe’ all’indomani della presentazione del Rendiconto Generale dello Stato per il 2007 da parte della Corte dei Conti: il pm milanese Alfredo Robledo ha avviato un’inchiesta sui contratti derivati sottoscritti dal Comune di Milano nel giugno 2005 con UBS, Deutsche Bank, JP Morgan e Depfa. L’inchiesta vuole accertare se gli abili banchieri abbiano ‘fatto scemi ‘’ i funzionari comunali rifilando loro contratti derivati a condizioni chiaramente sfavorevoli, o se invece i 263 milioni di perdite gia’ accumulate sui contratti in questione siano da attribuirsi puramente all’andamento dei mercati: i derivati, si sa, sono prodotti ad alto rischio. Chi sottoscrive un contratto derivato incassa subito un po’ di soldi, ma in cambio firma una scommessa che puo’ andare bene, ma puo’ anche portare grosse perdite. Amministratori sprovveduti o spericolati?

Il sindaco Letizia Moratti ha detto che, fatte le verifiche del caso, non e’ escluso che il Comune si costituisca parte civile in un’eventuale causa per truffa. Situazione analoga al Comune di Taranto, ma gli Enti Locali che in prospettiva potrebbero fare crack sono molti: da dieci anni ormai Regioni, Province e Comuni si sono dati alla finanza attiva emettendo Bor, Bop e Boc per 30 miliardi circa , e accumulando cosi’ - tra mutui, emissioni obbligazionarie e contratti derivati - debiti complessivi per 109 miliardi (fonte Banca d’Italia).

Molte obbligazioni sono state collocate all’estero, ovviamente tra gli investitori istituzionali: nonostante si tratti di Regioni con difficolta’ economiche, la Campania ha collocato oltre confine bond per 2,2 miliardi, il Lazio per poco piu’ di 3, la Sicilia per 1,4 e l’Abruzzo per 1,1 miliardi. Ma sono dati difficili da raccogliere anche per la Banca d’Italia. A preoccuparsene - oltre alla Corte dei Conti che ha spesso puntato il dito contro l’allegra finanza locale – ora e’ anche il Governo, che sta studiando sanzioni per gli Enti piu’ spendaccioni: dal 2009 quelli che non avranno centrato gli obiettivi del Patto di Stabilita’ non potranno piu’ emettere obbligazioni o sottoscrivere mutui. E per tutti niente derivati per un anno. Resta pero’ la mina vagante dei contratti derivati sottoscritti in passato: a quanto ammontano, e perche’ le banche straniere fino all’anno scorso erano cosi’ attive in questo settore? E soprattutto, e’ vero che l’Italia, con 200 miliardi di contratti in essere, e’ l’Eldorado dei derivati, come sostengono gli esperti della Exane, e che solo nel 2007 gli investitori retail ne hanno sottoscritti 42 miliardi ??

Confutando i dati del rapporto presentato l’8 luglio da Exane, la Banca d’Italia fornisce cifre assai piu’ basse, che si riferiscono pero’ solo a quanto collocato dalle banche italiane. Ma sono anni che la Corte dei Conti tiene d’occhio il fenomeno, tanto che dal 2007 ha imposto agli Enti Locali l’obbligo di segnalazione se sottoscrivono derivati. E’ un primo passo. Negli altri paesi europei, da tempo, per le amministrazioni pubbliche questi contratti sono merce proibita. In Italia invece da qualche anno a questa parte, per quanto squattrinati e indebitati fossero i nostri comuni, funzionari di prestigiose finanziarie estere hanno bussato alle loro porte, proponendoli. E a guardare il Rendiconto Generale dello Stato si capisce anche come mai.

Il patrimonio pubblico del Belpaese, dice la Corte dei Conti, nel 2007 era di 1.800 miliardi, largamente sufficiente quindi a colmare il debito pubblico (1.597 miliardi) in caso di vendita totale dei beni dello Stato. Dei 1.800 miliardi solo 160 sono rappresentati da beni immobili. Assai piu’ ricchi di immobili sono invece gli Enti Locali, il cui patrimonio immobiliare e’ valutato 320 miliardi. Se i comuni fanno crack, dunque, non c’e’ problema: le banche creditrici si consoleranno con scorpacciate di ville monumentali, castelli da favola, parchi secolari, palazzi di alta rappresentanza. Insomma tutto quel po’ po’ di ben di Dio che fa dell’Italia, appunto, il Belpaese. E che spesso il Belpaese non sa ne’ apprezzare ne’ valorizzare nel modo giusto.

6.13.2008

Quegli esclusi dal banchetto

Proponiamo in anteprima l'articolo che verrà pubblicato sul prossimo numero del settimanale delle chiese battiste, metodiste e valdesi "Riforma". L'autrice è membro della Commissione globalizzazione e ambiente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI).

di Teresa Isenburg *)

A Roma dal 3 al 5 giugno 2008 si è tenuta la Conferenza sulla sicurezza alimentare mondiale: le sfide del cambiamento climatico e della bioenergia, mentre in parallelo (e non in contrapposizione) dal 1° al 4 giugno ha avuto luogo "Terra preta": forum su crisi alimentare, cambiamento climatico, agrocarburanti e sovranità alimentare. Alla prima, conclusasi con una Dichiarazione, erano presenti capi di stato e di governo di 180 stati, al secondo, terminato con una Piattaforma per un'azione collettiva, esponenti di
800 movimenti sociali e forme organizzate del mondo contadino.

Nell'ultimo anno le rivolte del pane, del riso, della tortilla in oltre 30 paesi spaventano non poco l'establishment, hanno spinto già 28 governi a porre restrizioni alle esportazioni alimentari e impongono di riflettere su quanto è stato fatto nell'ultimo quarto di secolo. È difficile infatti non vedere una correlazione fra le scelte di liberalizzazione commerciale e finanziaria e il tracollo della piccola agricoltura per i mercati locali sottoposta al venire meno di investimenti e sostegno tecnico e alla concorrenza delle derrate importate a bassi prezzi grazie a sovvenzioni (circa $ 380 miliardi all'anno nei paesi ricchi). In Africa occidentale, ad esempio, il Mali e il Senegal importano l'80% del riso, in particolare da Thailandia e Vietnam; il Messico dal 1994, dopo l'entrata in vigore dell'accordo commerciale del Nord America (Nafta) è diventato importatore; Haiti importa il 100% del frumento e il 75% del riso e gli esempi si possono facilmente moltiplicare. In realtà nelle quali fra il 70 e il 90% (in Europa ci si aggira fra il 15 e il 20%) dei redditi famigliari sono assorbiti dal cibo (e questa situazione riguarda 2,2 miliardi di persone) qualunque aumento fa precipitare le situazioni. E come è noto nel giro di un anno i prezzi internazionali sono cresciuti del 130% per il frumento, del 74% per il riso e del 31% per il mais e, attraverso la dipendenza dalle importazioni, gli aumenti si sono abbattuti come una mannaia su uomini, donne e bambini poveri.

Da anni la FAO denuncia la inadeguatezza delle riserve, ma, come ha detto il segretario generale della FAO Jacques Diouf, non vi è stato ascolto fino a quando "gli esclusi dal banchetto dei ricchi non sono scesi in strada". Anche le organizzazioni contadine avvertono da tempo delle nubi che si sono andate accumulando: lo scardinamento del plurisecolare modo di vita contadino ha trasformato milioni di uomini e donne legati alla terra in braccianti o salariati indebitati sbalzati dal loro mondo di riferimento: in meno di un decennio nei villaggi indiani i suicidi di contadini hanno superato la soglia di 150.000, con una protesta silenziosa e disperata; altrove un infinito corteo di persone a cui è stata depredata la speranza si muovono per sprofondare negli slums urbani, mentre è riconosciuto che le forme più assolute di miseria sono nelle aree contadine tradizionali abbandonate dalle autorità.

Sui motivi dell'impennata dei prezzi alimentari sembra ormai esserci una discreta convergenza di opinioni: una certa crescita della domanda per miglioramento economico (Cina, India) e insufficienza del rifornimento locale, insieme a perdite per avversità climatiche giocano, ma per una parte limitata. Forte invece è l'effetto speculativo: dopo la crisi dei mutui immobiliari statunitensi molti capitali si sono spostati, puntando in particolare sui futures drogati dalle prospettive degli agrocombustibili, sulla borsa valori dei prodotti (commodity) di Chicago dove vengono fissati quasi tutti i prezzi alimentari: secondo la Banca Mondiale la speculazione è responsabile del 37% degli aumenti. La produzione di etanolo negli Usa è un secondo fattore: nel 2007 1/3 (138 milioni di t) del raccolto annuo di mais è stato distillato: secondo dirigenti del Fondo Monetario ciò ha determinato il 40% degli incrementi delle derrate. La curva verticale del petrolio incide molto, sia per gli additivi chimici lungo la filiera sia per i trasporti. Concorde è anche la constatazione del declino delle agricolture famigliari, non più seguite dalla grande maggioranza dei governi in ottemperanza degli orientamenti economici prevalenti.

Quali le linee che emergono dai documenti prodotti negli incontri romani? Due parole sintetizzano le differenze: la FAO parla di sicurezza alimentare, il mondo contadino organizzato di sovranità. La FAO vede interventi a breve termine con aiuti e la revisione, sul medio/lungo periodo, delle politiche di sostegno a piccoli produttori, anche se subito dopo auspica una poco conciliabile rapida conclusione dell'agenda di Doha del WTO per la liberalizzazione; ricorda poi l'importanza della biodiversità (cosa positiva, verrebbe da dire, dato che almeno l'amaranto e la quinoa non sono quotati alla borsa di Chicago...), la necessità di contemperare i biocarburanti con la sicurezza alimentare e il risparmio energetico con l'ampliamento dei commerci: un documento, è evidente, frutto di molte mediazioni, non sottoscritto da tutti i paesi, ma da non disprezzare: in un mondo così violentemente bruciato dalle guerre, ogni segno di confronto multilaterale va coltivato come una pianta preziosa. Nel testo del versante contadino l'accento è posto sull'agricoltura famigliare per il mercato interno, con alcuni punti interessanti e operativi, come inserire anche quel settore nelle trattative per Kyoto dopo il 2012 (30% delle emissioni di CO2 proviene dall'agro-zootecnico); naturalmente molto critiche sono le posizioni sulla liberalizzazione e finanziarizzazione del settore agricolo commerciale e sui rischi dell'energia vegetale. Entrambi
evitano il tema delle sementi transgeniche e anche questa è una buona notizia assieme al fatto che dopo decenni si ritorna a parlare di agricoltura materiale che produce cibo e non solo di quella virtuale dei listini di borsa.

Che fare? A noi (io, tu, noi) che siamo in questa pasciuta parte del pianeta, oltre all'aiuto verso chi soffre, spetta di vegliare su quello che fa il nostro paese in materia di politica agricola, soprattutto nelle sedi internazionali (UE, contributi agli organismi internazionali, investimenti esteri) perché sono scelte che hanno conseguenze nel bene o nel male.

*) Commissione globalizzazione e ambiente della Federazione Chiese Evangeliche in Italia (FCEI)

6.11.2008

Futuro vo' cercando

Una storia in presa diretta: un ragazzo di Portici ci racconta la sua storia di giovane precario alla ricerca di un lavoro. Al sud come al nord il bisogno di sicurezza si scontra con un’amara realtà.

di Fabio De Rosa *)

Quando hai in famiglia qualcuno che ha già lasciato Napoli è molto più facile, semplice perché basta seguirlo, perché sicuramente ti darà ospitalità, perchè ti aiuterà quando non conosci niente e nessuno.

Se dovessi esprimere una ragione del perché mi sono trasferito a 900 km da Napoli barrerei la casella vicino alla parola lavoro, ma ci aggiungerei: contratto, busta paga, ferie, malattia,contributi e quanto altro è un normale regolare lavoro.

Quando questo diventa l’eccezione si può decidere di vivere un anno della propria vita nella provincia anonima del Nord Italia lavorando in una fabbrica di merendine a cioccolato piuttosto che in una di antine in legno o ancora di cucine componibili o segnare per sempre la propria arcata sopraccigliare con 6 punti di sutura per diventare per 3 mesi una tuta blu, quelle che hai sempre visto in tv durante gli scioperi per il rinnovo contrattuale.

Diplomato all’istituto tecnico a Scampia e deciso a non seguire i compagni di classe andati ad ingrossare le file dei soldati di professione per sfuggire a quelle delle liste di disoccupazione, avevo bisogno di attestare a me stesso ed agli altri che occupavo un posto nella società quello di lavoratore non importa dove né per quanti soldi, ma volevo avere un lavoro di quelli veri con tanto di contratto, di livello, qualificato non come volantinatore o come agente porta a porta di contratti telefonici.

Ma tutto passava per le agenzie interinali che sollevano il datore di lavoro dall’onere di mantenere i rapporti con il lavoratore: non vieni licenziato o assunto ma semplicemente il tuo contratto viene rinnovato o meno.

Rispetto alla situazione campana e di tutto il Sud Italia sembrerebbe una sorta comunque di avanzamento, poiché nelle nostre zone un lavoro regolare è spesso una chimera.
La tutela dei diritti che dovrebbe essere rappresentata da quel contratto è, però, in realtà fittizia poiché essi vengono sistematicamente scavalcati dal ricatto del rinnovo della prestazione lavorativa. Vendi la tua forza lavoro al miglior offerente, quando il mercato lo richiede in periodi già prestabiliti che sono dettati da picchi di produzione o in prossimità di chiusura degli ordini delle fabbriche.

La condizione di ricattabilità è forte e presente al Sud ma anche al Nord seguendo strade molto diverse che però hanno il medesimo scopo: aggirare l’intero apparato di tutele e diritti conquistati a caro prezzo nel passato attraverso il ricatto che ricade sulla tua scelta di vita, sul tuo futuro, su i tuoi sogni e desideri.

La legge 30 pone una questione morale sopra tutte: quella della dignità di ogni individuo di percorrere la propria strada scegliendo lui cosa è meglio per se stesso.
Il lavoro non è semplicemente un problema di salario ma è il diritto indiscusso di dover lavorare per vivere e non di vivere, e ogni giorno morire, per lavorare!

*) Cgil - Articolo 1

LA DERIVA SECONDO LA BANCA D'ITALIA

Spigolando tra le 350 pagine della Relazione Annuale presentata dal governatore Draghi in occasione dell’assemblea di Bankitalia si scopre che i mali della Penisola sono sempre quelli. Ma peggiorati.

di M. Sironi

Nel 2007 gli italiani hanno lavorato di piu’ per guadagnare gli stessi stipendi, hanno cominciato a "tirare la cinghia" non in senso figurato, hanno dovuto risparmiare di meno, rifugiandosi nei Bot, e gli scappa sempre piu’ spesso di emettere assegni a vuoto (naturale quindi che una buona fetta del Paese resti tenacemente attaccata ai pagamenti in contanti). E' il ritratto del Bel Paese che emerge dalla Relazione Annuale della Banca d’Italia, presentata il 31 maggio in occasione dell’assemblea dell'istituto centrale.

Se le "Considerazioni Finali" del governatore Draghi si segnalano per il sereno equilibrio con cui delineano problemi e soluzioni, l’allegato tomo di 350 pagine parla con la franchezza dei numeri, e non ne esce un bel ritratto.

Dunque, nel 2007 l’occupazione in Italia e’ aumentata ancora (+1% il numero degli occupati), ma essenzialmente perche’ la riforma delle pensioni ha trattenuto piu’ italiani sul posto di lavoro (mentre ad esempio diminuiscono gli studenti lavoratori). Quanto alle retribuzioni, l’incremento e’ stato del 2,1%, ma le retribuzioni reali (cioe’ deflazionate in base all’indice dei prezzi al consumo) sono salite solo dello 0,2%. Ma poiche’ la produttivita’, come e’ arcinoto, sta calando da dieci anni, il fattore lavoro e’ passato nel mix del valore aggiunto dal 63% al 64,5%: come dire che gli italiani per guadagnare lo stesso stipendio devono lavorare di piu’.

Nessuna sorpresa quindi se nello scorso anno la spesa delle famiglie italiane per i beni non durevoli (cioe’ la classica spesa della settimana al supermarket, tra cui alimentari e bevande) e’ scesa dello 0,3%. In Italia si comincia a tirare la cinghia, anche se la cifra dedicata all’acquisto di computer, telefonini e comunicazioni in genere e’ salita del 6%.

Ma si risparmia anche sul risparmio, che una volta era l’arma segreta della nostra economia, perche’ la propensione delle famiglie a mettere qualche soldo da parte ha confermato il suo calo costante, passando dall’11,5% del 2006 all’11,2% del 2007. La consistenza complessiva del risparmio (52 miliardi) e’ ora pari al 3,4% del Pil (nel 2006 era il 4,6%).

Visto l’andazzo delle borse, tranquillizza sapere che oggi gli italiani sono tornati ai bot e depositi bancari, tralasciando gli investimenti piu’ a rischio come azioni e fondi comuni, tanto che nello scorso anno le vendite nette di quote di fondi hanno raggiunto i 35 miliardi di euro. Non si arresta invece la marcia verso gli strumenti di pagamento piu’ evoluti: nel complesso l’utilizzo dei sistemi di pagamento elettronico e’ salito del 6,6%, pur restando ben al di sotto della media europea, mentre il numero degli assegni emessi si e’ specularmene ridotto del 6%.

Ma fa scalpore il forte incremento (+26%) degli assegni iscritti al CAI (Centrale Allarme Interbancaria) perche’ senza copertura o a firma falsa. Cresce anche il numero delle carte di credito revocate perche’ senza copertura. Sono invece diminuite, nel settore, le frodi dopo i picchi del 2006.

Se il 58% degli assegni iscritti al CAI riguarda il Sud e le Isole, la differenza tra Nord e Sud viene rimarcata anche dalla tendenza delle famiglie ad utilizzare la cartamoneta, tendenza piu’ diffusa nel Mezzogiorno dove anzi appare in aumento: nell’arco del 2006 la quota di spesa per contanti sugli acquisti di beni di consumo e’ passata dal 58% al 61%. Tra le ragioni indicate dalla Relazione, il timore di frodi e l’ampia diffusione dell’economia sommersa. E chi e’ andato al cinema a vedere "Gomorra", premiato a Cannes, intuisce che cosa questo possa significare.

5.22.2008

Franchezza sul futuro di Alitalia e chiarezza su ruolo Ermolli

Noi del PD siamo a favore del decreto che autorizza il prestito ponte di 300 milioni ad Alitalia, ma...

di Luigi Zanda *)

È per senso di responsabilità nei confronti dei lavoratori di Alitalia che il Partito Democratico vota a favore del decreto.

Al presidente Berlusconi chiedo di parlare di lealtà e franchezza più che di garbo e gentilezza perché finora sul caso Alitalia non abbiamo ascoltato nessuna franca analisi delle ragioni della crisi e nessun chiaro progetto per il futuro. La crisi Alitalia viene dalle degenerazioni che negli anni 80 e 90 hanno caratterizzato la nostra industria di Stato.

Ma la data che segna il passaggio a una difficoltà drammatica è l'11 settembre 2001 quando governi e compagnie aeree hanno aperto gli occhi. Chi ha capito ha preso le contromisure. Chi non ha capito ne ha subito le conseguenze. In Italia, chi ha governato dal 2001 al 2006, ha proseguito la politica del ripianamento delle perdite di Alitalia. Ha sprecato l'occasione di rendere operativo l'unico progetto possibile, creare una holding con Air France e Klm, procedendo alla privatizzazione.

Ma niente privatizzazione, solo continua e progressiva perdita di pezzi di mercato e, per il vincolo europeo, impossibilità di continuare a ripianare le perdite. Tralascio il gravissimo danno provocato dalla dissennata politica che ha visto svilupparsi sull'intero territorio nazionale ben 100 aeroporti che sembrano essere stati fatti crescere apposta per rendere ancor più irrazionale il traffico aereo italiano.

Con franchezza bisognerebbe inoltre valutare il ruolo che Berlusconi ha assegnato a Bruno Ermolli promotore, per procura privata, della 'cordata' italiana tanto annunciata ma che ancora non c'è. Fa molto effetto la disinvoltura con la quale Ermolli ha svolto il suo incarico e la tranquillità con cui ha portato avanti rilevanti iniziative nei confronti di Alitalia, fa effetto se la si confronta con il rumore che a suo tempo il centrodestra sollevò nei confronti di Angelo Rovati per fatti rivelatisi inesistenti.

Il prestito ponte di 300 milioni può avere un senso soltanto se serve a consentire ad Alitalia di sopravvivere il tempo necessario ad avviare e mettere a regime un nuovo progetto di ristrutturazione e rilancio solido e convincente, la cui responsabilità venga assunta da un qualificato azionista del settore dell'aeronautica civile, un azionista capace di pilotare la compagnia fuori dalla crisi. Per noi questo azionista era Air France. Ma il centro destra, capeggiato da Silvio Berlusconi, ha boicottato le trattative per poi, dopo aver vinto le elezioni, balbettare sugli approdi cui Alitalia dovrebbe essere condotta. A questo punto chiediamo che sul futuro di Alitalia il ministro Tremonti venga al più presto a riferire in Senato.

*) Vicepresidente dei senatori del Partito democratico

4.11.2008

CHI GOVERNÀ LA CRESCITA ZERO?

Se negli States i padri di famiglia abbandonano casa lasciando la chiave nella toppa, i mercati finanziari vanno in crisi e le economie occidentali rischiano la recessione: stiamo esagerando?

di M. Sironi
Ormai lo dice anche il Fondo Monetario Internazionale nell’ultimo World Economic Outlook: la crisi, innescata dai mutui subprime, e’ di ampiezza tale da colpire non solo il sistema finanziario dell’Occidente, ma anche la crescita economica mondiale: nel 2008 sara’ solo del 3,7%, stima rivista al ribasso rispetto a quella di gennaio. Gli Stati Uniti, che la crisi l’hanno provocata concedendo mutui casa praticamente a chiunque, cresceranno solo dello 0,5%. L’Europa, che per di piu’ e’ anche strozzata dal supereuro, non potra’ certo fregarsi le mani, perche’ lo shock finanziario blocchera’ il suo sviluppo all’1,4%. Beninteso come valore medio, perche’ per certi paesi come l’Italia la crescita prevista e’ dello 0,3%.

‘’Pessimismo esagerato’’ – dice il governatore Mario Draghi. Ma alcuni apprezzati economisti, come Mouriel Roubini e David Roche, prevedono per lo Stivale una crescita vicinissima allo zero, se non proprio una recessione. Dunque chi vincera’ le elezioni del 13 e 14 aprile rischia di dover governare la Nave Italia in un momento tra i piu’ procellosi. E tutto perche’ l’anno scorso negli USA si e’ sgonfiata la bolla immobiliare, quella che per anni ha permesso a moltissimi americani di spendere e spandere al di sopra delle loro effettive possibilita’ grazie alle quotazioni ribollenti delle loro case.

Il fatto e’ che negli USA, se un padre di famiglia si accorge che il mutuo che gli resta da pagare e’ piu’ grande del valore di mercato della sua casa, puo’ semplicemente andarsene lasciando le chiavi nella toppa: chiuso l’incidente, piu’ nulla e’ dovuto alla banca. E con lo sboom e’ successo a tanti: a fine 2008 ci saranno 16 milioni di case ‘’sott’acqua’’ , ha detto Roubini all’ultimo meeting di Cernobbio.

La crisi , partita dai subprime (mutui concessi a clienti privi di garanzie), si e’ estesa ai prime (mutui per clienti garantiti), alle attivita’ edilizie in genere, e poi ai consumi delle famiglie che rappresentano il 72% del PIL statunitense. Ma non ha risparmiato il mercato puramente finanziario dei prodotti derivati, tra i quali abbondano le obbligazioni emesse dalle banche per cartolarizzare i loro crediti, a rischio e non a rischio, che a loro volta sono entrare in massa nei portafogli degli hedge fund (fondi di investimento che investono programmaticamente in prodotti ad alto rischio/rendimento). I quali hedge fund operano tipicamente utilizzando alla grande la loro leva finanziaria, leggi capacita’ di indebitarsi. Morale: le stime dell’FMI parlano di 1000 miliardi di dollari di perdite a livello mondiale, di cui la gran parte verra’ assorbita dalle banche americane. Ma non solo, perche’ dopo le banche Usa la crisi ha toccato anche quelle europee, con tanto di colossi come l’UBS che si trova costretta a decapitare il vertice aziendale e a chiedere l’aiuto di Sergio Marchionne ( il deus ex machina artefice della rinascita Fiat).

Ma , tornando a noi, c’e’ un ma: la crisi italiana ha poco o nulla a che fare con hedge fund e subprime, verso i quali sono esposte – ma per poco – solo alcune delle nostre grandi banche, come Unicredit e BNL. E’ l’FMI a dirlo. I nostri problemi sono li’ da sempre, e sono strutturali : scarsa produttivita’, infrastrutture carenti, colossale debito di Stato: possiamo risolverli con un mondo in recessione?


2.08.2008

INCONTRO NAZIONALE SUL LAVORO PRECARIO

Sabato 9 febbraio 2008, dalle 14.30 alle 19.00, gli amici dell'associazione Culturale "DON CHISCIOTTE" di San Marino, in collaborazione con Comitati Referendari per i 3 sì sul lavoro e Comitato Rinnovamento & Trasparenza Sindacale (e con il patrocinio della Segreteria di Stato per l’Istruzione, la Cultura, l’Università e gli Affari Sociali), organizza a San Marino ("Sala Polivalente", Piazza Filippo da Sterpeto, Domagnano) un incontro nazionale sul precariato dal titolo: "Tempi Precari".

Per informazioni dettagliate andate alla pagina dedicata all'incontro, che trovate su www.associazionedonchisciotte.org/tempi_precari.htm

Relatori (in ordine alfabetico)saranno: PIER GIOVANNI ALLEVA (membro del Centro per i Diritti del Lavoro "Pietro Alò", estensore della Proposta di Legge - omonima - che tenta di superare la L.30), MARCO BECCARI (Segretario Generale CDLS, Confederazione Democratica Lavoratori Sammarinesi), FABRIZIO BURATTO (Autore di "Curriculum atipico di un trentenne tipico", Marsilio, 2007), PADRE CLAUDIO CICCILLO ( Vicepresidente Ce.I.S. Ravenna, membro dell'Ass. San Damiano), GIORGIO CREMASCHI (Segretario Nazionale FIOM-CGIL, Leader della Rete28Aprile in CGIL), MAURO GALLEGATI ( Prof. Di economia all'università di Ancona, collaboratore di Joseph Stiglitz (nobel economia 2001) e di Beppe Grillo), GIAN LUIGI MACINA (membro dei comitati referendari sammarinesi, membro del Comitato di Rinnovamento & Trasparenza Sindacale, ex segretario confederale CSdL), PIERMARINO MULARONI (Segretario di Stato al Lavoro), VINCENZO SINISCALCHI (SdL (Sindacato dei Lavoratori) intercategoriale, portavoce del comitato referendario italiano contro la L.30, il DL 276/2003, il DL 368/2001 e l'art.19 della L.300/70), ORNELLA VEGLIO (Scrittrice, Consigliera Provinciale di Parità di Lodi, dal 1993 al 2000 Segretaria generale CGIL Scuola Provincia di Lodi)

PROGRAMMA: 14.30: "introduzione ai lavori.", 14.45: On. Pier Marino Mularoni "relazione introduttiva sulla situazione normativa sammarinese in ambito di lavoro", 15.00: Mauro Gallegati "problematiche inerenti la precarizzazione dei rapporti di lavoro dipendente e i suoi risvolti sociali.", 15.20: Marco Beccari "Posizioni della CDLS riguardo il precariato e le iniziative referendarie", 15.40: Gian Luigi Macina "I motivi dei referendum sammarinesi sul lavoro", 16.00: Pier Giovanni Alleva "La filosofia alla base della proposta di legge presentata da giuristi democratici", 16.20: Ornella Veglio "Donne e uomini: i rischi atipici", 16.40: Vincenzo Siniscalchi "I motivi dei referendum italiani sul lavoro", 17.00: Giorgio Cremaschi "Atteggiamenti di FIOM-CGIL e Rete28Aprile riguardo il precariato e le iniziative referendarie", 17.20: Don Claudio Ciccillo "Atteggiamenti della Chiesa verso il precariato", 17.40: Fabrizio Buratto "L'esperienza della precarietà vissuta sulla propria pelle".

18.00: Apertura del dibattito. 19.00: Chiusura dei lavori