4.08.2010

Gli errori della Germania dietro la crisi greca

 

I conti di Atene erano gonfiati. Ma le banche tedesche hanno comprato nel corso del tempo 120 mld di titoli ellenici.


di Mario Lettieri *)
e Paolo Raimondi **)

Le recenti dichiarazioni di Berlino di voler mettere fuori dall'euro e dall'Unione Europea le nazioni con un alto deficit e un crescente debito, come la Grecia, sono un grave errore. Non solo perché si infligge una ferita al proprio corpo ma soprattutto in quanto si pecca di una totale mancanza di prospettiva politica.

    Certo è che la Grecia ha manovrato i propri conti con l'aiuto delle grandi banche internazionali per rientrare nei parametri di Maastricht. Anche altri paesi europei sono sospettati di averlo fatto. E ha anche operato sulla leva del debito per mantenere uno standard economico superiore alle sue capacità. Ma è altrettanto vero che sono state soprattutto le banche tedesche, insieme a quelle francesi, a comprare la maggior parte delle obbligazioni dello stato greco. Infatti insieme detengono 120 dei 300 miliardi di euro di debito pubblico greco.

    Purtroppo i media tedeschi continuano a soffiare sul fuoco creando un pericoloso cambiamento psicologico nella pubblica opinione. Der Spiegel ha definito la crisi in Europa come «la bugia dell'euro» e la Frankfurter Allgemeine Zeitung ha ventilato l'ipotesi di un crollo dell'euro e di un possibile ritorno al marco. Non vorremmo che ciò diventasse «il sentire» di massa.

    Vero è che l'economia tedesca è quella meglio organizzata e tecnologicamente più competitiva e con un surplus commerciale secondo solo alla Cina. Però il 43% dell'export tedesco riguarda i 16 paesi dell'Ue. L'Europa rappresenta quindi il mercato primario di sbocco per l'economia tedesca di beni e macchinari e sarebbe un grave errore quello di smantellarlo invece di svilupparlo e integrarlo in un progetto di modernizzazione più vasta.

    Certamente le contraddizioni nel sistema europeo sono state esacerbate dalla crisi globale per cui giova poco prendersela con i piccoli paesi che hanno peccato di furbizia, per non affrontare i grandi giocatori d'azzardo, tra cui le banche tedesche, che sono state seconde soltanto a quelle americane nella grande speculazione in derivati e in altre operazioni finanziarie altamente rischiose. La Bafin, la Consob tedesca, stima infatti che le banche della Germania abbiano attualmente oltre 800 miliardi di euro di titoli tossici ancora da smaltire.

    Nei giorni passati il governo tedesco, insieme alla Francia e all'Italia, ha cercato giustamente di mettere un freno alla speculazione dei credit default sawps contro l'euro e di introdurre un restrittivo «passaporto europeo» per gli hedge fund. L'iniziativa è stata bloccata da Londra ritardando così il processo di riforma del sistema finanziario.

    Ciò non deve sorprendere in quanto la City, più che Wall Street, è il vero centro della finanza speculativa, tanto che il 70% degli hedge fund ha sede sulle sponde del Tamigi. Quindi Londra, e non Atene, rappresenta il vero grande problema che l'Ue deve affrontare e risolvere. La sterlina è stata mantenuta fuori dall'euro, ma l'Inghilterra negli anni scorsi ha incassato sovvenzioni europee per decine e decine di miliardi di euro a sostegno della sua economia. In pratica ha ottenuto molti benefici senza nulla dare.

    Ricordiamo che l'economia inglese registra un deficit di bilancio del 12,7%, una disoccupazione dell'8%, un debito aggregato pubblico e privato del 253% del Pil.

    Più che pensare a fughe all'indietro, si dovrebbe accelerare la costruzione di un'Europa economica e politica autenticamente unita. È indubbiamente sbagliato che gli altri paesi europei polemizzino contro la Germania per la sua alta capacità di export, perché ciò non è una debolezza ma è un punto di forza dell'economia tedesca i cui effetti non possono che giovare all'intera eurozona.

    Da tempo sosteniamo la necessità di una politica europea comune di sviluppo e di emettere eurobond, non per pagare i debiti dei paesi a rischio di default, come molte banche vorrebbero, ma per finanziare investimenti continentali a lungo termine nelle infrastrutture e nelle nuove tecnologie.


(Italia Oggi 27.3.10)


*)    Sottosegretario all'Economia nel governo Prodi 
**)  Economista