10.28.2014

Non c’è solo il sistema bancario

di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)

e Paolo Raimondi, Economista

Alla recente conferenza di Napoli il governatore centrale Mario Draghi ha ribadito l'importanza delle tre operazioni di intervento finanziario della BCE a sostegno del sistema bancario. Si tratta del programma di acquisto di derivati abs, di acquisto di covered bond (obbligazioni bancarie garantite) e il programma LTRO (piani di rifinanziamento bancario a lungo termine).

Come è noto la manovra sul tasso di interesse è ormai esaurita. Di conseguenza, ha aggiunto Draghi, con l'immissione di nuova liquidità il bilancio BCE dovrebbe risalire ai livelli del 2012 quando aveva raggiunto i 3.000 miliardi di euro circa. Il volume potenziale di nuovi acquisti sarebbe intorno a 1.000 miliardi di euro.

Ancora una vota si tratta di interventi a favore del sistema bancario europeo che poi, bontà sua, dovrebbe o potrebbe trasformali in nuove linee di credito per le PMI e per nuovi investimenti. Questo passaggio "obbligatorio" è giustificato dalla BCE per il fatto che in Europa l'80% del credito transita attraverso il sistema bancario.

Secondo noi questo passaggio è invece necessario solo per la salute delle grandi banche, sempre esposte ai rischi di nuove crisi per avere continuato a mantenere certi comportamenti speculativi e poco virtuosi anche dopo il 2008.

Un recente studio indica che a fine luglio 2014 le 100 banche europee più esposte ai rischi sistemici avevano insieme 810 miliardi di euro in titoli ad alto rischio. Soltanto 5 banche, con la Deutsche Bank in testa, ne detengono il 39%. Le banche di Francia e Gran Bretagna insieme ne detengono il 55%.

Il 4 novembre prossimo la BCE inizierà ad attuare la vigilanza diretta sui 120 maggiori gruppi bancari dell'area dell'euro, che rappresentano oltre l'85% delle attività bancarie. Per l'occasione molto probabilmente occorreranno molte "pezze finanziarie" d'appoggio!

Alla prova dei fatti i citati meccanismi finora non sono stati però capaci di mettere in moto una ripresa effettiva ne dell'economia ne della domanda aggregata. Infatti alla fine del 2013 i consumi privati erano del 2% inferiori a quelli del 2007 e gli investimenti privati erano sotto del 20%. Hanno retto soltanto le esportazioni.

Nel frattempo per alcuni paesi europei il debito pubblico rischia davvero di diventare insostenibile. Nell'euro zona è in media il 95,5% del Pil. Qualora dovesse ancora aumentare esso sarebbe un fardello pesante che potrebbe frenare e ulteriormente bloccare la ripresa economica. Non si dimentichi che il pagamento degli interessi passivi sul debito sottrae notevoli risorse alle politiche economiche e sociali. Nel 2013 l'Italia ne ha pagato 95 miliardi di euro.

In molte capitali europee però la ristrutturazione del debito pubblico è ancora un tabu in quanto è stata erroneamente e maliziosamente associata ad un presunto aiuto gratuito fatto dai Paesi sedicenti virtuosi a quelli cosiddetti spendaccioni.

Noi riteniamo che in una tale situazione la BCE non abbia soltanto l'opzione di aiuto finanziario al sistema bancario. Essa potrebbe per esempio acquistare una parte del debito pubblico, sopra il limite del 60% del Pil indicato dai parametri di Maastricht, e tenerlo congelato al tasso di interesse zero, come indicato nel documento "Politically Acceptable Debt Restructuring in the Eurozone" preparato da economisti dell'International Center for Monetary and Banking Studies (ICMB) di Ginevra. La Bce sarebbe l'unica istituzione capace di mobilitare sufficienti risorse per una tale operazione. Se ad esempio lo si volesse fare per metà del debito pubblico europeo l'ammontare sarebbe di circa 4,5 trilioni di euro.

La Bce dovrebbe prendere in prestito una simile cifra sui mercati finanziari in cambio di sue obbligazioni, oppure creare la liquidità interna necessaria per acquistare i debiti pubblici da ritirare. Ovviamente l'operazione, almeno inizialmente, sarebbe in perdita in quanto la BCE dovrebbe pagare gli interessi sui nuovi titoli emessi senza ricevere gli interessi dei vecchi titoli del debito pubblico dei vari Stati.

Non si genererebbe inflazione in quanto la BCE chiederebbe dei prestiti, oppure la liquidità creata ed usata per l'acquisto dei debiti sarebbe poi "sterilizzata" attraverso l'emissione di obbligazioni BCE. La BCE ha una sua forte credibilità sui mercati.

Per cui essa acquisterebbe parte del debito pubblico eccedente la quota del 60% in proporzione allo stock di partecipazione dei singoli Paesi europei al suo capitale. Essi ripagherebbero l'ammontare degli interessi per un periodo indefinito lasciando nelle casse della Banca centrale il profitto che spetterebbe loro dai proventi di signoraggio che la BCE annualmente dovrebbe distribuire agli Stati. Ciò potrebbe essere sufficiente se l'intereresse sulle nuove obbligazioni emesse dalla Banca centrale fosse contenuto.

Molto probabilmente il costo complessivo di tale operazione della BCE non dovrebbe essere maggiore di quello che attualmente sostiene per finanziare il sistema bancario.

In ogni caso i costi verrebbero progressivamente assorbiti anche attraverso la presumibile crescita economica prodotta dalla capacità delle economie di operare per lo sviluppo in modo meno condizionato dai debiti e dai mercati. La BCE dovrebbe mantenere l'autorità di imporre il vecchio pagamento degli interessi sul debito ad un Paese che intendesse continuare con la pratica del debito facile.

Una simile operazione si combinerebbe perfettamente con il programma annunciato timidamente dal nuovo presidente della Commissione europea, Jean-Claude Junker, di lanciare investimenti pubblici in infrastrutture, modernizzazioni e nuove tecnologie per 300 miliardi di euro in un periodo di 3 anni.

Finalmente i governi sarebbero meno dipendenti e pressati dai mercati finanziari mentre i settori dell'economia reale verrebbero stimolati da nuovi investimenti.

 

Occasione unica per l’Europa

Il prossimo summit dell'Asia-Europe Meeting (ASEM) di Milano

di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)

e Paolo Raimondi, Economista

Il prossimo summit dell'Asia-Europe Meeting (ASEM) di Milano è differente da tutti gli altri numerosi incontri internazionali, a cominciare dal G20. Gli Stati Uniti saranno assenti. Si tratta, infatti, della conferenza dei capi di stato e di governo dell'Asia e dell'Europa.

Noi auspichiamo che questo evento sia consapevolmente trasformato dall'Unione europea e dai singoli Paesi dell'Europa in una occasione per avviare seriamente una cooperazione economica e strategica con l'intero continente euro-asiatico.

E' stato un anno di conflitti e di destabilizzazioni, purtroppo non ancora risolti, nel continente europeo, nel Mediterraneo e nel vicino Medio Oriente. I paesi euro-asiatici però si presentano a Milano con una visione alternativa e strategica di sviluppo pacifico multipolare, con proposte concrete di riforma del sistema monetario internazionale e con programmi di ampio respiro nel settore delle infrastrutture e per la modernizzazione dei loro vastissimi territori.

La Cina ha in cantiere una serie di grandi progetti che non sono più solo sulla carta. C'è in particolare la "Silk Road Economic Belt", cioè la nuova via della seta che, passando attraverso il Kazakhstan, dovrebbe arrivare in Europa. La dirigenza cinese vorrebbe fare di Berlino il suo snodo centrale, prima di arrivare fino ai porti atlantici. Ne ha già parlato con i governanti della Germania.

La Cina ha sviluppato tutta una serie di altre vie della seta, anche in direzione Sud fino all'India. Il presidente cinese Xi Jinping ha recentemente presentato al Primo ministro indiano, Narendra Modi, un piano di investimenti per 100 miliardi di dollari e la proposta di realizzare insieme una via della seta marittima che entrando nel Mediterraneo attraverso il Canale di Suez, potrebbe agganciarsi, attraversando l'Italia, all'intera rete infrastrutturale europea.

E' da sottolineare il fatto che per finanziare simili progetti la Cina e molti altri Paesi considerati emergenti non fanno più riferimento alle vecchie istituzioni finanziarie e monetarie, come il Fmi e la Banca Mondiale. Stanno invece alacremente lavorando, ad esempio, per la costruzione della Asian Infrastructure Investment Bank.

In risposta alla pericolosa e persistente volontà degli Stati Uniti di considerarsi l'unica potenza mondiale e nel mezzo delle sanzioni americane ed europee contro Mosca per la crisi ucraina, la Cina e la Russia hanno a maggio siglato lo storico accordo di forniture russe di 38 miliardi di metri cubi di gas per un valore complessivo di 400 miliardi di dollari in trent'anni.

Come abbiamo più volte scritto, la Russia, tra l'altro, sta anche lavorando alla realizzazione della TransEuro-Asian Development Belt "Razvitie" che prevede corridoi infrastrutturali (ferrovie, strade, energia, comunicazione) dalle coste del Pacifico fino all'Europa e all'Atlantico. Si tratta di un enorme progetto. Sarà realizzabile soltanto in cooperazione tecnologica con l'Europa. Esso mira, infatti, alla creazione di nuove città, di insediamenti urbani, di qualificati centri scientifici e agroindustriali anche nella vastissima e poco abitata Siberia.

Nelle ultime settimane, Vladimir Yakunin, presidente delle Ferrovie Russe e promotore del Razvitie, è stato due volte in Cina, a Shanghai e a Lanzhou, proprio per discutere di questi corridoi di sviluppo. I rappresentanti cinesi hanno intelligentemente proposto di collegare la via della seta con il Razvitie attraverso nuovi collegamenti ferroviari.

In questa prospettiva è doveroso notare che molti di questi progetti, soprattutto quelli relativi all'energia, tendono a bypassare l'intermediazione del dollaro per essere stipulati direttamente in yuan e in rubli. Secondo gli ultimi resoconti, sulla borsa di Mosca gli scambi rublo-yuan sarebbero già decuplicati.

Ciò evidentemente accade non per una scelta estemporanea ma dopo lo storico incontro dei paesi BRICS a Fortaleza in Brasile dove, tra l'altro, fu "lanciata" la New Development Bank con un capitale iniziale equivalente a 100 miliardi di dollari.

Come si vede, il Razvitie e le varie vie della seta avrebbero il loro capolinea in Europa dove purtroppo l'Unione europea e la burocrazia di Bruxelles appaiono ancora troppo succubi e timidi nel formulare un'autonoma strategia di sviluppo e di cooperazione internazionali rispetto agli USA. Forse si pensa, come ai vecchi tempi degli imperi, di essere i primi al mondo. Così non è. La recessione e la persistente e crescente disoccupazione ce lo ricordano quotidianamente. .

Noi riteniamo che per l'Europa la via d'uscita dalla crisi, oltre agli ineludibili compiti da risolvere a casa propria da parte di tutti, sia anche nella fattiva partecipazione ai grandi progetti infrastrutturali e di sviluppo sopra menzionati.

La nostra tecnologia, le nostre professionalità e la nostra imprenditorialità sono indispensabili alla realizzazione di simili progetti. E non si tratta soltanto di esportare più prodotti di alta tecnologia ma anche di partecipare direttamente ai lavori. Ciò non può che contribuire alla ripresa economica ed occupazionale anche del nostro Paese.

 

Il Secolo XIX non sarà più stampato a Genova

LAVORO E DIRITTI

a cura di www.rassegna.it

La notizia arriva nella capitale ligure ancora

alle prese con i danni dell’inondazione

Il Secolo XIX non sarà più stampato a Genova. E’ questo il primo effetto dell’accordo tra Il Secolo XIX e La Stampa. La notizia è arrivata martedì pomeriggio nel corso di una riunione tra le Organizzazioni sindacali e il responsabile del Centro stampa di San Biagio e l’amministratore delegato della Sep, società alla quale fa capo il Decimonono.

“Con questa decisione – commentano Slc Cgil e Fistel Cisl Genova – altre 55 famiglie genovesi saranno presto sulla strada”. La Slc Cgil e la Fistel Cisl stanno avviando le iniziative di mobilitazione contro “una decisione aziendale inaccettabile".

 

10.26.2014

Non c’è solo il sistema bancario

 
di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)
Paolo RaimondiEconomista
 
Alla recente conferenza di Napoli il governatore centrale Mario Draghi ha ribadito l'importanza delle tre operazioni di intervento finanziario della BCE a sostegno del sistema bancario. Si tratta del programma di acquisto di derivati abs, di acquisto di covered bond (obbligazioni bancarie garantite) e il programma LTRO (piani di rifinanziamento bancario a lungo termine).
    Come è noto la manovra sul tasso di interesse è ormai esaurita. Di conseguenza, ha aggiunto Draghi, con l'immissione di nuova liquidità il bilancio BCE dovrebbe risalire ai livelli del 2012 quando aveva raggiunto i 3.000 miliardi di euro circa. Il volume potenziale di nuovi acquisti sarebbe intorno a 1.000 miliardi di euro.
    Ancora una vota si tratta di interventi a favore del sistema bancario europeo che poi, bontà sua, dovrebbe o potrebbe trasformali in nuove linee di credito per le PMI e per nuovi investimenti.  Questo passaggio "obbligatorio" è giustificato dalla BCE per il fatto che in Europa l'80% del credito transita attraverso il sistema bancario.
    Secondo noi questo passaggio è invece necessario solo per la salute delle grandi banche, sempre esposte ai rischi di nuove crisi per avere continuato a mantenere certi comportamenti speculativi e poco virtuosi anche dopo il 2008.
    Un recente studio indica che a fine luglio 2014 le 100 banche europee più esposte ai rischi sistemici avevano insieme 810 miliardi di euro in titoli ad alto rischio. Soltanto 5 banche, con la Deutsche Bank in testa, ne detengono il 39%. Le banche di Francia e Gran Bretagna insieme ne detengono il 55%.
    Il 4 novembre prossimo la BCE inizierà ad attuare la vigilanza diretta sui 120 maggiori gruppi bancari dell'area dell'euro, che rappresentano oltre l'85% delle attività bancarie. Per l'occasione molto probabilmente occorreranno molte "pezze finanziarie" d'appoggio!
    Alla prova dei fatti i citati meccanismi finora non sono stati però capaci di mettere in moto una ripresa effettiva ne dell'economia ne della domanda aggregata. Infatti alla fine del 2013 i consumi privati erano del 2% inferiori a quelli del 2007 e gli investimenti privati erano sotto del 20%. Hanno retto soltanto le esportazioni.
    Nel frattempo per alcuni paesi europei il debito pubblico rischia davvero di diventare insostenibile. Nell'euro zona è in media il 95,5% del Pil. Qualora dovesse ancora aumentare esso sarebbe un fardello pesante che potrebbe frenare e ulteriormente bloccare la ripresa economica. Non si dimentichi che il pagamento degli interessi passivi sul debito sottrae notevoli risorse alle politiche economiche e sociali. Nel 2013 l'Italia ne ha pagato 95 miliardi di euro.
    In molte capitali europee però la ristrutturazione del debito pubblico è ancora un tabu in quanto è stata erroneamente e maliziosamente associata ad un presunto aiuto gratuito fatto dai Paesi sedicenti virtuosi a quelli cosiddetti spendaccioni.
    Noi riteniamo che in una tale situazione la BCE non abbia soltanto l'opzione di aiuto finanziario al sistema bancario. Essa potrebbe per esempio acquistare una parte del debito pubblico, sopra il limite del 60% del Pil indicato dai parametri di Maastricht, e tenerlo congelato al tasso di interesse zero, come indicato nel documento "Politically Acceptable Debt Restructuring in the Eurozone" preparato da economisti dell'International Center for Monetary and Banking Studies (ICMB) di Ginevra. La Bce sarebbe l'unica istituzione capace di mobilitare sufficienti risorse per una tale operazione. Se ad esempio lo si volesse fare per metà del debito pubblico europeo l'ammontare sarebbe di circa 4,5 trilioni di euro.
    La Bce dovrebbe prendere in prestito una simile cifra sui mercati finanziari in cambio di sue obbligazioni, oppure creare la liquidità interna necessaria per acquistare i debiti pubblici da ritirare. Ovviamente l'operazione, almeno inizialmente, sarebbe in perdita in quanto la BCE dovrebbe pagare gli interessi sui nuovi titoli emessi senza ricevere gli interessi dei vecchi titoli del debito pubblico dei vari Stati. 
    Non si genererebbe inflazione in quanto la BCE chiederebbe dei prestiti, oppure la liquidità creata ed usata per l'acquisto dei debiti sarebbe poi "sterilizzata" attraverso l'emissione di obbligazioni BCE. La BCE ha una sua forte credibilità sui mercati. 
    Per cui essa acquisterebbe parte del debito pubblico eccedente la quota del 60% in proporzione allo stock di partecipazione dei singoli Paesi europei al suo capitale. Essi ripagherebbero l'ammontare degli interessi per un periodo indefinito lasciando nelle casse della Banca centrale il profitto che spetterebbe loro dai proventi di signoraggio che la BCE annualmente dovrebbe distribuire agli Stati. Ciò potrebbe essere sufficiente se l'intereresse sulle nuove obbligazioni emesse dalla Banca centrale fosse contenuto.
    Molto probabilmente il costo complessivo di tale operazione della BCE non dovrebbe essere maggiore di quello che attualmente sostiene per finanziare il sistema bancario.
    In ogni caso i costi verrebbero progressivamente assorbiti anche attraverso la presumibile crescita economica prodotta dalla capacità delle economie di operare per lo sviluppo in modo meno condizionato dai debiti e dai mercati. La BCE dovrebbe mantenere l'autorità di imporre il vecchio pagamento degli interessi sul debito ad un Paese che intendesse continuare con la pratica del debito facile.
    Una simile operazione si combinerebbe perfettamente con il programma annunciato timidamente dal nuovo presidente della Commissione europea, Jean-Claude Junker, di lanciare investimenti pubblici in infrastrutture, modernizzazioni e nuove tecnologie per 300 miliardi di euro in un periodo di 3 anni.
    Finalmente i governi sarebbero meno dipendenti e pressati dai mercati finanziari mentre i settori dell'economia reale verrebbero stimolati da nuovi investimenti. 

10.21.2014

Occasione unica per l’Europa

Il prossimo summit dell'Asia-Europe Meeting (ASEM) di Milano
 
di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)
Paolo RaimondiEconomista
 
Il prossimo summit dell'Asia-Europe Meeting (ASEM) di Milano è differente da tutti gli altri numerosi incontri internazionali, a cominciare dal G20. Gli Stati Uniti saranno assenti. Si tratta, infatti, della conferenza dei capi di stato e di governo dell'Asia e dell'Europa.
     Noi auspichiamo che questo evento sia consapevolmente trasformato dall'Unione europea e dai singoli Paesi dell'Europa in una occasione per avviare seriamente una cooperazione economica e strategica con l'intero continente euro-asiatico.
     E' stato un anno di conflitti e di destabilizzazioni, purtroppo non ancora risolti, nel continente europeo, nel Mediterraneo e nel vicino Medio Oriente. I paesi euro-asiatici però si presentano a Milano con una visione alternativa e strategica di sviluppo pacifico multipolare, con proposte concrete di riforma del sistema monetario internazionale e con programmi di ampio respiro nel settore delle infrastrutture e per la modernizzazione dei loro vastissimi territori.
     La Cina ha in cantiere una serie di grandi progetti che non sono più solo sulla carta. C'è in particolare la "Silk Road Economic Belt", cioè la nuova via della seta che, passando attraverso il Kazakhstan, dovrebbe arrivare in Europa. La dirigenza cinese vorrebbe fare di Berlino il suo snodo centrale, prima di arrivare fino ai porti atlantici. Ne ha già parlato con i governanti della Germania.
     La Cina ha sviluppato tutta una serie di altre vie della seta, anche in direzione Sud fino all'India. Il presidente cinese Xi Jinping ha recentemente presentato al Primo ministro indiano, Narendra Modi, un piano di investimenti per 100 miliardi di dollari e la proposta di realizzare insieme una via della seta marittima che entrando nel Mediterraneo attraverso il Canale di Suez, potrebbe agganciarsi, attraversando l'Italia, all'intera rete infrastrutturale europea.
     E' da sottolineare il fatto che per finanziare simili progetti la Cina e molti altri Paesi considerati emergenti non fanno più riferimento alle vecchie istituzioni finanziarie e monetarie, come il Fmi e la Banca Mondiale. Stanno invece alacremente lavorando, ad esempio, per la costruzione della Asian Infrastructure Investment Bank.
     In risposta alla pericolosa e persistente volontà degli Stati Uniti di considerarsi l'unica potenza mondiale e nel mezzo delle sanzioni americane ed europee contro Mosca per la crisi ucraina, la Cina e la Russia hanno a maggio siglato lo storico accordo di forniture russe di 38 miliardi di metri cubi di gas per un valore complessivo di 400 miliardi di dollari in trent'anni.
     Come abbiamo più volte scritto, la Russia, tra l'altro, sta anche lavorando alla realizzazione della TransEuro-Asian Development Belt "Razvitie" che prevede corridoi infrastrutturali (ferrovie, strade, energia, comunicazione) dalle coste del Pacifico fino all'Europa e all'Atlantico. Si tratta di un enorme progetto. Sarà realizzabile soltanto in cooperazione tecnologica con l'Europa. Esso mira, infatti, alla creazione di nuove città, di insediamenti urbani, di qualificati centri scientifici e agroindustriali anche nella vastissima e poco abitata Siberia.
     Nelle ultime settimane, Vladimir Yakunin, presidente delle Ferrovie Russe e promotore del Razvitie, è stato due volte in Cina, a Shanghai e a Lanzhou, proprio per discutere di questi corridoi di sviluppo. I rappresentanti cinesi hanno intelligentemente proposto di collegare la via della seta con il Razvitie attraverso nuovi collegamenti ferroviari.
     In questa prospettiva è doveroso notare che molti di questi progetti, soprattutto quelli relativi all'energia, tendono a bypassare l'intermediazione del dollaro per essere stipulati direttamente in yuan e in rubli. Secondo gli ultimi resoconti, sulla borsa di Mosca gli scambi rublo-yuan sarebbero già decuplicati.
     Ciò evidentemente accade non per una scelta estemporanea ma dopo lo storico incontro dei paesi BRICS a Fortaleza in Brasile dove, tra l'altro, fu "lanciata" la New Development Bank con un capitale iniziale equivalente a 100 miliardi di dollari.
     Come si vede, il Razvitie e le varie vie della seta avrebbero il loro capolinea in Europa dove purtroppo l'Unione europea e la burocrazia di Bruxelles appaiono ancora troppo succubi e timidi nel formulare un'autonoma strategia di sviluppo e di cooperazione internazionali rispetto agli USA. Forse si pensa, come ai vecchi tempi degli imperi, di essere i primi al mondo. Così non è. La recessione e la persistente e crescente disoccupazione ce lo ricordano quotidianamente. .
     Noi riteniamo che per l'Europa la via d'uscita dalla crisi, oltre agli ineludibili compiti da risolvere a casa propria da parte di tutti, sia anche nella fattiva partecipazione ai grandi progetti infrastrutturali e di sviluppo sopra menzionati.
     La nostra tecnologia, le nostre professionalità e la nostra imprenditorialità sono indispensabili alla realizzazione di simili progetti. E non si tratta soltanto di esportare più prodotti di alta tecnologia ma anche di partecipare direttamente ai lavori. Ciò non può che contribuire alla ripresa economica ed occupazionale anche del nostro Paese.

10.16.2014

Occasione unica per l’Europa - Il prossimo summit dell’Asia-Europe Meeting (ASEM) di Milano

di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)

e Paolo Raimondi, Economista

Il prossimo summit dell'Asia-Europe Meeting (ASEM) di Milano è differente da tutti gli altri numerosi incontri internazionali, a cominciare dal G20. Gli Stati Uniti saranno assenti. Si tratta, infatti, della conferenza dei capi di stato e di governo dell'Asia e dell'Europa.

Noi auspichiamo che questo evento sia consapevolmente trasformato dall'Unione europea e dai singoli Paesi dell'Europa in una occasione per avviare seriamente una cooperazione economica e strategica con l'intero continente euro-asiatico.

E' stato un anno di conflitti e di destabilizzazioni, purtroppo non ancora risolti, nel continente europeo, nel Mediterraneo e nel vicino Medio Oriente. I paesi euro-asiatici però si presentano a Milano con una visione alternativa e strategica di sviluppo pacifico multipolare, con proposte concrete di riforma del sistema monetario internazionale e con programmi di ampio respiro nel settore delle infrastrutture e per la modernizzazione dei loro vastissimi territori.

La Cina ha in cantiere una serie di grandi progetti che non sono più solo sulla carta. C'è in particolare la "Silk Road Economic Belt", cioè la nuova via della seta che, passando attraverso il Kazakhstan, dovrebbe arrivare in Europa. La dirigenza cinese vorrebbe fare di Berlino il suo snodo centrale, prima di arrivare fino ai porti atlantici. Ne ha già parlato con i governanti della Germania.

La Cina ha sviluppato tutta una serie di altre vie della seta, anche in direzione Sud fino all'India. Il presidente cinese Xi Jinping ha recentemente presentato al Primo ministro indiano, Narendra Modi, un piano di investimenti per 100 miliardi di dollari e la proposta di realizzare insieme una via della seta marittima che entrando nel Mediterraneo attraverso il Canale di Suez, potrebbe agganciarsi, attraversando l'Italia, all'intera rete infrastrutturale europea.

E' da sottolineare il fatto che per finanziare simili progetti la Cina e molti altri Paesi considerati emergenti non fanno più riferimento alle vecchie istituzioni finanziarie e monetarie, come il Fmi e la Banca Mondiale. Stanno invece alacremente lavorando, ad esempio, per la costruzione della Asian Infrastructure Investment Bank.

In risposta alla pericolosa e persistente volontà degli Stati Uniti di considerarsi l'unica potenza mondiale e nel mezzo delle sanzioni americane ed europee contro Mosca per la crisi ucraina, la Cina e la Russia hanno a maggio siglato lo storico accordo di forniture russe di 38 miliardi di metri cubi di gas per un valore complessivo di 400 miliardi di dollari in trent'anni.

Come abbiamo più volte scritto, la Russia, tra l'altro, sta anche lavorando alla realizzazione della TransEuro-Asian Development Belt "Razvitie" che prevede corridoi infrastrutturali (ferrovie, strade, energia, comunicazione) dalle coste del Pacifico fino all'Europa e all'Atlantico. Si tratta di un enorme progetto. Sarà realizzabile soltanto in cooperazione tecnologica con l'Europa. Esso mira, infatti, alla creazione di nuove città, di insediamenti urbani, di qualificati centri scientifici e agroindustriali anche nella vastissima e poco abitata Siberia.

Nelle ultime settimane, Vladimir Yakunin, presidente delle Ferrovie Russe e promotore del Razvitie, è stato due volte in Cina, a Shanghai e a Lanzhou, proprio per discutere di questi corridoi di sviluppo. I rappresentanti cinesi hanno intelligentemente proposto di collegare la via della seta con il Razvitie attraverso nuovi collegamenti ferroviari.

In questa prospettiva è doveroso notare che molti di questi progetti, soprattutto quelli relativi all'energia, tendono a bypassare l'intermediazione del dollaro per essere stipulati direttamente in yuan e in rubli. Secondo gli ultimi resoconti, sulla borsa di Mosca gli scambi rublo-yuan sarebbero già decuplicati.

Ciò evidentemente accade non per una scelta estemporanea ma dopo lo storico incontro dei paesi BRICS a Fortaleza in Brasile dove, tra l'altro, fu "lanciata" la New Development Bank con un capitale iniziale equivalente a 100 miliardi di dollari.

Come si vede, il Razvitie e le varie vie della seta avrebbero il loro capolinea in Europa dove purtroppo l'Unione europea e la burocrazia di Bruxelles appaiono ancora troppo succubi e timidi nel formulare un'autonoma strategia di sviluppo e di cooperazione internazionali rispetto agli USA. Forse si pensa, come ai vecchi tempi degli imperi, di essere i primi al mondo. Così non è. La recessione e la persistente e crescente disoccupazione ce lo ricordano quotidianamente. .

Noi riteniamo che per l'Europa la via d'uscita dalla crisi, oltre agli ineludibili compiti da risolvere a casa propria da parte di tutti, sia anche nella fattiva partecipazione ai grandi progetti infrastrutturali e di sviluppo sopra menzionati.

La nostra tecnologia, le nostre professionalità e la nostra imprenditorialità sono indispensabili alla realizzazione di simili progetti. E non si tratta soltanto di esportare più prodotti di alta tecnologia ma anche di partecipare direttamente ai lavori. Ciò non può che contribuire alla ripresa economica ed occupazionale anche del nostro Paese.

 

10.10.2014

«L'Europa volti pagina»

LAVORO E DIRITTI
a cura di www.rassegna.it
 
Lavoro, economia: l'appello dei sindacati al vertice di Roma. Le confederazioni del lavoro europee hanno adottato la "Dichiarazione di Roma" e rilanciano la proposta di un nuovo corso per il continente: "Dieci anni di investimenti per uscire dalla sofferenza industriale e promuovere l'occupazione".
 
Alla vigilia del summit Ue sul lavoro che si terrà a Milano mercoledì 8 ottobre, i sindacati europei rilanciano da Roma, dove hanno tenuto un vertice lunedì 6 ottobre, la proposta di un nuovo corso per l'Europa, un Piano del lavoro che nei prossimi dieci anni porti il continente fuori dalla crisi e dalla sofferenza industriale, e che sia alimentato da 2.500 miliardi di euro (250 miliardi l'anno), pari al 2% del Pil europeo.
    I leader dei maggiori sindacati europei, nonché i vertici della Confederazione europea dei sindacati, si sono ritrovati oggi nella capitale, adottando al termine dei lavori la 'Dichiarazione di Roma' (QUI IL TESTO INTEGRALE) per sottolineare come l'Europa abbia bisogno di "voltare pagina, rispetto a una conduzione dell'economia basata su politiche di austerità e di solo rigore contabile". Per farlo mettono al centro una proposta: appunto 'Un nuovo corso per l'Europa', ossia "un piano straordinario europeo di investimenti per la crescita sostenibile e l'occupazione". E su questo punto rilanciano "il dialogo sociale tra le parti sociali, rinnovato e rafforzato nel suo significato e nel suo valore", che è "architrave del modello sociale europeo e uno dei pilastri su cui si è fondato, nei decenni alle nostre spalle, il successo dell'economia europea".
    Per quanto riguarda nello specifico i temi del lavoro, i sindacati europei nella dichiarazione di Roma ricordano come interventi legislativi sul lavoro e sul mercato del lavoro, operati senza il confronto con le parti, "hanno provocato aumento della disoccupazione e delle disuguaglianze di trattamento dei lavoratori, diminuzione delle tutele e delle protezioni, indebolimento degli accordi e della contrattazione collettiva". Per questo ribadiscono che "il lavoro stabile dignitoso e di qualità deve essere il punto di riferimento per il futuro, che la flessibilità non può né deve trasformarsi in precarietà, che la contrattazione dei salari e delle condizioni di lavoro deve rimanere autonoma responsabilità delle parti sociali, che i diritti e le tutele fondamentali dei lavoratori non devono essere oggetto di interventi unilaterali e non concordati". Ecco perché, si chiude la dichiarazione di Roma, "solo attraverso la contrattazione collettiva si potranno negoziare le riforme che ci consentiranno di uscire dalla crisi e perseguire la giustizia sociale. Ciò è indispensabile affinché i lavoratori si possano sentire parte del progetto europeo".
    "L'illusione che la finanza e le esportazioni fossero sufficienti a un nuovo sviluppo è stata un fallimento sotto gli occhi di tutti, mentre in Europa si continua a discutere dei compiti a casa, indebolendo, se non cancellando le politiche espansive". Così il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, nell'aprire il vertice ospitato nella sede della confederazione (LEGGI L'INTERVENTO INTEGRALE DI CAMUSSO). "Siamo quasi a metà del semestre europeo e dalla presidenza italiana non è arrivato ancora nessun cenno di dialogo sociale con i sindacati", ha detto il segretario generale della Cgil. "Accadde una sola volta in altri semestri europei - ha ricordato Camusso - in un periodo unico di non dialogo sociale: quello di madame Thatcher". Dai sindacati nazionali e dalla Ces sono arrivate innumerevoli richieste di incontro e dialogo - ha ricordato il segretario generale Cgil - per ora rimaste inevase. Ma le organizzazioni dei lavoratori non rinunciano a "mettere in campo la loro proposta" per un dialogo sociale che costruisca un'"agenda del buon lavoro" e per uscire dal "modello del rigore europeo" e dell'austerità, che ha "tradito" lo spirito sociale della Carta d'Europa. Da qui parte la proposta per un nuovo corso: "Non bisogna rinunciare - sottolinea Camusso - a cambiare davvero verso alla politica europea". Il piano della Ces prevede 10 anni di investimenti per creare lavoro: "Innovazione è per noi economia della conoscenza, industria verde, alta tecnologia, tutti investimenti che generano buon lavoro e non precarietà". Come finanziare questa spesa? "Anzitutto con la tassazione europea sulle rendite finanziare e con un fisco che universalizzi la patrimoniale e le rendite improduttive". E poi con "lo scorporo degli investimenti" dalle manovre nazionali unito alla lotta "all'evasione e ai paradisi fiscali".
    "Abbiamo sentito che il futuro Presidente della Commissione Juncker parla di 300 miliardi in 3 anni. Seppur meglio dell'assenza di scelte della Commissione precedente sono troppo pochi per poter cambiare l'Europa. Pochi e inadeguati alla fase che stiamo vivendo. Quanto all'Italia, Camusso ricorda il mancato confronto tra il premier Renzi, presidente del semestre europeo, e i sindacati continentali. "In questi giorni - aggiunge - c'è forse un cambio di orientamento, speriamo che sia un vero e serio ripensamento, perché l'idea del Jobs Act è di riduzione globale dei diritti e dei salari. Noi pensiamo al 'buon lavoro' e all'occupazione di qualità, alla cancellazione della precarietà, agli investimenti sul lavoro. Preoccupa, invece, l'idea del governo di restringere il ruolo dei sindacati e dell'autonomia delle parti nella contrattazione. Siamo pronti al confronto - precisa - ma altrettanto al conflitto. Al solito ritornello 'ce lo chiede l'Europa', vogliamo controbattere con 'Lo facciamo in e con l'Europa', cioè con un vero piano del lavoro".
    "In Europa", ha detto il segretario della Ces, Bernadette Ségol, "ci sono oltre 25 milioni di disoccupati, è come se fosse il 29simo Stato europeo. Aumentano i rischi di povertà, le situazioni personali drammatiche e non solo in Grecia e Spagna, ma anche in paesi come il Regno Unito dove i salari sono sempre più bassi". La Ces – ha proseguito Ségol – "non è più disposta ad accettare dai leader politici l'idea che la crisi è superata. La crisi sarà superata solo quando avremo raggiunto la piena occupazione e un lavoro dignitoso per tutti. I sindacati ritengono che l'economia debba essere al servizio della società. Non vogliamo una società al servizio dei mercati. Se non esiste un'Europa sociale – ha aggiunto – al servizio dei cittadini, a medio e lungo termine fallirà anche l'Europa politica". Secondo il segretario della Ces, le proposte della Commissione Ue per creare occupazione "sono completamente sbagliate" perché "la soluzione di rendere il lavoro precario e flessibile crea concorrenza fra i paesi, in particolare sui salari".
    "Al presidente del Consiglio Matteo Renzi abbiamo chiesto un incontro ma non è stato ancora convocato". Così Ségol ha risposto ai giornalisti che le chiedevano un commento sul semestre italiano di presidenza europea, aggiungendo: "è necessario che lo faccia, non si può parlare di dialogo sociale e poi ignorarlo. Ma non ci rinunciamo, la presidenza del Consiglio europeo è ancora all'inizio".
 

10.02.2014

EUROSFIDA

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Basta austerità. La Francia si ribella alle regole del Patto di Stabilità e dice ‘no’ a nuove misure di austerità, ma Bruxelles le ricorda che i paesi membri devono rispettare gli impegni presi.

 

Il governo francese prevede, nella legge di bilancio per il 2015, un deficit che quest’anno si attesterà al 4,4% del Pil, l’anno prossimo si restringerà al 4,3%, nel 2016 scenderà al 3,8% e solo nel 2017 andrà al 2,8%, cioè sotto il tetto del 3%. In precedenza Parigi si era impegnata a scendere sotto il 3% fin da quest’anno. “Abbiamo preso la decisione di adattare il passo di riduzione del Pil – spiega il ministro delle Finanze, Michel Sapin – alla situazione economica del paese. La nostra politica economica - aggiunge Sapin – non sta cambiando, ma il deficit sarà ridotto più lentamente del previsto a causa delle circostanze economiche. Nessun ulteriore sforzo – si legge in un comunicato che accompagna i numeri della legge di bilancio - sarà richiesto alla Francia, perché il governo – assumendosi la responsabilità di bilancio di rimettere sulla giusta strada il paese – respinge l’austerità”.

    Parole chiare. Ma a stretto giro di posta arriva la replica di Bruxelles, che ricorda a Parigi che gli Stati europei “devono rispettare le raccomandazioni specifiche per paese” che sono state approvate dal Consiglio Ue su proposta della Commissione. Lo ha spiegato il portavoce del commissario agli Affari economici e finanziari Simon O’ Connor senza commentare nello specifico i recenti annunci sui conti pubblici di Italia e Francia. “Gli impegni presi dagli Stati nei confronti degli altri – ha detto – sono comuni e il ruolo della commissione è quello di dire se i progetti di bilancio metteranno gli Stati sulla strada giusta per rispettare tali impegni”.

    Alla Francia replica anche la cancelliera tedesca, Angela Merkel: “Tutti gli stati dell’Unione europea facciano i loro compiti e rispettino pienamente gli impegni presi, altrimenti ne va della credibilità dell’Europa. Una crescita sostenibile di lunga durata – ha detto Merkel – si può raggiungere soltanto sulla base di una solida politica di bilancio. Non siamo al punto – ha aggiunto – in cui possiamo dire che la crisi è completamente alle nostre spalle. Per questo ora è importante per tutti rispettare pienamente gli obblighi e gli impegni in modo credibile. Questo – ha detto ancora Merkel – può essere fatto soltanto dai singoli stati membri. E’ nella responsabilità di ciascuno stato fare i propri compiti per migliorare la competitività”.

    Molto duro anche il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem secondo il qualche “la Francia, come altri Paesi, deve lavorare più duramente perché deve rispettare le regole del Patto di stabilità, riguadagnare competitività, rendere flessibile il mercato del lavoro. La Francia non sta riuscendo a riportare gradualmente il suo bilancio in ordine, Parigi ha avuto due anni in più”. Dijsselbloem ha poi ha spiegato che sulla Francia “la pressione sta salendo, le misure che devono adottare sono sia sul fronte del bilancio che su quello delle riforme. Parigi deve recuperare competitività”, ha detto il presidente. “Molti Paesi più piccoli hanno adottato misure difficili, come i Baltici, Portogallo, Irlanda e Grecia. Se tutti loro lo hanno potuto fare, potrà farlo anche un Paese grande come la Francia”, ha concluso.

    Il Ministro Sapin, che aveva già preannunciato che i target di deficit per il 2015 erano inattuabili, prevede una crescita economica stentata dello 0,4% quest’anno, seguita da un +1% nel 2015, +1,7% nel 2016, +1,9% nel 2018 e solo nel 2018 e nel 2019 il Pil tornerà a crescere del 2%. “Le nostre prospettive economiche – ammette Sapin – non sono quelle previste qualche mese fa”. Inoltre il ministro definisce “senza precedenti” lo sforzo del governo di tagliare di 50 miliardi di euro i volumi della spesa pubblica entro il 2017, pur riconoscendo che il totale della spesa pubblica in questo periodo registrerà un rialzo dello 0,2%. Questo significa che il debito pubblico toccherà nel 2016 un picco del 98% del Pil, iniziando una lieve discesa nel 2017.

    A metà ottobre la Commissione europea si dovrà esprimere sulla manovra francese, come sui programmi degli altri Paesi. Un giudizio che si annuncia severo per Parigi, da troppo tempo fuori linea rispetto alle raccomandazioni dell’Unione Europea. Una sponda a Bruxelles potrebbe arrivare dalla Corte dei Conti francese, che oggi ha definito “troppo ottimistiche” le previsioni economiche del Governo per il biennio 2016-2017, lasciando dunque intendere che il deficit di bilancio potrebbe restare sopra il 3% più a lungo del previsto.

    Una manovra così poco in linea con le indicazioni europee può essere di aiuto all’Italia, che ha appena annunciato un deficit del 3% quest’anno, del 2,9% nel 2015 e un pareggio di bilancio nel 2017. I conti italiani dunque sono decisamente migliori di quelli francesi. Con un’eccezione rilevante: il nostro debito pubblico è al 131,6% quest’anno, mentre quello francese viaggia intorno al 95 per cento. È questo il tallone d’Achille italiano che riduce i margini di manovra di Renzi con Bruxelles.

    Indicativi i dati sullo spread. Quello italiano a spagnolo infatti sono in discesa rispettivamente a 138 e a 117 sul Bund tedesco. Mentre quello francese a quota 34 è sostanzialmente stabile, dunque l’annuncio di Parigi non influisce, al momento, più di tanto sull’andamento dei differenziali.

    Ieri sera il Ministro dell’economia dell’Economia Pier Carlo Padoan, aveva illustrato le stime della nota di aggiornamento al Def dopo il via libera del Consiglio dei ministri. “Il quadro economico – ha detto – risulta fortemente deteriorato, con il deficit 2014 in salita al 3% e il pil al -0,3%”. Uno scenario a tinte fosche per quest’anno con il deficit al limite della soglia Ue e il pil in territorio negativo. Il tutto corredato da un nuovo slittamento del pareggio di bilancio: al 2017. “L’aggiustamento sarà più lento dello 0,5% perché secondo noi siamo in circostanze eccezionali – ha detto Padoan – con l’economia molto deteriorata rispetto al def precedente”. Dunque “rallenta l’aggiustamento del saldo e il pareggio strutturale a partire dal 2017.

   

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