1.19.2009

DONNE IN PENSIONE A 65 ANNI PRIVILEGIO O DISCRIMINAZIONE?

Un gruppo di studio dell'Associazione Italiana Analisti Finanziari, composto da Laura Vitale, Alfonso Scarano e Tiziana Tafaro, ha stimato che con le leggi attuali la pensione delle lavoratrici risulta, a parita' di stipendio,  piu' bassa di quella dei lavoratori di circa il 30%. E frattanto il governo, debitore di una risposta alla Corte di Giustizia sulla pensione a 65 anni anche le donne, ha preso una posizione interlocutoria, nel senso che l'eta pensionabile verrebbe pian piano equiparata tra i due sessi. Ma verranno pian piano promosse anche le pari opportunità? In caso contrario, la disparità che penalizza le donne si acuirebbe ulteriormente.

 
di M. Sironi

Gli antefatti sono noti: in seguito ad un ricorso della Commissione Europea contro l'Italia, accusata di discriminazione verso le donne, la Corte di Giustizia ha  emesso una sentenza per la quale anche le  lavoratrici italiane dovranno andare in pensione di vecchiaia non piu' a 60 anni, ma a 65 come gli uomini. Martedi' prossimo, 13 gennaio, e' la data entro la quale il governo dovra' comunicare alla Corte di Giustizia che cosa intende fare, ma finora i ministri interessati (Maurizio Sacconi per il welfare e Mara Carfagna per le pari opportunità) non si sono ancora espressi.  Si è espresso  invece il ministro Brunetta, favorevole all'innalzamento dell'età in forma volontaria, suscitando un vivace dibattito.  Essendo le donne gravate dalle incombenze domestiche, hanno replicato varie sindacaliste e parlamentari dell'opposizione,  sarebbe meglio fare piu' asili nido, anziche' obbligarle a lavorare 5 anni in piu'.  Secondo questa impostazione la pensione a 60 anni, anziché un'ingiustizia, rappresenta piuttosto un meritato riposo per chi ha fatto anni e anni di doppio lavoro, in casa e fuori.

 

    I  dati statistici, raccolti dagli analisti, raccontano però una storia diversa. Le donne si presentano sul mercato del  lavoro alla stessa eta' dei maschi, ma tra i 30 e i 35 anni la percentuale di abbandoni diventa assai piu' forte tra le lavoratrici, mentre i rientri dopo i 45 anni (a figli gia' cresciuti) sono scarsissimi. Anzi, lo stillicidio continua salvo fermarsi dopo i 55 anni e raggiungere valori perecentuali analoghi tra i due sessi. Secondo Giuliano Cazzola, vice presidente della Commissione Lavoro della Camera, ''il fatto che le donne non vedano l'ora di andare in pensione e' un luogo comune''. E se alcune vogliono rimanere solo perche'  innamorate del loro lavoro, moltissime vorrebbero andare avanti per puro calcolo economico, perchè  è difficile campare con i quattro soldi della pensione che hanno maturato. Dati alla mano, un'età pensionistica inferiore di 5 anni si traduce in una pensione piu' bassa del 12-15%, che per di piu' va ad abbattersi su una popolazione femminile già  comunque penalizzata negli stipendi e nella carriera rispetto ai colleghi maschi.

   

Ma non e' tutto.  Anche le nuove regole in materia di TFR, che dal 2007 viene destinato  alla nascente previdenza integrativa, risultano penalizzanti per le donne . Infatti il coefficiente che viene utilizzato per calcolare la rendita del capitale accumulato (la pensione integrativa, appunto) è tale e quale quello delle assicurazioni private.  Le quali usano tavole attuariali diverse per gli uomini e per le donne, ben sapendo che queste ultime sono piu' longeve e quindi hanno ''una maggiore vita residua''.  Cosi', spiegano gli analisti, a parita' di eta' pensionistica e di capitale accumulato alle donne verra' data una pensione integrativa piu' bassa del 12-18%. Fatte le debite somme,  allo stato attuale chi ha la sfortuna di nascere donna e di lavorare in Italia sa già che  le tocchera' una pensione piu' bassa del 25-35% rispetto al collega maschio. Basterebbe questo per aver voglia di emigrare.


 

1.14.2009

FORSE IN ITALIA ANDRA' MEGLIO CHE ALTROVE

UN 2009 DI CRISI NERA?
Lo dice Marco Fortis (Fondazione Edison): "Per fortuna siamo un paese 'arretrato', cioe' poco finanziarizzato. La nostra economia reale ci portera' fuori dal guado".

di M. Sironi
I primi dati dell'anno non sono certo incoraggianti: in dicembre negli USA (la locomotiva dell'economia mondiale) sono andati persi 700.000 posti di lavoro, e secondo stime i disoccupati potrebbero rapidamente arrivare a 13 milioni. In Germania (la locomotiva d'Europa) il numero dei disoccupati è tornato a salire, superando i tre milioni. In Italia, sempre in dicembre, il ricorso alla cassa di integrazione è piu' che raddoppiato. Come si fa ad essere ottimisti? Eppure c'e' qualcuno che, dati alla mano, guarda al futuro con relativa serenita': è l'economista Marco Fortis della Fondazione Edison, sostenitore della teoria secondo cui in Italia la crisi morderà meno forte che altrove. La ragione è semplice: l'Italia è rimasta essenzialmente un paese manifatturiero, poco finanziarizzato, con una struttura produttiva forte nei tre settori importanti dell'economia reale, l'agricoltura, il turismo e appunto il manifatturiero. Inoltre, se è vero che il nostro debito pubblico è gigantesco, è altrettanto vero che gli italiani come privati cittadini sono risparmiosissimi, il che compensa le follie di una Stato spendaccione.

Vediamo il primo punto: nella Penisola il rapporto tra il valore aggiunto del manifatturiero e e quello di banche e assicurazioni è di circa 4 a 1, contro ad esempio l'1,6 a 1 dell'Inghilterra. Siamo un paese legato all'economia reale ed occupiamo saldamente il secondo posto nella UE per il valore aggiunto in agricoltura (dopo la Francia), nel manifatturiero (dopo la Germania) e nel turismo (dopo la Spagna). Ma, osserva Fortis, nessuno nell'Unione ha questa felice combinazione di secondi posti. La Germania è debole nel turismo, l'Inghilterra nell'agricoltura e la Spagna nelle manifatture. Le cifre grosse si riferiscono a quest'ultimo settore, dove la Germania ci distacca con 460 miliardi di valore aggiunto contro i nostri 237, ma noi siamo fortissimi nella "quadrupla A": abbigliamento, arredocasa, automazione-meccanica, alimentari-vini . Nel 2007 il surplus commerciale italiano nelle quattro A è stato di 113 miliardi. Nel 2008 ha toccato probabilmente i 120 miliardi. Ed ora, di fronte al crollo dell' "industria della finanza", l'essere un paese relativamente arretrato ci fa buon gioco.

E veniamo al secondo punto, cioe' al nostro "gigantesco" debito pubblico. In Italia, dati 2007, il debito aggregato ( debito pubblico + debito delle famiglie) arriva al 138% del PIL. Ma negli USA, dopo anni di denaro facile prestato a tutti, la percentuale è del 167%, di cui la componente privata è di gran lunga la maggiore. In Inghilterra siamo al 144%, in Olanda l 149%. Ed è sempre il debito delle famiglie a far la differenza: da noi supera di poco il 34%, mentre è ormai pari al PIL (100% circa) negli altri paesi considerati.

A peggiorar le cose, per gli altri, sara' secondo Fortis proprio la crisi finanziaria in atto, che fara' lievitare anche il loro debito pubblico, fin qui percentualmente assai piu' basso del nostro, mentre il nostro restera' circa invariato. Mamme risparmiose, eccellenze nel made in Italy, gusto per la buona tavola e per il bello, arte del vivere: sembra una serie di luoghi comuni, ma se fosse invece il nostro salvagente? Speriamo di si, e comunque ad inizio d'anno fa piacere crederlo.