3.29.2012

Possiamo imparare da chi ha superato la crisi prima di noi?

"Dalla crisi si esce con più investimenti sociali": questa è la posizione del ministro del lavoro uruguaiano Eduardo Brenta. Possiamo imparare qualcosa da chi ha vissuto la crisi neoliberista prima di noi? La crescita sociale ed economica dell'America Latina e dell'Uruguay, le politiche per l'occupazione, di redistribuzione della ricchezza, l'emergere del continente in cui si sperimentano politiche di intervento pubblico che hanno permesso di superare la crisi economica dei primi anni 2000 nel Cono Sud; le indicazioni che ce ne vengono per affrontare la crisi italiana ed europea sono l'oggetto di un'ampia intervista con Eduardo Brenta, ministro del Lavoro e della Sicurezza Sociale dell'Uruguay. L'intervista è stata realizzata da Hugo Bazzi per CAMBIAILMONDO. Il min. Brenta sarà ospite a Zurigo, il prossimo sabato 31 marzo, in un incontro organizzato dalla Fondazione Ecap e da Cambiailmondo.org.

 

di Hugo Bazzi

 

Bazzi - Signor ministro, l'Uruguay, come gran parte dei paesi del continente latino-americano, sta attraversando un momento di rapido sviluppo economico e sociale; quali ne sono le basi e le caratteristiche?

 

Brenta - Le fondamenta per l'avanzamento dello sviluppo economico e sociale dei nostri popoli hanno consistito essenzialmente in un rafforzamento del mercato interno; con l'obiettivo di ottenere una migliore capitalizzazione del commercio internazionale, sono state varate misure attive per l'occupazione che hanno permesso di raggiungere il livello più basso di disoccupazione di sempre, almeno da quando ne esiste un monitoraggio ed  inoltre si sono ampliate e rafforzate le politiche di inclusione sociale; allo stesso tempo sono state aumentate le prestazioni sociali (pensioni di vecchiaia e lavorative, per esempio).

    Senza dubbio, fattori come l'aumento dei prezzi delle commodities hanno avuto un'influenza positiva, così come la certezza giuridica che è stata conseguita nel paese, che ha permesso di conseguire maggiori investimenti diretti dall'estero.

    Il nostro paese registra sette anni di crescita sostenuta e sta aumentando la distribuzione dei redditi, contrariamente a quanto avvenuto durante i governi anteriori che applicavano la teoria del "derrame", elemento basilare delle politiche neoliberiste (secondo la quale, la crescita fluirebbe automaticamente dalla cima della piramide sociale verso il basso, senza alcuna necessità di un intervento statale per una migliore ripartizione della ricchezza n.d.r.)

 

Bazzi - In quale modo la politica del Governo del Frente Amplio cerca di conciliare sviluppo economico e crescita sociale e quindi in cosa si distingue dai precedenti governi ?

 

Brenta - La nostra forza politica, il Frente Amplio, ha distinto nettamente la differenza che c'è tra sviluppo e crescita: in questo senso, si è differenziato dai precedenti governi nella messa in atto di politiche sociali che implichino una migliore redistribuzione.

    Nel primo Governo progressista, diretto da Tabaré Vasquez, la nostra forza politica dovette far  fronte alla più grave crisi sociale ed economica che l'Uruguay non attraversava da molti anni; se questa crisi non sconfinò anche sul piano politico, durante l'ultimo periodo del governo "colorado" (dal nome del Partito Colorado di Jorge Battle, ndr), lo si dovette solo al fatto che le forze progressiste, in nessun momento, misero in gioco la stabilità istituzionale e il pronunciamento democratico.

    Il Fronte Ampio, si trovò di fronte ad un paese con un alto livello di disoccupazione, con industrie paralizzate, salari con bassissimo potere di acquisto, un alto livello di mortalità infantile ed un grande e diffuso sentimento di disperazione.

    Quindi la prima questione è con quale situazione si è dovuto confrontare il progressismo, una volta al governo. Una seconda differenza consiste nella serie di misure che sono state applicate e che hanno avuto come obiettivo l'inclusione sociale e lavorativa della popolazione.

    Sono stati realizzati piani di occupazione e di lavoro in tutti i settori, è stato creato il MIDES (Ministero dello Sviluppo Sociale), si sono implementate più di 40 leggi per il lavoro per conferire diritti che i lavoratori aveva perduto e che non avevano mai avuto.

 

Bazzi - Quali sono i vostri obiettivi per i prossimi anni ?

 

Brenta - L'Uruguay ha obiettivi e speranze: nell'ambito del lavoro, ottenere una maggiore produttività, migliorare la formazione professionale, costruire catene e filiere produttive nazionali e/o regionali nell'ambito del Mercosur. Nell'ambito dell'educazione, riconquistare la posizione che storicamente lo ha contraddistinto come un esempio per tutta l'America Latina, avanzare nell'ambito della scienza, nella tecnologia e nelle comunicazioni.

Sul piano sociale, continuare con l'estensione della democrazia e sviluppare sempre più i processi di  partecipazione sociale.

 

Bazzi - Come ha ricordato, circa dieci anni fa, l'Uruguay ha subito una gravissima crisi economica. Rispetto alle modalità con cui ne siete usciti, quale lettura danno, oggi, le forze progressiste uruguayane, della grande crisi che sta attraversando l'Europa?

 

Brenta - La crisi fu superata grazie a una corretta lettura dei nuovi governi della regione che non accettarono le direttive di applicare le note "ricette" di aggiustamento strutturale condivise invece dai governi neoliberisti nelle epoche precedenti. Al contrario, si decise che a maggior crisi si risponde con maggiori investimenti in politiche sociali.

    A livello regionale, le affinità dei governi progressisti dell'area permisero di coordinare le politiche con il convincimento che "dalla crisi nessuno esce da solo"; questo coordinamento si ebbe anche nel campo delle organizzazioni sociali, in particolare in ambito sindacale.

    Rispetto alla crisi europea, riteniamo che abbia diverse sfaccettature; il processo politico dell'Unione Europea è andato in senso opposto a quello del Mercosur; quando cominciammo a negoziare l'Accordo tra i due blocchi, la UE era in maggioranza diretta da governi progressisti e aveva una forte struttura istituzionale, mentre il Mercosur manifestava debolezze istituzionali e era governato da compagini neoliberiste . . .

Niente tagli alle risorse dell'Unione

EUROPA

 

di Gianni Pittella

Europarlamentare (S&D) - Vicepresidente del Parlamento Europeo

 

Il Parlamento europeo non accetterà una riduzione delle risorse nel bilancio dell'Unione. E' questa la posizione forte e chiara uscita dalla conferenza sul quadro finanziario pluriennale 2014-2020 del 22 marzo scorso, alla quale  hanno partecipato anche i rappresentanti di 21 parlamenti nazionali. Attualmente circa il 75% del budget europeo viene assicurato dalle contribuzioni degli Stati membri, calcolate in base al prodotto interno lordo.

    La richiesta di alcuni governi, su cui si era schierato anche il nostro precedente con Tremonti, e' quella di ridurre le contribuzioni nazionali, paradossalmente in nome dell'austherity anti-crisi che richiederebbe al contrario un maggior impegno dell'Unione europea nella realizzazione di politiche a sostegno della ripresa economica e della crescita. La Commissione, per facilitare un accordo sul budget che compensi i tagli dei trasferimenti dei governi con nuove entrate autonome, ha proposto una tassa sulle transazioni finanziarie e un prelievo diretto sull'Iva. Il commissario al Budget Janusz Lewandowski  ha dichiarato che la tassa sulle transazioni finanziarie potrebbe ridurre in maniera consistente le contribuzioni nazionali al budget dell'Ue.

    Il Parlamento appoggia entrambe le proposte, ma con obiettivi ben diversi e con ben altre valutazioni. L'aumento delle entrate dovrebbe infatti servire a finanziare le politiche europee per lo sviluppo e la crescita e non alleviare i bilanci nazionali, in un quadro in cui, tra l'altro, l'Unione europea e' investita da sempre maggiori responsabilita' rispetto alla precedente programmazione. La revisione del bilancio e' un'occasione che capita ogni sette anni. L'attuale assetto finanziario e' stato pensato e realizzato tra il 2005 e il 2007, quando nulla ancora faceva presagire la violenza e l'ampiezza della crisi che avrebbe investito da li' a poco i mercati e l'economia statunitensi e europei. Un nuovo budget concentrato sulle infrastrutture materiali e immateriali, sulla ricerca, l'ambiente, le politiche "green" e la solidarietà, sostenuto e implementato dall'emissione di Eurobond e project bond, potrebbe costituire un importante volano per far ripartire la crescita e probabilmente l'unica chance per molti paesi dell'Unione, compreso il nostro, di bloccare la spirale recessiva in cui le politiche rigoriste, volute dagli stessi membri che chiedono oggi un taglio delle contribuzioni, ci hanno fatto precipitare.

    Giovedi' scorso ho incontrato su questi temi il nostro ministro per le Politiche di coesione, Fabrizio Barca e ho assicurato al governo tutto il mio appoggio dal ruolo istituzionale che ricopro e del gruppo di S&D cui appartengo, nella trattativa in corso sul budget e sulla revisione dei criteri per la ripartizione dei fondi destinati alla Pac e alle politiche di coesione. Ho trovato un interlocutore attento e un profondo conoscitore delle problematiche europee. Entrambi siamo coscienti dell'importanza della posta in gioco in questo confronto, per il nostro paese e in particolare per il futuro del Mezzogiorno. La recessione morde sempre piu' anche in Italia. Mi auguro che si possa arrivare al piu' presto a voltare pagina nelle politiche rigoriste della Ue. La formulazione del budget inteso come strumento di investimento e non solo fonte di finanziamento del funzionamento delle istituzioni di Bruxelles,  e' la prima battaglia da vincere.

3.22.2012

Marsiglia: Nasce il Movimento europeo dell'acqua bene comune

MOVIMENTI

a cura di www.rassegna.it

 

In opposizione al Forum mondiale arriva il Fame, forum alternativo dei movimenti per chiedere una gestione partecipata dell'acqua e respingere la logica del profitto

di Dina Galano

 

Era previsto: Marsiglia avrebbe significato innanzitutto Europa. L'obiettivo di oscurare il Forum mondiale dei governi e dei privati che oggi si chiude nella città provenzale forse non è stato raggiunto, ma il Fame (il Forum alterativo mondiale dell'acqua che si è svolto in concomitanza) ha segnato i suoi gol. Nella Francia di Sarkozy, il World Water Forum delle grandi multinazionali non poteva non avvertire la pressione delle politiche europee neo-liberiste.

    Se ciò è avvenuto senza sorprese, la realtà dei movimenti e degli attivisti è passata al contrattacco. Da oggi, sabato 17 marzo, si considera ufficializzata quella rete europea dei movimenti per l'acqua che a dicembre scorso, a Napoli, aveva vissuto la sua fase embrionale con una prima partecipazione di organizzazioni, sindacati, realtà sociali provenienti dal Vecchio Continente. Nasce dunque il Movimento europeo dell'acqua bene comune e, con esso, una Carta europea dei diritti connessi al bene incentrata sul valore della gestione partecipata e sulla contrapposizione alla logica del profitto.

    Dagli atelier in cui, per la prima volta dopo Messico e Instanbul, il contro-forum ha tematizzato il dibattito sulla risorsa idrica collegandolo alla questione femminile, all'agricoltura, allo sfruttamento minerario e industriale, all'educazione, fuoriesce un convinto riconoscimento dell'importanza di avere un coordinamento a livello globale. E il neo Movimento europeo, seguendo questo approccio, ha già davanti a se' un primo obiettivo. Sfruttando l'articolo 14 della Convenzione di Lisbona, vuole portare in Europa quel milione di firme necessarie a costringere Bruxelles a legiferare sull'acqua come diritto umano e a sottrarre la materia alle regolamentazioni europee del mercato unico. Del tutto simile a un referedum, la procedura prende il nome di Iniziativa di cittadinanza europea.

    "Il primo aprile depositeremo il nostro testo alla Commissione europea ed entro due mesi da allora sapremo se ci sarà il via libera alla raccolta di firme", spiega Pablo Sánchez dell'European federation of public services uions (Epsu). Convinto che non sarà difficile superare i requisiti imposti per l'iniziativa popolare, ricorda che "la campagna europea trova base nei movimenti di 25 Paesi e dovrà continuare nel tempo, con azioni di sensibilizzazione parallele in tutti i territori, per lanciare un messaggio forte abbastanza da premere sulle autorità affinché assumano una decisione sull'acqua".

    Sánchez non nasconde le difficoltà del percorso intrapreso che, nella migliore delle ipotesi, porterà a un risultato soltanto nel 2013. "Negli ultimi mesi, abbiamo assistito a una lettera dell'Ue inviata al governo italiano che indicava di privatizzare l'acqua nonostante il risultato referendario, al memorandum firmato dalla Troika con i portoghesi sulla privatizzazione della risorsa, alle crescenti pressioni indirizzate alla Spagna e alla stessa Francia che ospita il Forum ufficiale".

    "Si tratta di tentare uno strumento di democrazia diretta a livello europeo", gli fa eco Tommaso Fattori, rappresentante del Forum italiano dei movimenti per l'acqua."In Italia abbiamo sempre voluto legare la battaglia per l'acqua bene comune a quella per la democrazia. L'abbiamo fatto prima con la proposta di legge popolare e, poi, con i referendum sull'acqua. Nel caso dell'iniziativa della cittadinanza europea siamo di fronte a una procedura nuova che ancora attende completa attuazione da parte degli Stati membri. E noi saremo i primi a utilizzarla".

    Secondo Pilar Esquinas Rodrigo, avvocato della Commissione legale della piattaforma contro la privatizzazione del Canal Isabel II (la società di distribuzione idrica nella città di Madrid), "l'iniziativa legislativa europea è uscita rafforzata dal Forum alternativo". Ma non si tratta della sola azione da intraprendere. Forte dei 177.616 voti raccolti nella consultazione informale del 4 e 5 marzo contro la privatizzazione del gestore a Madrid, Rodrigo sostiene che "bisogna adire tutte le sedi dove è possibile ottenere un riconoscimento dell'acqua come bene comune". I movimenti europei si sono risvegliati e questa volta sembrano aver trovato in Bruxelles un avversario comune.

3.14.2012

L’illusione della "inflazione controllata"

Per l'economia virtuale e astratta sarebbe consigliabile un
bagno di realtà nella difficile vita quotidiana degli italiani.
di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)
e Paolo Raimondi, Economista
Sembra che nel governo Monti si sia insinuata l'idea della cosiddetta "inflazione controllata". Quella idea cioè che per abbattere il debito pubblico si potrebbe "pilotare" un tasso di inflazione abilmente contenuto e controllato. Trattasi della nota teoria di Kenneth Rogoff, già capo analista del FMI e di Carmen Reinhart, i due economisti americani secondo i quali, per abbreviare il periodo di "doloroso deleveraging (riduzione del debito) e di crescita lenta" ci vorrebbe la spinta di una moderata e controllata inflazione del 4-6 % annuo per diversi anni.
In questa ottica si possono leggere le recenti impennate dell'inflazione degli ultimi mesi che, secondo i dati Istat, si è già assestata sopra la media annua del 3%.
In realtà, purtroppo, per i livelli di vita della stragrande maggioranza della popolazione, che lavora o che vive di precariato, di cassa integrazione o di pensione, il vero tasso di inflazione è ben maggiore!
Questa tendenza è accentuata anche dalla crescente ascesa dei prezzi della benzina e del gasolio che, si annuncia, potrebbero raggiungere i 2 euro al litro entro la prossima Pasqua.
E' un'impennata dei prezzi che non ha paragoni e non è nemmeno spiegabile con gli andamenti dei prezzi del barile di petrolio sui mercati internazionali. Infatti, oggi che sono intorno a 120 dollari al barile si paga più di 1,85 al litro mentre nel 2008, quando il prezzo era di 150 dollari, il consumatore pagava un litro di benzina a 1,50 euro.
Come allora, e noi allora lo denunciammo, anche oggi c'è un'operazione speculativa in atto fatta di futures e di altri derivati finanziari che manovrano oltre 100 "barili di carta" per ogni vero barile di petrolio. E' parte della speculazione sulle commodity che attira sempre la finanza selvaggia.
Certamente l'aumento delle accise e di altre tasse che lo Stato intende raccogliere per far quadrare i conti ha inciso parecchio. Ma ciò non spiega le forti variazioni di prezzo. Comunque è sconcertante la mancanza di adeguata attenzione e di interventi per bloccare tale spirale che sembra essere soltanto all'inizio di un percorso.
Dai dati raccolti nei settori colpiti dall'inflazione si stima che ogni punto percentuale di aumento del prezzo della benzina si traduce in un aumento dello 0,2% circa del tasso di inflazione. L'effetto sui prezzi degli alimentari e degli altri beni di consumo e dei semilavorati è diretto e depressivo anche perché l'88% del nostro trasporto commerciale è fatto su strada. Se poi si aggiunge l'aumento dell'Iva del 2% annunciato per ottobre, c'è il rischio che il 2012 diventi l'anno della grande inflazione e non quello della stabilità e della ripresa!
La base dell'analisi del prof. Rogoff è in verità interessante. Non siamo, dice, in una grande recessione ma in una Grande Contrazione, la seconda dopo quella degli Anni Trenta.
La distinzione non è puramente semantica. Per recessione, Rogoff intende una perdita di produzione e di posti di lavoro, che lui immagina potrebbe essere più velocemente risolta con politiche di stimoli e di interventi pubblici e privati di stile keynesiano.
Nella Grande Contrazione invece, oltre agli elementi recessivi menzionati, occorre aggiungere gli effetti di una tipica profonda crisi finanziaria che ha un effetto negativo sul debito e sul credito e un deleveraging che richiede molti anni di tempo per risolversi. Almeno 4 anni per raggiungere lo stesso reddito pro capite del periodo pre crisi, così sostiene l'economista americano.
Essendo l'economia globale finanziariamente sovra esposta, Rogoff ritiene inevitabile un trasferimento di ricchezza dai creditori ai debitori, attraverso i default, la "repressione finanziaria" o l'inflazione.
Se i default fanno paura per i loro possibili effetti sistemici, la "repressione finanziaria", cioè l'introduzione di regole e controlli che sgonfiassero le bolle finanziarie, a cominciare da quella dei derivati Otc, è fallita in quanto il sistema bancario ombra e la finanza più speculativa hanno bloccato ogni tentativo dei governi di arrivare ad una nuova architettura finanziaria globale. Si pensi al sostanziale fallimento dei vari G20 tenutosi. Del resto lo dimostra il fatto che nel 2011 i derivati Otc hanno superato tutte le vette passate e immaginabili raggiungendo un valore nozionale di oltre 700 trilioni di dollari.
Quindi resterebbe la strada dell'"inflazione controllata", più facile da far passare in quanto colpisce tutti e che può essere presentata come qualcosa di inevitabile, come un incontrollabile effetto della grande crisi.
In realtà giocare con il tasso di inflazione non è da persone responsabili. La storia ci dimostra che l'inflazione è un "animale imprevedibile" che all'improvviso può trasformarsi in una belva famelica. Chi gioca con essa lo fa con simulazioni al computer in cui si immettono moltissime variabili tranne l'eventuale fallimento del sistema stesso. Lo abbiamo visto con le simulazioni prima del crollo del fondo speculativo LTCM nel 1998 e poi, in misura ancora più devastante, con i sistemi computeristici usati per i mutui subprime.
Se nel governo Monti ci fosse qualche "ragazzo prodigio" del computer che crede che l'economia sia un processo virtuale e astratto, sarebbe opportuno che il Professore lo distolga da simili giochi per fare un salutare bagno di realtà nella difficile vita quotidiana dei cittadini italiani, delle famiglie e delle nostre imprese.

3.07.2012

Gli assassini del progetto socialdemocratico europeo

Economia politica

 

La destra delle due sponde dell'Atlantico non ha mai accettato né il progetto economico socialdemocratico né il progetto politico liberale. Non ha mai avuto prima d'ora il potere politico assoluto per fermarli o invertirli. Adesso, il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, dà la più chiara dimostrazione che il suo mandato è politico, non tecnico, osando dichiarare la necessità della morte del Welfare socialdemocratico per salvare la produttività europea.

 

di J. Carlos de Assis (*)

http://cambiailmondo.org/

 

Si deve al progetto socialdemocratico la paternità dell'equilibrio sociale e politico dell'Europa nel corso degli anni della ricostruzione postbellica e per più di quattro decenni di guerra fredda. Oggi, con il pretesto della crisi fiscale, viene intenzionalmente distrutto dalla destra politica del continente che è riuscita a imporre nei posti chiave dell'Unione europea e degli organismi di mediazione finanziaria multilaterali, dei veri e propri killer dell'ordine sociale progressista che, più delle diverse divisioni di carri armati posizionati in Europa occidentale, era stata la forza di contenimento del comunismo in Europa, nel periodo di presenza della minaccia sovietica.

    Ricordo il tempo in cui Berlino Ovest era la vetrina attraverso la quale la propaganda capitalista esponeva i grandi vantaggi dell'ordine sociale ed economico dell'Occidente in confronto con quello  relativamente arretrato dell'Europa orientale. Nonostante il grande progresso materiale dell'America del Nord, non erano gli Stati Uniti, ma gli Stati socialdemocratici, socialisti o laburisti europei che rappresentavano i modelli di società alternativi al regime sovietico. L'aggressività intrinseca della società americana, con il suo ritmo esasperato di competizione, non era qualcosa da emulare. La generosa Svezia, sì.

    E' proprio questo intero edificio socialdemocratico che ora viene demolito dalla destra che ha assunto il potere nei principali paesi della Comunità europea. Politicamente, non si è mai visto niente di simile prima d'ora. Le società europee, simultaneamente, portano al potere la destra in Germania, Francia, Inghilterra e Italia, per non parlare dei paesi più piccoli. Hanno spazzato via dalla mappa, letteralmente, i progressisti. Ciò che mi stupisce di più, in questa convergenza, è l'incompetenza straordinaria delle sinistre e dei progressisti nell'incapacità di presentare un'alternativa politica al disastro che si sta approfondendo.

    Gli assassini dell' ordine socialdemocratico hanno messo assieme tecnocrati e politici per eliminare le poche misure che lo Stato nord-americano, la più arretrata delle democrazie sociali, ha cercato di costruire da molto tempo a questa parte – ivi inclusa la legge di protezione sanitaria a favore di una maggiore numero di poveri – che Barak Obama, con estrema difficoltà, fece approvare all'inizio del suo mandato. Il passaggio di questa legge ha suscitato l'odio dei ricchi e molti repubblicani mantengono all'ordine del giorno della loro agenda, l'obiettivo di eliminarla. Interessante notare che, se guardiamo le notizie e commenti dai mass media brasiliani, il problema esiste ancora. Non è un fatto giornalistico.

    Obama è stato anche sconfitto in un secondo tentativo di rilanciare l'economia con strumenti fiscali di tipo keynesiano, che avrebbero prodotto un beneficio per le fasce più deboli (disoccupati) e una spinta per la ripresa economica. I nostri media non vedono questo come un fatto economico-sociale, ma puramente politico. Registrano che i repubblicani non vogliono stimoli fiscali, ma non analizzano perché i repubblicani non li vogliono. Lo scopo, qui come in Europa, è chiaro: distruggere lo Stato politico liberale (da non confondere con l'economia liberale) ereditato dal New Deal.

    La destra delle due sponde dell'Atlantico non ha mai accettato né il progetto socialdemocratico, da un lato, né quello liberal, dall'altro. In effetti, nessuno ha mai avuto prima, un potere politico così assoluto per bloccarlo o controriformarlo. Al tempo di Reagan e della Thatcher, per esempio, la destra cristiano democratica era salita al potere in Germania, ma i socialdemocratici e socialisti erano al potere in Francia e in Italia. I suoi leader si sarebbero convertiti al neoliberismo, ma siccome esisteva l'Unione Sovietica, la destra  continentale non osava smantellare lo stato sociale, se non ai margini, come avvenne in Inghilterra.

    Ora, il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, nella più chiara dimostrazione che il suo mandato è politico e non tecnico, osa dichiarare la necessità della morte del progetto socialdemocratico per salvare la produttività europea. Solo il conforto e la certezza di vedersi sostenuto dalla destra politica che domina l'Europa può pienamente giustificare una simile arroganza. È chiaro, tuttavia, che questa non è la fine della storia. Per molto meno l'Europa si incendiò nel '68. Ciò che può ritardare l'estensione del fuoco dalla Grecia vero il resto d'Europa è la mancanza di alternative rappresentata dalla sinistra tradizionale.

    Tuttavia, più che le contraddizioni sul piano strettamente politico, saranno quelle a livello delle forze produttive a trascinare, in ultima analisi, l'Europa, in una soluzione della crisi secondo il corso delle leggi dialettiche così ben descritte da Marx. E' che non esiste, nella crisi attuale, una nazione egemone (come gli Stati Uniti nel dopo guerra), che possa imporre all'Europa e al mondo i propri dettami. Qualsiasi soluzione, per quanto tardi ad arrivare, deve venire dalla ridefinizione di una cooperazione interna ed internazionale, probabilmente dal G-20. In caso contrario, ci sarà instabilità permanente, e questa è una situazione molto  dannosa anche per i ricchi e i potenti. (Si noti che il potente presidente della Federazione dell'industria tedesca propone un Piano Marshall per la Grecia. Significativamente, i nostri media non ne fanno menzione.)

    Il progetto socialdemocratico sotto l'egida del Mercato comune europeo, era buono per i poveri e per i ricchi. Ma non è mai stato accettato dalla destra. Nata principalmente da una coalizione di centro (Democratici-cristiani in Germania e in Italia) con i socialisti (Francia), tenne fuori la sinistra rivoluzionaria (comunisti). Ora, sotto l'egida di un'Unione europea regressiva, il centro europeo (Democratici-cristiani) si è inchinato alla destra (liberale e liberista) in tutta Europa, creando un'egemonia perversa che oggettivamente non è buona per i poveri (per ovvi motivi), ma neanche per i ricchi, a causa della instabilità che ne deriva. (In Brasile, il progetto socialdemocratico non ha mai preso piede: l'antico PSD è stato sempre dominato dalle oligarchie e il PSDB di Cardoso non si è mai emancipato dall'essere una grossolana mistificazione neoliberista.)

    Le prossime elezioni americane sono cruciali. Se Obama viene rieletto e riconquista una maggioranza democratica nel Congresso, forse il progetto socialdemocratico in Europa si può salvare per la pressione americana. Se viene rieletto, ma senza una maggioranza al Congresso, non può fare nulla. Se perde, è possibile che il processo dialettico venga accelerato, e che le società, in un momento successivo, reagiscano al neoliberismo e scalzino, negli Stati Uniti come in Europa, i loro rappresentanti politici per inaugurare un nuovo ordine. Nell'intervallo, avremo un grande caos. E nel caos, possono accadere cose così stupide come il bombardamento di Israele all'Iran!

 

(*) Economista, professore di UEPB, presidente Intersul e co-autore, insieme con il matematico Francisco Antonio Doria, de "L'Universo neoliberista nel disincanto", appena pubblicato dall'editrice "Civilizzazione Brasiliana". Questo articolo è pubblicato contemporaneamente dal sito Rumos do Brasil e dal quotidiano Monitor Mercantil.

3.01.2012

Qualche cosa di positivo c’è

Partendo dall'amara constatazione del fatto che la disoccupazione in Europa ha superato i 23 milioni di unità, con una incidenza media maggiore tra i giovani e le donne, il Consiglio ha invitato i Paesi membri a varare Piani Nazionali per il Lavoro. Alla buon'ora. . .

di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)
e Paolo Raimondi, Economista


Nell'ultimo summit del Consiglio Europeo tenutosi a Bruxelles a fine gennaio si è parlato molto del "Trattato di stabilità, di coordinamento e digovernance". Il documento mette però al primo posto ancora una volta il rigore e non la ripresa.
E' la linea della Merkel che, indecisa sul futuro dell'Europa, si barcamena tra il "grande disegno" dell'Unione economica e politica europea e le provinciali paure elettorali ed ideologiche della "piccola" Germania.
Chi, come noi, crede nell'Europa e in suo governo federale, avrebbe voluto che si ponesse più attenzione ai punti programmatici della crescita e della creazione di posti di lavoro. Comunque nella Dichiarazione finale qualche cosa di positivo c'è.
Partendo dall'amara constatazione del fatto che la disoccupazione in Europa ha superato i 23 milioni di unità, con una incidenza media maggiore tra i giovani e le donne, il Consiglio ha invitato i Paesi membri a varare Piani Nazionali per il Lavoro.
Per affrontare a breve e a più lungo termine l'emergenza della disoccupazione giovanile si propone, tra l'altro, l'adozione di misure per accompagnare i giovani verso le prime esperienze di lavoro, per non lasciarli soli alla fine degli studi o in caso di abbandono di essi.
Il fulcro di tali progetti dovrebbe essere una nuova concezione e il rilancio dell'apprendistato. Nonostante gli effetti più deleteri di una globalizzazione "fai da te", taluni paesi, come la Germania ed altri del centro-nord Europa, hanno cercato di mantenere un efficiente sistema di apprendistato e di training per giovani che scelgono un futuro lavorativo basato sui tradizionali mestieri o su quelli più moderni di alta qualificazione.
In questi Paesi vi sono tanti istituti dedicati ai mestieri che operano in sinergia con il mondo dell'industria ed inseriscono direttamente i giovani nelle fabbriche per lunghi periodi di apprendistato o di training.
Per molti di questi giovani, quindi, il passaggio tra la scuola ed il mercato del lavoro è mediato, guidato, alleviato.
In Italia invece per una serie di cause abbiamo eliminato quasi completamente l'apprendistato. Negli anni cinquanta e sessanta i nostri giovani, soprattutto nelle regioni del Sud, sono stati costretti all'emigrazione. Invece della valorizzazione dei mestieri si è privilegiato ovunque il sogno di un posto nella Pubblica Amministrazione. Le Regioni, purtroppo, hanno ampliato il fenomeno con varie forme di assunzioni dirette in enti e società sub regionali, spesso senza alcun concorso ed in modo clientelare.
Inoltre in molte realtà italiane si registra anche una distanza enorme tra il mondo dell'industria e del lavoro e la qualificazione rilasciata dalle scuole e dalle università.
All'Italia può giovare molto il rilancio dell'apprendistato. Si tratta in certo qual modo di riscoprire le radici dei nostri politecnici e dei nostri istituti tecnici e professionali che hanno affiancato in modo determinante i processi iniziali di industrializzazione.
La riproposta dell'apprendistato è un approccio positivo per far fronte alla disoccupazione giovanile. Un tale sistema può essere anche la base per la integrazione e la riqualificazione di coloro che, in età più avanzata, dovessero perdere il lavoro. Infatti, mentre in Italia chi è licenziato deve arrangiarsi a sopravvivere, in Germania, per esempio, gli Arbeitsamt, gli uffici di collocamento, non abbandonano i disoccupati ma li guidano nella ricerca di un nuovo lavoro oppure in un processo di riqualificazione.
Nel summit si è discusso non poco anche del completamento del Mercato Unico. In questo campo Mario Monti ha senz'altro svolto un ruolo incisivo anche alla luce della sua passata esperienza di Commissario europeo per l'unificazione e la semplificazione dei regolamenti del mercato interno europeo.
Si è deciso di introdurre regole univoche e standardizzazioni nei vari settori dell'economia e dei mercati e di superare certe vecchie barriere commerciali, con un'attenzione privilegiata per le Pmi, al fine di favorire la ripresa economica e la crescita dell'occupazione. Riteniamo che il "sistema Italia" abbia tutto da guadagnare nel processo di digitalizzazione e di semplificazione delle procedure e di modernizzazione dei processi produttivi.
Il Consiglio europeo riconosce che, nonostante i finanziamenti della Bce alle banche, una serie di difficoltà, compresi gli effetti di Basilea III, potrebbero produrre un credit crunch, di cui in Italia si avvertono già forti segnali.
Perciò è condivisibile la sollecitazione ad un ruolo più attivo della Banca Europea per gli Investimenti verso le Pmi e le infrastrutture. Si chiede anche un rapido varo dei "project bond" allo scopo di stimolare la partecipazione finanziaria dei privati in progetti infrastrutturali chiave.
I project bonds, secondo noi, possono diventare degli strumenti strategici per allontanare grandi settori della finanza e gli investitori istituzionali, come i fondi pensione, dalla speculazione e dalle operazioni a breve e spingerli verso i finanziamenti di lungo termine nei settori dell'economia reale. Sarebbe così una vera correzione ai malfunzionamenti e alle degenerazioni finanziarie che sono state alla base della grande crisi del 2007-8, ancora non superata.

UN PIANO PER LA CRESCITA IN EUROPA

12 PRIMI MINISTRI SCRIVONO A VAN ROMPUY E BARROSO

Il 20 febbraio scorso i Primi Ministri di dodici paesi europei, tra i quali Mario Monti, hanno inviato al Presidente del Consiglio europeo Herman van Rompuy e al Presidente della Commissione europea José Manuel Barroso una lettera dal titolo "Un piano per la crescita in Europa". Il testo integrale in lingua italiana.

di D. Cameron (Regno Unito), M. Rutte (Paesi Bassi), M. Monti (Italia), A. Ansip(Estonia), V. Dombrovskis (Lettonia), J. Katainen (Finlandia), E. Kenny (Irlanda), P.Necas (Cechia), I. Radicová (Slovacchia), M. Rajoy (Spagna), F. Reinfeldt (Svezia), D. Tusk (Polonia)

Ci incontriamo a Bruxelles in un momento rischioso per le economie europee: la crescita è in una fase di stallo, la disoccupazione è in aumento, i cittadini e le imprese si trovano di fronte a delle situazioni che sono le più difficili tra tutte quelle incontrate da molti anni a questa parte. Mentre le principali economie concorrenti stanno uscendo ad un ritmo costante dal buio della recente crisi mondiale, la turbolenza dei mercati finanziari e l'onere del debito rendono molto più duro il percorso in salita verso la ripresa in Europa.
L'Europa ha molti asset economici fondamentali ma la crisi che abbiamo davanti è anche una crisi di crescita. Gli sforzi che ciascuno di noi sta intraprendendo per rimettere le nostre finanze nazionali su una base sostenibile sono essenziali, senza di essi non potremo gettare le basi per una ripresa economica forte e duratura. Ma è necessario agire anche per rendere moderne le nostre economie, costruire una maggiore competitività e correggere gli squilibri macroeconomici. Dobbiamo ricostruire la fiducia, tra i cittadini, le aziende ed i mercati finanziari, nel fatto che l'Europa sarà capace di crescere in futuro in maniera forte e sostenibile e di mantenere la propria parte di prosperità globale.
Abbiamo discusso di questi argomenti l'ultima volta che ci siamo incontrati ed è giusto riaffrontarli di nuovo. Partendo dalle conclusioni che abbiamo raggiunto in precedenza, è arrivato il momento di mostrare leadership e di prendere decisioni coraggiose che possano portare i risultati che i nostri popoli esigono. Accogliamo con favore i passi che si stanno intraprendendo, sia a livello nazionale che a livello europeo, per affrontare questa sfida e siamo impazienti di concordare futuri passi concreti nella nostra prossima riunione, concentrando l'azione su otto priorità chiare per rafforzare la crescita.
Innanzitutto, dobbiamo portare il mercato comune alla successiva fase di sviluppo, rafforzando la governance e innalzando gli standard di attuazione. Il rapporto della Commissione al Consiglio Europeo di giugno dovrebbe fissare delle azioni chiare e dettagliate necessarie per migliorare l'attuazione e rafforzare l'esecuzione.
Si dovrebbe cominciare ad agire nel settore dei servizi che oggi rappresentano quasi i quattro quinti della nostra economia eppure c'è ancora molto da fare per aprire il mercato dei servizi nella misura necessaria. Dobbiamo agire urgentemente, sia a livello nazionale che europeo, per rimuovere le restrizioni che ostacolano l'accesso e la concorrenza e per aumentare gli standard di attuazione ed esecuzione per ottenere reciproco riconoscimento all'interno del mercato unico. Siamo impazienti di leggere il rapporto della Commissione circa l'esito delle verifiche di performance di settore e facciamo appello alla Commissione affinché ottemperi all'obbligo previsto ai sensi della direttiva sui servizi di riferire in maniera completa e globale circa gli sforzi realizzati per aprire i mercati dei servizi e fare raccomandazioni per l'emanazione di misure aggiuntive, laddove necessario nell'ambito della legislazione, per realizzare il mercato interno nel settore dei servizi.
In secondo luogo, dobbiamo aumentare i nostri sforzi per creare, entro il 2015, un mercato unico realmente digitale. L'economia digitale si sta espandendo rapidamente ma il livello di scambi internazionali rimane basso e la creatività è soffocata da una rete complessa di sistemi nazionali diversi nell'ambito del copyright. E' necessario agire a livello dell'Unione per offrire alle aziende ed ai consumatori gli strumenti e la fiducia per realizzare scambi on-line, semplificando il sistema della concessione delle licenze, partendo da un efficace quadro di riferimento per il copyright, mettendo a disposizione un sistema sicuro e accessibile di pagamenti internazionali on-line, creando dei meccanismi on-line di risoluzione delle controversie per le transazioni internazionali on-line e modificando il quadro europeo per la firma digitale. Dovremmo partire dalle recenti proposte della Commissione, senza riaprire
la direttiva sul commercio elettronico, per creare un sistema che bilanci gli interessi dei consumatori, delle aziende e dei titolari dei diritti e sia da spinta all'innovazione, all'attività creativa ed alla crescita. Dobbiamo anche continuare i nostri sforzi per costruire delle infrastrutture moderne per offrire una migliore copertura in banda larga e avviare, ampliare e promuovere i servizi di e-government per semplificare lo start-up e la gestione delle aziende ed aiutare la mobilità dei lavoratori.
In terzo luogo, dobbiamo mantenere il nostro impegno di costituire, entro il 2014, un mercato interno autentico, efficace ed efficiente nel settore dell'energia. Tutti gli Stati Membri dovrebbero attuare il Terzo Pacchetto sull'Energia (Third Energy Package) in maniera completa, rapida e tenendo conto delle scadenze concordate. Andrebbe migliorata l'interconnessione energetica per contribuire a sostenere la sicurezza delle forniture. E' anche necessario agire con urgenza, a livello nazionale e, laddove necessario, a livello collettivo, per eliminare le barriere sia di pianificazione che di tipo normativo frapposte agli investimenti nelle infrastrutture per liberare le potenzialità del mercato comune e sostenere la crescita verde ed una economia a basse emissioni. Siamo impazienti di leggere l'imminente comunicazione della Commissione sul funzionamento del mercato interno, che dovrebbe comprendere una valutazione del grado di liberalizzazione e dell'apertura del mercato energetico negli Stati membri. Ci impegniamo anche a fare progressi concreti per lo sviluppo di un'Area Unica Europea dei Trasporti e per creare la Connecting Europe Facility.
Quarto, dobbiamo raddoppiare il nostro impegno nei confronti dell'innovazione creando l'Area Europea della Ricerca, creando l'ambiente migliore possibile per gli imprenditori ed i creatori di innovazioni affinché essi possano commercializzare le proprie idee e creare posti di lavoro e mettendo l'innovazione spinta dalla domanda al centro della strategia dell'Europa nel campo della ricerca e dello sviluppo. Dobbiamo anche agire in maniera decisa per migliorare le opportunità di investimento per le start-up innovative, per le società a rapida crescita e per le piccole imprese, creando un efficiente regime di venture capital su base europea che consenta ai fondi di venture capital di operare su base pan-europea, valutando la proposta di un programma europeo di venture capital partendo dal Fondo Europeo per gli Investimenti e dalle altre istituzioni finanziarie in collaborazione con gli operatori nazionali e concordando un nuovo programma di portata europea, sul modello del programma di Ricerca sull'Innovazione delle Piccole Imprese (Small Business Innovation Research) per favorire un utilizzo più efficace degli appalti pubblici pre-commerciali per sostenere le aziende innovative e high tech. Hanno ancora altissima priorità le riforme miranti a creare un efficace sistema "business-friendly" di protezione della proprietà intellettuale.
Quinto, sono necessarie azioni decisive per offrire dei mercati globali aperti. Quest'anno dovremmo concludere degli accordi di libero scambio con India, Canada, i paesi dell'area orientale ed una serie di partner dell' ASEAN. Dovremmo anche rafforzare i rapporti commerciali con i paesi dell'area sud. Si dovrebbe dare nuovo impeto ai negoziati commerciali con partner strategici come il Mercosur ed il Giappone, con i negoziati con il Giappone avviati prima dell'estate, a condizione che si facciano progressi circa la portata e l'ambizione di un accordo di libero scambio. I contratti attualmente sul tavolo potrebbero aggiungere altri €90 miliardi al PIL dell'Unione.
Ma dobbiamo andare ancora oltre. Dobbiamo dare un'ulteriore spinta politica all'approfondimento dell'integrazione economica con gli Stati Uniti, prendendo in esame tutte le opzioni compresa quella di un accordo di libero scambio, dobbiamo cercare di accrescere le relazioni commerciali e gli investimenti con la Russia, a seguito del suo ingresso nel WTO e dobbiamo avviare una valutazione strategica dei nostri rapporti commerciali e nel campo degli investimenti con la Cina, con l'obiettivo di rafforzare i nostri legami commerciali e consolidare l'impegno di realizzare degli scambi basati sulle regole. Riconoscendo I vantaggi comportati da mercati aperti, dovremmo proseguire i nostri sforzi per rafforzare il sistema multilaterale, anche attraverso l'Agenda di Sviluppo di Doha, impegnarci a concludere accordi multilaterali e plurilaterali in aree e settori prioritari e resistere al protezionismo e cercare un maggiore accesso al mercato per le nostre aziende nei paesi terzi. Soprattutto, dobbiamo resistere alla tentazione di perseguire un protezionismo controproducente nei nostri rapporti commerciali.
Sesto, dobbiamo sostenere e rendere più ambizioso il nostro programma di ridurre il peso della normative europea. Accogliamo con favore gli impegni assunti dalle istituzioni di ridurre il peso sulle piccole imprese ma sollecitiamo dei progressi ulteriori e più rapidi in tutte le istituzioni europee mantenendo l'integrità del mercato unico e gli obiettivi più ampi dell'Unione. Dovremmo valutare la portata di nuovi e ambiziosi obiettivi di settore a livello europeo e concordare nuovi passi per offrire benefici tangibili all'industria. Dovremmo anche rilasciare una dichiarazione chiara e visibile della nostra intenzione di sostenere le micro-imprese e chiedere alla Commissione di presentare proposte dettagliate per ottenere tutto ciò, compresi possibili emendamenti alla legislazione in vigore. Chiediamo anche alla Commissione di
pubblicare una dichiarazione annuale che individui e spieghi i costi totali netti per le aziende delle proposte normative presentate l'anno precedente.
Settimo, dobbiamo agire a livello nazionale e, rispettando le competenze nazionali, a livello collettivo, per promuovere un mercato del lavoro ben funzionante che offra opportunità di occupazione e, cosa fondamentale, favorisca livelli maggiori di partecipazione al mercato del lavoro da parte di giovani, donne e lavoratori più anziani. Si dovrebbe prestare particolare attenzione anche ai gruppi vulnerabili che sono stati fuori dal mercato del lavoro per lunghi periodi. Dovremmo favorire la mobilità della manodopera per creare un mercato del lavoro europeo più integrato ed aperto, ad esempio facendo progressi nell'acquisizione e conservazione di diritti aggiuntivi alla pensione per i lavoratori migranti, rispettando al contempo il ruolo delle parti sociali. Dovremmo anche agire ulteriormente per ridurre il numero delle professioni regolamentate in Europa, attraverso l'introduzione di un nuovo duro test di proporzionalità stabilito dalla legislazione. In questo contesto, chiediamo alla Commissione di convocare senza indugio un nuovo forum per la valutazione reciproca delle pratiche nazionali per contribuire ad individuare ed eliminare le barriere normative ingiustificate, esaminare le alternative alla regolamentazione che garantiscano alti standard professionali e valutare la portata di un ulteriore allineamento degli standard per facilitare il riconoscimento reciproco delle qualifiche professionali.
Ed infine, dobbiamo assumere delle iniziative per costruire un settore dei servizi finanziari che sia solido, dinamico e competitivo, che crei posti di lavoro e offra sostegno vitale a cittadini ed imprese. Dovrebbero essere ridotte le garanzie implicite che consentono sempre di salvare le banche e che distorcono il mercato unico. Le banche, e non i contribuenti, dovrebbero farsi carico dei costi dei rischi che assumono. Pur mirando ad avere un piano di parità, dovremmo impegnarci irrevocabilmente a rispettare degli standard internazionali vincolanti per i capitali, la liquidità ed il leverage senza stemperamenti, garantendo che la legislazione europea aderisca agli standard di Basilea 3 per assicurare la stabilità finanziaria e soddisfare le esigenze di finanziamento delle nostre economie. Alle banche si dovrebbe chiedere di mantenere livelli e forme adeguati di capitale in linea con i criteri internazionali, senza discriminazione tra equity privati e pubblici. Facciamo anche appello affinché si attuino in maniera rigorosa i principi del G20 sulla remunerazione del settore creditizio in linea con l'attuale legislazione europea.
Ciascuno di noi riconosce che il piano che proponiamo richiede leadership e decisioni politiche difficili ma la posta in gioco è alta e le azioni in molte di queste aree avrebbero dovuto essere intraprese da tempo. Con iniziative coraggiose ed efficienti ed una forte volontà politica potremo recuperare il dinamismo dell'Europa riportare le nostre economie sulla strada della ripresa. Sollecitiamo voi ed il Consiglio Europeo e dare risposta all'appello dei nostri popoli a realizzare delle riforme e a contribuire a ristabilire la loro fiducia nella capacità dell'Europa di offrire una crescita forte e sostenibile.
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David Cameron, Primo Ministro del Regno Unito
Mark Rutte, Primo Ministro dei Paesi Bassi
Mario Monti, Primo Ministro d'Italia
Andrus Ansip, Primo Ministro dell'Estonia
Valdis Dombrovskis, Primo Ministro della Lettonia
Jyrki Katainen, Primo Ministro della Finlandia
Enda Kenny, Taoiseach, Repubblica d'Irlanda
Petr Necas, Primo Ministro della Repubblica Ceca
Iveta Radicová, Primo Ministro della Slovacchia
Mariano Rajoy, Primo Ministro di Spagna
Fredrik Reinfeldt, Primo Ministro di Svezia
Donald Tusk, Primo Ministro della Polonia