10.30.2009

Fiat chiude lo stabilimento di Arese

Fiat chiude lo stabilimento di Arese

Il Lingotto concentrerà a Torino l’attività dello storico sito ex Alfa Romeo, ora "Centro stile". L’allarme della Fiom di Milano: 229 trasferimenti in Piemonte e  cassa integrazione per gli altri. Cig anche a Melfi e Mirafiori.

Fiat vuole spostare a Torino le attività del ‘Centro Stile, della Sperimentazione e della Progettazione’ di Arese, il sito ex Alfa Romeo alle porte di Milano, trasferendo in Piemonte tutti i 229 lavoratori a partire dal 4 gennaio 2010. In più, cassa integrazione ordinaria fino al 21 febbraio per 91 dei 113 dipendenti di Powertrain: a lavorare nell'ultimo centro produttivo rimasto in piedi nel milanese resteranno soltanto 22 persone. In sostanza, quasi 400 persone via da Arese e incertezza per i pochi che restano, cioè gli 80 degli enti commerciali e i circa 500 del call center. È l’allarme lanciato dalla Fiom di Milano dopo un incontro di oggi (27 ottobre) con l’azienda. “Da oltre un anno – afferma il sindacato in una nota – chiediamo a tutti i soggetti interessati, in primo luogo a Fiat, quali siano i reali progetti su Arese. Dopo dodici mesi di silenzio, oggi ha deciso di farcelo sapere”. Dal quartier generale del gruppo Fiat, riferisce poi l'Ansa, è stato precisato che l'operazione si è resa necessaria in quanto il livello delle
attività ad Arese è ormai pressoché inesistente e pertanto risulta indispensabile trasferirle per rendere più efficiente la produttività e creare sinergie con le stesse funzioni svolte presso gli stabilimenti torinesi.

    “COLPEVOLI AZIENDA E REGIONE”. Il 'Centro Stile' era ormai una delle ultime attività ad Arese, dove fino a una decina d'anni fa si effettuavano ancora produzioni, seppure di nicchia, come quelle di Spider e Gtv. Secondo La Fiom milanese è proprio Fiat “il principale responsabile” di quella che definisce “la distruzione dello straordinario patrimonio di competenze e di professionalità di Arese”, ma anche “dei mancati investimenti nella progettazione, sperimentazione e produzione di auto a basso impatto ambientale”. Tuttavia, insiste la Fiom, le scelte della casa torinese “sono state rese possibili anche dal silenzio di quelle istituzioni, in particolare la Regione Lombardia, che pure avevano sottoscritto accordi e si erano impegnate per il mantenimento di attività innovative e qualificate”. Intanto, per giovedì 29 ottobre è previsto un incontro in Assolombarda cui sarà presente anche la Fiat per discutere il piano annunciato. “Con i lavoratori – conclude la Fiom – decideremo tutte le iniziative di lotta per contrastare lo smantellamento del sito e per il mantenimento e il rilancio di Arese. Dalle istituzioni ci aspettiamo altro dal silenzio”.

    CIG A MIRAFIORI E POTENZA. Notizie non buone anche per altri siti del Lingotto. Saranno infatti in cassa integrazione per una settimana, dal 23 al 27 novembre, gli operai dello stabilimento di Melfi (Potenza). A comunicarlo è il segretario della Fiom Basilicata, Giuseppe Cillis. Anche in questo caso le organizzazioni dei lavoratori attendono “un incontro ufficiale con l'azienda per conoscere i motivi” della scelta. E a Mirafiori altra cig negli stabilimenti impegnati nelle linee Mito e Multipla. È quanto annunciato sempre oggi dall'azienda ai sindacati. Il provvedimento dovrebbe coinvolgere circa 500 operai dal 23 al 29 novembre per la Multipla e altri 1.700 per la Mito, tra il 23, 24, 25, 30 novembre e il primo dicembre. (rassegna.it)  

10.01.2009

G20, nasce il Patto di Pittsburgh

Addio G7, si riunirà solo su temi di sicurezza internazionale. Il principale vertice economico diventa il G20. Lo hanno deciso i leader dei paesi più ricchi. Allarme disoccupazione: “Continuerà a crescere, servono misure di sostegno”. Poco per l’ambiente

di Paolo Andruccioli e Maurizio Minnucci

Sarà ricordato come “Il Patto di Pittsburgh” quello siglato oggi (25 settembre) nella città americana della Pennsylvania, dove i leader dei 20 paesi più ricchi del mondo si sono riuniti alla ricerca di nuove regole per affrontare la crisi attuale e per evitarne altre in futuro. L’obiettivo dell’accordo, così si legge nella bozza del documento finale, è “la crescita sostenibile, duratura e solida, grazie a misure coordinate la cui applicazione da parte dei singoli paesi del G20 sarà verificata collettivamente”.

    Primo passo sarà la trasformazione del G20 in un vero e proprio forum permanente con capi di stato e di governo, dove i tutti paesi che ne fanno parte potranno verificare insieme le misure di sostegno introdotte dai singoli Stati. Al suo fianco verranno attribuiti più ruoli e collaborazione con il Financial Stability Board (Fsb), che dovrà essere allargato anche alle economie dei paesi in via di sviluppo e emergenti. Già entro fine anno i ministri delle Finanze e i governatori delle Banche centrali avvieranno un processo comune e coordinato di recepimento del framework per la crescita. Riunione che secondo le prime indiscrezioni battute dalle agenzie potrebbe tenersi il 7 e l’8 novembre in Scozia.

    Il vertice dei “grandi” conferma che “l’imperativo è combattere il protezionismo” e torna a rilanciare, in tema di commercio internazionale, una conclusione “rapida e ambiziosa” del Doha Round entro il 2010. Insiste sulla necessità di combattere le speculazioni e si dice pronto ad agire su diversi fronti anche per evitare le manipolazioni di mercato e contenere l'eccessiva volatilità dei prezzi. Sul fronte della crisi invita a non abbassare la guardia, confermando le misure di stimolo messe in campo ("prematuro ritirarle"). Alle banche, invece, i 20 di Pittsburgh chiedono di periodo favorire la crescita (nel breve e medio periodo) per poi rafforzare il loro capitale (a lungo termine).

    Sul lavoro arriva l’allarme. “La disoccupazione – si legge ancora nella bozza del documento finale – rischia di crescere anche nei paesi in via di ripresa”, per questo bisogna “rilanciare la necessità di misure a sostegno della disoccupazione per favorire la formazione professionale di chi perde il posto e la creazione di nuovo lavoro, soprattutto nelle nuove tecnologie, nell’ ambiente, nell’energia pulita e nelle infrastrutture”. Il presidente di turno del G20, Barack Obama, ha invitato il proprio segretario al lavoro a organizzare, entro il 2010, un meeting internazionale, insieme all’Ocse, proprio per valutare l’evoluzione del mercato del lavoro.

    Poco per l’ambiente: l’invito è a ridurre gli sgravi sui combustibili fossili e investire le risorse così risparmiate in energie pulite.

    I vertici mondiali – almeno fino al G20 di Londra di sei mesi fa – sono stati sempre delle vetrine bugiarde del potere. Grandi promesse, grandi annunci e poi niente di fatto. Gli equilibri rimanevano intatti, i paesi poveri sempre più poveri, le diseguaglianze nei paesi ricchi immobili, se non in crescita. Anche sul clima e la nostra responsabilità di contemporanei viventi rispetto alle sorti del pianeta le dichiarazioni si sono sprecate, mentre gli oceani e i mari continuavano a riscaldarsi inesorabilmente. Con il G20 di Londra e con quello di Pittsburgh che si è concluso oggi 25 settembre qualcosa è cambiato, anche per merito di Barack Obama. I potenti sembrano più preoccupati e non a caso sono stati usati toni perfino apocalittici, linguaggio che veniva finora confinato ai controvertici. Ma la preoccupazione (ammettendo che sia sincera e non mediatica) non basta. Servono fatti e non parole, anche se le parole a volte possono pesare molto: un conto, infatti, è dirci certe cose al bar, a scuola, al lavoro, nelle riunioni di redazione, altra cosa è sentirle pronunciate dal presidente più potente del mondo davanti agli altri potenti e davanti ai mitici mercati finanziari che guardano alla politica solo per il loro interesse immediato, ovvero fare soldi con i soldi, seppure sotto forma di futures.

    Il G20 sostituisce il G7 - La novità è stata annunciata già ieri dal New York Times, che citando funzionari dell’amministrazione di Washington, ha anticipato l’annuncio del presidente Obama: il G20 prenderà permanentemente il posto del G7 come forum per la politica economica. La decisione degli Stati Uniti prima di essere buonista è strategica e non a caso ha creato non pochi problemi con le delegazioni della Francia, della Gran Bretagna e della Germania. Gli Stati Uniti, o meglio la nuova amministrazione americana guidata da Obama, hanno tutto l’interesse ad allargare l’area del consesso dei grandi. Vogliono superare il G7 perché hanno bisogno di fare i conti direttamente con i paesi emergenti. Una mossa che contemporaneamente riduce il potere dell’Europa e in particolare il ruolo dei paesi più forti del vecchio continente. Non è un caso che le opposizioni siano venute proprio dalla Francia, dalla Germania e dalla Gran Bretagna. Gli schieramenti sul G20 sono analoghi a quelli che si sono determinati sul nuovo ruolo che dovrà avere il Fondo Monetario Internazionale nel governo della crisi. Anche in questo caso gli equilibri girano intorno al potere di veto degli Usa e alla riduzione del potere dei paesi europei.

    Per anni il principale gruppo per la gestione dell’economia mondiale è stato il G7 (Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada, Francia, Germania, Italia e Giappone) a cui si è gradualmente unita la Russia negli anni Novanta durante la presidenza americana di Bill Clinton. Ora si è deciso che il gruppo continuerà a incontrarsi due volte l’anno per discutere di questioni di sicurezza, mentre di economia si occuperà il più ampio G20 che comprende anche paesi come Cina, Brasile e India. E all’interno di questo nuovo assetto strategico lo scontro tra Europa ed Usa si è concentrato sull’immutabilità del ruolo degli Stati Uniti che conserverebbero il diritto di veto. Su questo punto si è notata a Pittsburgh la debolezza dell’Europa che continua a presentarsi divisa agli appuntamenti mondiali più importanti. Anche nel caso della trasformazione del G7 in G20 e della questione relativa del diritto di veto degli americani, l’Europa non ha avuto una posizione comune.

    Il tetto ai bonus dei manager bancari - Per quanto riguarda le banche si è deciso che i bonus dei manager bancari dovranno essere collegati ai risultati a lungo termine, da essi conseguiti nello svolgere le proprie mansioni, e non alla loro condotta sul breve periodo, soprattutto se comporta rischi per istituti e clienti. Questo il principio che pare sia stato approvato a Pittsburgh, mentre più in generale gli Stati Uniti hanno spinto per una consistente ricapitalizzazione degli istituti di credito che punti verso un rapporto tra mezzi propri e impieghi attorno al dieci per cento almeno. Gli europei – su questo punto – si sono detti nettamente contrari. Su questo punto si può dire che i paesi europei sono riusciti a trovare una omogeneità maggiore, anche perché il sistema finanziario europeo è comunque molto diverso rispetto a quello statunitense.

    La globalizzazione responsabile e il nuovo modello di sviluppo - La tensione sociale è alta, ma le risposte politiche non sembrano all’altezza. Non è stato neppure un caso che a Pittsburgh siano arrivate decine di organizzazioni sociali, guidate dall’Unione per le libertà civili della Pennsylvania, “per dire al G20 che la gente ha bisogno di servizi sociali piuttosto che di piani di salvataggio per le banche o le grosse aziende”, come ha detto Kim Coughlin, portavoce della ‘Carovana del popolo’. Molte le controiniziative, dal “festival per la libertà di espressione” promosso dalla ‘Alliance for Climate Protection’, fondata nel 2006 dall’ex-vice-presidente americano Al Gore, alle iniziative promosse dall’organizzazione ‘Bail out the people movement’ che ha scelto uno dei quartieri più degradati della città, con la maggioranza degli abitanti afro-americana, per piantare una ‘città di tende’ che ospita disoccupati e senza-tetto, portati ad esempio delle conseguenze del capitalismo sfrenato.

    Ma i poveri, si sa, non sono alla moda e ci tocca ricordare il fantasma che continua ad aggirarsi per il mondo, e che ha svolazzato anche su Pittsburgh: la Tobin Tax, la tassa sulle transazioni finanziarie su cui per anni c’è stato un vero e proprio ostracismo. La Tobin Tax tassa con una aliquota bassa, meno dell’1 %, tutte le transazioni finanziarie internazionali con lo scopo di conoscere, controllare e tassare in modo tale da scoraggiare i movimenti finanziari più speculativi. Da questa tassazione verrebbero risorse nuove che potrebbero essere usate per aiutare le aree più povere del pianeta senza pesare sulle finanze pubbliche.

    Se vogliamo azzardare quindi un primo commento sintetico di questo vertice possiamo dire che non si è trattato come altre volte di una semplice vetrina. Le preoccupazioni e le tensioni sociali spingono la politica a trovare una via d’uscita. Ma le medicine sono ancora molto leggere e le divisioni tra i “medici” sono evidenti. Più che un governo mondiale si tratta di una sorta di assalto alla diligenza allargato. E poi c’è anche una constatazione amara da fare: la crisi finanziaria sembra lontana e l’urgenza di cambiare il sistema sembra messa nell’angolo. Tutti sono d’accordo nel dire che questa crisi non è stata affatto superata e che comunque la ripresa (quando arriverà) sarà “jobless recovery”, ovvero che non porterà con sé nuova occupazione. I premi Nobel (come A.Sen) si lamentano che non sarà possibile una vera ripresa senza in poveri dei paesi poveri e denunciano il fatto che degli aiuti internazionali che erano stati già decisi nei vertici precedenti è arrivata. (Rassegna it)      

7.07.2009

VITTIME DELL'AMIANTO

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

ACCORDO TRA SUVA E INAIL PER RINTRACCIARE GLI EX EMIGRATI

di Dino Nardi *)

Dall’inizio di questo decennio la questione "amianto" tiene ormai banco sia in Italia che in Svizzera a causa delle numerose vittime che già vi sono state anche tra gli ex lavoratori che sono stati a contatto con questo micidiale materiale. Soprattutto nei vari stabilimenti Eternit: in Italia a Casale Monferrato, Cavagnola, Reggio Emilia e Napoli; in Svizzera a Niederurnen (GL) e Payerne (VD). Vittime che, purtroppo, vi saranno ancora nei prossimi decenni. Infatti i sintomi dell’asbestosi, malattia polmonare che può causare il mesotelioma e cioè un tumore incurabile alla pleora o al peritonio, si manifestano in media 30/40 anni dopo che vi è stata l’esposizione alle fibre d’amianto ed il divieto di questo materiale è entrato in vigore solo nel 1990 in Svizzera e nel 1992 in Italia. Un rischio, tra l’altro, non limitato ai soli lavoratori ma anche alle loro mogli, che lavavano le loro tute, ed anche a tutti quei nuclei familiari che abitando nelle immediate vicinanze di queste fabbriche respiravano inconsapevolmente nell’aria la polvere contenente le fibre d’amianto. Secondo le stime di alcuni ricercatori nei prossimi decenni vi saranno nell’Europa occidentale 300'000 decessi per mesotelioma in conseguenza all’esposizione all’amianto.

    Come ricordavo, la questione "amianto" tiene banco da diversi anni in Italia e Svizzera, coinvolgendo i rispettivi enti assicuratori, l’Istituto Nazionale Infortuni sul Lavoro (INAIL) e l’Istituto Nazionale Svizzero Assicurazione Infortuni (SUVA) per tre motivi. In primo luogo, perché l’Eternit aveva stabilimenti in entrambi i Paesi (in Italia è pendente una causa contro la proprietà con ben 739 parti civili); in secondo luogo, la proprietà di Eternit era del finanziere elvetico Stephan Schmidheiny ed del belga Jean Luis Marie Ghislain de Cartier. Infine per il fatto che nei due stabilimenti Eternit in Svizzera vi hanno lavorato moltissimi emigrati italiani, in gran parte, poi, rimpatriati disperdendosi così sull’intero territorio della penisola e quindi difficilmente rintracciabili (ancor di più, in caso di decesso, i loro superstiti) per poterli informare dei loro eventuali diritti assicurativi ma, soprattutto, per ricondurre il loro possibili sintomi della malattia dell’asbestosi o, addirittura, dell’insorgere del mesotelioma, all’attività svolta in Svizzera. Pertanto, anche in questo caso (ricordiamo quanto già accaduto con le prestazioni mai richieste all’AVS ed al Secondo Pilastro), gli ex emigrati in Svizzera sono confrontati con diritti previdenziali e assicurativi maturati in questo Paese e non fatti valere per dimenticanza, ignoranza o furbizie altrui!

    Va, pertanto, accolto positivamente il recente accordo che è stato stipulato dall’INAIL e dalla SUVA per facilitare la ricerca degli ex emigrati italiani che nel passato abbiano lavorato in Svizzera a contatto con l’amianto. Accordo di cui i due enti assicuratori hanno dato notizia attraverso questo comunicato stampa:

     Il 15 giugno 2009 la Suva e l'INAIL, l'istituto nazionale italiano di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, hanno sottoscritto un accordo con il quale intendono rafforzare l'impegno comune per rintracciare i lavoratori italiani che in passato sono stati esposti all'amianto in Svizzera e successivamente sono rientrati in Italia.

    Nei decenni scorsi numerosi cittadini italiani hanno lavorato in ditte svizzere che trasformavano o utilizzavano materiali contenenti amianto. Questa sostanza causa malattie che spesso si manifestano a distanza di molti anni dall'esposizione. Si presume quindi che alcuni dei lavoratori italiani rientrati in patria abbiano contratto malattie dovute all'amianto che però non sono ancora state segnalate come malattie professionali. È inoltre prevedibile che in futuro si manifesteranno altri casi di malattia da amianto. Le persone colpite dovrebbero essere sottoposte a visite mediche preventive o potrebbero avere diritto a prestazioni in contanti. La Suva non può però intervenire direttamente in Italia per rintracciarle. Proprio per questo ha stilato un accordo con l'INAIL, il suo omologo italiano. Secondo tale accordo l'INAIL si impegna a registrare le segnalazioni e a trasmetterle alla Suva.

    Allo scopo di informare gli interessati sui loro diritti, nel 2006 e nel 2008 la Suva ha organizzato una tavola rotonda che ha riunito a Lugano diverse organizzazioni legate alle problematiche dell'amianto. L'obiettivo di questi incontri è di migliorare il flusso di informazioni a favore di coloro che potrebbero avere diritto a prestazioni. L'accordo sottoscritto dalla Suva e dall'INAIL è un passo importante in questa direzione. Esso prevede che l'INAIL trasmetta alla Suva le segnalazioni di lavoratori in passato esposti all'amianto in Svizzera affinché essi possano beneficiare, se necessario, delle visite mediche preventive.

    L'INAIL fornisce informazioni ai medici italiani e si preoccupa di sensibilizzarli riguardo alle malattie da amianto. La collaborazione dei medici italiani è indispensabile per la buona riuscita dell'iniziativa. Spetta a loro, infatti, segnalare i casi di cui vengano a conoscenza nel corso dei loro accertamenti, di italiani che abbiano esercitato un'attività lavorativa in Svizzera con presumibile esposizione all'amianto. Una volta che la segnalazione del medico è giunta all'INAIL, questa la trasmette alla Suva, la quale svolge altri accertamenti per stabilire se sussiste un diritto a prestazioni o se sono necessarie delle visite preventive. Con l'aiuto dei medici la Suva intende fare in modo che i lavoratori italiani rientrati in patria ricevano le prestazioni a cui hanno diritto secondo la legge svizzera.

*) Coordiantore europeo della UIM, vicesegretario del CGIE.

       

La finanza e la riforma Obama

Ma i nodi della crisi sistemica devono essere ancora sciolti

di Mario Lettieri e Paolo Raimondi

Per definire la riforma finanziaria imposta dalla crisi globale ritornano in campo la Federal Reserve e le banche americane, cioè due tra gli attori principali e responsabili del crollo sistemico. Il documento “Financial Regulatory Reform: A New Foundation” traccia le linee di riforma finanziaria per gli Stati Uniti e ovviamente avrà anche un grande impatto internazionale. Esso richiede una lettura puntuale ma una prima valutazione s’impone.

    Dopo mesi di navigazione a vista tra gli scogli della bancarotta qualche cosa si è mosso e questo di per sé merita un plauso. Obama riconosce l’esistenza di un “rischio sistemico” e dice di voler approntare cambiamenti per prevenirne altri in futuro. E’ un riconoscimento importante in quanto in passato era stato paventato soltanto da pochi economisti.

    L’incipit del documento presenta il mondo bancario e finanziario, i mercati, le autorità di controllo governative e tutti gli altri partecipanti come comparse con un copione non leggibile. La crisi dimostra che così è stato, ma a pagarne le conseguenze purtroppo sono i lavoratori, gli imprenditori e gli onesti cittadini e non chi ha provocato questo sconquasso epocale con atti illegali di corruttela o di incompetenza e stupidità. 

    Vi sono poi delle raccomandazioni, come la  supervisione e regolamentazione delle aziende finanziarie e dei mercati finanziari, nonché la predisposizione degli strumenti per interventi governativi e per la protezione dei consumatori e degli investitori dagli abusi finanziari e nuove regole da condividere in sede di G20.

    Per avere maggiore prevenzione, trasparenza, efficienza e interventi correttivi, si propone di creare una nuova agenzia, la Financial Service Oversight Council, con compiti di analisi, raccolta dati e coordinamento. Si danno maggiori poteri di intervento alla Federal Riserve. Tutto ciò dovrebbe portare a un cambiamento e a una certa semplificazione delle leggi e dei regolamenti. Per esempio, gli hedge fund saranno equiparati alle banche e sottoposti alle stesse regole di controllo. Quello delle finanziarie è un problema da affrontare urgentemente anche in Italia.

    Il documento e l’intento del presidente Obama sono certamente assai significativi. Ma in presenza di una crisi sistemica era lecito aspettarsi di più dal paese centro dello tsunami finanziario. A nostro modesto avviso è giusto snellire, semplificare, approntare misure correttive, ma necessita soprattutto una riflessione coraggiosa sul ruolo della finanza nell’economia mondiale.

Si riconosce per esempio che   le cartolarizzazioni sono state usate per creare nuovi prodotti strutturati al fine di trasferire i rischi in modo quasi truffaldino, e che i prodotti derivati OTC hanno avuto un ruolo di “contagio” nel propagare la crisi sistemica. Però non se ne traggono le conseguenze fino in fondo perché si richiede di apportare modifiche migliorative e non risolutive. Ma c’è proprio bisogno dei derivati OTC in un’economia sana?

    Tuttavia il presidente Obama ha fatto delle riflessioni importanti di economia politica e di etica. Ha affermato che: ”Negli anni recenti, innovatori finanziari, cercando nuovi margini di mercato, hanno prodotto una enorme quantità di nuovi e complessi strumenti finanziari. Ma questi schemi erano costruiti sulla sabbia… Siamo chiamati a riconoscere che il libero mercato è la forza generatrice più potente della nostra prosperità – ma non è la licenza di ignorare le conseguenze delle nostre azioni”.

    Anche noi condividiamo la necessità di dare centralità alla società degli uomini con il loro lavoro e la loro economia e non alla finanza che vive per se stessa, o meglio per pochi grandi manovratori mondiali.

    L’iniziativa americana fa giustizia della lentezza europea. L’Europa ha perso l’occasione per essere l’attore principale nella costruzione della nuova architettura finanziaria globale. Purtroppo anche il “global legal standard” di cui parla Tremonti arriverà dopo l’iniziativa degli USA!    

7.01.2009

CRISI - COME VANNO LE COSE AI SUPER RICCHI?

Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Tempi duri anche per loro, dice il Rapporto di Merrill  Lynch sulla distribuzione della ricchezza nel mondo. I numeri, per quanto in calo, indicano che i soldi veri si stanno spostando verso i paesi emergenti

di M. Sironi

A fine 2007 nel mondo vi erano 10,1 milioni di ‘’ricconi’’, cioe’ di persone con un patrimonio finanziario superiore al milione di dollari. Ma a fine 2008 il loro numero si era ridotto a soli 8,6 milioni, piu’ della meta’ dei quali concentrati in tre paesi: USA, Giappone e Germania.

    Questo l’esito della crisi finanziaria sui patrimoni dei Paperoni della terra, fotografati dal Rapporto di Merrill Lynch sulla ricchezza nel mondo ora alla sua tredicesima edizione. Il Rapporto, che evidenzia ricchezze in calo in tutto il Pianeta senza eccezioni, svela alcune curiosita’: ad esempio, i ricconi italiani sono 164.000 ( su una popolazione di 60 milioni), il che conferisce all’Italia l’ottavo posto al mondo subito dopo la Svizzera che ne ha 185.000 (ma su 7 milioni di abitanti). E subito dopo l’Italia c’e’ il Brasile, che negli ultimi anni ha scalato le classifiche ed ora si piazza meglio dell’Australia e della Spagna. Inoltre a fine 2008 la Cina e’ balzata al quarto posto con 364.000 ricconi, superando l’Inghilterra anche se di pochissimo. Viene da se’ che i tracolli bancari del 2008 hanno colpito le ricchezze della City molto piu’ di quelle accumulate in Cina, dove i fattori macroeconomici sono piu’ solidi. Le reazioni appaiono comunque assai diverse da Paese a Paese, a seconda del tipo di ricchezza, e sono i patrimoni dell’America Latina (-6% contro un -19,5% della media mondiale) quelli che hanno resistito meglio. Grossa batosta invece per i ricchi nordamericani, per gli europei e per gli asiatici, con flessioni sul 22-23%. Ma in Germania le perdite sono state solo del 2% e in Francia del 12%, mentre il Terzo Mondo di cultura anglosassone pare aver seguito i destini della City: Hong Kong ha perso il 61% e l’India il 31%.

    La ricchezza tuttavia, dice Merrill Lynch, non fara’ ritorno esattamente la’ da dove e’ partita: le previsioni al 2013 vedono il patrimonio finanziario aggregato dei Paperoni nel mondo superare i 48 miliardi, con una crescita media dell’8% nel quinquennio. Ma per quell’epoca la terra dei ricconi sara’ l’Asia, superiore in ricchezza sia al Nordamerica sia all’Europa, grazie ad un tasso medio di crescita del 13% l’anno (contro un 7% del Nordamerica, e un 6,5% del Vecchio Continente e America Latina). E perfino l’Africa, che gia’ oggi conta 100.000 ricconi tra cui 1.800 super super ricchi con piu’ di trenta milioni di dollari in tasca, tallonera’ il Medio Oriente troppo legato al petrolio (+5,7%), crescendo ad un ritmo espansivo medio del 4,1%.

    Altra curiosita’ : di fronte alla debacle finanziaria i super ricchi non si sono comportati molto diversamente dal resto dell’umanita’. Hanno investito soprattutto in titoli a reddito fisso e prodotti di liquidita’, ma a differenza dei comuni mortali un buon 27% dei loro soldi e’ andato in ‘’luxury collectibles’’, cioe’ auto, jet e yacht di lusso. In crescita negli ultimi due anni (dal 20% al 25% del totale) gli investimenti in opere d’arte, preferite soprattutto dai super super ricchi con piu’ di 30 milioni di patrimonio. Ben comprati anche gioielli, gemme ed orologi (22% del totale). Questo genere di ‘’investimenti’’ e’ stato favorito da sconti fino ad un terzo del prezzo per i super yacht, ed altrettanto e’ successo nelle aste di pezzi da collezione, di cui gli happy fews hanno subito approfittato. Ma nella patria delle fondazioni caritatevoli, cioe’ negli USA, a fine 2008 il 60% dei ricconi diceva di voler ridurre le donazioni (mentre il 54% dei ricchi giapponesi pensava di dare di piu’ ).

6.17.2009

Liberismo in crisi, e dopo?

Non solo regole da rivedere, ma anche princìpi. Stelle polari: la Costituzione italiana e i trattati europei, in particolare quello di Lisbona. Ma è fondamentale il recupero del concetto di bene pubblico e di bene comune.


di Edoardo Reviglio *)


Vi sono importanti segnali che indicano la necessità di rivedere il paradigma di politica economica che ha dominato in questi ultimi vent’anni in una gran parte dei paesi del mondo. Vi è chiara la percezione che qualcosa non ha funzionato e che quindi è necessaria una revisione e una trasformazione non solo delle regole, ma forse anche dei princìpi. Come sempre avviene nell’evoluzione dei fenomeni della storia, la crisi è occasione di ripensamento. Il ripensamento, da un punto metodologico, deve essere basato su due indirizzi di fondo. Quello dell’analisi dei fatti (dell’esperienza) attraverso una seria indagine empirica dei fenomeni, e quello della ricerca teorica di nuovi modelli. Secondo questo metodo intende lavorare il gruppo di studio recentemente costituito dalla Cgil e composto di personalità provenienti da diverse discipline, inclusi gli storici, per riflettere sui diversi ambiti di intervento dello Stato nell’economia alla ricerca di un nuovo modello di sviluppo e società. Obiettivo dell’iniziativa è quindi quello di tentare di disegnare un nuovo quadro di politica economica per il nostro paese e per l’Europa.

La filosofia di fondo - Riferimento obbligato e "stella polare" della filosofia di fondo del gruppo di studio è il modello di società contenuto nella Costituzione della Repubblica italiana e nei Trattati europei, in particolare quello di Lisbona. La modernità della Costituzione italiana non pare in discussione. Essa va quindi "recuperata" e vanno rivisti tutti quegli ambiti contenuti nelle leggi speciali e di settore, che sono state introdotte sull’onda "privatista" di questi ultimi due decenni, e che sono, spesso, in contrasto con il modello stesso contenuto nella nostra Costituzione. Sul successo dei Trattati europei, che dovrebbero rappresentare il futuro, non sembra esserci, invece, unanime consenso. I Trattati che hanno definito il percorso verso la nascita dell’Eurosistema, hanno messo in seria difficoltà il sistema di Stato sociale e di economia mista su cui invece si fonda la nostra Repubblica. Vi sono, invero, stretti vincoli di finanza pubblica che l’Europa, anche giustamente, ci costringe a rispettare. Questi non possono essere sottovalutati, anche se esistono, come vedremo, aldilà delle privatizzazioni, interessanti possibilità di "ampliare" le disponibilità di risorse pubbliche comuni tramite nuovi strumenti di finanza pubblica europea.

Un altro punto qualificante del nuovo programma riguarda il recupero del concetto di bene pubblico e di bene comune (commons). In quest’ambito va sottolineata la recente proposta della Commissione Rodotà per la riscrittura dei princìpi generali che sovrintendono alla natura, proprietà e gestione dei beni pubblici. La salvaguardia e lo sviluppo dei beni comuni e dei beni della proprietà pubblica, riconsiderati nella loro varietà – che va dalle attività immateriali, che includono attività finanziarie pubbliche (liquidità, crediti, e partecipazioni in imprese), altri beni immateriali, come i brevetti, i marchi, i prodotti della ricerca e dello sviluppo, lo spettro delle frequenze; alle attività fisse, come gli immobili e i terreni, le infrastrutture, le risorse naturali, i beni culturali, i beni della difesa e altro ancora – possono diventare occasione di un ripensamento profondo, anche per stimolare l’innovazione tecnologica e culturale, in direzione dei nuovi bisogni e servizi sociali. La riforma dei beni pubblici – di cui l’Italia, come noto, è straordinariamente ben dotata – può quindi diventare punto qualificante di una nuova proposta di politica economica. Riscrivere i princìpi generali sulla gestione dei beni pubblici significa rivedere, trasformare e modernizzare la costituzione materiale del paese.

Il tema della partecipazione - Altro punto centrale della nostra riflessione riguarda i problemi della partecipazione dei lavoratori alla vita e al governo delle imprese, con un recupero del concetto di impresa "comunità", sulle linee delle riflessioni, per esempio, contenute nel pensiero di Adriano Olivetti, insieme ad alcune esperienze estere, quale la co-determinazione tedesca. Tutto ciò, non solo per ottenere una migliore distribuzione economica dei profitti delle imprese tra detentori dei capitali e lavoratori, ma anche, e soprattutto, al fin di fare maturare nuove istanze cooperative e comunitarie nell’associazione di lavoratori in imprese-organismi e non più in imprese "nessi di contratti", teleologicamente costruite principalmente per massimizzare i profitti del capitale, cercando di comprimere, parallelamente, il più possibile, i costi dei fattori di produzione, gli investimenti, ma soprattutto il lavoro.

Un nuovo concetto di qualità della vita - Nella ricerca delle finalità dell’azione pubblica in una moderna società policentrica e solidale, è necessario ridefinire, e concentrarsi, su un nuovo concetto di qualità della vita. Tale concetto va inteso secondo una visione che vada aldilà del mero benessere materiale - economico - pecuniario - in modo da includere valori come, ad esempio, il diritto di libertà e integrità personale, l’aver tempo libero, i valori comuni artistici e culturali e del sapere e i beni ambientali e naturali, i "valori privati", i diritti civili e politici, gli affetti famigliari e dell’amicizia, la generosità, il volontariato e la solidarietà umana, la dignità e la stabilità del posto di lavoro, e altro ancora. Tutto ciò va realizzato attraverso politiche che siano orientate al lungo periodo e che siano, perciò, inter-generazionali. Altri ambiti decisivi dell’azione pubblica sono il funzionamento del mercato del lavoro, la correlazione concorrenza/politiche economiche e industriali, e il funzionamento equo (e di lungo periodo) dei mercati finanziari e assicurativi. In sintesi, i principali temi che su cui ci si propone quindi di riflettere sono: lo Stato e le imprese pubbliche; le privatizzazioni e una valutazione dei risultati per il sistema economico, industriale e sociale del nostro Paese; (dal punto di vista storico) i sistemi dell’economia mista nel capitalismo europeo del Novecento; il nuovo sistema finanziario italiano, gli assetti proprietari delle imprese e la protezione del risparmio; il governo democratico dell’economia e la pianificazione economica ed industriale; lo Stato regolatore e la concorrenza; il rapporto tra capitale e lavoro: le diseguaglianze accresciute e la nuova questione della redistribuzione dei redditi; la finanza pubblica e i vincoli di bilancio; la necessità di riqualificare la pubblica amministrazione; i beni pubblici, i beni comuni, il patrimonio pubblico. In questo contributo, considerati i limiti di spazio, mi limiterò a una breve considerazione storica sull’ascesa (nel secondo dopoguerra) e sul declino (negli anni ottanta) del modello europeo dell’economia mista e dello Stato sociale.

Splendore e declino dell’Età dell’Oro - Guardando indietro è legittimo domandarsi quale fosse l’interesse, e da parte di chi, di porre fine alla cosiddetta Età dell’Oro (1945-1970) e di cambiare la rotta rispetto a un modello che aveva avuto tanto successo per oltre una generazione. A livello astratto, teorico, i molti che avevano in mente le disastrose esperienze degli anni dell’iper-inflazione e il caso dell’America Latina, pensavano, in buona fede, che se non si fosse riusciti ad abbattere l’inflazione sarebbe stata la fine delle speranze di prosperità e pace sociale. Tuttavia, nel mondo avanzato, in quel storno di tempo, non c’erano segni di unatale iper-inflazione e quindi le ragioni di chi ha sostenuto il cambiamento vanno ricercate, probabilmente, tra considerazioni molto meno "nobili" e molto più "terrene". Va osservato, in questo contesto, che non tutti avevano beneficiato dell’Età dell’Oro. Vi era stata, non dimentichiamolo, una forte contrazione dei profitti, e al declino dei profitti era associata una significativa perdita di potere sul mercato del lavoro da parte dei proprietari e dei controllori del capitale.

Avvenne così, che nella seconda metà degli anni Settanta, si incominciò a pensare che, come il keynesianismo aveva unito alcuni degli ideali della sinistra, così il monetarismo sarebbe diventato facilmente l’ideologia abbracciata dalla destra. Oltre ad avere il vantaggio di "restituire" al capitale il potere sul lavoro, il monetarismo aveva alcune altre caratteristiche che lo rendevano molto desiderabile per i suoi sostenitori.

Ora, poiché, secondo i suoi insegnamenti, l’inflazione può essere tenuta sotto controllo nel modo migliore attraverso strumenti monetari, e poiché sono i governi che sono responsabili della creazione di inflazione della moneta attraverso la creazione eccessiva di debito a causa degli squilibri nei bilanci pubblici, ovvero spendendo di più di quanto raccolto con le tasse, tagliare la spesa pubblica diventò il principale ingrediente della politica monetarista. Quale migliore giustificazione per ridurre i programmi dello Stato sociale? In molti incominciarono a sostenere che fossero i generosi benefici alla disoccupazione che permettevano ai sindacati di teneri alti i salari mentre, fuori al freddo, c’era un esercito di disoccupati pronti a lavorare anche per salari molto più bassi. Il taglio dei benefici ai disoccupati, insieme ai tagli nella spesa sociale, avrebbero dato conforto ai cittadini che pagano le tasse, ridotto le pressioni inflazionistiche, e nello stesso tempo avrebbero restituito potere ai datori di lavoro sulle proprie maestranze. Un nuovo indirizzo veniva così intrapreso in quasi tutti i paesi per invertire i processi di nazionalizzazione, privatizzando i benefici sociali e le imprese pubbliche. L’impeto verso tali processi derivava dalla nozione, del tutto dottrinaria, che il privato è sempre e comunque più efficiente del pubblico. Ma non può essere nascosto il fatto che, in realtà, le privatizzazioni avrebbero aumentato le opportunità per i privati di fare profitti, e questa era forse la principale motivazione di queste nuove politiche.

È così che la storia della politica economica europea è molto cambiata negli ultimi vent’anni. Sono entrati in gioco vari fattori. Su quello intellettuale, che ha visto la teorizzazione e la realizzazione degli strumenti e delle istituzioni dello "Stato Regolatore", hanno inciso i Trattati europei. In particolare su due fronti. Primo, la disciplina della concorrenza necessaria per la "convergenza competitiva" su cui si basava il processo di unificazione contenuto nel Trattato. Parte integrante di tale disciplina è il divieto degli aiuti di Stato che rende la proprietà pubblica delle imprese molto meno efficace e necessaria. Il secondo è il Trattato di Maastricht. Per entrare nell’euro era necessaria una politica fiscale restrittiva, anche rispetto alla riduzione dei debiti pubblici. Per fare questo non vi era altra possibilità che vendere le aziende di Stato. Ciò, dal punto di vista ideologico, avrebbe richiesto due cose: abbracciare l’ideologia delle privatizzazioni e del capitalismo finanziario anglosassone e accettare come "positivo" il passaggio di molte attività pubbliche alla sfera privata, semplicemente perché non vi erano più le risorse per mantenerle direttamente in mano del pubblico a causa della necessità di ridurre la spesa pubblica per entrare in Europa. Sui risultati di questi processi è ora necessario aprire una riflessione seria, basata su dati empirici e senza pregiudizi di carattere ideologico, per capire se non sia necessario rivedere queste trasformazioni che non sembrano aver realizzato gli obbiettivi che avevano promesso.

Conclusioni - In conclusione, la costituzione economica e fiscale (Ordo) deve diventare in parte un compito di cooperazione mondiale. La solidarietà, che nasce dal principio un uomo un voto, appare invece un compito nazionale e per noi europeo. Su queste basi sarà interessante scoprire cosa emergerà da una riflessione a tutto campo che include studiosi di diversi orientamenti a appartenenti a diverse discipline. Qualcosa, tuttavia, li unisce; la consapevolezza che siamo a un momento di svolta, che il futuro non potrà essere uguale al passato, ma che la costruzione del futuro non può prescindere da una seria analisi empirica e teorica dei punti di forza e di quelli di debolezza delle esperienze del recente, e meno recente, passato.


*) Editorialista di Rassegna.it - sito Cgil d’informazione quotidiana, specializzato in lavoro, politica ed economia sociale.

5.25.2009

La sfida Fiat tra disoccupazione e riconversione

La Fiat ha lanciato sulla crisi dell'automobile la sua grande sfida. E’ una grande sfida anche per l’Italia. E per il governo. Ma non è forse una strada obbligata segnata dalla crisi globale più grave della storia?

di Mario Lettieri e Paolo Raimondi

Il 23 febbraio scorso il New York Times pubblicava un editoriale con un titolo molto diretto "Why can’t Cerberus foot the bill?" (Perché Cerberus non paga il conto?) in cui invitava i padroni della Crysler e della General Motors, in primis il fondo di investimento Cerberus, a mettere sul tavolo i soldi necessari a salvare le due fabbriche automobilistiche, senza elemosinare ulteriori aiuti dello stato e della collettività.
Cerberus Capital Mangement è uno dei più agguerriti e spregiudicati equity fund, specializzato nel "metodo spezzatino", cioè quello di acquisire il controllo di un’impresa, eventualmente in difficoltà, spolparla, prendere il filetto e lasciare pelle e ossa (e debiti) agli altri, in particolare allo stato. Non ha potuto portare a termine questo programma in quanto la crisi globale ha drammaticamente cambiato le carte in tavola.
In aprile 2007 Cerberus aveva preso il 51% della GMAC, la fortezza finanziaria della GM con un portafoglio crediti al consumo (auto) pari a 1.400 miliardi di dollari e un anno dopo aveva acquistato l’80% della Chrysler. Cerberus, nome appropriato che si riferisce al mostro canino a tre teste che fa da guardiano all’inferno ricordato nella "Divina Commedia", è anche un colosso internazionale immobiliare e dei mutui sub prime, delle ipoteche e dei crediti facili e quindi è stato un attore primario nella crisi finanziaria globale.
Lo scorso dicembre nel mezzo della bancarotta, il governo americano aveva dato 13 miliardi di dollari alla GM e 4,3 alla Chrysler, poi a febbraio, dopo drastici tagli nell’occupazione e nella produzione e un inevitabile aggravamento della crisi finanziaria, GM e Chrysler avevano chiesto rispettivamente altri 17 e 5,3 miliardi di dollari in aiuti. A quel punto il New York Times aveva sfidato Cerberus a venire allo scoperto.
Come si sa la dimensione dell’intreccio è complicata dal fatto che GM, che è in procinto di chiedere il Chapter 11, cioè di dichiarare bancarotta, controlla la tedesca Opel, anch’essa alla vigilia di una "amministrazione fiduciaria temporanea" da parte del governo di Berlino.
Abbiamo riportato questi fatti perché prima di procedere con il petto gonfio di un certo "orgoglio nazionale"a buon prezzo, è doveroso farsi questa domanda: quale è l’accordo finanziario vero sottostante la possibile acquisizione della Chrysler da parte della Fiat e la joint venture con la Opel? Fino ad ora si sono sentite solo garanzie verbali secondo cui l’acquisizione non costerà niente, anzi la Fiat ci guadagnerebbe in mercato e in riduzione di costi di scala. In una situazione in cui tutti chiedono aiuti e piangono perdite e miseria, sorge qualche sospetto quando si pretende che la crisi all’improvviso crei delle opportunità che farebbero bene a tutti!
I dubbi infatti sono tanti anche perché pochissimi anni fa, fino alla primavera del 2005, era la Fiat in crisi che doveva essere assorbita dal gigante GM. Certamente la crisi finanziaria globale ha evidenziato i conti truffaldini delle case americane e i buchi vertiginosi in tutte le altre, ma ha anche prodotto un crollo nelle produzioni e nei consumi, settore auto incluso. Per evitare ulteriori nuove sorprese è quindi necessario conoscere in dettaglio gli accordi finanziari di cui poco si dice.
Inoltre, è vero che, dallo sconquasso provocato dalla crisi, in verità si sapeva già da prima, nel mondo emergeranno solamente 4-5 grandi gruppi industriali dell’auto. Entriamo quindi in un inevitabile fase di "mega alleanze" dove è auspicabile una Fiat attiva più che reattiva. Ma è altrettanto vero che, anche con una stabilizzazione della crisi, il mercato automobilistico occidentale vedrà un ridimensionamento almeno del 20%. Perciò la seconda domanda che dobbiamo consapevolmente porci è: cosa succederà con gli "esuberi" di mano d’opera e di macchinari?
Il problema non è soltanto la bravura e la riuscita delle trattative di Marchionne, le cui capacità manageriali non sono in discussione. La discussione in Italia ha finora evitato accuratamente di affrontare il problema dei livelli di occupazione e della cassa integrazione.
E’ poi reale il rischio di un pericolosissimo scontro tra lavoratori sia a livello nazionale che internazionale. Si parla di salvare i posti degli italiani a scapito di quelli della Opel tedesca e viceversa.
Perciò per mantenere ed espandere l’occupazione e il settore dell’auto è necessario mettere in campo un vasto progetto industriale anche di riconversione. Se produrremo meno auto, potremmo produrre altri beni necessari allo sviluppo di nuovi mezzi di trasporto pubblico e più in generale di macchinari, turbine, ecc. per altri settori tecnologici, ad esempio quelli legati alle grandi infrastrutture e all’ambiente. Crediamo che non manchino alla Fiat le competenze necessarie a preparare un simile programma.
E’ una grande sfida per la Fiat, per l’Italia e per il governo. Ma non è forse una strada obbligata segnata dalla crisi globale più grave della storia?

5.05.2009

Commercio internazionale

I recenti sforzi dell'amministrazione Obama per salvare la Chrysler hanno portato a una serie di accordi sul nuovo assetto societario. Se gli accordi andranno a buon fine, i lavoratori potranno detenere una quota del 55 per cento della società, la Fiat il 35 per cento, il governo e i creditori di Chrysler il restante 10 per cento. Ieri il governo ha annunciato che è stato raggiunto anche un accordo preliminare con le quattro banche che hanno finanziato più del 70 per cento del debito di Chrysler, un patto che potrebbe salvare la casa automobilistica dalla bancarotta.

The Washington Post, Stati Uniti
http://www.washingtonpost.com:80/wp-dyn/content/article/2009/04/28/AR2009042801241_pf.html



L’Africa in ginocchio

Emergenza commercio internazionale

di Mario Lettieri e Paolo Raimondi

Costretto ad una terminologia negativa anche quando vorrebbe prospettare un po’ di ottimismo, come "la velocità di declino dell’economia si è rallentata", il summit dei ministri delle Finanze e dei governatori delle Banche Centrali del G7 del 25-26 aprile a Washington rivela di essere ossessionato dall’emergenza finanziaria e dalla necessità di dare risposte alle insolvenze dei banchieri.

    Liquidità a tutti i costi, sembra essere il programma che dalla Federal Reserve si propaga in tutti i centri decisionali dell’economia mondiale. Ma qual è l’effetto sull’economia reale?

    Il G20 di Londra e il G7 di Washington si sono anche impegnati a "realizzare l’iniziativa di immettere almeno 250 miliardi di dollari per finanziare il commercio". E’ una piccola percentuale a confronto con i trilioni di dollari di impegni finanziari per i salvataggi delle banche in crisi, ma può essere comunque un passo importante se viene realizzato subito, prima che prodotti, merci e tecnologie restino impantanate nelle sabbie mobili della recessione.

    Intanto alcuni settori chiave del commercio mondiale hanno già perso più del 20%, come i traffici commerciali aerei. Ci sono centinaia di navi porta container ferme in vari porti. Il commercio marittimo rischia il collasso totale, con crolli dei prezzi, fallimenti di armatori, paralisi dei trasporti per mancanza di merci da trasportare. Per il 2009 il WTO prevede una contrazione del 9% del commercio mondiale, mentre per l’OCSE la perdita di commercio sarà del 13,2%.

    Nei dieci mesi che vanno da aprile 2008 a febbraio 2009 il commercio internazionale – secondo il premio Nobel ed economista americano Paul Krugman - ha subito un crollo di gran lunga superiore a quello che si ebbe in un simile periodo durante la crisi del ’29.

    A rimetterci drammaticamente sono innanzitutto i paesi più poveri. I ministri dell’economia dei paesi africani riuniti lo scorso fine settimana nella sede del Fondo Monetario Internazionale a Washington hanno dato una quadro devastato e allarmante delle loro economie.

Dall’inizio della crisi l’Africa, e in particolare quella sub-sahariana, sta soffrendo per i cambiamenti nella domanda globale, per il tracollo dei prezzi delle materie prime e per l’ulteriore scarsità di investimenti e di fondi verso il continente.

    L’Africa ha perso importanti produzioni per l’export in quanto i mercati dei paesi cosiddetti avanzati si sono contratti. La Costa d’Avorio ha perso il 22,4 % del suo commercio, soprattutto del legno; la Tanzania ha 25% in meno di ordini per la sua produzione di cotone e in forte diminuzione è anche il caffè e altri prodotti agricoli; il Ghana chiude miniere di rame e di altre materie prime, mentre un terzo del suo budget annuale scompare nei pagamenti degli interessi sul debito estero.

    Di conseguenza sono crollati la produzione, l’occupazione e i già precari livelli di vita. La Banca Mondiale ha denunciato che nel mondo, dall’inizio della crisi, i poveri con meno di 1,5 dollari al giorno sono aumentati di 50 milioni che si aggiungono al miliardo di persone che vivono nell’indigenza estrema. "L’economia globale si è deteriorata drasticamente. I paesi in via di sviluppo sono di fronte a conseguenze serie, mentre la crisi finanziaria ed economica si sta trasformando in una calamità umana."

    Quando si parla di nuove regole non ci si può limitare alla finanza ma occorre ridefinire un nuovo modello di sviluppo economico e sociale che non lasci nessuno ai margini.

Negli Anni Quaranta l’incipiente guerra fredda aveva lasciato i paesi del blocco sovietico e i paesi in via di sviluppo fuori dagli accordi di Bretton Woods e dalla ricostruzione e cooperazione internazionale.

    Guai se la nuova Bretton Woods escludesse i paesi più deboli che sono poveri di potere ma ricchi di quelle risorse e materie prime tanto ambite dai grandi paesi. Se non si affronta contestualmente al problema finanziario anche la "questione Africa"si rischia un altro fallimento sistemico che perpetuerebbe squilibri e ingiustizie!

4.23.2009

Un G8 per eliminare la bolla dei derivati

Il governo italiano dovrebbe proporre all’ordine del giorno del G8 di luglio regole d'immediata applicazione per obbligare banche ed hedge funds a prosciugare la palude dei  derivati.



di Mario Lettieri e Paolo Raimondi


A qualche giorno dal G20 di Londra del 2 aprile possiamo riflettere con più pacatezza sui contenuti e sui risultati del Summit.

    L’incontro ha prodotto un comunicato finale e altri documenti molto dettagliati che incominciano a delineare la nuova architettura finanziaria globale che i governi e gli stati vorrebbero far sorgere dalle ceneri della crisi bancaria ed economica mondiale più grave della storia.

    Il ruolo centrale di gestione viene conferito al vecchio Fondo Monetario Internazionale. Ciò però solleva profondi dubbi e anche notevoli preoccupazioni da parte di quanti - e non sono pochi -  negli anni passati hanno subito il dominio e gli effetti negativi di certe sventurate e incompetenti politiche.

    Essendo un’istituzione legata alle Nazioni Unite, il FMI è comunque suscettibile di una nuova e più positiva definizione in accordo con i nuovi rapporti di forza creatisi tra gli stati con l’esplosione della crisi.

    Nel rapporto tra l’economia reale e quella finanziaria, la seconda, la più malata, è stata oggetto “dell’analista e del medico”. Ma nel nuovo ordine economico emergente non è stato ancora definito con precisione se e come l’economia produttiva influenzerà le regole della finanza, capovolgendo la formula degenerativa della turbo-finanza creativa “uber alles” causa dei disastri attuali.

    Comunque per la prima volta in un vertice di capi di stato e di governo del mondo sono stati affrontati argomenti importanti e proposte costruttive, come la questione dei paradisi fiscali, del regolamento delle agenzie di rating, dei bonus dei manager.

    E’ stato anche affrontato il problema dei sistemi di contabilità da omologare congiuntamente, su cui non si può che essere d’accordo.

    E’ importante però che questo avvicinamento agli standard contabili di tipo americano, in Italia sia da subito affiancato anche dalla intransigenza e severità con cui in America vengono poi puniti gli accertati abusi economici e amministrativi. A questo proposito si ricordi che negli USA i manager della Enron e di altre corporation truffaldine sono in carcere e vi rimarranno non meno di venti anni, mentre in Italia il reato di falso in bilancio è stato sostanzialmente depenalizzato.

    Ma al vero problema della crisi, quello della bolla dei titoli tossici, partendo dal gigantesco problema dei derivati finanziari, è stato invece riservato solamente un marginale e insufficiente riferimento. La “Dichiarazione sul rafforzamento del sistema finanziario” al riguardo dice che “noi (i governi) promuoveremo la standardizzazione e il ricupero dei mercati sui derivati del credito, particolarmente attraverso la creazione di una centrale di clearing tra le controparti, soggetta ad una effettiva regolamentazione e supervisione”.

    Purtroppo ancora una volta al G20 i governi del mondo hanno evitato di mettere le mani nel “fango dei titoli tossici”, che vengono così lasciati sui libri contabili, o ancor più pericolosamente mantenuti fuori bilancio come i derivati OTC, che alla fine determinano la vita e la morte delle banche in crisi e anche la scomparsa in questi buchi neri di ingenti stanziamenti statali per operazioni di salvataggio. La proposta di una camera di compensazione (clearing) è giusta, ma tardiva, e sembra concepita per un sistema ben funzionate e non commisurata alla sfida epocale dell’attuale emergenza.

    L’ultimo rapporto trimestrale di fine marzo 2009 della Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea riporta che il cosiddetto valore nozionale dei derivati OTC rilevati a fine giugno dello scorso anno era di 683.725 miliardi di dollari, 683 trilioni! La BRI rivela anche che è in corso un certo ridimensionamento soprattutto nelle operazioni in derivati sui tassi di interesse negli ultimi 9 mesi di crisi bancaria, anche se l’emergenza speculativa dei derivati finanziari rimane completamente inevasa.

    Molti media internazionali e anche nazionali hanno detto che, dopo i risultati del G20 di Londra, il prossimo G8 della Maddalena, in Sardegna, dell’8-10 luglio perderebbe tutta la sua rilevanza e la sua necessità.

    E’ verissimo che il G20 con la Cina, India, Russia, Brasile e le altre grandi nazioni emergenti rappresenta più compiutamente la realtà del mondo, ma è altrettanto vero che sono anzitutto i paesi del G8 che devono fare pulizia in casa loro dei titoli tossici.

    Il vertice della Maddalena e anche il governo italiano possono giocare un ruolo di grande importanza per riportare il sistema creditizio su percorsi virtuosi e liberarlo dal fango della speculazione e dei titoli tossici.

    A nostro avviso il governo dovrebbe proporre all’ordine del giorno di luglio regole di immediata applicazione per obbligare le banche e gli hedge funds a loro collegati, a prosciugare la palude dei derivati come condizione per potersi valere dei salvataggi statali.

    Cominciare dai derivati OTC non è un opzione, ma un obbligo per riportare la certezza dei regolamenti e dei controlli nel mondo della finanza di cui tanto si è parlato a Londra. Gli OTC sono operazioni speculative fatte da poche banche e spesso tra di loro. Da sole le quattro note banche americane, JP Morgan Chase, Citibank, Bank of America e Goldman Sachs, ne vantano quasi un terzo del totale, pari a 190.000 miliardi di dollari.

    La neutralizzazione dei derivati OTC dovrebbe essere propedeutica per affrontare con la stessa determinazione altri titoli tossici.

    Molte voci autorevoli si sono già espresse in modo deciso sul problema. A Londra il cancelliere tedesco Angela Merkel e il suo ministro dell’Economia Peer Steinbrueck hanno affermato che una simile regolamentazione dei mercati finanziari è “una priorità assoluta”. Daisuke Kotegawa, il rappresentante giapponese presso il Comitato Esecutivo del FMI, ha proposto che i titoli tossici siano valutati zero e presi sotto il controllo di una “bad bank”.

    Alla Maddalena i governi possono decidere delle misure di emergenza come avviene in situazioni di gravi catastrofi. Possono decidere di proibire future operazioni in derivati OTC e sollecitare le banche a portare a termine in modo definitivo i loro contratti derivati in essere.

    Si ricordi che fino all’inizio del 1990 l’economia mondiale ha funzionato di fatto quasi senza derivati finanziari e certamente potrebbe ricominciare a farlo, aprendo una seria prospettiva di crescita e di un più equilibrato progresso mondiale che comprenda primariamente anche i paesi più poveri.

 

4.09.2009

Il politico e il numismatico 

La crisi economica del 1929 vista da un osservatorio inconsueto. Rodolfo Ratto (1866-1949) fu tra i più accreditati studiosi italiani di numismatica. I suoi cataloghi su monete a prezzo segnato sono ancora oggi strumento indispensabile per chi intraprende l’attività nel settore. Nato a Genova nel 1866, si trasferì nel 1921 a Lugano, dove  restò fino al 1930. A Villa Ginevra presso Besso promosse aste private per la compravendita di monete greche e romane. Il clima di  quegli anni, contrassegnato da ovvi malumori per  il mutare delle leggi sui cambi e per il graduale avvicinarsi della crisi mondiale del 1929, è documentato in un  carteggio da Lugano fra il numismatico e il Deputato al Parlamento italiano Pietro Niccolini, Senatore del Regno  dal 1920 e qualificato referente di Ratto.

di Giuseppe Muscardini

Basta passeggiare lungo la raffinata Via Nassa per rendersene conto. Il mercato e lo scambio numismatico è prospero e fiorente, per quanto oggi sia difficile pensare ad investimenti in monete antiche.

    Ma Lugano ha radici consolidate, tanto da indurre nel passato numismatici provenienti dall’estero ad impiantare la loro attività nella bella città sul lago, per farsi promotori di aste pubbliche e private in un commercio destinato ad assumere sempre più carattere internazionale. La riprova di questa diffusa tendenza ci viene dal recente ritrovamento di una corrispondenza epistolare tra Rodolfo Ratto, stimato numismatico con residenza a Villa Ginevra, e Pietro Niccolini, parlamentare italiano, appassionato di antichità e a sua volta collezionista di monete.

    Il carteggio fra i due, risalente agli anni Dieci e Venti, svela interessanti implicazioni e offre spunti di riflessione sul clima morale del periodo che precedette una crisi socio-economica di portata mondiale. La numismatica, nel caso dei due, diviene così da Lugano una sorta di osservatorio privilegiato attraverso il quale misurare il polso dell’economia, riflettere sulla condizione ondivaga dei cambi e sulle nuove leggi che dal 1926 regolarono i commerci tra Svizzera e Italia.

    Si legge testualmente in una lettera del 7 luglio 1926: La Numismatica non va troppo bene, a causa di questo mondo che non vuol mai andare a posto, anzi va sempre più fuori  di posto. In questo momento poi, l’attuale decreto sui cambi, mi proibisce ogni traffico con l’Italia; ma capisco  che intanto, anche se non ci fosse il decreto, l’altezza  attuale del  cambio, impedirebbe egualmente gli affari. A parte l’Italia, tutto il mondo è malato, malatissimo, non parliamo di Francia e Belgio ecc. La stessa America soffre  di malattia ferocissima del dollaro, ed è più malata di noi che soffriamo per la lira barcollante.

    Visibilmente preoccupato per i continui mutamenti che mettono a repentaglio la sua attività luganese, Rodolfo Ratto non si sottrae al compito di erudire il politico sui valori etici (e anche materiali) di certe monete romane in vista di una compravendita. Consiglia, pontifica seccamente sulla conservazione di Auree o Faustine romane, critica stato e fior di conio di monete comunissime e senza valore, che dice di possedere a dozzine.

    L’autorità gli viene da un sapere e da un’esperienza professionale di tutto rispetto: dal 1893, all’età di 27 anni, aveva dato inizio a Genova alla sua attività commerciale, riuscendo l’anno successivo a pubblicare il primo di un prezioso corpus di cataloghi, cessato solo nel 1939. Ha impennate di vero entusiasmo quando la ripresa del cambio gli fa sperare lauti vantaggi: Ora poi bisogna considerare il miglioramento della Lira che vuol dir molto. Sopra L. 500, in pochi mesi, corre una differenza di 200 lire. Cioè è  quanto dire che 500 d’oggi equivalgono a 700 di prima, epperciò se la lira continua a migliorare, quod est in votis,  il prezzo continuerà sempre a scendere, anche a dispetto dell’ostinazione del venditore. E qui si tratta di pura operazione matematica, contro la quale qualunque argomento contrario s’infrange (lettera del 19 gennaio 1927).

    Come promotore di aste private a Villa Ginevra, si dimostra abile e attento alle minuzie: è in grado di prevedere ostacoli per i suoi utili sulla base di convinzioni personali e giudizi talvolta sommari, dettati dalla frequentazione assidua dell’ambiente luganese del commercio numismatico: Non creda che i membri della Società di cui mi parla siano persone da portare profitti, anzi i Luganesi furono poco soddisfatti. Il guadagno che ne tireremo sarà questo: che siccome il Governo ha fatto spese eccezionali per preparativi, impianti ecc., egli poi le riparte nell’aliquota delle tasse, ed io ne sortirò molto ammaccato, come tutti gli altri; glielo saprò dire a fine d’anno. Sarà una liquidazione poco confortante (lettera del 6 febbraio 1929).

    È sorpreso dal fatto che il Governo intenda distribuire l’onere di spesa per gli interventi pubblici attuati sull’assetto viario di Lugano con un proporzionale aumento delle tasse. Si sente addirittura perseguitato, e pronosticando dissesti finanziari, il 5 ottobre 1929 scrive testualmente: Dei guai fiscali, è meglio non parlarne. Sono qualche cosa di più grave di un guaio. Basti dire che si va facendo strada l’idea di ritornare in Italia.  Qui non è più possibile vivere. Specialmente da un anno a questa parte si è delineato tutto un sistema insopportabile, da superare qualsiasi previsione, la più nera, che si avesse potuto fare.

   Quantificando le numerose aste private organizzate a Villa Ginevra a Besso in quegli stessi anni, e sfogliando i relativi cataloghi editi dal 1924 al 1929 dalla Tipografia e Libreria dei Successori di Natale Mazzucconi di Lugano, è tuttavia lecito pensare che buoni profitti siano entrati nelle casse del numismatico. Ancora dopo il 1930, lasciato il Ticino per ritirarsi a Milano, le due aste più importanti volle tenerle a Lugano.   

*) Giuseppe Muscardini vive a Ferrara dove lavora presso la Biblioteca dei Musei Civici d'Arte Antica. Narratore e saggista, collabora con "Nuova Antologia", "Belfagor" e molte altre testate italiane e internazionali.

È membro attivo della "Associazione Svizzera dei giornalisti specializzati" (Verband Schweizer Fachjournalisten - SFJ). Per le Edizioni dell'ADL ha pubblicato L'Empietà di Marte - Elogio dei giovani che ripudiano la guerra (Zurigo, 2007).

4.07.2009

CRISI FINANZIARIA CHI GUADAGNA E CHI PERDE

di M. Sironi 


Grandi vittime della crisi in atto, al di là dei casi singoli, sono: a) l’intero sistema capitalistico, b) la logica  del profitto immediato, c) la finanza per la finanza, d) l'annosa indifferenza per un’economia reale sana.


Due settimane di rimbalzi sui mercati azionari sono state sufficienti a far si che i vari convegni sulla crisi mondiale cambiassero titolo:  dopo un anno di "come salvarsi" e di "chi paghera’", ora tutti cercano di guardare "oltre la crisi" per capire come sara’ il "dopo". Il primo trimestre di quest’anno e’ andato abbastanza male da farci capire –  sono stime dell’FMI  -  che il 2009 si concludera’ con una flessione del PIL mondiale tra lo 0,5% e l’1,5%, ed e’ la prima volta in sessant’anni.  Quanto all’Italia, qui le cose andranno peggio: la Confindustria parla di mezzo milione di disoccupati, mentre l’OCSE prevede un Pil in flessione del 4,3% nell’area euro. Ma non bisogna fare di tutte le erbe un fascio. Prima domanda: c’e’ qualcuno che con la crisi ci ha guadagnato?

    Certamente si, e sono i pochi ardimentosi che un mese fa, visto che il valore di Borsa del nostro listino (330 societa’ quotate) era sceso cosi’ giu’ da eguagliare quello degli immobili del centro storico di Milano,  hanno avuto il coraggio di comprare. Per fare un esempio, uscendo di casa la mattina uno poteva scegliere di prendere il caffe’ o di comprarsi un’azione Unicredit: tanto costavano uguale. Ma con le Unicredit in pochi giorni il coraggioso ha raddoppiato il valore del suo investimento, anche se non si puo’ sapere quanto durera’. 

    Altra categoria che dalla crisi ha tratto giovamento e’ quella degli "spalloni", gia’ in auge negli anni ’70. I soliti ben informati parlano di un intenso traffico di lingotti d’oro tra la Svizzera e l’Italia, proprio come ai vecchi tempi.  Molti, disgustati dalla finanza in tutte le sue forme, sono tornati all’oro: oro fisico, che si tocca, non certificati in oro o futures legati al fixing del metallo giallo. Un altro settore che , ahime’, ha  certamente guadagnato dalla crisi e’ quello dei prestiti a usura: gli strozzini del credit crunch  se ne impippano, anzi sono pronti ad accogliere  a braccia aperte i piccoli e piccolissimi imprenditori a cui le banche hanno ristretto il fido.  Ma e’ facile capire che tutta l’economia legata alla malavita, seguendo regole sue proprie, non ha molto da temere dalla crisi mondiale. Fortunatamente la medaglia ha un suo rovescio:  i governi, preoccupati per lo scarso gettito fiscale  di questi anni magrissimi,  hanno dichiarato guerra senza quartiere agli evasori, chiedendo ed ottenendo l’abolizione del segreto bancario nei paesi che ancora lo avevano.  E viene da se’ che buona parte dei 200/300 miliardi l’anno di fondi neri che emigrano dall’Italia verso i paradisi fiscali proviene dalle varie mafie spa: la stima del denaro mafioso e’ sui 130 miliardi.

    Ma qualche buon affare lo fara’ anche il nostro Tesoro, che grazie ai Tremonti bond potra’ salvare le banche in crisi prestando loro un po’ di miliardi all’8% di rendimento medio. Mentre lui, il Tesoro, si fa prestare i soldi dal "popolo dei BOT" a tassi otto volte piu’ bassi. Beninteso, queste sono le regole imposte dalla BCE e dalla Comunita’ Europea, ma tant’e’.

    Infine non bisogna trascurare quello che ci insegna "l’indice del rossetto", che negli ultimi mesi ha puntato all’insu’ come sempre nei periodi di guerra. Lo dicono gli storici: quando le cose vanno molto male , le aziende si vedono dimezzare gli ordini e nessuno compra piu’ niente, i soli consumi che "tirano" sono quelli per la cura della persona. Forse fa parte dell’istinto di conservazione di ognuno di noi.

    Ovviamente l’universo di chi dalla crisi ha avuto solo perdite e’ assai piu’ vasto, e va dai risparmiatori che hanno visto volatilizzarsi il loro peculio,  ai lavoratori rimasti a spasso con o senza ammortizzatori sociali, a  chi ha dovuto chiudere i battenti di una piccola attivita’ che gli ha dato da mangiare per tutta una vita.  Ma non bisogna dimenticare il gruppetto delle vittime eccellenti: cominciamo dai manager che non percepiranno piu’  buoneuscite  miliardarie per aver mandato le loro aziende in fallimento (vedi ad esempio AIG negli USA e Royal Bank of Scotland in UK). Di fronte all’indignazione popolare si puo’ sperare che in futuro di questi contratti ai manager non se ne faranno piu’. Vita piu’ dura anche per i dirigenti francesi, ora che i lavoratori di Oltralpe hanno ritrovato il loro spirito comunardo: se le cose non cambiano,  quella di sequestrare i dirigenti per evitare che licenzino gli operai potrebbe diventare una consuetudine. I casi Sony e 3M hanno aperto una strada, presto percorsa anche dagli operai della Caterpillar e da quelli del re del lusso, Francois Henry Pinault.

    Ma  la grande vittima, al di la’ dei casi singoli,  e’ l’intero sistema capitalistico votato al profitto immediato, e’ la finanza per la finanza e non per alimentare lo sviluppo di un’economia sana. E’ l’assenza di controlli in un sistema in cui i nuovi "prodotti finanziari" venivano progettati da laureati in matematica e statistica (gli uffici studi delle societa’ di gestione li hanno reclutati in massa) e non dagli economisti.  I quali non sono necessariamente dei benefattori, ma  sanno che non si uccidono le galline se stanno facendo i loro bravi ovetti d’oro. 

    Cosi’ per correre ai ripari,  il governo degli Stati Uniti, patria del liberismo, ha nazionalizzato banche a ritmo continuo, e Barak Obama ha stanziato 1000 miliardi per creare la bad bank che dovrebbe ripulire il sistema americano dai titoli tossici . In altri termini ha fatto molto di piu’ di quanto non vogliano fare gli stati membri della UE, patria della socialdemocrazia, per salvare posti di lavoro e nuovi stati membri.

    Ma in Europa c’e’ un paese i cui abitanti non sanno cosa fare dei loro risparmi per mancanza di occasioni di investimento,  in cui le banche che non superassero la crisi verranno statalizzate,  in cui si parla di emissari del governo (i prefetti)  per controllare l’erogazione del credito ai privati. E’ un paese dell’ex blocco sovietico scampato alla caduta del muro di Berlino?  No, e’ l’Italia del ministro Tremonti (Popolo della Liberta’), che appare sempre piu’ attratto da certi aspetti del vecchio "socialismo reale". E quella di Tremonti non e’ la sola fuga all’indietro.  Sarkozy ha richiamato in patria la Renault perche’ venga a produrre la Clio in Francia, e faccia lavorare i francesi anziche’ gli sloveni. Per non parlare dei blocchi organizzati dagli operai inglesi contro gli italiani , andati nel Regno Unito a "rubar loro il lavoro". Il tutto alla faccia  di alcuni dei principi basilari su cui  gli stati europei hanno deciso di unirsi in Comunita’ .

    Conclusione: puo’ darsi che la locomotiva economica si rimetta in moto piu’ rapidamente del previsto, puo’ darsi che le nostre  banche superino la crisi senza decimazioni ( anche perche’ ne’ la Borsa ne’ la finanza alternativa  sono piu’ in grado di far loro concorrenza), ma sta di fatto che  molte regole del gioco politico-economico-finanziario nel dopo crisi verranno riviste. In meglio o in peggio?