4.23.2009

Un G8 per eliminare la bolla dei derivati

Il governo italiano dovrebbe proporre all’ordine del giorno del G8 di luglio regole d'immediata applicazione per obbligare banche ed hedge funds a prosciugare la palude dei  derivati.



di Mario Lettieri e Paolo Raimondi


A qualche giorno dal G20 di Londra del 2 aprile possiamo riflettere con più pacatezza sui contenuti e sui risultati del Summit.

    L’incontro ha prodotto un comunicato finale e altri documenti molto dettagliati che incominciano a delineare la nuova architettura finanziaria globale che i governi e gli stati vorrebbero far sorgere dalle ceneri della crisi bancaria ed economica mondiale più grave della storia.

    Il ruolo centrale di gestione viene conferito al vecchio Fondo Monetario Internazionale. Ciò però solleva profondi dubbi e anche notevoli preoccupazioni da parte di quanti - e non sono pochi -  negli anni passati hanno subito il dominio e gli effetti negativi di certe sventurate e incompetenti politiche.

    Essendo un’istituzione legata alle Nazioni Unite, il FMI è comunque suscettibile di una nuova e più positiva definizione in accordo con i nuovi rapporti di forza creatisi tra gli stati con l’esplosione della crisi.

    Nel rapporto tra l’economia reale e quella finanziaria, la seconda, la più malata, è stata oggetto “dell’analista e del medico”. Ma nel nuovo ordine economico emergente non è stato ancora definito con precisione se e come l’economia produttiva influenzerà le regole della finanza, capovolgendo la formula degenerativa della turbo-finanza creativa “uber alles” causa dei disastri attuali.

    Comunque per la prima volta in un vertice di capi di stato e di governo del mondo sono stati affrontati argomenti importanti e proposte costruttive, come la questione dei paradisi fiscali, del regolamento delle agenzie di rating, dei bonus dei manager.

    E’ stato anche affrontato il problema dei sistemi di contabilità da omologare congiuntamente, su cui non si può che essere d’accordo.

    E’ importante però che questo avvicinamento agli standard contabili di tipo americano, in Italia sia da subito affiancato anche dalla intransigenza e severità con cui in America vengono poi puniti gli accertati abusi economici e amministrativi. A questo proposito si ricordi che negli USA i manager della Enron e di altre corporation truffaldine sono in carcere e vi rimarranno non meno di venti anni, mentre in Italia il reato di falso in bilancio è stato sostanzialmente depenalizzato.

    Ma al vero problema della crisi, quello della bolla dei titoli tossici, partendo dal gigantesco problema dei derivati finanziari, è stato invece riservato solamente un marginale e insufficiente riferimento. La “Dichiarazione sul rafforzamento del sistema finanziario” al riguardo dice che “noi (i governi) promuoveremo la standardizzazione e il ricupero dei mercati sui derivati del credito, particolarmente attraverso la creazione di una centrale di clearing tra le controparti, soggetta ad una effettiva regolamentazione e supervisione”.

    Purtroppo ancora una volta al G20 i governi del mondo hanno evitato di mettere le mani nel “fango dei titoli tossici”, che vengono così lasciati sui libri contabili, o ancor più pericolosamente mantenuti fuori bilancio come i derivati OTC, che alla fine determinano la vita e la morte delle banche in crisi e anche la scomparsa in questi buchi neri di ingenti stanziamenti statali per operazioni di salvataggio. La proposta di una camera di compensazione (clearing) è giusta, ma tardiva, e sembra concepita per un sistema ben funzionate e non commisurata alla sfida epocale dell’attuale emergenza.

    L’ultimo rapporto trimestrale di fine marzo 2009 della Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea riporta che il cosiddetto valore nozionale dei derivati OTC rilevati a fine giugno dello scorso anno era di 683.725 miliardi di dollari, 683 trilioni! La BRI rivela anche che è in corso un certo ridimensionamento soprattutto nelle operazioni in derivati sui tassi di interesse negli ultimi 9 mesi di crisi bancaria, anche se l’emergenza speculativa dei derivati finanziari rimane completamente inevasa.

    Molti media internazionali e anche nazionali hanno detto che, dopo i risultati del G20 di Londra, il prossimo G8 della Maddalena, in Sardegna, dell’8-10 luglio perderebbe tutta la sua rilevanza e la sua necessità.

    E’ verissimo che il G20 con la Cina, India, Russia, Brasile e le altre grandi nazioni emergenti rappresenta più compiutamente la realtà del mondo, ma è altrettanto vero che sono anzitutto i paesi del G8 che devono fare pulizia in casa loro dei titoli tossici.

    Il vertice della Maddalena e anche il governo italiano possono giocare un ruolo di grande importanza per riportare il sistema creditizio su percorsi virtuosi e liberarlo dal fango della speculazione e dei titoli tossici.

    A nostro avviso il governo dovrebbe proporre all’ordine del giorno di luglio regole di immediata applicazione per obbligare le banche e gli hedge funds a loro collegati, a prosciugare la palude dei derivati come condizione per potersi valere dei salvataggi statali.

    Cominciare dai derivati OTC non è un opzione, ma un obbligo per riportare la certezza dei regolamenti e dei controlli nel mondo della finanza di cui tanto si è parlato a Londra. Gli OTC sono operazioni speculative fatte da poche banche e spesso tra di loro. Da sole le quattro note banche americane, JP Morgan Chase, Citibank, Bank of America e Goldman Sachs, ne vantano quasi un terzo del totale, pari a 190.000 miliardi di dollari.

    La neutralizzazione dei derivati OTC dovrebbe essere propedeutica per affrontare con la stessa determinazione altri titoli tossici.

    Molte voci autorevoli si sono già espresse in modo deciso sul problema. A Londra il cancelliere tedesco Angela Merkel e il suo ministro dell’Economia Peer Steinbrueck hanno affermato che una simile regolamentazione dei mercati finanziari è “una priorità assoluta”. Daisuke Kotegawa, il rappresentante giapponese presso il Comitato Esecutivo del FMI, ha proposto che i titoli tossici siano valutati zero e presi sotto il controllo di una “bad bank”.

    Alla Maddalena i governi possono decidere delle misure di emergenza come avviene in situazioni di gravi catastrofi. Possono decidere di proibire future operazioni in derivati OTC e sollecitare le banche a portare a termine in modo definitivo i loro contratti derivati in essere.

    Si ricordi che fino all’inizio del 1990 l’economia mondiale ha funzionato di fatto quasi senza derivati finanziari e certamente potrebbe ricominciare a farlo, aprendo una seria prospettiva di crescita e di un più equilibrato progresso mondiale che comprenda primariamente anche i paesi più poveri.

 

4.09.2009

Il politico e il numismatico 

La crisi economica del 1929 vista da un osservatorio inconsueto. Rodolfo Ratto (1866-1949) fu tra i più accreditati studiosi italiani di numismatica. I suoi cataloghi su monete a prezzo segnato sono ancora oggi strumento indispensabile per chi intraprende l’attività nel settore. Nato a Genova nel 1866, si trasferì nel 1921 a Lugano, dove  restò fino al 1930. A Villa Ginevra presso Besso promosse aste private per la compravendita di monete greche e romane. Il clima di  quegli anni, contrassegnato da ovvi malumori per  il mutare delle leggi sui cambi e per il graduale avvicinarsi della crisi mondiale del 1929, è documentato in un  carteggio da Lugano fra il numismatico e il Deputato al Parlamento italiano Pietro Niccolini, Senatore del Regno  dal 1920 e qualificato referente di Ratto.

di Giuseppe Muscardini

Basta passeggiare lungo la raffinata Via Nassa per rendersene conto. Il mercato e lo scambio numismatico è prospero e fiorente, per quanto oggi sia difficile pensare ad investimenti in monete antiche.

    Ma Lugano ha radici consolidate, tanto da indurre nel passato numismatici provenienti dall’estero ad impiantare la loro attività nella bella città sul lago, per farsi promotori di aste pubbliche e private in un commercio destinato ad assumere sempre più carattere internazionale. La riprova di questa diffusa tendenza ci viene dal recente ritrovamento di una corrispondenza epistolare tra Rodolfo Ratto, stimato numismatico con residenza a Villa Ginevra, e Pietro Niccolini, parlamentare italiano, appassionato di antichità e a sua volta collezionista di monete.

    Il carteggio fra i due, risalente agli anni Dieci e Venti, svela interessanti implicazioni e offre spunti di riflessione sul clima morale del periodo che precedette una crisi socio-economica di portata mondiale. La numismatica, nel caso dei due, diviene così da Lugano una sorta di osservatorio privilegiato attraverso il quale misurare il polso dell’economia, riflettere sulla condizione ondivaga dei cambi e sulle nuove leggi che dal 1926 regolarono i commerci tra Svizzera e Italia.

    Si legge testualmente in una lettera del 7 luglio 1926: La Numismatica non va troppo bene, a causa di questo mondo che non vuol mai andare a posto, anzi va sempre più fuori  di posto. In questo momento poi, l’attuale decreto sui cambi, mi proibisce ogni traffico con l’Italia; ma capisco  che intanto, anche se non ci fosse il decreto, l’altezza  attuale del  cambio, impedirebbe egualmente gli affari. A parte l’Italia, tutto il mondo è malato, malatissimo, non parliamo di Francia e Belgio ecc. La stessa America soffre  di malattia ferocissima del dollaro, ed è più malata di noi che soffriamo per la lira barcollante.

    Visibilmente preoccupato per i continui mutamenti che mettono a repentaglio la sua attività luganese, Rodolfo Ratto non si sottrae al compito di erudire il politico sui valori etici (e anche materiali) di certe monete romane in vista di una compravendita. Consiglia, pontifica seccamente sulla conservazione di Auree o Faustine romane, critica stato e fior di conio di monete comunissime e senza valore, che dice di possedere a dozzine.

    L’autorità gli viene da un sapere e da un’esperienza professionale di tutto rispetto: dal 1893, all’età di 27 anni, aveva dato inizio a Genova alla sua attività commerciale, riuscendo l’anno successivo a pubblicare il primo di un prezioso corpus di cataloghi, cessato solo nel 1939. Ha impennate di vero entusiasmo quando la ripresa del cambio gli fa sperare lauti vantaggi: Ora poi bisogna considerare il miglioramento della Lira che vuol dir molto. Sopra L. 500, in pochi mesi, corre una differenza di 200 lire. Cioè è  quanto dire che 500 d’oggi equivalgono a 700 di prima, epperciò se la lira continua a migliorare, quod est in votis,  il prezzo continuerà sempre a scendere, anche a dispetto dell’ostinazione del venditore. E qui si tratta di pura operazione matematica, contro la quale qualunque argomento contrario s’infrange (lettera del 19 gennaio 1927).

    Come promotore di aste private a Villa Ginevra, si dimostra abile e attento alle minuzie: è in grado di prevedere ostacoli per i suoi utili sulla base di convinzioni personali e giudizi talvolta sommari, dettati dalla frequentazione assidua dell’ambiente luganese del commercio numismatico: Non creda che i membri della Società di cui mi parla siano persone da portare profitti, anzi i Luganesi furono poco soddisfatti. Il guadagno che ne tireremo sarà questo: che siccome il Governo ha fatto spese eccezionali per preparativi, impianti ecc., egli poi le riparte nell’aliquota delle tasse, ed io ne sortirò molto ammaccato, come tutti gli altri; glielo saprò dire a fine d’anno. Sarà una liquidazione poco confortante (lettera del 6 febbraio 1929).

    È sorpreso dal fatto che il Governo intenda distribuire l’onere di spesa per gli interventi pubblici attuati sull’assetto viario di Lugano con un proporzionale aumento delle tasse. Si sente addirittura perseguitato, e pronosticando dissesti finanziari, il 5 ottobre 1929 scrive testualmente: Dei guai fiscali, è meglio non parlarne. Sono qualche cosa di più grave di un guaio. Basti dire che si va facendo strada l’idea di ritornare in Italia.  Qui non è più possibile vivere. Specialmente da un anno a questa parte si è delineato tutto un sistema insopportabile, da superare qualsiasi previsione, la più nera, che si avesse potuto fare.

   Quantificando le numerose aste private organizzate a Villa Ginevra a Besso in quegli stessi anni, e sfogliando i relativi cataloghi editi dal 1924 al 1929 dalla Tipografia e Libreria dei Successori di Natale Mazzucconi di Lugano, è tuttavia lecito pensare che buoni profitti siano entrati nelle casse del numismatico. Ancora dopo il 1930, lasciato il Ticino per ritirarsi a Milano, le due aste più importanti volle tenerle a Lugano.   

*) Giuseppe Muscardini vive a Ferrara dove lavora presso la Biblioteca dei Musei Civici d'Arte Antica. Narratore e saggista, collabora con "Nuova Antologia", "Belfagor" e molte altre testate italiane e internazionali.

È membro attivo della "Associazione Svizzera dei giornalisti specializzati" (Verband Schweizer Fachjournalisten - SFJ). Per le Edizioni dell'ADL ha pubblicato L'Empietà di Marte - Elogio dei giovani che ripudiano la guerra (Zurigo, 2007).

4.07.2009

CRISI FINANZIARIA CHI GUADAGNA E CHI PERDE

di M. Sironi 


Grandi vittime della crisi in atto, al di là dei casi singoli, sono: a) l’intero sistema capitalistico, b) la logica  del profitto immediato, c) la finanza per la finanza, d) l'annosa indifferenza per un’economia reale sana.


Due settimane di rimbalzi sui mercati azionari sono state sufficienti a far si che i vari convegni sulla crisi mondiale cambiassero titolo:  dopo un anno di "come salvarsi" e di "chi paghera’", ora tutti cercano di guardare "oltre la crisi" per capire come sara’ il "dopo". Il primo trimestre di quest’anno e’ andato abbastanza male da farci capire –  sono stime dell’FMI  -  che il 2009 si concludera’ con una flessione del PIL mondiale tra lo 0,5% e l’1,5%, ed e’ la prima volta in sessant’anni.  Quanto all’Italia, qui le cose andranno peggio: la Confindustria parla di mezzo milione di disoccupati, mentre l’OCSE prevede un Pil in flessione del 4,3% nell’area euro. Ma non bisogna fare di tutte le erbe un fascio. Prima domanda: c’e’ qualcuno che con la crisi ci ha guadagnato?

    Certamente si, e sono i pochi ardimentosi che un mese fa, visto che il valore di Borsa del nostro listino (330 societa’ quotate) era sceso cosi’ giu’ da eguagliare quello degli immobili del centro storico di Milano,  hanno avuto il coraggio di comprare. Per fare un esempio, uscendo di casa la mattina uno poteva scegliere di prendere il caffe’ o di comprarsi un’azione Unicredit: tanto costavano uguale. Ma con le Unicredit in pochi giorni il coraggioso ha raddoppiato il valore del suo investimento, anche se non si puo’ sapere quanto durera’. 

    Altra categoria che dalla crisi ha tratto giovamento e’ quella degli "spalloni", gia’ in auge negli anni ’70. I soliti ben informati parlano di un intenso traffico di lingotti d’oro tra la Svizzera e l’Italia, proprio come ai vecchi tempi.  Molti, disgustati dalla finanza in tutte le sue forme, sono tornati all’oro: oro fisico, che si tocca, non certificati in oro o futures legati al fixing del metallo giallo. Un altro settore che , ahime’, ha  certamente guadagnato dalla crisi e’ quello dei prestiti a usura: gli strozzini del credit crunch  se ne impippano, anzi sono pronti ad accogliere  a braccia aperte i piccoli e piccolissimi imprenditori a cui le banche hanno ristretto il fido.  Ma e’ facile capire che tutta l’economia legata alla malavita, seguendo regole sue proprie, non ha molto da temere dalla crisi mondiale. Fortunatamente la medaglia ha un suo rovescio:  i governi, preoccupati per lo scarso gettito fiscale  di questi anni magrissimi,  hanno dichiarato guerra senza quartiere agli evasori, chiedendo ed ottenendo l’abolizione del segreto bancario nei paesi che ancora lo avevano.  E viene da se’ che buona parte dei 200/300 miliardi l’anno di fondi neri che emigrano dall’Italia verso i paradisi fiscali proviene dalle varie mafie spa: la stima del denaro mafioso e’ sui 130 miliardi.

    Ma qualche buon affare lo fara’ anche il nostro Tesoro, che grazie ai Tremonti bond potra’ salvare le banche in crisi prestando loro un po’ di miliardi all’8% di rendimento medio. Mentre lui, il Tesoro, si fa prestare i soldi dal "popolo dei BOT" a tassi otto volte piu’ bassi. Beninteso, queste sono le regole imposte dalla BCE e dalla Comunita’ Europea, ma tant’e’.

    Infine non bisogna trascurare quello che ci insegna "l’indice del rossetto", che negli ultimi mesi ha puntato all’insu’ come sempre nei periodi di guerra. Lo dicono gli storici: quando le cose vanno molto male , le aziende si vedono dimezzare gli ordini e nessuno compra piu’ niente, i soli consumi che "tirano" sono quelli per la cura della persona. Forse fa parte dell’istinto di conservazione di ognuno di noi.

    Ovviamente l’universo di chi dalla crisi ha avuto solo perdite e’ assai piu’ vasto, e va dai risparmiatori che hanno visto volatilizzarsi il loro peculio,  ai lavoratori rimasti a spasso con o senza ammortizzatori sociali, a  chi ha dovuto chiudere i battenti di una piccola attivita’ che gli ha dato da mangiare per tutta una vita.  Ma non bisogna dimenticare il gruppetto delle vittime eccellenti: cominciamo dai manager che non percepiranno piu’  buoneuscite  miliardarie per aver mandato le loro aziende in fallimento (vedi ad esempio AIG negli USA e Royal Bank of Scotland in UK). Di fronte all’indignazione popolare si puo’ sperare che in futuro di questi contratti ai manager non se ne faranno piu’. Vita piu’ dura anche per i dirigenti francesi, ora che i lavoratori di Oltralpe hanno ritrovato il loro spirito comunardo: se le cose non cambiano,  quella di sequestrare i dirigenti per evitare che licenzino gli operai potrebbe diventare una consuetudine. I casi Sony e 3M hanno aperto una strada, presto percorsa anche dagli operai della Caterpillar e da quelli del re del lusso, Francois Henry Pinault.

    Ma  la grande vittima, al di la’ dei casi singoli,  e’ l’intero sistema capitalistico votato al profitto immediato, e’ la finanza per la finanza e non per alimentare lo sviluppo di un’economia sana. E’ l’assenza di controlli in un sistema in cui i nuovi "prodotti finanziari" venivano progettati da laureati in matematica e statistica (gli uffici studi delle societa’ di gestione li hanno reclutati in massa) e non dagli economisti.  I quali non sono necessariamente dei benefattori, ma  sanno che non si uccidono le galline se stanno facendo i loro bravi ovetti d’oro. 

    Cosi’ per correre ai ripari,  il governo degli Stati Uniti, patria del liberismo, ha nazionalizzato banche a ritmo continuo, e Barak Obama ha stanziato 1000 miliardi per creare la bad bank che dovrebbe ripulire il sistema americano dai titoli tossici . In altri termini ha fatto molto di piu’ di quanto non vogliano fare gli stati membri della UE, patria della socialdemocrazia, per salvare posti di lavoro e nuovi stati membri.

    Ma in Europa c’e’ un paese i cui abitanti non sanno cosa fare dei loro risparmi per mancanza di occasioni di investimento,  in cui le banche che non superassero la crisi verranno statalizzate,  in cui si parla di emissari del governo (i prefetti)  per controllare l’erogazione del credito ai privati. E’ un paese dell’ex blocco sovietico scampato alla caduta del muro di Berlino?  No, e’ l’Italia del ministro Tremonti (Popolo della Liberta’), che appare sempre piu’ attratto da certi aspetti del vecchio "socialismo reale". E quella di Tremonti non e’ la sola fuga all’indietro.  Sarkozy ha richiamato in patria la Renault perche’ venga a produrre la Clio in Francia, e faccia lavorare i francesi anziche’ gli sloveni. Per non parlare dei blocchi organizzati dagli operai inglesi contro gli italiani , andati nel Regno Unito a "rubar loro il lavoro". Il tutto alla faccia  di alcuni dei principi basilari su cui  gli stati europei hanno deciso di unirsi in Comunita’ .

    Conclusione: puo’ darsi che la locomotiva economica si rimetta in moto piu’ rapidamente del previsto, puo’ darsi che le nostre  banche superino la crisi senza decimazioni ( anche perche’ ne’ la Borsa ne’ la finanza alternativa  sono piu’ in grado di far loro concorrenza), ma sta di fatto che  molte regole del gioco politico-economico-finanziario nel dopo crisi verranno riviste. In meglio o in peggio?

 

4.02.2009

Un nuovo assetto per BankItalia

Lo Stato acquisti le quote nelle mani delle banche e delle assicurazioni private


di Mario Lettieri e Paolo Raimondi


E’ stata un’audizione sobria quella tenuta dal governatore della Banca d’Italia Mario Draghi il 17 marzo scorso davanti alla Commissione Finanze della Camera. Oltre che commentare il ruolo e le carenze dei controlli esercitati dalla banca centrale in passato, su cui abbiamo differenti e più critiche opinioni, il governatore ha comunque evidenziato alcuni utili aspetti di preoccupazione e di possibili interventi per l’immediato futuro che gli organi di stampa hanno ignorato.

    Il governatore ha usato più volte il concetto di "pericolo di contagio" per spiegare come il sistema finanziario e bancario internazionale e nazionale ha finora reagito alla crisi. Questo dovrebbe raffreddare un po’ gli ardori di chi, a furia di ripetere che il nostro sistema bancario è migliore di quello degli altri paesi, ci espone al pericolo della sottovalutazione dei rischi.

    Draghi ha evidenziato prima di tutto un grave problema di fondo rappresentato dal fatto che per l’85-88% tutti i servizi finanziari e le operazioni in derivati sono condotti solamente su due mercati, quello di Wall Street e quello della City di Londra, che sono stati la fucina di tutte le bolle speculative. Naturalmente sono centri completamente fuori dalla nostra giurisdizione, per cui è urgente che la Banca d’Italia definisca dei criteri e dei controlli severi sulle operazioni internazionali delle nostre banche per evitare che importino altri titoli tossici, esponendosi ad un ulteriore contagio. Misure difensive che potrebbero essere non sufficienti, ma che sono non di meno necessarie.

    Nel dibattito in Commissione è anche emerso che le banche italiane sono esposte per 150 miliardi di euro in investimenti e operazioni finanziarie nei paesi dell’Est Europa dove gli effetti della crisi sono più devastanti che altrove. Non è una esagerazione parlare di rischi di un default, di bancarotta di qualche stato, come avvenne in Argentina nel 2002.

    A tal proposito occorre approntare subito anche da noi delle reti di salvataggio, per non essere sorpresi dall’emergenza di una crisi bancaria di "importazione".

    Oltre che per le banche, i collassi produttivi nei paesi dell’Est comporterebbero anche delle ripercussioni su molti settori industriali e ovviamente sull’occupazione nel nostro paese. Il governo dovrebbe quindi "accompagnare" da vicino le attività italiane all’estero, come fa da tempo la Germania, per evitare improvvisi sconvolgimenti e ulteriori perdite di quote di mercato per il nostro export.

    Draghi ha anche spiegato come non manchi la capacità di credito delle banche, anzi ha detto che "queste sono inondate di liquidità".

    Ma la percezione di un rischio non più quantificabile dalle banche sta bloccando i flussi di credito soprattutto verso le PMI. A questo punto della crisi, mentre si discute di nuove regole e di nuovi modelli di sviluppo, è forse necessario rivedere il ruolo e la proprietà della Banca d’Italia che fino ad oggi, in accordo con il suo mandato, si è limitata a operazioni di vigilanza finalizzata alla stabilità del sistema e al controllo dell’inflazione.

    E’ stato giustamente sollevato in Commissione che oltre a rafforzare i canali del credito, la Banca d’Italia dovrebbe anche dirigerli verso i settori produttivi e dell’industria. Draghi ha evitato l’argomento, ma ha ammesso che altri, come la Federal Reserve americana, a differenza della nostra banca centrale, stanno intervenendo direttamente sull’economia, non solo attraverso le banche private. La crisi globale ha infatti evidenziato la mancanza di istituti statali che sappiano indirizzare le politiche di sviluppo strategico di lungo periodo sostenendole con una conferita capacità di emissione di credito.

    L’Italia non ha una Banca Nazionale di Sviluppo. Si è ventilata l’idea di conferire questa missione alla Cassa Depositi e Prestiti, ma non si è mosso ancora niente.

    Dovrebbe essere ormai chiaro che la crisi ha messo in discussione, e per sempre, l’attuale modello bancario e finanziario. L’idea che il mercato senza regole detti le regole del gioco non vale più. Il problema è che politici ed economisti vivono nella crisi di oggi ma pensano ancora con i vecchi schemi di ieri.

    Anche se in verità qualche anno fa, durante l’indagine parlamentare sulle vicende della Parmalat e della Cirio, emerse l’esigenza di rivedere l’assetto proprietario della Banca d’Italia, a nostro avviso un segnale forte di cambiamento del sistema oggi potrebbe venire proprio dall’acquisizione da parte dello stato delle quote azionarie attualmente possedute in maggioranza da banche e assicurazioni private. (A fine 2008 Intesa San Paolo ne controllava il 30%, Unicredit il 15%, Assicurazioni Generali il 6%, e poi le altre banche).

    Ciò darebbe il massimo di garanzia sull’attività, l’indipendenza e l’autonomia della Banca d’Italia, perché, non concordando del tutto con il governatore, il controllo esercitato dalle banche private non sempre è stato "più estetico che sostanziale", come egli afferma.

    Infatti il fenomeno dell’anatocismo, il gap sproporzionato tra interessi passivi e attivi praticato nei confronti dei correntisti e la non trasparenza nelle vendite dei prodotti derivati, (caso eclatante la Parmalat!) e quant’altro, dimostrano l’inadeguatezza del controllo da parte della Banca d’Italia.

    Riteniamo che sia arrivato il momento di attuare cambiamenti profondi a livello internazionale con l’approvazione di regole bancarie e finanziarie comuni e condivise, ma ci sono provvedimenti che vanno adottati urgentemente anche nel nostro paese come quello della "pubblicizzazione" della nostra banca centrale.