12.13.2012

SATIRA ECONOMICA ; Beautiful bond

Cari amici europei, eccovi una storia dagli States che trovo alquanto istruttiva.
Ridge Forrester è il proprietario del Bar Beautiful di Los Angeles, un locale in cui si beve forte. Rendendosi conto che quasi tutti i suoi clienti, per lo più ex youppies, sono rimasti ormai senza occupazione, Ridge capisce che ridurranno le consumazioni e le frequentazioni.
Escogita allora un piano di marketing, che consente di bere subito e pagare in seguito. Colloca sul bancone un iPad sul quale si possono segnare le bevute a credito. L'iPad registra in automatico i crediti sui conti del bilancio aziendale, che registrano un notevole incemento delle attività.
La formula "bevi ora, paga dopo" è un successone: la voce si sparge, gli affari aumentano e il bar di Ridge diventa il più importante di Los Angeles.
Ridge ogni tanto ritocca i prezzi, ma nessuno protesta, visto che nessuno paga: e il fatturato aumenta ancora.
La banca di Ridge esamina la situazione. Il fido è garantito dai crediti verso clienti. Collaterale di garanzia. L'Ufficio Investimenti Finanziari propone a Ridge di utilizzare l'utile come garanzia per emettere obbligazioni da collocarsi sui mercati internazionali.
Nascono i Beautiful bonds.
E sono subito un successo. Ottengono un rating allineato a quello della banca emittente: AA1 da Moody's, AA+ da S&P e Fitch. Gli investitori non hanno la sensazione di possedere carta straccia appesa precariamente ai debiti di ubriaconi subprime.
I Beautiful bonds rendono. Tutti li comprano. Il loro valore sale.
Arrivano i gestori dei Fondi pensione, attratti dall'irresistibile combinazione di alto rating, alto rendimento e quotazione in continua crescita. Per soddisfare la gran richiesta dei portafogli azionari nascono nuove emissioni: i Forrester Bonds, i Marone Bonds, i Brooke Bonds e così via.
I dirigenti della banca registrano plusvalenze pazzescche. Incassano bonus milionari. Si ritirano a vita privata.
Alla filiale di Ridge arriva un nuovo direttore, un contabile. Il quale, fiutando aria di crisi, tanto per non rischiare, riduce il fido del Bar Beautiful chiedendo al titolare di rientrare per la parte in eccesso al nuovo limite.
Ridge, per trovare soldi, incomincia a chiedere ai clienti di restituire i debiti o almeno di pagare le nuove consumazioni. Il che è ovviamente impossibile essendo loro degli ex youppies disoccupati alcolizzati che si sono bevuti tutti i risparmi, incluso il capital gain dell'abitazione che gli è stata frattanto requisita e infatti vivono al bar di Ridge scolando Dimple e Glendronach una bottiglia dopo l'altra.
La richiesta di riscossione induce un fuggi fuggi generale.
Ridge non rientra sul fido. Il conto gli viene bloccato. Il bar sembra destinato al fallimento. Ridge si reca al Bar Forrester, gestito dal vecchio Eric.
Lì Ridge si prende una sbornia colossale, insieme a Brooke, che è la sua ex fornitrice di acque minerali e anche la sua ex moglie. Brooke è stata anche la ex moglie di Eric, con il quale ora – dopo molte traversie e sei altri matrimoni – si è risposata, anche se sta per lasciarlo. "Non lo sopporto più!", confessa Brooke a Ridge tra le lacrime.
Il vecchio Eric sa che Brooke non sopporta più i suoi modi "da oste di periferia". Vorrebbe trattenerla. Firma perciò un oneroso contratto per l'acquisto di un sontuoso edificio al centro di Los Angeles.
Brooke e Ridge – ignari di ciò – salgono in macchina compleatamente ubriachi e si recano in banca per chiedere soldi o almeno dilazioni. Eric li pedina e quando giunge in banca apprende la notizia che il valore dei Beautiful bonds è crollato.
Eric cade nella più nera disperazione perché capisce che la banca entrerà a sua volta in crisi di liquidità e ovviamente congelerà ogni attività creditizia: niente più prestiti alle imprese: "Proprio ora che ho firmato l'atto di compravendita!".
Riunione di famiglia. Tutti i Forrester realizzano che l'attività economica locale è virtualmente paralizzata. Decidono di rastrellare denaro presso i fornitori. Ma questi si ritrovano in grande imbarazzo non tanto per i crediti inesigibili presso Ridge, quanto soprattutto perché la banca ha decurtato il fido anche a loro e non sanno come fare. Pensano, a malincuore, di rivendere i Beautiful bonds nei quali avevano investito. Arriva la notizia che i Beautiful bonds non valgono più nulla. A questo punto non sanno più come pagare i grossisti. Idem con patata per i grossisti verso gli importatori. Una catastrofe economica incombe sull'intera zona. Per fortuna la banca viene salvata da un mega prestito governativo senza richiesta di garanzie e a tasso zero.
Il mercato, che si regola da sé, trae i giusti insegnamenti da tutto ciò: l'unica è investire i propri soldi in titoli bancari, dice Eric alla riunione dei Forrester. Mentre il vecchiio pronuncia queste parole il figlio di Brooke ed Eric, Rick Forrester, entra (in ritardo) nella saletta e riferisce stralunato le breaking news della CBC: pare che il sistema bancario globale sia. . . sottocapitalizzato!

Cari amici, è una storia vera, di quelle che solo la vita sa raccontare!
Un caro saluto dagli States dalla vostra
Christina Anguillera, Los Angeles

Sono in crisi? Faccio un debito e mi pago i dividendi

In giro sembra esserci una gran voglia di "sbornia bond"
nella speranza che "l'oste" non chieda mai il conto finale.

di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)
e Paolo Raimondi, Economista


La persistente recessione ha ridotto i mercati incidendo anche sui bilanci delle imprese e delle famiglie. Il costo del denaro vicino allo zero negli Usa e in Europa, tiene bassi i tassi di interesse delle obbligazioni e degli altri titoli. A seguito di ciò, da mesi molti fondi equity (quelli che investono principalmente in azioni), per poter remunerare i "capitali di ventura" che gestiscono, hanno sviluppato un forte appetito al rischio.

Stanno rilanciando in grande alcune delle più spericolate operazioni di ingegneria finanziaria.

Se le imprese non producono profitti, perché non fare dei debiti e poi utilizzare i soldi incassati per pagare lauti dividendi ai fondi equity azionisti?

Tra queste, una delle alchimie più velenose è il "dividend recap", cioè la ricapitalizzazione dell'impresa con emissioni di bond, gran parte delle quali destinata a pagare i dividendi.

Un'impresa normale e virtuosa di solito raccoglie nuovi capitali sul mercato attraverso il credito bancario, l'emissione di obbligazioni, ecc, per modernizzare i suoi impianti, per investire in ricerca o per far crescere la sua produzione e le vendite. Lo scopo evidente è quello di rendere meglio funzionante e più competitivo il suo sistema produttivo per aumentare la sua fetta di mercato e quindi anche i legittimi profitti.

In tal caso chi lavora nell'azienda potrà godere anche di un premio di produttività e gli azionisti potranno ricevere un dividendo in proporzione ai profitti fatti.

Il "dividend recap" è invece un modo per "truffare e inquinare" il sistema economico e distribuire profitti mai fatti.

Negli Usa, nel solo periodo gennaio-ottobre, sarebbero state fatte circa 70 operazioni di "junk bond" che hanno dato artificialmente origine a oltre 30 miliardi di dollari di dividendi "allegri". Certi analisti definiscono il 2012 come "l'anno dei dividendi"!

La novità è che le imprese che vi hanno partecipato non provengono tutte dai settori speculativi dell'economia. Per esempio, è stata coinvolta la più importante catena ospedaliera privata americana, la Hca Inc., con quasi 300 tra ospedali e centri di chirurgia distribuiti in una ventina di stati. Vi sono poi la Domino's Pizza, che nei mesi passati ha acceso un nuovo debito per 1,675 miliardi di dollari "garantito" da derivati "asset-backed security", la Booz Allen, una grande società di consulenza tecnologica, la Homeward Residential, che gestisce ipoteche immobiliari ed altre società.

Non è noto a tutti che queste imprese in passato, prima del 2007, furono oggetto di "leverage buyout", furono cioè acquisite attraverso operazioni di finanza strutturata da alcuni fondi equity aggressivi. Essi, con un capitale di base limitato, usarono una elevata leva finanziaria di creazione di debito per portare a termine le acquisizioni.

In altre parole, certi fondi hanno acquistato società senza avere tutte le risorse proprie necessarie ricorrendo ad indebitamente attraverso la sottoscrizione di prodotti finanziari speculativi in derivati.

La "scommessa" su cui hanno puntato è stata la convinzione che l'acquisizione stessa avrebbe generato grandi profitti per ripagare anche gli impegni finanziari assunti e i debiti accesi.

Ciò spiega, almeno in parte, il meccanismo di creazione dei junk bond emessi per pagare i dividendi. Non a caso sono chiamati titoli spazzatura, in quanto tutti conoscono il loro bassissimo rating.

Il quesito che si pone è: perché simili titoli trovano compratori? La risposta è molto semplice: spesso chi compra fa parte della rete di quei fondi equity che riceveranno i dividendi. Di solito per questi bond, dato il loro alto rischio, la società emittente è tenuta ogni anno a mettere a bilancio interessi alti da pagare, non meno dell'8-10%. Quindi per gli speculatori i benefici a breve sono tanti. Si scommette sul rischio di default o sul suo salvataggio grazie agli interventi pubblici.

Naturalmente vi sono anche i classici "polli da spennare", cioè i normali risparmiatori ai quali viene offerto un titolo strutturato ad un tasso di interesse più attraente, nella cui pancia vi sono titoli solidi ma anche una parte di questi junk bond.

Ancora una volta quindi siamo di fronte agli stessi comportamenti irresponsabili e non sanzionati che hanno scatenato la grande crisi del 2008.

Operazioni di "dividend recap" stanno cercando di prendere piede anche in Europa, anche se, per fortuna, dei maggiori controlli le rendono più difficili.

In giro sembra esserci una gran voglia di "sbornia bond" nella speranza che "l'oste" non chieda mai il conto finale ai suoi clienti ubriaconi.

Come si vede certi fondi speculativi di private equity si pongono ormai ai margini del sistema finanziario. Sfruttano tutti i mezzi disponibili, le aree grigie e la mancanza di regole stringenti, tanto da diventare macchine di "distruzione economica di massa".

11.29.2012

La piovra del sistema bancario ombra

 

di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)

e Paolo Raimondi, Economista


Il Financial Stability Board (Fsb), l’istituto internazionale di coordinamento dei governi, delle banche centrali e degli organi di controllo per la stabilità finanziaria a livello globale, ha appena pubblicato un importante studio sul sistema bancario ombra, lo “shadow banking” mondiale. I risultati ci sembrano decisamente sconvolgenti.

    Lo studio fatto sull’eurozona e su altri 25 paesi evidenzia che a fine 2011 ben 67.000 miliardi di dollari erano gestiti da una “finanza parallela”, al di fuori, quindi, dei controlli e delle regole bancarie vigenti.

    La cifra complessiva è pari al 111% del Pil mondiale. E’ la metà delle attività bancarie globali ed è  circa un quarto dell’intero sistema finanziario.

    In dieci anni è cresciuta di ben 41mila miliardi di dollari. Oggi supera il picco di 62mila miliardi raggiunto nel 2007 prima della crisi.

    E’ più che mai allarmante il fatto che sia aumentata di oltre 7mila miliardi solo nel 2011! In barba a tutti i summit internazionali dedicati alla riforma della finanza speculativa! Ciò ovviamente conferma il sostanziale fallimento dei vari G8 e G20.

    Il sistema bancario ombra è composto da tutte le transazioni finanziarie fatte fuori dalle regolari operazioni bancarie che, come noto, operano attraverso i conto correnti e con i risparmi dei cittadini e delle imprese.  Esse sono operazioni fatte da differenti intermediari finanziari, come certi hedge fund, fondi monetari e obbligazionari, certi fondi equity, broker dealer e soprattutto operatori collocatori di derivati finanziari. Sono tutte attività rigorosamente “over the counter” (otc), cioè stipulate fuori dai mercati borsistici e spesso tenute anche fuori dai bilanci.

    Ma al di la degli aspetti tecnici e dei differenti settori economici di applicazione, si tratta di strumenti finanziari che creano forme di credito a lungo termine sulla base però di fondi a breve e brevissimo termine, che operano con una leva finanziaria pazzesca, spesso di parecchie centinaia di volte superiore al sottostante iniziale.

    Lo studio indica anche come il cosiddetto “maturity/liquidity transformation”, cioè il difficile rapporto tra le scadenze di lungo termine di certe operazioni finanziarie e la necessità di trovare la liquidità a breve in caso di necessità, sia sempre stato e sia la fonte principale dell’attuale crisi sistemica.

    Dei 67.000 miliardi, gli Usa ne gestiscono 23.000 mentre la zonaeuro 22.000. Ma è la Gran Bretagna che, non in termini assoluti ma in rapporto al suo effettivo e limitato potere economico, gioca la parte del leone con ben 9.000 miliardi. Si ricordi che il suo Pil è quasi un settimo di quello americano, ma manovra un volume più di un terzo delle operazioni ombra americane. Dopo la crisi lo “shadow banking” di Londra è cresciuto annualmente del 10%.

    Un caso particolare tutto da studiare è quello dei Paesi Bassi che hanno visto un tasso di crescita del 45%. In verità la storia ci ha fatto conoscere un sistema bancario e finanziario “anglo-dutch” che ha sempre determinato gli assetti geopolitici e coloniali. Quindi non è un caso se oggi mette i bastoni tra le ruote dell’Unione europea, dell’euro e dei lavori della grande riforma finanziaria contro la speculazione.

    Oltre alle sue gigantesche e documentate dimensioni, l’altro aspetto di grande preoccupazione del sistema bancario ombra è il suo rapporto con il sistema bancario ufficiale.

    Noi possiamo affermare che il “sistema ombra” spesso è un’emanazione delle grandi banche internazionali che hanno interesse ad aggirare le regole e i controlli cui sono sottoposte.

    Secondo noi lo “shadow banking” non è fatto da pirati completamente fuorilegge e contro ogni autorità preposta. I banchieri ombra sono forse più simili ai bucanieri “indipendenti”, come il noto Francis Drake che imperversava nei mari terrorizzando navi e mercantili, ma era al servizio della corona britannica.

    Davvero disarmante è poi la parte dello studio del Fsb dedicata alle misure di riforma da intraprendere. Si è ancora in alto mare. Si parla di raccolta dati, di catalogare i vari intermediatori finanziari e le varie operazioni secondo i settori di intervento, ecc.

    Questa situazione di incertezza evidentemente rivela la forte influenza della lobby dello “shadow banking” e delle grandi banche finanziarie. Non è tollerabile che a 4 anni dal fallimento della Lehman Brothers e dall’inizio della crisi sistemica non si sia fatto nulla per riformare la grande finanza.

    Naturalmente non è colpa del Fsb e dei suoi analisti. E’ tutta colpa dei governi e della loro subalternità ai veri poteri forti della finanza mondiale.

 

11.15.2012

Roma, Cgil con Cisl e Uil al presidio contro la violenza

LAVORO E DIRITTI

a cura di www.rassegna.it


Sit-in davanti al Viminale dopo gli attacchi a Fim e Uilm nella capitale e le minacce rivolte a Bonanni a Firenze. La solidarietà della confederazione di corso d'Italia: "Atti vili e inaccettabili compiuti da delinquenti"


La Cgil sarà presente questo pomeriggio alle 18 a Roma, con Cisl e Uil, al presidio organizzato davanti al Viminale in segno di protesta contro gli episodi di violenza e intolleranza che si sono registrati in queste ore a Roma, dove sono state prese di mira le sedi della Fim Cisl e della Uilm, e a Firenze, dove ignoti hanno scritto accuse e messaggi minatori contro il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni.

    “Siamo in piazza oggi con Cisl e Uil – dice Vincenzo Scudiere, segretario confederale della Cgil, responsabile dell'organizzazione – per stigmatizzare la violenza in tutte le sue forme e difendere la libera attività sindacale, che è un tratto fondamentale della democrazia”. È stato lo stesso Vincenzo Scudiere a comunicare ai colleghi di Cisl e Uil la decisione di Corso d'Italia dopo l'immediata presa di posizione di questa mattina del segretario generale Susanna Camusso.

    In un altro comunicato la segreteria della Cgil condanna fermamente queste violenze. "Si tratta di atti vili e inaccettabili, compiuti da delinquenti comuni che non hanno alcun rapporto con il movimento dei lavoratori e la democrazia. Sono azioni che nulla hanno a che fare con l'attività del movimento sindacale, servono solo a screditare tutto il sindacato e a danneggiare gli stessi lavoratori".

    "È necessario - si legge ancora - che le forze dell'ordine e la magistratura operino con la necessaria determinazione per assicurare alla giustizia i colpevoli. Il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, impegnata a Catania in un attivo sindacale, ha espresso, nel corso di colloqui telefonici, la solidarietà di tutta confederazione ai segretari generali di Cisl e Uil, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti , e ai segretari generali di Fim e Uilm, Giuseppe Farina e Rocco Palombella. All'operatore sindacale aggredito vanno gli auguri della Cgil per un rapido recupero".

    Attestati di solidarietà arrivano anche dalla Fiom: “La segreteria nazionale condanna il gravissimo episodio di violenza compiuto nei confronti di Fim e Uilm di Roma. Ogni attacco alle sedi sindacali è un attacco alla democrazia e all'insieme delle lavoratrici e dei lavoratori. Esprimiamo la nostra più viva solidarietà alle organizzazioni e ai sindacalisti oggetto di una vile aggressione".

    Quanto avvenuto a Roma "è di una gravità che lascia esterrefatti". Così Claudio Di Berardino, segretario generale della Cgil di Roma e del Lazio, Mario Bertone, segretario generale della Cisl di Roma e Luigi Scardaone, segretario generale della Uil di Roma e Lazio. "Devastare una sede, arrivare addirittura a picchiare due lavoratori - continuano - non ha nulla a che fare con la libera espressione di un dissenso. È brutalità pura e semplice. È ignororanza profonda. Lo ribadiremo con forza anche oggi pomeriggio nel presidio che faremo davanti al Viminale"

    E la Camera del Lavoro Cgil Roma Est Valle dell’Aniene, in una nota firmata insieme alla Fiom di Roma Nord, è sulla stessa linea. "Riteniamo intollerabile l’aggressione antidemocratica e violenta nei confronti di sindacati dei lavoratori. Esprimiamo la volontà e la disponibilità a costruire iniziative comuni contro la violenza, gli attacchi alla democrazia e qualsiasi atteggiamento squadrista".

 

 

Riceviamo e volentieri pubblichiamo


QUOTE ROSA: UNA GRANDE DECISIONE PER FUTURO EUROPA


L'approvazione all'unanimità da parte della Commissione europea di una proposta di direttiva per introdurre le quote rosa nei Cda delle aziende pubbliche e private è davvero un fatto storico.


di Vittoria Franco

senatrice del Pd


Bene ha fatto la commissaria Viviane Reding a non demordere! L'alibi di chi sostiene che non ci sono abbastanza possibili consigliere qualificate per gli incarichi di comando non regge più: in ogni Paese ci sono elenchi di manager donne con tutte le carte in regola per assumere il comando, ma che vengono ancora discriminate.

    Eppure cambiare si può, come ha dimostrato di recente anche l'Italia che per una volta, con l'approvazione della specifica normativa in materia di quote rosa nei Cda, si è rivelata all'avanguardia.

    La grande decisione che ha assunto oggi la Commissione europea già fa discutere. Ma la ripresa dell'Europa dalla crisi passa per una maggiore presenza delle donne nei posti di potere, sia nel mondo politico che economico. I paesi europei non possono più rinunciare ai talenti femminili, ne va del futuro del continente.

 

11.01.2012

Fed, banche, Wall Street

Il trio vincente della finanza speculativa

 di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)

e Paolo Raimondi, Economista

 Osservare attentamente i comportamenti economici e finanziari in atto negli Stati Uniti ci consente di comprendere la ratio di alcune decisioni e di prevedere alcuni andamenti dell’economia globale.

    Ciò non significa distogliere l’attenzione dalle serie questioni europee. Serve per non essere sopraffatti ne sorpresi da certi eventi internazionali.

    C’è anzitutto una domanda pressante. Come è possibile che i listini di borsa di Wall Street ( e anche della City) siano ritornati ai livelli dell’ottobre 2007 nonostante la crisi e la caduta delle produzioni e delle ricchezze negli ultimi 5 anni?

    Il Dow Jones Industrial Index allora era intorno ai 14.000 punti circa, oggi è di poco inferiore. Il Nasdaq, che raccoglie le corporation del settore industriale, era poco più di 2200 punti mentre oggi supera i 3.000 punti. Lo stesso vale per l’indice Standard & Poor’s 500 che si è riportato più o meno sui livelli ante crisi. Anche l’indice FTSE 100 di Londra, che nel 2007 aveva raggiunto il livello di circa 6.600 punti, oggi è risalito a 5.800 punti rispetto ai 3.600 dell’ottobre 2008.

    Nell’Europa continentale, invece, tutte le Borse, tranne quella tedesca, registrano delle perdite pesantissime.

    Il nostro indice Mib per esempio si è più che dimezzato. L’indice Dax tedesco è l’unico che ha riguadagnato quasi tutte le posizioni e potrebbe raggiungere la quota massima di 8.000 punti entro la fine dell’anno. Ciò è evidenziato dal fatto che l’industria tedesca è l’unica che ha saputo mantenere alti sia le produzioni industriali che l’export di prodotti ad alta tecnologia.

    La singolarità e la eccezionalità anglo-americana stanno nel “quantitative easing”, cioè nella decisione della Federal Reserve e della Bank of England di creare nuova massiccia liquidità da riversare nel proprio sistema bancario. Si ricordi che finora la Fed è intervenuta con oltre 4.000 miliardi di dollari.

    Con uno spregiudicato gioco di prestigio ha acquistato dalle banche titoli di stato e mortgage backed securities (mbs), derivati emessi su mutui subprime e altre ipoteche di basso valore, rimpiazzandoli con dollari “elettronici” inseriti nei bilanci delle banche come se fossero riserve extra, ma non destinabili a sostegno delle attività produttive dell’economia reale. Possono soltanto essere prestati ad altre banche bisognose di aumentare le loro riserve oppure per ottenere altri assets, altre attività patrimoniali (come obbligazioni, azioni, ecc.).

    Questa è la ragione per cui, nonostante la tanta liquidità, i canali del credito restano chiusi e anche negli Usa i settori produttivi lamentano un “credit crunch”. Così si spiega perché Wall Street sia cresciuta  Infine ciò spiega anche perché una tale massa di liquidità non abbia ancora creato un effetto iperinflattivo. Infatti, l’unico vero aumento di prezzo ha riguardato i listini della borsa americana creando una nuova bolla finanziaria “artificiale”.

    Oltre agli enormi giochi speculativi con i prodotti derivati, questa bolla è anche la base principale di molti profitti riportati dalle banche.

    Tale processo ha favorito e favorisce la crescente concentrazione di ricchezza in poche mani. Ad esempio, nel 2009  i 400 cittadini americani più ricchi detenevano una ricchezza pari a 1,27 trilioni di dollari, mentre adesso ne detengono 1,7 trilioni di dollari. Secondo l’Economic Policy Institute di Washington il salario medio di un alto dirigente delle 350 maggiori corporation americane è stato pari a 10, 36 milioni di dollari nel 2009, a 12,04 milioni nel 2010 e a 12,14 milioni nel 2011. Ciò nonostante il tanto predicare contro i bonus milionari!

    In quest’ottica va letta la decisione della Fed di acquistare dalla banche mbs e altri titoli tossici per 40 miliardi di dollari al mese e per un periodo indefinito, facendo così un grande favore al sistema bancario americano rendendolo di fatto più aggressivo sui mercati internazionali.

    Come da tempo sosteniamo l’operato della Fed non può che scaricare i propri effetti negativi sull’euro, sull’Europa e sul resto del mondo. Purtroppo in Europa si sottovaluta la portata di tali decisioni mentre, per fortuna, i paesi Brics cominciano a contestare. Da ultimo lo ha fatto il ministro delle Finanze brasiliano, Guido Mantega, che ha parlato di “guerra monetaria” e di “misure protezionistiche”. La stessa Banca Centrale della Cina denuncia il fatto che le continue iniezioni di liquidità non funzionano, a scapito dello sviluppo.

10.18.2012

Industria auto, cinque anni difficili

LAVORO E DIRITTI

a cura di www.rassegna.it


Uno studio Ilo: i 18 grandi produttori saranno ridimensionati. Sopravvivrà chi innoverà e ridurrà i costi. Le politiche di sostegno rischiano di perpetuare una produzione "senza domanda reale", ma bisogna "trovare una nuova forma di equilibrio"


Per rilanciare l’industria dell’auto è necessario “trovare una nuova forma di equilibrio” tra i “tentativi di ammortizzare l'impatto sociale della recessione” e “gli sforzi per ristrutturare l'intero settore”. È quanto sostiene l’Ilo (l’Organizzazione mondiale del lavoro) sul suo blog aggiungendo che “il rischio delle politiche di sostegno pubblico è che le imprese continuino a produrre auto per un mercato senza domanda reale e, come nel caso della Francia, quelle stesse imprese prima o poi chiuderanno comunque”.

    “Nel caso della Cina, invece, le forti misure protezionistiche all'importazione di auto straniere e gli incentivi del governo all'acquisto di utilitarie sono tutti mirati ad assicurare il mercato interno alle compagnie nazionali. Un simile approccio appare eccessivamente concentrato sulla produzione, senza calcolare il fattore energetico e la necessità di progettare la mobilità in un paese ancora non pienamente urbanizzato”.

    L’Ilo ricorda che “l'industria automobilistica è un pilastro importante dell'economia mondiale. Riguarda ogni aspetto della vita quotidiana ed è un'importante fonte di occupazione. Circa il 5 per cento della forza lavoro globale è, direttamente o indirettamente, impiegata nel settore”.

   Nel 2010 l’agenzia Onu del lavoro ha dedicato uno studio all'industria automobilistica, sottolineando come questa possa avere ancora un ruolo centrale nell'economia globale, se sarà capace di superare alcuni elementi di fragilità e ripensare il sistema con cui è stata gestita finora. Lo studio si concentra sulla crisi economica attuale, sui modi diversi in cui i governi stanno intervenendo per sostenere la produzione nazionale e sull'efficacia di lungo termine di questi interventi

    Stando al rapporto dell'Ilo, i 18 grandi produttori di automobili nelle tre regioni più industrializzate, ovvero Stati Uniti, Europa Occidentale e Giappone/Corea, saranno ridimensionati nei prossimi cinque anni. I fattori che decideranno della loro sopravvivenza, conclude lo studio, sono l'abilità di ridurre i costi, la dimensione dei gruppi, la performance finanziaria, l'innovazione e il posizionamento strategico sui mercati.

     “Nel dibattito di questi giorni sul futuro della Fiat in Italia – si legge sul sito dell’Ilo - sarebbe utile tenere conto della prospettiva internazionale, per meglio comprendere l'evoluzione del settore che ha caratterizzato il capitalismo e il lavoro nel secolo scorso. Nel corso del Novecento, infatti, si è assistito alla nascita, allo sviluppo e al declino della produzione di massa dell'automobile con spostamenti continui di industrializzazione e conflitto da paese a paese, da continente a continente. Ad esempio, all'industrializzazione automobilistica dell'Europa occidentale negli anni '60 è seguita quella dell'estremo Oriente negli anni '80 e '90, con un significativo passaggio dal sistema fordista a quello toyotista”.

10.01.2012

Bce: bene la mossa antispeculazione ma resta il rischio inflazione

Le semplificazioni eccessive non funzionano, soprattutto in economia. Di norma portano a valutazioni e a risultati errati. Ciò ovviamente potrebbe valere anche per la “storica” conferenza di Mario Draghi dell’inizio di settembre che ha confermato che, qualora fosse necessario, la Bce sarebbe autorizzata a comprare, “senza limiti”, titoli europei di debito pubblico.


di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)

e Paolo Raimondi, Economista


La mossa di Draghi è quella giusta e da tempo auspicata. Di fatto è una decisione “politica” che sfida la speculazione incontrollata che da mesi imperversa contro l’euro e l’Unione Europea. Gli attacchi ai paesi più deboli dell’eurozona sono sicuramente motivati da ragioni di profitto immediato, ma anche, secondo noi, da visioni geopolitiche non amiche dell’Europa unita.

    L’importante decisione della Bce non è, però, la panacea di tutti i nostri mali, né può indurre a dormire sonni tranquilli. E’ una misura di emergenza dovuta al fatto che le vere cause della crisi non sono state ancora rimosse e che le necessarie regole per controllare i flussi di capitale a breve e per limitare le operazioni finanziarie speculative non sono state ancora decise né a livello europeo né tanto meno a livello di G20.

    Comunque sarebbe un grave errore delegare alla Bce tutta la responsabilità delle decisioni finanziarie ed economiche più importanti. Si rischia di mettere l’intera economia, la crescita e la questione del lavoro sotto il dominio della finanza e della moneta. Sarebbe una iattura!

    Nel suo intervento Draghi ha più volte ribadito il fatto che egli si muove all’interno del mandato principale della banca centrale che è il mantenimento della stabilità dei prezzi e la lotta all’inflazione.

    Ha riconosciuto che i prezzi, soprattutto quelli dell’energia, avranno nel 2012 un andamento più accelerato. Non ci è sembrato molto convincente. In una situazione di crolli verticali dei consumi, se fosse vero che i mercati sono regolati dal gioco della domanda e dell’offerta, non si dovrebbe avere l’inflazione ma piuttosto la caduta dei prezzi. Certo il ruolo della speculazione sulle commodities è noto. Perciò si può affermare che l’inflazione reale in Europa è ben più alta del 2,4% ammesso dalle statistiche ufficiali. Per non parlare dell’Italia…

    In questo contesto è doveroso porre la massima attenzione ai possibili effetti futuri dell’acquisto dei titoli di stato da parte della Bce. Lo farà creando nuova liquidità, cioè stampando nuova moneta con il rischio di una inflazione più forte.

    Consapevole di ciò Draghi si è premurato di dire che questa nuova liquidità sarà comunque “sterilizzata”. Parola magica questa anche se di poco contenuto economico ma di grande effetto psicologico.

    In parole povere, per evitare il rischio d’inflazione, la Bce venderebbe altri titoli di stato in suo possesso recuperando parte della moneta emessa. Non è così semplice. Quanto grandi potrebbero essere gli acquisti di titoli da parte della Bce? Quali titoli essa venderebbe? A chi? A che prezzo? Per quanto tempo durerà l’intera operazione? Sono interrogativi che meritano risposte puntuali. Si dice che tali operazioni sarebbero attivate solo se richieste e se imposte dall’emergenza. Ma allora siamo o non siamo in una situazione di emergenza?

    Al riguardo riteniamo che sia errato l’atteggiamento di quanti cantano vittoria sulla Bundesbank tedesca. Essa non è impazzita ne è diventata la centrale di un “complotto” per scardinare l’Unione Europea. Essa semplicemente pone il problema del rischio dell’inflazione. Lo fa in modo e con argomenti sbagliati. Preme sui controlli di bilancio, sui tagli delle spese, sugli interventi automatici in caso di mancato mantenimento degli impegni presi dai governi, prima di concedere qualsiasi aiuto. In verità la Bce usa gli stessi argomenti per mantenere il controllo dopo l’intervento di salvataggio.

    Entrambe concordano nel dare al Fondo Monetario Internazionale un potere di controllo e un ruolo diretto nella gestione dell’economia dei paesi beneficiari. Ma non è lo stesso FMI che ha fallito con i paesi in via di sviluppo e che ha dormito prima e durante la grande crisi? Assegnando al Fmi il ruolo di “grande fratello”, la Bce e l’Ue ammettono ancora una volta di essere da esso dipendenti e quindi secondi anche in casa propria.

   La vera questione, secondo noi, è rimettere in modo l’economia reale. Questo però non è il compito principale delle banche centrali. E’ compito dei governi.

    E’ in ogni modo inconcepibile che si possa accettare di intervenire con migliaia di miliardi di euro per i bail out di banche decotte o per la stessa stabilità finanziaria dei singoli paesi o dell’intero sistema e che si neghi allo stesso tempo l’immediata creazione di un fondo europeo di sviluppo di alcune centinaia di miliardi per finanziare le infrastrutture, la ricerca, le nuove tecnologie e l’occupazione.

    Eppure si sa che gli interventi per la moneta e le finanze, seppur necessari, non producono ricchezza, mentre gli investimenti per rilancio dell’economia e per il sostegno all’occupazione sono essenziali per la crescita e la stabilità sociale nei singoli paesi e nell’intera Europa.

 

9.24.2012

Abbattere il debito Rilanciare lo sviluppo

Tra le tante interessanti proposte che girano, quella presentata dalla fondazione “Astrid” (guidata da Franco Bassanini e Giuliano Amato) ci sembra la più realistica.

di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)

e Paolo Raimondi, Economista

Abbattere il debito pubblico e contemporaneamente attuare puntuali politiche di sviluppo: questa è la sfida che l’Italia deve affrontare con priorità. Non si può ulteriormente indugiare, ma occorre agire con scelte concrete. Del resto il rapporto debito/Pil, destinato a peggiorare, è un monito per tutti, governo, parlamento, forze economiche e sociali. La nostra situazione è ovviamente aggravata dalla crisi globale. Comunque la sfida è ineludibile, anche se il futuro dell’economia mondiale dovesse inaspettatamente diventare roseo.

    Circolano varie proposte. Tutte interessanti. Quella presentata dalla fondazione “Astrid”, guidata da Franco Bassanini e Giuliano Amato, ci sembra la più realisticamente praticabile, per diverse ragioni.

    Si tratta di un mix di scelte, invece di uno dei tanti roboanti “colpi risolutivi”, per ridurre in 5 anni il debito pubblico per un importo di 178 miliardi di euro, riportandolo vicino al 107% del pil, come nel 2006.

    L’obiettivo è perseguibile attraverso la vendita di immobili di proprietà dello Stato già disponibili per circa 50 miliardi di euro, di cui 30-40 miliardi derivanti dalla vendita di alloggi pubblici alle famiglie che li detengono in affitto.

    Il piano prevede anche una rapida definizione dell’intesa con la Svizzera per tassare in modo adeguato i capitali italiani giacenti nelle banche elvetiche. Interessanti sono anche l’aumento dell’acquisto di titoli di Stato a lunga scadenza da parte delle casse previdenziali degli ordini professionali e le misure per l’allungamento delle scadenze dei titoli di debito pubblico diminuendo nel contempo anche la volatilità e il peso degli interessi passivi.

    Più problematica potrebbe essere  la cessione di partecipazioni statali in società quotate in Borsa, come Eni e Finmeccanica, per le quali, se non ci si vuole privare dei “gioielli di famiglia”, ci sembra opportuno un coinvolgimento diretto della Cassa Depositi e Prestiti.

    Lo studio è fondato su valutazioni serie sia dei valori dei beni in discussione che degli introiti previsti. La realizzazione del progetto è programmata in tempi medi senza fughe in avanti. I tempi sono collegati alla realizzazione della spending review. Questa naturalmente dovrà continuare per correggere ed eliminare gli sprechi  e molte delle spese superflue delle gestioni correnti non solo a livello statale ma anche a livello regionale dove, come è noto, non vi sono più controlli!

    Il documento fornisce anche una sintetica ma molto istruttiva analisi dell’evoluzione del debito pubblico nei passati 20 anni. Si ricorda che nel biennio 1992-94 la crisi dello SME e l’attacco speculativo contro la lira portarono il rapporto debito/Pil dal 104,7% al 121, 2%. La causa fu in gran parte il rallentamento dell’attività economica e l’aumento della spesa per interessi che fu in media del 12% annuo.

    Di seguito il rapporto diminuì in maniera costante, tanto da raggiungere nel 2007 il 103,1%. Purtroppo dal 2008 ha ripreso la sua corsa.

    Naturalmente la proposta di Astrid non si limita ad interventi correttivi del debito ma sollecita  misure strutturali di sostegno per la crescita con il rilancio degli investimenti pubblici in ricerca e infrastrutture e con l’incentivazione degli investimenti privati in innovazione.

    Al riguardo c’è molto da fare. Per esempio bisogna privilegiare le attività manifatturiere che decidono di non delocalizzare all’estero e di investire nel Mezzogiorno. Come insegnano gli andamenti dell’ultimo ventennio, abbattere il debito è doveroso ma non basta e si rischia di essere sempre sotto il ricatto di eventi, mercati, spread, agenzie rating, ecc. fuori dal nostro controllo.

    Le aspettative indicate nel Documento presuppongono un andamento positivo del Pil a partire dal 2014. E’ in linea con la valutazione del FMI. Comunque la ripresa in Italia ed nell’intera Europa, purtroppo, non è certa e ogni previsione di abbattimento del debito pubblico potrebbe essere messa in discussione.

    A nostro avviso occorre privilegiare i meccanismi di rilancio dell’economia accelerando i tempi e l’utilizzo delle risorse disponibili . Le fonti dei nostri investimenti nell’economia reale sono il bilancio dello Stato, i fondi europei, i capitali stranieri e il credito da parte delle banche private. I primi sono fortemente penalizzati dagli effetti della crisi. Le banche continuano a tenere stretti i cordoni della borsa. Gli ultimissimi dati indicano inoltre che a maggio i crediti concessi dal settore bancario alle industrie sono diminuiti dell’1,5% su base annua.

    Anche questo dato dovrebbe spingere verso la creazione di uno stabile meccanismo di credito allo sviluppo.

 

9.10.2012

Europa e Usa

Economia politica

 

di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)

e Paolo Raimondi, Economista


Europa e Usa 1 - Due cugini che giocano a nascondino


Europa e Stati Uniti presi dai loro gravi problemi rischiano di non vedere che il resto del mondo è profondamente cambiato e richiede anche un mutamento delle regole del gioco in tutti i campi, finanziario, monetario, commerciale, istituzionale. 

    I due cugini atlantici sembrano impegnati a nascondersi l’un l’altro le crisi che li travagliano: quella finanziaria negli Usa e quella istituzionale in Europa.

    Fino ad oggi si sono sottratti alla responsabilità di realizzare da protagonisti la “Grande Riforma” per un sistema economico globale più giusto ed equilibrato.

    Il vecchio continente soffre anzitutto della mancanza di volontà di accelerare il processo di effettiva unione politica più che della crisi del debito, che chiaramente c’è in molti paesi europei. La Germania non sembra avere la necessaria determinazione, così come fece invece per la riunificazione tedesca dopo la caduta del muro di Berlino. Così come, purtroppo, gli altri Paesi dell’eurozona continuano ad agire in un’ottica esclusivamente nazionale.

    Questa situazione, come noto, favorisce gli attuali attacchi speculativi contro l’euro, aggredendo di volta in volta il singolo paese più esposto. Ciò rischia di trasformarsi in crisi sistemica.

    Ecco perché è urgente una governance unitaria nel campo economico e fiscale, nonché un grande fondo europeo per lo sviluppo e gli eurobond per la gestione del debito pubblico.

    Gli Usa invece hanno drammaticamente trasformato la loro crisi finanziaria e bancaria in una gigantesca crisi di debito pubblico il cui controllo è sempre più in mani estere.

    Dal gennaio 2009 il debito pubblico americano è aumentato di più di 5.500 miliardi di dollari avvicinandosi ai 16.000 miliardi di oggi. Secondo il Dipartimento del Tesoro, nello stesso periodo l’indebitamento verso l’estero è passato da 3.072 miliardi a 5.292 miliardi di dollari con un incremento del 72,3%! Numeri che farebbero agitare senza fine i “mercati” se fossero davvero indipendenti e sovrani.

    Molto indicativa dei grandi rivolgimenti internazionali in atto è la drastica riduzione della quota di debito pubblico americano in mano cinese. A giugno 2011 Pechino deteneva 1.315 miliardi di dollari di debito americano.  A giugno 2012 sono scesi a 1.165 miliardi.

    La svolta della Cina non si può proprio ignorare, anche se nei citati dodici mesi il Giappone ha aumentato l’acquisto dei bond Usa sopperendo così al buco lasciato aperto dai cinesi.

    Alcuni spiegano ciò con il rallentamento della crescita economica interna alla Cina. Altri mettono la svolta di Pechino in rapporto a un più deciso orientamento dei paesi Brics verso la creazione di un nuovo sistema monetario basato su un più vasto paniere di monete, in alternativa al vecchio e decadente “sistema del dollaro”.

    Certamente non è più pensabile che il sistema globale possa continuare con le regole attuali.

    In questo contesto è rilevante notare che, sotto la spinta dei Brics, anche la politica monetaria africana sta cambiando radicalmente. Dall’inizio dell’anno prossimo l’Angola imporrà alle multinazionali petrolifere il pagamento dei tributi e contratti stipulati nella moneta locale. Lo stesso che in Monzambico e nello Zambia, dove le transazioni in dollari sono già proibite. Il Ghana ha votato nuove leggi bancarie con controlli più stringenti sui conti correnti in dollari e sui trasferimenti di capitali all’estero.

    Anche la Russia si sta preparando ad un aggravamento della crisi economica e finanziaria globale. Lo ha sottolineato recentemente il presidente Putin in un incontro con i dirigenti regionali cui ha detto che la crescente crisi del debito nell’eurozona e le difficoltà finanziarie e del debito pubblico in Usa “causano un certo allarme”. Mosca spera che questi problemi non esplodano in una nuova crisi generale. Ma sta accantonando delle riserve per questa evenienza. Sembra che il ministero delle Finanze russo stia ipotizzando nuovi assetti del bilancio interno in relazione a eventuali cali molto forti del prezzo del petrolio.

    Sarebbe davvero grave se i maggiori attori economici e politici mondiali dovessero affrontare una nuova emergenza economica sistemica marciando ciascuno al suono della sua fanfara, mentre diventa sempre più impellente decidere a livello di G20.



Europa e Usa 2 - Wall Street contro la City. Scontro vero?


Se la newyorkese Wall Street e la City di Londra, i due pesi massimi della finanza e della speculazione mondiale, si scontrano, vuol dire che è suonata la campanella dell’ultimo round per il sistema finanziario? E’ troppo presto per affermarlo. Da tempo tra i due templi della finanza c’è un crescendo di colpi per la supremazia.

    Dall’inizio della crisi negli Usa indagini parlamentari e giudiziarie hanno portato a galla i giochi sporchi della finanza speculativa, come dimostrano le vicende dei mutui subprime, dei derivati Otc e di tutte quelle operazioni ad alto rischio fatte dalle grandi banche americane. Alcune, come la Lehman Brothers, sono fallite; altre, come la Wachovia Bank, sono state assorbite da altre. Fallimenti e acquisizioni spesso hanno coperto il grande marcio dei loro bilanci. Naturalmente hanno anche così dissolto le responsabilità penali per le grandi truffe dei derivati della Lehman e per il riciclaggio dei soldi della droga della Wachovia.

    Sono emerse le responsabilità delle “too big to fail”, come la JP Morgan o la Goldman Sachs, in azioni speculative e anche fraudolente. Il tutto messo a tacere con alcune dimissioni di manager e con il pagamento di multe che in realtà sono una piccola percentuale dei guadagni illeciti.

    Indubbiamente, Wall Street ha accusato il colpo. Ha perso la sua centralità basata sul fatto che la gran parte delle operazioni finanziarie erano fatte in dollari. Ha licenziato operatori e persino tagliato bonus. Ha ridotto le sue attività. Ma nel contempo ha lottato contro le riforme volute da Obama fino a neutralizzarle in gran parte.

    Recentemente anche Bloomberg News ha scritto che Wall Street dovrebbe ulteriormente ridurre i suoi team di 3.000 unità mentre la City si preparerebbe ad assumere altri 9.000 operatori finanziari. Sono dati eloquenti.

    Intanto, l’annacquata riforma “Dodd-Frank” dei mercati finanziari americani starebbe per introdurre dei nuovi regolamenti che, seppur molto limitati, potrebbero portare gli speculatori e gli altri operatori a disertare Wall Street per non essere “schedati” e sottoposti ai controlli delle agenzie americane.

    In verità, anche la City ha subito colpi pesanti, ma si è tenuta sotto traccia. La City è un tutt’uno con il sistema di potere politico e oligarchico britannico.

    Ecco perché, a parte qualche denuncia verbale, Londra non ha ancora presentato un’indagine seria sulle malefatte speculative della City. Eppure è proprio nella City che ha sede l’80% di tutti gli hedge funds mondiali ed è sempre qui che una grande mole di derivati Otc viene contrattata con modalità altamente opache

    D’altra parte è noto che la City rappresenta almeno il 10% dell’intero Pil inglese. I rapporti con il potere politico britannico sono stati resi palesi al summit di Bruxelles dello scorso 9 dicembre quando il premier David Cameron si rifiutò di sottoscrivere l’accordo europeo che tra l’altro ventilava l’idea della Tobin tax sulle transazioni finanziarie.

    Dopodiché i problemi per la City sono arrivati dall’altra sponda dell’Atlantico. Sulla scia di certe indagini aperte in Europa, i Dipartimenti di Giustizia di New York e del Connecticut hanno accusato la Barclays di aver guidato per anni la manipolazione del LIBOR (cioè il “London Interbank Offered Rate”, tasso di riferimento in uso alla City per i mercati finanziari, ndr). E’ vero che anche due banche americane sono coinvolte, la Jp Morgan e la Citigroup, ma per la grande stampa americana la responsabilità è soprattutto inglese ed europea.

    Come da noi già evidenziato tempo fa, una commissione del Senato americano ha accusato la Hong Kong & Shanghai Banking Corporation (Hsbc) di riciclaggio di soldi sporchi della droga tra gli Usa  e il Messico. Inoltre, il procuratore di New York, Ben Lawsky, ha denunciato una banca storica inglese, la Standard Chartered, di aver “lavato” 200 miliardi di dollari iraniani contravvenendo alle sanzioni americane contro Tehran.

    Secondo il New York Times la denuncia riguarderebbe anche la Deutsche Bank che sarebbe coinvolta in business con i cosiddetti “stati canaglia”, quali la Corea del Nord, la Siria, il Sudan, Cuba e l’Iran. Anche altre cinque banche europee – le olandesi Abn Amro e Ing, le britanniche Barclays e Lloyd nonché il Credit Suisse – sono accusate di condurre affari con Corea del Nord, Cuba e Iran, che a loro volta finanzierebbero terrorismo e traffico di droga.

    Ciò dimostra che sono aperti molti fronti.

    Anche da queste accuse, denunce e scandali il quadro dell’intero sistema finanziario mondiale risulta fortemente compromesso. Del resto era già noto che parte della speculazione si basava anche su traffici illeciti.

    Ci auguriamo che finalmente la verità sulla crisi sistemica emerga in tutta la sua portata.

    Wall Street e la City sono due “lupi famelici” che per il momento si azzannano tra di loro per la supremazia e per i resti della carcassa del sistema finanziario.

    Ma l’Europa dovrebbe vigilare seriamente perché essa stessa potrebbe alla diventare la preda sulla quale i lupi insieme potrebbero infine accanirsi.



Europa e Usa 3 - Bernanke: la Fed di fatto è una bad bank


Che la Federal Reserve fosse di fatto una bad bank è noto da tempo. Adesso anche il capo stesso della FED, Ben Bernanke, lo ammette, e anzi lo presenta come la nuova teoria monetaria. La Fed è diventata una grande “bad bank” che compra a man bassa titoli tossici dalle banche in crisi.

    Lo ha annunciato ufficialmente a Jackson Hole, nello stato del Wyoming, durante l’ultimo simposio bancario annuale organizzato dalla Fed di Kansas City.

    Bernanke ha ricordato che nell’agosto del 2007, all’inizio delle crisi finanziaria globale, i tassi di interesse della Fed erano del 5,25% mentre oggi sono dello 0-0,25%. Di conseguenza i tradizionali strumenti di politica monetaria e finanziaria della banca centrale americana, in primis le manovre restrittive o espansive sul tasso di sconto e l’estensione temporale dei termini di prestito, non funzionano più.

    Dal 2007 la Fed lavora con “nontraditional policy tools”, con armi monetarie non convenzionali basate anzitutto sulla gestione del “balance sheet”, cioè sull’espansione del suo stato patrimoniale.

    Dopo aver provato una serie di operazioni per sostenere il sistema finanziario in default, la Fed è passata all’acquisto diretto dei titoli del debito pubblico e di altri titoli più tossici in possesso delle cosiddette imprese sponsorizzate dal governo (GSE), come i colossi immobiliari dei mutui subprime, Fannie Mae e Freddie Mac. Per far ciò ovviamente ha fatto lavorare a tempo pieno le rotative per stampare dollari.

    Dal Novembre 2008 e in poco più di due anni, Bernanke ha dettagliato di aver comprato titoli, molti dei quali non più appetibili, per un totale di 3.350 miliardi di dollari!

    Tali operazioni sono state anche chiamate “quantitative easing”. Per cui nei libri contabili della Fed ora vi sono anche 850 miliardi di dollari di mortgage backed securities (mbs), cioè derivati tossici emessi sulla base di ipoteche impagabili.

    Quando si cercavano delle soluzioni alla crisi, tra l’altro si ipotizzò la creazione di “bad bank” dove “parcheggiare” i titoli tossici, insieme ad altre riforme per rendere illegale i meccanismi della “loro produzione”. Nessuna banca privata ha fatto tale scelta per paura di perdere credibilità. La Fed invece lo ha fatto con i soldi pubblici nell’interesse della finanza privata!

    A Jackson Hole Bernanke ha cercato di difendere tale decisione e la sua teoria economica proprio come fanno quei cuochi in televisione che danno le ricette sul momento. “Impariamo facendo”, ha detto. Se il piatto sarà una schifezza lo si saprà solo dopo. Mentre si cucina, invece, si tessono le lodi del cuoco, si decantano l’atmosfera e i colori, evitando attentamente di parlare del sapore.

    Uno degli effetti positivi derivanti dalla politica della Fed sarebbe, secondo alcuni studi, l’abbassamento del tasso di interesse dei bond decennali del Tesoro dello 0,8-1,2%. Misera cosa per una valanga di nuova liquidità!

    Per Bernanke l’importante è il fatto che il Pil e l’occupazione negli Usa non siano crollati. Immettere ricchezza non prodotta sotto forma di nuova moneta è però come dare la droga ad un malato. All’inizio sembra che egli stia bene, ma successivamente starà peggio o per crisi di astinenza o per gli effetti collaterali sopravvenuti.

    Bernanke paragona la sua politica con l’acquisto di bond del Tesoro a lungo termine deciso dopo la Grande Depressione. E’ un paragone inaccettabile. Allora la Fed comprava titoli emessi dal governo per sostenere la ripresa e l’occupazione con grandi progetti di investimento e infrastrutture. Non comprava i titoli tossici mbs. Allora si avviò il New Deal…

    Comunque egli ha dovuto ammettere i rischi della nuova politica: la destabilizzazione dei mercati finanziari, la perdita di fiducia nella Fed in rapporto anche alla minaccia inflazionistica, la ricerca delle banche di nuove operazioni altamente rischiose e la possibilità di grosse perdite per la Fed stessa a seguito di possibili futuri aumenti del tasso di interesse.

    La seconda arma non convenzionale di Bernanke è l’informazione. Nella società della comunicazione e della pubblicità ha ovviamente puntato sull’elemento psicologico. Le aspettative diventano più importanti della stessa realtà. Per questo egli ha annunciato che la politica dei tassi a zero interessi rimarrà “almeno fino alla fine del 2014”.

    La grande stampa sta presentando una Fed interventista ed unica in grado di salvare l’economia. Purtroppo, secondo noi, non è così. Del resto anche l’autorevole Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea in un suo recente paper evidenzia i pericoli insiti nella politica della Fed. Sottolinea infatti che “le misure non convenzionali hanno fornito un supporto temporaneo alle economie. Questo però non vuol dire che  l’espansione dei balance sheets delle banche centrali avranno in generale degli effetti macroeconomici positivi”.

    Molti, in particolare gli Usa, vorrebbero che la Bce portasse avanti la stessa politica. Secondo noi invece Mario Draghi ha fatto bene a disertare Jackson Hole. Vogliamo credere che con un tale gesto, Draghi, la Bce e l’Europa abbiano voluto dare un segnale differente.

7.04.2012

120° - Genova - Sinistra e socialismo europeoRicominciamo da capo?

Le analisi e le prospettive del socialismo italiano a 120 anni dalla fondazione del Partito dei lavoratori nella relazione introduttiva al convegno.

di Felice Besostri


Care compagne e cari compagni, spero che le aspettative che avete non saranno deluse.

    Scegliere di venire a Genova per partecipare a una manifestazione politica non vi rende rappresentativi dei sentimenti degli italiani verso la politica.

    Eppure siamo convinti, quelli di noi, principalmente il Gruppo di Volpedo, che hanno fortemente voluto questo incontro, che ci sia ancora una buona politica, quella che antepone gli interessi del paese e della maggioranza dei suoi cittadini, che non sono i privilegiati (in Italia ci sono troppe differenze fra una minoranza di possidenti e la grande massa dei cittadini, quando il 10% delle famiglie possiede il 50% della ricchezza nazionale)

    Ho rivolto il mio saluto a compagni e compagne, ma devo confessare che spero non siano la maggioranza dei presenti. Vorrei fossero venuti cittadini, persone che possano diventarlo o che, stanche di esserlo e dopo una militanza politica  attiva, si siano ritirate nel privato o nel volontariato, ma periodicamente riscoprono la voglia di fare, di esserci.


Video streaming TV sul sito del Gruppo di Volpedo

=>> http://www.livestream.com/gruppodivolpedogenova <<=


    Se confrontiamo i voti in assoluto presi dall'Ulivo e alleati nel 1996 e quelli presi oggi, anche quando si vince, mancano all'appello milioni di elettori, cioè linfa democratica di persone in carne e ossa e non percentuali che, tra l'altro, diventano maggioranza grazie a leggi elettorali premiali volute da tutti in omaggio al mito della governabilità, come se la stessa dipendesse dai numeri e non dalle buone politiche dal consenso quotidiano dei cittadini verso le istituzioni democratiche e dalla loro partecipazione informata e consapevole. Abbiamo sotto gli occhi lo sfacelo provocato dai premi di maggioranza senza una soglia minima di voti e/o seggi, che non può essere inferiore al 40%.

    La coalizione guidata da Berlusconi premiata con una maggioranza senza confronti nella storia repubblicana nella Camera e nel Senato non esiste più così come la coalizione che nel 2008 le si era contrapposta, velleitaria e inconcludente.

    Un solo risultato è stato raggiunto: quello di eliminare dalle istituzioni la sinistra, tutta la sinistra, non solo dal parlamento nazionale, ma anche dalla delegazione italiana nel Parlamento Europeo, senza distinzioni tra riformatori e antagonisti, socialisti e comunisti, ambientalisti, liberaldemocratici e social-cristiani.

    Questo fatto non ha analogie in nessun paese europeo, nella UE e fuori dalla UE. Queste leggi elettorali, nazionali ed europee, non sono frutto del caso ma di una scelta condivisa anche nel centro-sinistra per assicurarsi un monopolio di rappresentanza all'opposizione, come consolazione per non riuscire a proporre una maggioranza alternativa al paese, cioè in grado di conquistare almeno il 50% + 1 degli elettori votanti in una misura non inferiore al 70% degli aventi diritto per dare certezza di solidità alle istituzioni democratiche. 

    Non voglio privilegiare gli aspetti istituzionali e normativi a causa della mia deformazione professionale di costituzionalista, ma sono convinto che la legge elettorale vigente, oltre che essere affetta da incostituzionalità, sia responsabile del degrado politico e morale del paese. Se ci fosse stata una legge appena appena più decente del porcellum, senza abnormi premi di maggioranza, senza liste bloccate immodificabili e con un nome – e solo quello- di un capo sulla scheda elettorale- e a prescindere da quello che ha vinto, saremmo tornati a votare: solo un parlamento di nominati e non di eletti poteva subire l'umiliazione di un governo tecnico  e la perdita di centralità del suo ruolo come disegnato dalla Costituzione, oltre che rappresentare nelle fasi convulse della frantumazione delle coalizione e dei partiti un punto basso di moralità con cambi di casacca e trasmigrazioni da uno schieramento all'altro, anche dietro compenso. Se uno non risponde con la sua faccia e nemmeno il nome sulla scheda al proprio elettorato, ma a un capo o padrone che l'ha nominato, può sempre cercarsene un altro che lo garantisca più del vecchio. Eppure, le riforme elettorali spagnol-polacco-greche con innesti ungheresi che si stanno studiando hanno ancora in comune l'obiettivo di assicurare la vittoria a partiti di maggioranza relativa, cioè di minoranza assoluta, di impedire che sorgano nuovi soggetti politici concorrenziali che possano sicurare un fisiologico ricambio, con il risultato di trovarsi alla fine, per indignazione popolare, a dover fare i conti con movimenti che li vogliono semplicemente spazzare via


    La fine della Seconda repubblica politica e gli scandali della Margherita e della Lega Nord - quelli emersi, poiché non è detto che siano gli unici - nella gestione dei fondi pubblici hanno dato il colpo di grazia alla credibilità della politica e dei partiti e fiato a chi appare estraneo al sistema.

    Ora c'è Grillo, come nel 1994 fu Berlusconi, un imprenditore non un politico, che si è guadagnato la fama internazionale di Capo di Governo più comico. Speriamo di non dover sperimentare sulla nostra pelle anche la carriera inversa, cioè di un comico che si trasformi in imprenditore di politica.

    Senza una legge sui partiti politici, come esiste in quasi tutti i paesi europei, che prescriva statuti democratici e controlli giurisdizionali sulla loro osservanza e contabili pubblici sulle finanze, incompatibilità e limitazione dei mandati, gli alternativi innovatori saranno l'ennesimo imbroglio. A sinistra, dobbiamo riconoscere al Compagno Spini la coerenza di avere sollevato il problema e di aver proposto soluzioni da quasi 20 anni. Non nascondiamoci dietro al dito della mancanza di una legge, se un partito vuol dotarsi di uno statuto democratico, può farlo da subito soltanto usando il codice civile.


<> 


La sinistra, se vuol diventare credibile come alternativa, deve abbandonare  l'atteggiamento benaltrista, cioè che i problemi, così come percepiti dalla gente comune sono in realtà ben altri, l'atteggiamento benaltrista tra l'altro si è sposato con l'oltrismo, cioè quello che ritieneva che, dopo la caduta del muro di Berlino simbolo del sistema imperiale sovietico, non si poneva il problema di fare i conti con la socialdemocrazia, quanto piuttosto le necessità di andare "oltre". Così è stato per il PDS, che è passato dal comunismo al liberalismo (ma ora pare in via di guarigione nei suoi settori maggioritari e vicini al sindacato) senza fare neppure una pausa socialdemocratica.

    L'importante era sottolineare la particolarità italiana, del Paese con il più forte patito comunista fuori dall'URSS e dalla Cina popolare, in realtà una mezza verità: basta dimenticare l'India e per l'Europa il Partito Comunista di Germania dopo la Rivoluzione d'Ottobre. Quella sinistra italiana è stata oggetto di studio di politologi anglosassoni e di visite di delegazioni, specialmente della socialdemocrazia tedesca in pellegrinaggio a Bologna e in Emilia Romagna piuttosto che in Toscana o a Siena.

    Socio-politologicamente, il PCI ben poteva essere un partito socialdemocratico per il suo insediamento sindacale nel movimento cooperativo, nell'associazionismo sportivo, del tempo libero e di categorie, comprese quelle imprenditoriali nel commercio, nell'artigianato e nell'agricoltura. Un suo merito, ma in parte, grande o piccolo merito del PSI: l'Italia è stato l'unico paese d'Europa in cui il partito socialista, neutralista e non aderente all'Internazionale Socialista, non consentì l'isolamento del PCI all'opposizione, ma ne condivise le sorti nel sindacato CGIL, nella Lega delle Cooperative, nell'Arci, nell'UISP, nel movimento contadino e del lavoro autonomo democratico,  ma soprattutto negli enti locali e, a partire dalla loro istituzione nel 1970 , nei governi regionali. Le relazioni strette, più che in qualsivoglia altro paese europeo, tra comunisti e socialisti (quando mi iscrissi al PSI nel 1961 l'espressione social-comunista era di uso corrente e più frequente di social-democratico o liberal-socialista) non sono state sfruttate per anticipare un giudizio sul comunismo sovietico, senza doverne aspettare l'implosione nel finale degli anni '80. Se non a partire dai moti operai di Berlino Est del 1953, almeno dalla Rivoluzione ungherese o più anodinamente dai Fatti d'Ungheria del 1956, senza dover aspettare la Primavera di Praga del 1968 o i moti di Danzica con l'esplosione di Solidarnosč del 1980, si poteva cominciare a capire, come ha detto Vendola, che il sogno comunista di liberazione  era diventato un incubo.

    Una sinistra europea attenta al dissenso dell'Est, almeno in misura pari all'opposizione spagnola, portoghese o greca o delle vittime delle repressioni dei regimi militar-dittatoriali in America Latina, avrebbe sostenuto altri attori del cambiamento in quei paesi,  che erano convinti - si illudevano?- che vi fosse un altro modo di perseguire gli ideali di progresso e di uguaglianza, ideali che la sinistra, a Ovest o a Est, A Nord o a Sud, non può smarrire a pena di rendersi irriconoscibile.


Video streaming TV sul sito del Gruppo di Volpedo

=>> http://www.livestream.com/gruppodivolpedogenova <<=



    In Polonia, nella DDR, in Ungheria e in Cecoslovacchia le esigenze di riforme e le richieste di libertà e democrazia erano anche di settori di sinistra, presenti persino all'interno dei partiti comunisti al potere.

    La storia è stata diversa e secondo alcuni (tra cui il nostro Prodi): le macerie del muro di Berlino non avrebbero seppellito soltanto il Realexistierendes Sozialismus (il socialismo realmente esistente, come amava definirsi il comunismo sovietico) ma anche la più occidentale Socialdemocrazia. L'estrema debolezza della sinistra in Italia è stata confermata dai disastrosi risultati elettorali del 2008 e 2009 (leggermente migliori gli ultimi, e con elementi potenziali di novità, come Sinistra e Libertà. Una realizzazione in scala ridotta e non riuscita degli auspici di Edgar Morin di una sinistra che ricomponga tutti i suoi filoni ideali storici, socialista, comunista e libertario con l'innesto dell'ambientalismo per far fronte alle sfide della globalizzazione e del capitalismo finanziario e dell'ideologia liberista e dell'individualismo esasperato). 

    Parlando di filoni ideali, si scantona dalle politiche concretamente perseguite e c'e' il rischio di finire in una notte hegeliana in cui tutte le vacche sono nere. Ma l'intenzione è importante: cioè se si persegue una scomposizione della sinistra per una sua ricomposizione unitaria sono benvenuti i confronti anche aspri tra i filoni ideali perché c'è voglia di contaminazione. Se, invece, si vogliono regolare i conti fino in fondo a sinistra e perciò i termini "socialdemocratico" e "comunista", come temeva Alain Touraine, non sono definizioni ideologiche, ma insulti reciproci, è meglio che ciascuno stia con i suoi simili: al massimo si sperimentino convivenze forzate in alleanze puramente elettorali e difensive.

    Di passaggio, vorrei notare che Turati, nel suo celebre discorso al Congresso di Livorno del 1921, indicò tra le sue fonti di ispirazione il Manifesto dei Comunisti di Karl Marx e che ebbe sempre una forte idiosincrasia per il termine riformista, tanto che volle battezzare il suo partito, dopo la scissione del PSI, PARTITO SOCIALISTA UNITARIO e non Partito Socialista Riformista, men che mai partito riformista.

    La sinistra dovrebbe avere più cautela nell'usare le parole e chiedersi se è proprio un caso che i partiti riformisti (Reform Party negli USA, in Canada o Singapore) o partiti del progresso (Fremskridtspartiet danese, Fremskrittspartiet norvegese o Partito del Progresso serbo) siano partiti conservatori, liberali nel miglior caso e populisti di destra nel peggiore.

    Non sarebbe il caso, a sinistra o nel centro sinistra, di lasciar cadere gli aggettivi/sostantivi RIFORMISTA E PROGRESSISTA? Proprio per la loro ambiguità intrinseca, che fece redigere allo scrittore ceco Jaroslav Hašek, noto autore de romanzo Il buon soldato Sc'vèik, "IL MANIFESTO DEL PARTITO DEL PROGRESSO MODERATO NEI LIMITI DELLA LEGGE" . Hašek, era un umorista, perciò non poteva immaginare in vertici del ridicolo che possono raggiungere i politici, umoristi involontari.  Sia chiaro come si legge all'inizio dei Film con i titoli di testa, che ogni riferimento a partiti operanti in Italia o a loro accordi elettorali o post-elettorali è non voluto e puramente casuale

    Torniamo alla nostra sinistra che, alleata al PD, con questa legge elettorale, potrebbe tornare in Parlamento e addirittura al Governo o che, aggregandosi con maggior fortuna dell'Arcobaleno, eleggere deputati e forse anche senatori. Questa nostra sinistra ha tuttavia la tentazione di rifugiarsi nel passato o di cercare i propri paradisi all'estero, per ovviare al fatto di essere la più debole d'Europa.  Allora sorgono impetuose, seconda delle proprie origini, le nostalgie per il vecchio PCI sopra il 30% o per il PSI di Craxi sopra il 14%, senza mai poterli sommare per avere una percentuale analoga a quella di  un partito socialdemocratico al potere.

    La debolezza della sinistra italiana non è quindi un fatto contingente, recente e transitorio ma storico e strutturale. La sinistra in Italia non si è mai proposta per il governo del paese con un suo programma e suoi uomini o donne alla guida dell'esecutivo per poterlo realizzare, cioè non è mai stata in grado di rappresentare una alternativa di governo, come è la regola quando la sinistra è rappresentata da un partito socialista, socialdemocratico o laburista. Questa - e non altra – è la non risolta questione socialista della sinistra italiana, che non è la questione di collocazione dei socialisti, che individualmente se la cavano bene, come dimostra la loro diaspora dopo lo scioglimento formale del PSI, favorita da ogni parte e non contrastata da un progetto forte di ripresa politica socialista, che andasse oltre la sopravvivenza testimoniale di un ristretto, sempre più ristretto gruppo di dirigenti. 

    L'eccezione all'assenza di una proposta di governo della sinistra è stata il 1948, ma non credo che ci si facessero illusioni e, con i modelli che aveva in testa, non era nemmeno auspicabile una vittoria vista con il senno di poi.  Nel 1996, con l'Ulivo, la sinistra non si era candidata al governo del Paese con un proprio uomo: Prodi era uno di quelli convinti – e non si è risparmiato nel dirlo con la massima onestà e trasparenza- che la fine del comunismo a oriente doveva rappresentare la fine della socialdemocrazia a occidente. Non importa che nel 1999, su 15 paesi della allora UE, 13 primi ministri erano di partiti socialisti, conteggiando anche i governi di coalizione. Erano vittorie elettorali in tempi di grande espansione economica, di un progresso che pareva senza fine, in cui la socialdemocrazia poteva fare una politica di spesa anche grazie a risorse tratte dagli squilibri nelle ragioni di scambio con i paesi meno sviluppati.


<> 


Quello era un tempo, in cui i grandi partiti  socialisti di grandi Paesi cercavano terze vie e nuovi centri, in sintonia con i progetti di Ulivo Mondiale e con la fiducia illimitata nella guida del presidente Clinton, in carica dal 1993 al 2001: Clinton che sarebbe stato il responsabile della deregulation dei mercati e dei prodotti finanziari, fatto in cui la crisi che stiamo attraversando affonda le sue radici e, solo in seconda battuta, nei debiti sovrani di alcuni stati della zona euro[Per cui fa specie che tifosi dell'Ulivo nazionale e mondiale, siano allora e oggi tra i più feroci critici del PSE, perché non fa quello che neppure il loro idolo Monti non fa: appoggiare Syriza a corpo morto].. Questi debiti sono il pretesto per le politiche di austerità, non per la loro entità, sia in valori assoluti che in percentuale del PIL (basta pensare a quelli USA  e del Giappone) ma per la mancanza di una politica economica comune agli stati con la stessa moneta e di strutture di controllo della massa monetaria tipica di uno stato sovrano con una Banca centrale prestatore di ultima istanza e al servizio di un governo politico dell'Unione, democraticamente legittimato , e non delle visioni di un singolo stato, la Germania Federale, sia pure con la situazione economica apparentemente migliore ed inattaccabile.

    Neppure nel 2008 la sinistra si è proposta per il governo del Paese, il PD e il suo leader di allora non si definivano di sinistra e anzi la scelta di coalizione con l'IDV è stata funzionale a escludere scientemente dal Parlamento ogni formazione di sinistra. La sinistra deve ricostituirsi come area politica, ma non ci si arriva parlando genericamente di una sinistra senza aggettivi e incapace di scelte comuni e nemmeno di confrontarsi con se stessa per verificare vicinanze, distanze e la loro insuperabilità. La sinistra deve anche rispondere a un popolo stremato e smarrito, giustamente preoccupato per il presente e ancor più per il futuro dei propri figli e nipoti.


<> 


Quindi: mettere al centro il lavoro, ma non come slogan o mantra, e soprattutto chiarendo che il lavoro che vogliamo difendere è ogni tipo di lavoro, e non solo quello subordinato o precario, ma anche autonomo, libero professionale e imprenditoriale, quando sia rispettoso delle regole, del fisco, dei contratti, della sicurezza e della dignità dei dipendenti e dei collaboratori. La tutela del lavoro, cioè di chi vive esclusivamente o prevalentemente del proprio lavoro, si estende naturalmente a chi il lavoro non l'ha ancora, l'ha perso o si prepara a chiederlo studiando o formandosi professionalmente. La centralità del lavoro resta un concetto astratto e di nessuna attrattiva se non si risponde sul terreno concreto dei lavoratori, dei loro diritti e delle garanzie in caso di perdita. Da questo punto di vista, il problema degli esodati, un neologismo che non fa giustizia del loro dramma, resta paradigmatico, perché non c'è soluzione a parole. Come ha ben detto Lanfranco Turci del Network per il Socialismo: "le politiche concrete dovrebbero avere alle spalle una teoria aggiornata che connetta logicamente, non solo verbalmente, una nuova condizione del lavoro con l'uscita dalla crisi ,un nuovo modello di sviluppo e nuovi rapporti di potere fra le classi, e fra lo stato e il mercato. tutto questo richiederebbe un partito politico o meglio [aggiungo io] partiti politici che non dico abbiano già le risposte pronte, ma riconoscano che questi sono i problemi."

    Non a caso, abbiamo individuato, nell'organizzare questa manifestazione, come interlocutrici principali, ancorché non esclusive, le Fondazioni del Mondo sindacale e socialista, che nei loro nomi Buozzi, Di Vittorio, Trentin e Nenni, ricordano i compagni che hanno speso una vita per coloro che altrimenti sarebbero stati lasciati indietro da chi controlla l'economia ed il potere.

    Sono poi previsti interventi  a nome di un associazione intitolata a Eugenio Colorni e del Direttore dell'Avvenire dei Lavoratori di Zurigo, che nei suoi 115 anni di vita ha avuto tra i suoi direttori Ignazio Silone, socialista cristiano senza tessera di partito che ha vissuto sulla propria pelle le divisioni e le rivalità della sinistra, anche dopo la sua morte. Nel pomeriggio proseguiamo i lavori nel Circolo Matteotti. 

    Buozzi, Di Vittorio, Trentin, Nenni, Colorni e Silone: ecco già sei nomi per il nostro Pantheon laico, cui aggiungere altri italiani o stranieri secondo le nostre più varie inclinazioni.

    La sinistra, nelle sue varie articolazioni di partiti e movimenti - che occorrerebbe censire, adottando criteri di classificazione [non basta avere ceti popolari o segmenti di lavoratori nel proprio elettorato, per essere di sinistra (Lega Nord docet) o dichiararsi disponibili ad alleanze senza confini a sinistra, l'ideologia populista per esempio non è di sinistra e sull'IDV il giudizio deve essere sospeso] - è pronta alla sfida per un'alternativa di governo? Ne dubito, e proprio per la deformazione elettoralistica che ne determina comportamenti.



Video streaming TV sul sito del Gruppo di Volpedo

=>> http://www.livestream.com/gruppodivolpedogenova <<=



    Così è stato nel 2001, quando si è consegnato il Senato a Berlusconi per salvare con le liste civetta il posto a 14 parlamentari uscenti, neppure raggiungendo l'obiettivo, perché la maggioranza parlamentare in Italia può violare impunemente le leggi elettorali. Nel 2008 abbiamo un altro esempio di sindrome elettorale del PD, che per non avere problemi sulla sua sinistra si allea con la sola IDV, che di problemi gliene procurerà tantissimi e tuttora è una spina nel fianco come opposizione, pur avendo contribuito con i suoi Scilipoti e compagnia a prolungare l'agonia del berlusconismo. 


<> 


Spero di sbagliarmi, ma c'è il rischio che si voti col porcellum, la legge elettorale preferita dai capi partito o dai Capi popolo, Grillo compreso, perché da un potere assoluto nelle formazioni delle liste. E, come insegnava lord Acton, il potere assoluto corrompe assolutamente.

    Chi, come noi, resta fedele alla Costituzione repubblicana e alla forma di governo parlamentare in essa iscritta si trova tra Scilla (sopportare il governo tecnico) e Cariddi (rivotare con il porcellum per la terza volta e affondare definitivamente la democrazia). La sinistra non si incontra, ma si scontra per interposta persona ancora una volta, lasciandosi abbagliare dai risultati elettorali, come se fossero riproducibili a comando.

    I tifosi del socialismo europeo, tra i quali mi iscrivo, ma non in Curva Sud o tra le bande di Hooligans, indicano a conforto loro la ripresa socialista dopo anni di risultati rovinosi, dalle regionali e senatoriali francesi ai Länder tedeschi, dalle amministrative britanniche alle legislative slovacche, dalla Danimarca alla doppietta francese di legislative e presidenziali oltre altre vittorie parziali in piccoli paesi (la più eclatante e bella politicamente in Islanda) ma facendo finta di dimenticare le che perdite di Spagna e Portogallo, in termini di popolazione governata, non sono compensate da Slovacchia e Danimarca e rimuovendo la tragedia del Pasok, il Partito del Presidente dell'Internazionale Socialista. Sul fronte opposto si trova una sinistra, che trova i modelli prima nella LINKE Tedesca( con le elezioni federali del 2009  ben sopra la soglia di accesso del 5%), poi nel Fronte della Sinistra di Mélenchon alle presidenziali ( vicino al 15%), quando poi Syriza supera il 17 % il 6 maggio e il 27% il 17 giugno ormai pensa che sia finita la quaresima. Ci si dimentica  di pesare la sinistra greca in rapporto al totale della sinistra europea, mentre non si fa lo steso errore col PIL greco e quello complessivo della UE. Bastassero le percentuali, allora , il vero esempio da seguire è l'Islanda.

  Non importa che la sinistra nel suo complesso sia indebolita come nel 2009 in Germania e ora in Grecia, dove Syriza non recupera tutte le perdite di Pasok, Sinistra Democratica e KKE. Crediamo che la situazione sia grave e che la sinistra, se ha interesse a contrastare l'attacco al modello sociale europeo, il più civile del pianeta, e alla stessa democrazia, debba trovare una risposta credibile, praticabile in tempi brevi e medi alla crisi. Non bisogna ripetere l'errore denunciato da Tony Judt della crisi che ha preceduto la Seconda Guerra mondiale, liquidata da socialdemocratici e comunisti come una dimostrazione delle contraddizioni insanabili del capitalismo: in un certo, come a dire: "son affari loro"! Da quella crisi si uscì grazie a politiche keynesiane, ora vietate in Italia con norma costituzionale, l'art. 81 recentemente novellato, ma soprattutto con il conflitto bellico. Criticate senza riserve  le modifiche costituzionali degli artt. 81 e 119 non dobbiamo mitizzare i deficit di bilancio, perché non è la stessa cosa un deficit per investimenti ed un deficit per costi della macchina amministrativa o per spese clientelari se non frutto di pratiche corruttive , oltre che superflue come gli aerei da combattimento di ultima generazione. Non lasciamoci ingannare dal fatto che, come dice Simone, ora il mostro è mite e, perlomeno nei paesi euro-atlantici, non ci sono da temere repressioni con l'uso della forza. Siamo in una situazione con molti punti di contatto con quelle precedenti lo scoppio delle guerre mondiali del secolo scorso, per la profondità delle crisi politiche ed economiche. Se il Consiglio europeo di fine giugno non trova una soluzione alternativa alle ricette Merkel, la crisi dell'euro e della stessa costruzione europea sono dietro l'angolo e ci sono aree nella stessa Europa (I Balcani e tutto il Sud Est europeo e la regione caucasica) da cui possono partire gravi tensioni, come anche se dovesse finire l'amicizia franco-tedesca e in un  contesto mediterraneo in piena ebollizione dalla Siria all'Egitto, dalla Libia alla Tunisia, oltre che il sempiterno conflitto israelo-palestinese, con le sue appendici libanesi e con medie potenze come Turchia e Iran alla ricerca idi un ruolo regionale.

    In questa crisi non basta denunciare, forse anche a ragione, la debolezza strutturale dell'euro, ma l'opinione pubblica ha bisogno di sapere se deve augurarsi un ritorno alla lira o un salvataggi anche in zona Cesarini dell'Euro. Il pericolo maggiore per la democrazia è un'ulteriore compressione della sovranità nazionale? O invece è il passaggio a un assetto federale, con un governo responsabile di fronte ad un parlamento  e i governi nazionali costituenti una seconda camera tipo Bundesrat tedesco,  il salvataggio della democrazia - e contestualmente  un'uscita in prospettiva dalla crisi ?- Tuttavia, i tempi di un nuovo assetto europeo non sono compatibili con una risposta alla crisi che viaggia alla velocita di una lepre mentre la risposta istituzionale ha la lentezza di una tartaruga. Poiché la lepre è partita prima, non possiamo nemmeno applicare il paradosso di Zenone. Questa è una crisi capitalista, ma non la crisi del capitalismo. Come ogni crisi è una sfida e un'opportunità di misurarsi come individui e come collettività, in primis come collettività politiche che, in una democrazia rappresentativa, sono o dovrebbero essere i partiti. Ma non questi partiti, formazioni autoreferenziali e di mutuo soccorso per i rispettivi gruppi dirigenti o comunque appartenenti a quella nomenklatura percepita come una casta, in parte perché lo è, ma anche per un preciso piano di delegittimare la politica e i cittadini che la fanno, per imporre tecnici, tecnocrati, imprenditori e burocrati, veicolando l'idea che i problemi sono troppo complessi per essere risolti con urgenza rispettando le procedure democratiche.



Video streaming TV sul sito del Gruppo di Volpedo

=>> http://www.livestream.com/gruppodivolpedogenova <<=



    I partiti di una volta sono andati e non torneranno più, non c'è posto per partiti vissuti come una chiesa o addirittura come prefigurazione della società futura: la società futura se assomigliasse ai partiti del nostro tempo farebbe orrore. Detto questo, ci dovrebbero comunque essere, in una democrazia rappresentativa, corpi intermedi che, pur con le loro visoni alternative, fossero portatori di interessi generali e non di categorie o corporazioni ovvero che si approprino  di valori come la difesa dell'ambiente o dei beni comuni. Partiti senza bramini, ai quali non sia più possibile contrapporre la società civile, perché non è civile una società che disprezza la politica.


<> 


Il Gruppo di Volpedo intende fare la sua parte e ritiene che la crisi dei partiti non si superi abolendoli, ma riformandoli e dando loro una dimensione europea.

    Da sempre chiediamo la trasformazione del PSE in un partito europeo transnazionale, come approdo naturale e principale della sinistra italiana: l'invito è rivolto principalmente al PD e a SEL, ma anche a settori della sinistra che hanno individuato nella vittoria di  Hollande un punto di forza, come Rossana Rossanda nella lettera ai denigratori anticipati pubblicata dal Manifesto o il BOBO di Staino che dice "«L'unica via è una mobilitazione collettiva per un partito laico, socialista, onesto nella sua proposta politica. Hollande in Francia è riuscito a vincere con idee chiare su come avrebbe affrontato la crisi.» 

    Dovremo dare risposte semplici e chiare su chi siamo e cosa vogliamo fare. Sono ateo, ma il socialismo cristiano di  Leonhard Ragaz mi attira: con gli uomini di fede non ci sono incompatibilità per un socialista, al contrario nessuna affinità coi fanatici integralisti di ogni religione, coi clericali  e con i rappresentanti degli interessi  materiali del Vaticano.

    Dobbiamo accogliere l'esortazione evangelica a parlare chiaro: Sì, sì, No, no. 

    Il potere si conquista e si gestisce con metodi democratici? Sì, sì.

    Cose ovvie e scontate a parole, ma non quando con eccessiva precipitazione si critica la SPD, che nel delineare politiche alternative alla Merkel, non può prescindere dagli stati d'animo dei cittadini tedeschi, per quanto siano frutto di pregiudizi atavici e di intossicazione mediatica. La Repubblica Federale di Germania non è la DDR, cui l'URSS potesse ordinare di aiutare i suoi alleati e vassalli, indipendentemente dall'opinione dei cittadini tedesco orientali.

    Socialismo e libertà sono indissolubili? Sì. Da ciò discende un'intransigenza nelle difese dei diritti individuali e collettivi, contro ogni ragion di Stato compresa la difesa della rivoluzione, che è sempre stata difesa dei gruppi al potere, che hanno espropriato le ragioni della rivoluzione. Per noi è intollerabile lo slogan "Socialismo o Morte",  nel senso che se non abbiamo il socialismo, meglio la morte: Socialismo è VITA. Mentre è ancora di tragica attualità l'alternativa " socialismo o barbarie?"

    Ci deve essere un ruolo e un controllo pubblico nell'economia? Sì, con diverse forme pubbliche, non necessariamente statali: cogestione, autogestione, proprietà cooperativa divisa e indivisa, comunità di utenti. Il Titolo III della Parte Prima della Costituzione ( art. da 41 a 47) ne delinea i tratti essenziali. Proprio perché favorevoli ad una presenza pubblica nell'economia dobbiamo essere i più intransigenti accusatori di sperperi, inefficienze, clientelismi e corruzioni nel settore pubblico o del parastato( Finmeccanica e Enav, tanto per fare pochi esempi).  La proprietà pubblica, e nemmeno quella privata pensiamo ad AUTOSTRADE S.p.a- sono di per sé una garanzia basti pensare allo stato disastroso della messicana PEMEX (che ha il monopolio dell'estrazione), rispetto al successo della sua omologa brasiliana PETROBRAS, per non parlare della norvegese STATOIL.

    Ci sono beni da sottrarre al mercato quando si tratta di assicurare la salute, l'accesso all'istruzione e alla conoscenza (un bene che più viene distribuito e diffuso più cresce) e ai beni comuni e necessari? Sì.

    In un'economia di mercato, tutto si può vendere e comprare, compresi gli affetti, i sentimenti, la dignità e il rispetto deli altri? No, perché anche quando vi è un'economia di mercato i socialisti sono contro una società di mercato.

    I socialisti sono europeisti e federalisti? , avendo come modelli Colorni, Silone, Spinelli e Rossi e il loro posto è nel PSE trasformato con organi federali e rispettosi delle quote di genere e generazionali, andrebbe introdotta una quota di minori di 30 anni, chiamiamole quote verdi accanto alle quote di genere.

    La dimensione europea richiede una sinistra che faccia parte di partiti politici europei sovranazionali con una effettiva affinità politica, ideale, valoriale, progettuale e programmatica.

    In questo contesto è il campo del socialismo europeo - come la maggior forza progressista esistente -  quello cui partecipare a pieno titolo e comunque cui guardare prioritariamente. Dobbiamo essere una sinistra che contribuisca a mettere in relazione tra loro tutte le forze di sinistra e ambientaliste, che condividano un progetto di Europa soggetto di pace e cooperazione in un mondo multipolare con un grado di sviluppo equilibrato e sostenibile. Non solo i partiti della sinistra , ma anche i sindacati si devono dotare di un coordinamento sovranazionale, almeno europeo: non si può discutere di Fiat senza i lavoratori polacchi e serbi, argentini o marocchini e senza i sindacati della Chrysler.

    Una particolare attenzione va prestata alla sinistra Latino americana, anzi indio-latina americana, per ragioni storiche e culturali (emigrazioni dai due lati dell'Atlantico, esilio politico) sono due continenti, l'Europa e L'America del Sud, destinate a incontrarsi, come poeticamente ha detto Chico Buarque de Hollanda: il Tago e il Rio delle Amazzoni si incontrarono in un giorno di aprile [ a.d. 1500,data della scoperta del Brasile di Pedro Álvares Cabral].  Un incontro con le capacità di governo  della sinistra di quel continente senza il peso di caudillos, libertadores e fratelli mitra.

    Decidere dove stare precede come starci e dove si voglia andare. Sul punto, con tutte le doverose critiche alle politiche dei singoli partiti, che ne fanno parte, la nostra scelta per il Socialismo Europeo, che comprende, ma non si esaurisce nel PSE, è chiara e netta. Tutti si tranquillizzino nemmeno noi vogliamo morire socialdemocratici, ma vivere a lungo sotto il binomio socialismo e democrazia. Sotto attacco ci sono propri gli istituti dello stato sociale, le conquiste di civiltà del movimento politico dei lavoratori e delle battaglie sindacali. Le sconfitte dei partiti maggiormente rappresentativi della sinistra si son sempre tradotti in un arretramento delle condizioni di vita delle classi popolari, anche quando abbiano transitoriamente favorito partiti più radicali.



Video streaming TV sul sito del Gruppo di Volpedo

=>> http://www.livestream.com/gruppodivolpedogenova <<=



    La proposta che formuliamo, di scegliere come interlocutore principale anche se non esclusivo il PSE, è un invito alla composita, articolata  area socialista, al PD, a SEL e a settori della Federazione della Sinistra: ha come suo orizzonte naturale le elezioni europee del 2014, quando i partiti del PSE si presenteranno con un programma comune europeo e un candidato unico alla presidenza della Commissione, scelto con primarie dei partiti del PSE, ma non necessariamente membro di uno dei suoi partiti nazionali. Se quello è l'orizzonte, le elezioni nazionali che precederanno quelle europee non potranno andare in direzione opposta e  in qualsiasi alleanza o coalizione dovrà esserci chiaramente visibile un'area di sinistra, socialista, democratica, laica, pluralista, ambientalista ed europeista, punto di riferimento di un movimento sindacale tendenzialmente unitario e portatrice di una cultura politica autonoma e critica del sistema economico e sociale esistente. 

    S'impone una nuova e più ambiziosa edizione degli Stati Generali della Sinistra, che raccolga partiti, movimenti, esperienze associative e di mobilitazione civica, chiusa a ogni forma di violenza, senza primi della classe per meriti storici od organizzativi o per godere di finanziamenti pubblici o privati di "finanzieri democratici". Nella ricerca di rappresentare al meglio una società ricca senza mistica di nuovismo e apoliticismo, ci sono esperienze con cui confrontarsi, come la lista arancione di Milano o esperienze concrete di lavoro nella società, come Libera di don Ciotti.

    Ci si può obiettare "chi siete voi per formulare queste richieste?". A questa domanda, potrei rispondere come Carlo Rosselli ai suoi critici:

     "Siamo pochi? Cresceremo. Siamo fuori dal tempo? Sapremo aspettare. Verrà il nostro turno"

    Potrei rispondere così per noi, per me, per molti di quelli che sono qui, ma non per la grande maggioranza che sta fuori, che non può aspettare che la sinistra regoli i suoi conti, ritrovi i suoi equilibri, si ricompatti, perché vorrebbe risposte in tempi brevi altrimenti oscillerà tra i poli della disperazione e dell'esasperazione, della rassegnazione e della rivolta estemporanea: in altre parole torneranno ad essere massa indistinta.

    Non era questo il messaggio 120 anni fa della fondazione del Partito dei Lavoratori.