6.13.2008

Quegli esclusi dal banchetto

Proponiamo in anteprima l'articolo che verrà pubblicato sul prossimo numero del settimanale delle chiese battiste, metodiste e valdesi "Riforma". L'autrice è membro della Commissione globalizzazione e ambiente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI).

di Teresa Isenburg *)

A Roma dal 3 al 5 giugno 2008 si è tenuta la Conferenza sulla sicurezza alimentare mondiale: le sfide del cambiamento climatico e della bioenergia, mentre in parallelo (e non in contrapposizione) dal 1° al 4 giugno ha avuto luogo "Terra preta": forum su crisi alimentare, cambiamento climatico, agrocarburanti e sovranità alimentare. Alla prima, conclusasi con una Dichiarazione, erano presenti capi di stato e di governo di 180 stati, al secondo, terminato con una Piattaforma per un'azione collettiva, esponenti di
800 movimenti sociali e forme organizzate del mondo contadino.

Nell'ultimo anno le rivolte del pane, del riso, della tortilla in oltre 30 paesi spaventano non poco l'establishment, hanno spinto già 28 governi a porre restrizioni alle esportazioni alimentari e impongono di riflettere su quanto è stato fatto nell'ultimo quarto di secolo. È difficile infatti non vedere una correlazione fra le scelte di liberalizzazione commerciale e finanziaria e il tracollo della piccola agricoltura per i mercati locali sottoposta al venire meno di investimenti e sostegno tecnico e alla concorrenza delle derrate importate a bassi prezzi grazie a sovvenzioni (circa $ 380 miliardi all'anno nei paesi ricchi). In Africa occidentale, ad esempio, il Mali e il Senegal importano l'80% del riso, in particolare da Thailandia e Vietnam; il Messico dal 1994, dopo l'entrata in vigore dell'accordo commerciale del Nord America (Nafta) è diventato importatore; Haiti importa il 100% del frumento e il 75% del riso e gli esempi si possono facilmente moltiplicare. In realtà nelle quali fra il 70 e il 90% (in Europa ci si aggira fra il 15 e il 20%) dei redditi famigliari sono assorbiti dal cibo (e questa situazione riguarda 2,2 miliardi di persone) qualunque aumento fa precipitare le situazioni. E come è noto nel giro di un anno i prezzi internazionali sono cresciuti del 130% per il frumento, del 74% per il riso e del 31% per il mais e, attraverso la dipendenza dalle importazioni, gli aumenti si sono abbattuti come una mannaia su uomini, donne e bambini poveri.

Da anni la FAO denuncia la inadeguatezza delle riserve, ma, come ha detto il segretario generale della FAO Jacques Diouf, non vi è stato ascolto fino a quando "gli esclusi dal banchetto dei ricchi non sono scesi in strada". Anche le organizzazioni contadine avvertono da tempo delle nubi che si sono andate accumulando: lo scardinamento del plurisecolare modo di vita contadino ha trasformato milioni di uomini e donne legati alla terra in braccianti o salariati indebitati sbalzati dal loro mondo di riferimento: in meno di un decennio nei villaggi indiani i suicidi di contadini hanno superato la soglia di 150.000, con una protesta silenziosa e disperata; altrove un infinito corteo di persone a cui è stata depredata la speranza si muovono per sprofondare negli slums urbani, mentre è riconosciuto che le forme più assolute di miseria sono nelle aree contadine tradizionali abbandonate dalle autorità.

Sui motivi dell'impennata dei prezzi alimentari sembra ormai esserci una discreta convergenza di opinioni: una certa crescita della domanda per miglioramento economico (Cina, India) e insufficienza del rifornimento locale, insieme a perdite per avversità climatiche giocano, ma per una parte limitata. Forte invece è l'effetto speculativo: dopo la crisi dei mutui immobiliari statunitensi molti capitali si sono spostati, puntando in particolare sui futures drogati dalle prospettive degli agrocombustibili, sulla borsa valori dei prodotti (commodity) di Chicago dove vengono fissati quasi tutti i prezzi alimentari: secondo la Banca Mondiale la speculazione è responsabile del 37% degli aumenti. La produzione di etanolo negli Usa è un secondo fattore: nel 2007 1/3 (138 milioni di t) del raccolto annuo di mais è stato distillato: secondo dirigenti del Fondo Monetario ciò ha determinato il 40% degli incrementi delle derrate. La curva verticale del petrolio incide molto, sia per gli additivi chimici lungo la filiera sia per i trasporti. Concorde è anche la constatazione del declino delle agricolture famigliari, non più seguite dalla grande maggioranza dei governi in ottemperanza degli orientamenti economici prevalenti.

Quali le linee che emergono dai documenti prodotti negli incontri romani? Due parole sintetizzano le differenze: la FAO parla di sicurezza alimentare, il mondo contadino organizzato di sovranità. La FAO vede interventi a breve termine con aiuti e la revisione, sul medio/lungo periodo, delle politiche di sostegno a piccoli produttori, anche se subito dopo auspica una poco conciliabile rapida conclusione dell'agenda di Doha del WTO per la liberalizzazione; ricorda poi l'importanza della biodiversità (cosa positiva, verrebbe da dire, dato che almeno l'amaranto e la quinoa non sono quotati alla borsa di Chicago...), la necessità di contemperare i biocarburanti con la sicurezza alimentare e il risparmio energetico con l'ampliamento dei commerci: un documento, è evidente, frutto di molte mediazioni, non sottoscritto da tutti i paesi, ma da non disprezzare: in un mondo così violentemente bruciato dalle guerre, ogni segno di confronto multilaterale va coltivato come una pianta preziosa. Nel testo del versante contadino l'accento è posto sull'agricoltura famigliare per il mercato interno, con alcuni punti interessanti e operativi, come inserire anche quel settore nelle trattative per Kyoto dopo il 2012 (30% delle emissioni di CO2 proviene dall'agro-zootecnico); naturalmente molto critiche sono le posizioni sulla liberalizzazione e finanziarizzazione del settore agricolo commerciale e sui rischi dell'energia vegetale. Entrambi
evitano il tema delle sementi transgeniche e anche questa è una buona notizia assieme al fatto che dopo decenni si ritorna a parlare di agricoltura materiale che produce cibo e non solo di quella virtuale dei listini di borsa.

Che fare? A noi (io, tu, noi) che siamo in questa pasciuta parte del pianeta, oltre all'aiuto verso chi soffre, spetta di vegliare su quello che fa il nostro paese in materia di politica agricola, soprattutto nelle sedi internazionali (UE, contributi agli organismi internazionali, investimenti esteri) perché sono scelte che hanno conseguenze nel bene o nel male.

*) Commissione globalizzazione e ambiente della Federazione Chiese Evangeliche in Italia (FCEI)

6.11.2008

Futuro vo' cercando

Una storia in presa diretta: un ragazzo di Portici ci racconta la sua storia di giovane precario alla ricerca di un lavoro. Al sud come al nord il bisogno di sicurezza si scontra con un’amara realtà.

di Fabio De Rosa *)

Quando hai in famiglia qualcuno che ha già lasciato Napoli è molto più facile, semplice perché basta seguirlo, perché sicuramente ti darà ospitalità, perchè ti aiuterà quando non conosci niente e nessuno.

Se dovessi esprimere una ragione del perché mi sono trasferito a 900 km da Napoli barrerei la casella vicino alla parola lavoro, ma ci aggiungerei: contratto, busta paga, ferie, malattia,contributi e quanto altro è un normale regolare lavoro.

Quando questo diventa l’eccezione si può decidere di vivere un anno della propria vita nella provincia anonima del Nord Italia lavorando in una fabbrica di merendine a cioccolato piuttosto che in una di antine in legno o ancora di cucine componibili o segnare per sempre la propria arcata sopraccigliare con 6 punti di sutura per diventare per 3 mesi una tuta blu, quelle che hai sempre visto in tv durante gli scioperi per il rinnovo contrattuale.

Diplomato all’istituto tecnico a Scampia e deciso a non seguire i compagni di classe andati ad ingrossare le file dei soldati di professione per sfuggire a quelle delle liste di disoccupazione, avevo bisogno di attestare a me stesso ed agli altri che occupavo un posto nella società quello di lavoratore non importa dove né per quanti soldi, ma volevo avere un lavoro di quelli veri con tanto di contratto, di livello, qualificato non come volantinatore o come agente porta a porta di contratti telefonici.

Ma tutto passava per le agenzie interinali che sollevano il datore di lavoro dall’onere di mantenere i rapporti con il lavoratore: non vieni licenziato o assunto ma semplicemente il tuo contratto viene rinnovato o meno.

Rispetto alla situazione campana e di tutto il Sud Italia sembrerebbe una sorta comunque di avanzamento, poiché nelle nostre zone un lavoro regolare è spesso una chimera.
La tutela dei diritti che dovrebbe essere rappresentata da quel contratto è, però, in realtà fittizia poiché essi vengono sistematicamente scavalcati dal ricatto del rinnovo della prestazione lavorativa. Vendi la tua forza lavoro al miglior offerente, quando il mercato lo richiede in periodi già prestabiliti che sono dettati da picchi di produzione o in prossimità di chiusura degli ordini delle fabbriche.

La condizione di ricattabilità è forte e presente al Sud ma anche al Nord seguendo strade molto diverse che però hanno il medesimo scopo: aggirare l’intero apparato di tutele e diritti conquistati a caro prezzo nel passato attraverso il ricatto che ricade sulla tua scelta di vita, sul tuo futuro, su i tuoi sogni e desideri.

La legge 30 pone una questione morale sopra tutte: quella della dignità di ogni individuo di percorrere la propria strada scegliendo lui cosa è meglio per se stesso.
Il lavoro non è semplicemente un problema di salario ma è il diritto indiscusso di dover lavorare per vivere e non di vivere, e ogni giorno morire, per lavorare!

*) Cgil - Articolo 1

LA DERIVA SECONDO LA BANCA D'ITALIA

Spigolando tra le 350 pagine della Relazione Annuale presentata dal governatore Draghi in occasione dell’assemblea di Bankitalia si scopre che i mali della Penisola sono sempre quelli. Ma peggiorati.

di M. Sironi

Nel 2007 gli italiani hanno lavorato di piu’ per guadagnare gli stessi stipendi, hanno cominciato a "tirare la cinghia" non in senso figurato, hanno dovuto risparmiare di meno, rifugiandosi nei Bot, e gli scappa sempre piu’ spesso di emettere assegni a vuoto (naturale quindi che una buona fetta del Paese resti tenacemente attaccata ai pagamenti in contanti). E' il ritratto del Bel Paese che emerge dalla Relazione Annuale della Banca d’Italia, presentata il 31 maggio in occasione dell’assemblea dell'istituto centrale.

Se le "Considerazioni Finali" del governatore Draghi si segnalano per il sereno equilibrio con cui delineano problemi e soluzioni, l’allegato tomo di 350 pagine parla con la franchezza dei numeri, e non ne esce un bel ritratto.

Dunque, nel 2007 l’occupazione in Italia e’ aumentata ancora (+1% il numero degli occupati), ma essenzialmente perche’ la riforma delle pensioni ha trattenuto piu’ italiani sul posto di lavoro (mentre ad esempio diminuiscono gli studenti lavoratori). Quanto alle retribuzioni, l’incremento e’ stato del 2,1%, ma le retribuzioni reali (cioe’ deflazionate in base all’indice dei prezzi al consumo) sono salite solo dello 0,2%. Ma poiche’ la produttivita’, come e’ arcinoto, sta calando da dieci anni, il fattore lavoro e’ passato nel mix del valore aggiunto dal 63% al 64,5%: come dire che gli italiani per guadagnare lo stesso stipendio devono lavorare di piu’.

Nessuna sorpresa quindi se nello scorso anno la spesa delle famiglie italiane per i beni non durevoli (cioe’ la classica spesa della settimana al supermarket, tra cui alimentari e bevande) e’ scesa dello 0,3%. In Italia si comincia a tirare la cinghia, anche se la cifra dedicata all’acquisto di computer, telefonini e comunicazioni in genere e’ salita del 6%.

Ma si risparmia anche sul risparmio, che una volta era l’arma segreta della nostra economia, perche’ la propensione delle famiglie a mettere qualche soldo da parte ha confermato il suo calo costante, passando dall’11,5% del 2006 all’11,2% del 2007. La consistenza complessiva del risparmio (52 miliardi) e’ ora pari al 3,4% del Pil (nel 2006 era il 4,6%).

Visto l’andazzo delle borse, tranquillizza sapere che oggi gli italiani sono tornati ai bot e depositi bancari, tralasciando gli investimenti piu’ a rischio come azioni e fondi comuni, tanto che nello scorso anno le vendite nette di quote di fondi hanno raggiunto i 35 miliardi di euro. Non si arresta invece la marcia verso gli strumenti di pagamento piu’ evoluti: nel complesso l’utilizzo dei sistemi di pagamento elettronico e’ salito del 6,6%, pur restando ben al di sotto della media europea, mentre il numero degli assegni emessi si e’ specularmene ridotto del 6%.

Ma fa scalpore il forte incremento (+26%) degli assegni iscritti al CAI (Centrale Allarme Interbancaria) perche’ senza copertura o a firma falsa. Cresce anche il numero delle carte di credito revocate perche’ senza copertura. Sono invece diminuite, nel settore, le frodi dopo i picchi del 2006.

Se il 58% degli assegni iscritti al CAI riguarda il Sud e le Isole, la differenza tra Nord e Sud viene rimarcata anche dalla tendenza delle famiglie ad utilizzare la cartamoneta, tendenza piu’ diffusa nel Mezzogiorno dove anzi appare in aumento: nell’arco del 2006 la quota di spesa per contanti sugli acquisti di beni di consumo e’ passata dal 58% al 61%. Tra le ragioni indicate dalla Relazione, il timore di frodi e l’ampia diffusione dell’economia sommersa. E chi e’ andato al cinema a vedere "Gomorra", premiato a Cannes, intuisce che cosa questo possa significare.