6.30.2015

LAVORO E DIRITTI

LAVORO E DIRITTI

a cura di www.rassegna.it

 

Sindacati in pressing dopo la sentenza della Consulta

 

La Corte Costituzionale dichiara illegittimo il blocco della contrattazione collettiva. Cgil: “Il governo ci convochi subito per discutere sui rinnovi”. Medesima e unanime richiesta dalle sigle del pubblico impiego di Cgil, Cisl e Uil.

 

“Dopo il pronunciamento della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittimo il blocco della contrattazione collettiva e delle norme che lo hanno prorogato, il governo ha il dovere di convocare i sindacati e avviare la discussione sui rinnovi contrattuali". E' quanto si legge in una nota della Cgil nazionale. Per il sindacato di Corso Italia devono arrivare anche "risposte sui precari e sul potenziamento dei servizi pubblici oltre il riconoscimento delle prerogative contrattuali dei lavoratori. Il governo - conclude la nota - poteva trovare una soluzione politica riaprendo la contrattazione, ora dovrà prendere atto del legittimo riconoscimento della corte del diritto al contratto per i lavoratori pubblici che si reitera da sei anni”.

    Medesima richiesta giunge dai segretari generali di Fp Cgil, Cisl Fp, Uil Fpl e Uil Pa, Rossana Dettori, Giovanni Faverin, Giovanni Torluccio e Nicola Turco: “Chiediamo l'apertura immediata di un tavolo di contrattazione per arrivare al rinnovo del contratto subito. Il governo non ha più alcun alibi, l'alta corte si è espressa giudicando illegittimo il protrarsi del blocco della contrattazione. Per questo vogliamo che il governo avvii subito il confronto per arrivare presto al rinnovo dei contratti nella Pa", proseguono i dirigenti sindacali.

    "In attesa della sentenza, “che attendiamo di leggere per una valutazione più compiuta”, i quattro segretari generali evidenziano che “la decisione conferma quanto già avevamo previsto: Parlamento e Governo non possono prolungare ulteriormente un blocco illegittimo. Tuttavia il giudizio della Consulta pone un limite a una politica legislativa più attenta ai tagli che ai diritti e che ha sacrificato, spesso pretestuosamente, non solo gli investimenti nelle professionalità e nell'innovazione, ma addirittura il legittimo rinnovo del contratto dei lavoratori pubblici, alle esigenze di budget”.

    "Per quanto ci riguarda, siamo in campo con una mobilitazione che partirà con le tre grandi assemblee di inizio luglio, con tutti gli Rsu eletti a marzo, le lavoratrici e i lavoratori. Sarà il momento in cui avremo la nostra piattaforma nazionale e quelle di settore, per dire al Governo come si possono e si devono rinnovare i contratti. Il governo non può più nascondersi né accampare alcuna scusa, si dimostri all'altezza e ci convochi per avviare il confronto per il rinnovo", concludono.

        

              

Da Avanti! online

www.avantionline.it/

 

Fassina? Lui…

 

di Mauro Del Bue

 

Dunque anche Fassina, dopo Civati, lascia il Pd e si mette alla ricerca della sinistra che non c’è.

    Ridicolizzato da Renzi con quel “Fassina, chi?”, l’ex vice ministro e responsabile economico del PD sbatte la porta annunciando la formazione di un nuovo soggetto politico assieme a Cofferati e Civati. Forse mettendo il naso nella cosiddetta coalizione sociale di Landini, certo flirtando con Camusso e anche Vendola. L’interrogativo è, però, sempre lo stesso. C’è spazio per un partito e per una lista (che non sono esattamente la stessa cosa) alla sinistra del Pd?

 

Sul piano politico lo spazio esiste. Più il partito di Renzi sposa idee e tendenze del centro e anche della destra (secondo me non sempre a torto) e più apre voragini a sinistra. Tra Cgil e Fiom, Sinistra e libertà e vecchi reduci, un partito si può fare. E anche con un programma credibile e avvincente. Non per me, ma capisco che un movimento verso il centro apra spazi a sinistra non solo nella fisica, ma anche in politica. Dubito assai, invece, che tale spazio esista a livello elettorale. Già col vecchio Porcellum, che prevedeva la possibilità di formare coalizioni, era esiguo. Il voto utile era una scure che si abbatteva sulle liste autonome. Adesso, col nuovo Italicum, visto che il premio va alla lista e le coalizioni sono abolite, non capisco dove potrebbero trovare i voti costoro.

    Dovrebbero fare una lista autonoma da quella del Pd e, visto che le coalizioni non ci sono più, anche in conflitto con essa. Ma si troverebbero a fare i conti con due difficoltà. La prima è quella a cui dovette soggiacere Bertinotti nel 2008. E cioè di favorire la vittoria del centro-destra, magari unito in una sola lista. Dunque di fare il gioco degli avversari. La seconda è quella di seminare in un’area già coperta, anche se in maniera diversa, dai Cinque stelle. Non è un caso che oggi i voti in uscita dal Pd, alle regionali e alle comunali, siano andati al movimento di Grillo e non a Sel, che non aumenta i propri consensi a fronte dell’emorragia pidina. D’altronde, se l’elettorato si ribella o si rifugia nell’astensione o preferisce votare chi contesta il sistema senza usare il politichese. Vedremo. Le difficoltà dei democratici fuoriusciti o fuoriuscenti non sono di poco conto.

   

Vai al sito dell’avantionline

       

       

Da MondOperaio

http://www.mondoperaio.net/

 

La “Claudiana”

compie 160 anni

 

Abbiamo intervistato Manuel Kromer, direttore editoriale della Claudiana (casa editrice di riferimento della cultura protestante in Italia), fondata a Torino nel 1855 e giunta dunque al suo 160mo compleanno. La “Claudiana” deve il nome a un grande vescovo di Torino vissuto nel IX secolo, lo spagnolo Claudio, considerato un precursore del movimento evangelico per la lotta contro la venerazione delle immagini nelle chiese e l’impegno in favore della diffusione delle sacre Scritture.

 

di Danilo Di Matteo

 

La casa editrice Claudiana compie 160 anni. L’impressione, anche partecipando al Salone internazionale del libro di Torino e ad altri eventi, è che dinanzi alla cultura protestante, nel nostro Paese, prevalgano curiosità e interesse oppure diffidenza e resistenze?

    Senz’altro curiosità e interesse, come del resto sempre, negli ultimi anni. Direi che è in atto un vero e proprio cambio di paradigma culturale in Italia. Mentre prima la religione era una, quella cattolica, e tutti gli altri erano visti con sospetto, ora le persone si rendono conto che viviamo in una società plurale dal punto di vista religioso. Quest’anno, forse, l’attenzione si è addirittura rafforzata, a causa del fatto che il portavoce della sala stampa vaticana aveva già annunciato che il 22 giugno 2015 papa Francesco avrebbe visitato la chiesa valdese di Torino: la prima volta di un papa in una chiesa valdese dopo 700 anni.

    Di certo la Claudiana rappresenta anche un ponte con il centro e nord-Europa e con il mondo anglosassone. Si tratta di un compito assai importante. Cosa può dirci al riguardo?

    Claudiana si è sempre sentita un ponte tra le culture protestanti e la cultura italiana, fortemente di ispirazione cattolica. Questo fa sì che le aree geografiche citate siano per noi fondamentali. Tuttavia abbiamo anche già pubblicato sulle istanze teologiche ed etiche emergenti dall’Africa, dall’America latina e dall’Asia. Questo è per noi un aspetto essenziale. Desideriamo portare in Italia tematiche anche controverse, istanze che in altri paesi sono parte della normalità, quali la liberazione della sessualità, il femminismo e le teologie della liberazione negli anni ’70, l’omosessualità e il pacifismo negli anni ’80: per non parlare di matrimonio dei preti, divorzio, aborto, eutanasia. Sono temi su cui si può e si deve discutere, non per omologarsi a una cultura liberista tout court, ma per far sentire una voce cristiana diversa da quella cattolica. Significativo a tal proposito è come in Italia sia stata accolta l’enciclica del papa «Laudato si’»: nessuno ha menzionato il fatto che il Consiglio ecumenico delle Chiese – che raggruppa la quasi totalità delle chiese protestanti e ortodosse del mondo – già negli anni ’80 aveva lanciato un grande programma di sensibilizzazione chiamato «Giustizia, pace e integrità del creato».

    Nel 2017 ricorreranno cinquecento anni dall’inizio della Riforma. Come si prepara la Claudiana all’evento e, più in generale, come lo vive?

    Sicuramente si tratta di un avvenimento straordinario. Claudiana, per il momento, si concentra sulla pubblicazione di opere di Lutero, per mettere a disposizione del pubblico italiano – colto e non – le fonti che hanno innescato questa vera e propria rivoluzione che in maniera più o meno diretta ha portato alla nascita del mondo moderno. In secondo luogo ci concentriamo su opere su Lutero (quest’autunno uscirà una grande biografia sul Riformatore), e su opere che aiutino ad attualizzare quello che avvenne all’epoca. Sarà una pubblicazione di opere molto ricca e variegata. Tutte le chiese protestanti si stanno preparando a questo anniversario, che vedrà una folta serie di iniziative e manifestazioni. Ma anche a livello universitario e laico so che si stanno ipotizzando varie e interessanti iniziative. Claudiana cercherà con le sue forze di inserirsi in queste celebrazioni, offrendo il suo contributo di fonti e analisi dell’avvenimento. Come nel 1993 – 500° anniversario della nascita di Lutero – la cultura italiana entrò maggiormente in contatto con il Riformatore (da allora il numero di opere su e di Lutero pubblicate in Italia sono aumentate a dismisura), ci auguriamo che l’anniversario dell’inizio della Riforma possa favorirne una maggiore conoscenza sia nella cultura italiana, sia anche in ambito universitario e scolastico. È ovvio – grazie al suo ricco catalogo sull’argomento – che Claudiana sarà in qualche modo la casa editrice di riferimento in quelle celebrazioni.

    La Claudiana tiene vivo il dialogo con altre tradizioni culturali presenti in Italia: con quella cattolica, certo, e con quelle laiche (non a caso pubblica i Quaderni Laici). In particolare, poi, essa si è confrontata con la cultura socialista, con il contributo decisivo, fra gli altri, di Giorgio Spini. Che futuro potrà avere tale confronto?

    Diciamo che ci piace interagire con quella parte della cultura italiana per la quale i due primi termini dello slogan del Consiglio ecumenico delle Chiese (e anche il terzo) sono parole importanti. Sotto questo punto di vista non ci siamo tirati indietro dal pubblicare due libri di autori della Cdu tedesca: Jürgen Todenhöfer, che ha scritto un bellissimo libro sull’Afghanistan nell’immediatezza della crisi afghana, e una selezione di discorsi tenuti da Angela Merkel. Certo, ci capita più spesso di sentirci in sintonia con la sinistra, ma questo non certo per partito preso, bensì su tematiche molto specifiche attinenti appunto all’etica, alla giustizia, alla pace e all’integrità del creato.

       

 

6.24.2015

Un'Italia nana in politica estera

FONDAZIONE NENNI - http://fondazionenenni.wordpress.com/

 

di Alfonso Siano

 

L’Italia ha generosamente finanziato gli altri Paesi europei quali Spagna, Portogallo, Irlanda e Grecia, che hanno vissuto momenti di forte difficoltà durante la crisi economica degli ultimi anni. Nei confronti della Grecia, ad esempio, vantiamo un credito di 40 miliardi di Euro. Siamo i terzi creditori alle spalle di Germania e Francia, che hanno rispettivamente un credito di 60 e 46 miliardi di Euro nei confronti di Atene. La differenza con la Francia, in termini di esposizione è dunque minima, ma a differenza degli altri due Paesi creditori citati, la Repubblica Italiana non è intervenuta a mettere soldi per salvare le proprie banche eccessivamente esposte nei confronti del Paese ellenico, come invece hanno fatto Germania e Francia.

Il nostro Paese si allinea ai partner europei e non rompe le righe quando, per via della crisi ucraina, si tratta di imporre ed inasprire le sanzioni economiche alla Russia, pur sopportandone gravi conseguenze. Putin ha quantificato in un miliardo di Euro l’anno la perdita per le imprese italiane a fronte delle restrizioni. Sanzioni che peraltro colpiscono uno dei Paesi dai quali ci approvvigioniamo di gran parte del nostro gas.

Continuando, l’Italia subisce e si fa carico di un processo migratorio, in parte causato dalla poco ponderata azione militare promossa da Francia e Regno Unito contro il regime libico di Gheddafi. Mentre alcuni altri Paesi europei si apprestano ad accettare in due anni appena 40.000 migranti, di cui 24.000 provenienti dall’Italia, il nostro Paese riceve quasi 500.000 richiedenti asilo nello stesso periodo.

Infine, l’Italia è, anche per sue colpe, il terzo contribuente netto dell’Unione Europea, con un contributo di circa il 12% al budget annuale dell’Unione Europea, pari a 140 miliardi di Euro. Le risorse versate dall’Italia sono pari a circa 16 miliardi di Euro, mentre gli accrediti sono pari ad appena 11 miliardi di Euro, con un differenziale di circa 5 miliardi di Euro con i quali si potrebbero fare molte cose.

Insomma, mentre trenta o quaranta anni fa l’Italia, facendo poco, aveva all’estero un peso politico superiore a quanto di fatto meritasse, oggi, nonostante faccia molto, ha un peso politico di molto inferiore a quello che meriterebbe. Diciamola francamente: all’estero siamo dei veri e propri nani. Non siamo neanche considerati una media potenza locale, quale in realtà siamo. E questo è in gran parte colpa della nostra classe politica, tuttora poco credibile. (…)

 

Continua la lettura sul sito della Fondazione Nenni

 

Un freno alla finanza che specula sul cibo

Il mondo si aspetta che lo slogan dell’EXPO “Nutrire il pianeta” diventi un reale impegno per sconfiggere la fame e per bloccare quella finanza che spregiudicatamente continua a speculare sul cibo. Altrimenti le belle parole sulle eccellenze alimentari, sulle indispensabili difese delle biodiversità e sullo sviluppo di una agricoltura diffusa e sostenibile, fatta di produttori e di consapevoli consumatori, striderebbero di fronte al miliardo e duecento milioni di persone che ancora convivono con lo spettro della fame e dell’indigenza.

 

di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)

e Paolo Raimondi, Economista

 

Da Milano dovrebbe partire un’azione decisa, da parte dei governi, insieme alle altre istituzioni e associazioni interessate, per proibire che banche e hedge fund giochino con i derivati, soprattutto con i futures, sull’andamento dei prezzi dei prodotti agricoli.

    Il cibo fa parte, con il petrolio e le altre materie prime, delle cosiddette commodity che sono sempre di più oggetto di morbosa attenzione e di interesse da parte dei settori della finanza in cerca di speculazioni ad alto rischio.

    Negli ultimi 10 anni si sono registrati momenti di altissima tensione e volatilità su questi mercati. Nel 2007, nel 2010 e nel 2012 si sono avuti dei boom dei prezzi seguiti poi da repentini abbassamenti. Ciò ha prodotto dal 2008 a oggi un aumento medio in termini reali di oltre il 50% dei prezzi delle derrate alimentari.

    Questi improvvisi movimenti sui prezzi non sono il risultato del “gioco” della domanda e dell’offerta, ma di operazioni in derivati finanziari fatte da attori che non sono né coinvolti né interessati alla produzione o all’acquisto reale dei prodotti. Sono soprattutto futures, cioè scommesse sul prezzo futuro di un prodotto agricolo o di un minerale.

    Esperti della Commodity Futues Trading Commission, l’agenzia americana che dovrebbe regolare questi derivati, hanno denunciato che, nel mezzo della grande crisi, i capitali speculativi sul mercato delle commodity di Chicago sono passati dai 29 milioni di dollari del 2003 ai 300 miliardi del 2007-8. Sono chiamati “investimenti passivi” in quanto assumono posizioni speculative di lungo periodo, scommettendo su importanti aumenti dei prezzi del petrolio e/o delle derrate alimentari. Sono capitali su cui, operando con la leva finanziaria, si possono creare derivati finanziari per un valore di 30-100 volte maggiore della base sottostante. In altre parole per ogni tonnellata di grano prodotto se ne possono artificialmente vendere e comprare cento! Si è così inventato anche il “grano di carta”! Prima, con la speculazione sul petrolio, c’erano i cosiddetti “barili di carta”. Sono i miracoli della finanziarizzazione dell’economia.

    Adesso i prezzi del cibo sono oggetto anche del “high frequency trading”, cioè di operazioni finanziarie gestite automaticamente dai computer, per giocare su piccolissime variazioni del prezzo in millisecondi. Questo sistema, che muove il 90% dei volumi dei futures finanziari, ha già generato “situazioni valanga” con dei veri sconquassi del mercato.

    In questo modo si manipolano sia le aspettative degli andamenti di borsa che i prezzi, inducendo l’intero mercato a ritenere inevitabile il prezzo indicato dai futures.

    I profitti naturalmente sono enormi. Ma l’eccessivo aumento dei prezzi delle derrate alimentari provoca delle impennate inflattive sui prezzi del cibo con effetti devastanti soprattutto nei Paesi più poveri del Sud del mondo. Di conseguenza milioni di famiglie, che solitamente impegnano per l’alimentazione il 75% del loro bilancio, diventano incapaci di provvedere al loro minimo sostentamento, dando luogo, a volte, alle rivolte del pane. Si ricordi che tra le cause delle primavere arabe vi è stato anche l’aumento dei prezzi del cibo provocato dalla speculazione. .

    Quando poi i prezzi scendono in modo altrettanto repentino, molti piccoli coltivatori, soprattutto dei Paesi emergenti, vengono messi fuori gioco, incapaci di reggere una volatilità così grande che si trasferisce velocemente dai mercati finanziari globali anche a quelli dei beni reali a livello locale.

    E’ una aberrante deformazione dell’economia e della vita dei popoli. Le voci che si levano contro sono troppo poche.

    Solo papa Francesco non si stanca di ripetere, come ha fatto di fronte alla FAO, che “è doloroso constatare che la lotta contro la fame e la denutrizione viene ostacolata dalla “priorità del mercato”, e dalla “preminenza del guadagno”, che hanno ridotto il cibo a una merce qualsiasi, soggetta a speculazione, anche finanziaria.”

    Viviamo il paradosso dell’abbondanza: ci sarebbe cibo per tutti, ma molti non lo possono avere, nemmeno per sopravvivere.

    In un mondo di crescenti conflitti, non solo politici e religiosi, perché non organizzare all’EXPO un incontro su questi temi, con rappresentati della cosiddetta “finanza islamica” che da sempre è schierata contro la speculazione sul cibo e sulle derrate alimentari? Sarebbe un contributo importante per dare concretezza ad idee largamente condivise sul piano teorico, ma, purtroppo, non facilmente attuabili rispetto alle perverse logiche della pura speculazione e del dio danaro.

 

Fisco, molti passi da fare

LAVORO E DIRITTI - a cura di www.rassegna.it

 

Anche nel 2013 i lavoratori dipendenti e i pensionati hanno versato oltre l’80% dell’Irpef totale. La legge delega, approvata lo scorso anno, dovrebbe avere tra i suoi scopi quello di migliorare la tax compliance, puntando verso la fatturazione elettronica e l’utilizzo delle banche dati dell’Agenzia delle entrate. Lotta all’evasione e giustizia fiscale, al di là della costernazione.

 

di Cristian Perniciano

 

Le solite sorprese. Come ogni anno, in concomitanza con l’uscita dei dati delle dichiarazioni fiscali da parte del Dipartimento delle Finanze, si assiste a un ricorsivo sorprendersi per i bassi redditi medi denunciati delle varie categorie di professionisti, artigiani, commercianti e, in generale, contribuenti (persone fisiche, società di persone, società di capitali) assoggettati agli studi di settore.

    In questo senso, un esempio, forse estremo, è rappresentato dalle attività di “discoteche, sale da ballo, night clubs e simili”, le quali nel 2013 hanno denunciato mediamente un reddito negativo (una perdita) di 1.300 euro. Nel 2012 erano riusciti a spuntare un reddito di 100 euro all’anno, risultato importante, visto che le analisi delle 7 dichiarazioni precedenti 2005-2011 le avevano viste sempre in perdita.

    Visti gli ultimi 9 anni di dichiarazioni, quindi, un proprietario di un night club ha tenuto aperta un’attività che, mediamente, gli ha fatto perdere 3 mila euro ogni 12 mesi (e poi dice che non ci si rimette a far del bene...). Questi dati riescono ogni volta a stupire dipendenti e pensionati, che anche nel 2013 hanno versato oltre l’80% dell’Irpef totale, e a far fiorire commenti su telegiornali e carta stampata. Commenti che, proprio come i fiori di certe cactacee, durano il tempo di una giornata, per poi far tornare l’argomento nell'oblio per un altro anno. (…)

 

Continua la lettura sul sito di rassegna.it

 

6.02.2015

GIOVENTÙ PERDUTA

Da Avanti! online

www.avantionline.it/

 

di Daniele Unfer

 

Non è un quadro tranquillizzante quello dipinto dall’Ocse. In particolare i colori usati per dipingere lo stato dell’occupazione giovanile dell’Italia sono decisamente cupi. Nel Belpaese infatti il tasso di occupazione dei giovani tra 15 e 29 anni è sceso di quasi 12 punti percentuali tra il 2007 e il 2013, passando dal 64,33% al 52,79%, il secondo peggior dato tra i Paesi Ocse, dietro alla sola Grecia 48,49%). Sono questi infatti i numeri che emergono dall’ultimo Rapporto Ocse su Giovani e occupazione pubblicato oggi.

    Non va molto meglio per i meno giovani: siamo quartultimi tra i Paesi Ocse per il tasso di occupazione nella fascia d’età 30-54, sceso dal 74,98% del 2007 al 70,98% del 2013. Il nostro Paese, sottolinea l’organizzazione, ha “uno specifico problema di disoccupazione giovanile, in aggiunta a uno più generale”, a causa di “condizioni sfavorevoli e debolezze nel mercato del lavoro, e nelle istituzione sociali ed educative”. Dai dati si legge anche che in Italia, il 31,56% dei giovani svolge un “lavoro di routine”, che non richiede l’utilizzo di competenze specifiche, e il 15,13% ha un’occupazione che comportava uno scarso apprendimento legato al lavoro. Il nostro Paese è in particolare quello con la più elevata percentuale di giovani tra i 16 e i 29 anni che non hanno alcuna esperienza nell’uso del computer sul posto di lavoro, con il 54,3%, a fronte di una percentuale di giovani che non usano mai il computer ferma al 3%.  La “mancata corrispondenza”, o “mismatch”, tra posto di lavoro e competenze è un problema sempre più diffuso tra i giovani nei Paesi Ocse: in media, il 62% hanno un lavoro che non corrisponde alla loro formazione, con in particolare un 26% di sovraqualificati (il 14% dei quali lavora inoltre in un settore che non sarebbe il suo), e un 6% di persone con competenze superiori a quelle richieste.

    Un altro numero inquietante è quello dei cosiddetti “Neet”, Not (engaged) in Education, Employment or Training. Questi giovani che non studiano, non hanno un lavoro e neppure sono apprendtisti, sono il 26,09% degli under 30, quarto dato più elevato tra i Paesi Ocse. All’inizio della crisi, nel 2008, erano il 19,15%, quasi 7 punti percentuali in meno rispetto ad oggi. Ma questo non è problema solo italiano visto che nell’insieme dei Paesi Ocse, i giovani “Neet” erano oltre 39 milioni a fine 2013, più del doppio rispetto a prima della crisi. Tra i giovani “Neet” italiani, il 40% ha abbandonato la scuola prima del diploma secondario superiore, il 49,87% si è fermato dopo il diploma e il 10,13% ha un titolo di studi universitario. La percentuale di “Neet” è più elevata tra le femmine (27,99%) che tra i maschi (24,26%).

    Tristi note anche sulle competenze in italiano e matematica. L’Italia è infatti il Paese Ocse con la maggior percentuale di giovani in età lavorativa (16-29 anni) e adulti (30-54) con scarse competenze di lettura, rispettivamente il 19,7% e il 26,36%. L’Italia ha inoltre la percentuale più elevata di persone con scarse abilità in matematica tra gli adulti, il 29,76%, e la seconda tra i giovani in età lavorativa, il 25,91%, dietro agli Usa (29,01%). In generale, riferisce la tabella Ocse per la misurazione dell’occupabilità dei giovani, il nostro Paese è al di sotto della media per le competenze dei giovani, i metodi di sviluppo di queste competenze negli studenti e la promozione del loro utilizzo sul posto di lavoro.  L’Italia è inoltre seconda tra i paesi Ocse per percentuale di giovani under 25 che hanno abbandonato la scuola prima di aver terminato le superiori, e non stanno seguendo un’altro tipo di educazione, il 17,75%, dietro la Spagna con il 23,21%.

    L’abbandono scolastico, rileva sempre l’Ocse, ha un impatto significativo rilevante sul livello di competenze: se si considera per esempio la matematica, la percentuale di persone con competenze insufficienti è del 58,5% tra chi non ha terminato le superiori, e scende al 27,7% per chi ha ottenuto un diploma.

 

Vai al sito dell’avantionline

 

 

IPSE DIXIT - Economia politica

«Le minacce di un serio, ulteriore deterioramento della situazione economica e di conseguente caduta dell’occupazione, rappresentano a nostro giudizio un pericolo incombente per gli spazi che in tal modo si offrirebbero alle manovre eversive dei nemici della Repubblica. Il fascismo non solo in Italia ha sempre utilizzato le inquietudini e l’insicurezza sociale delle masse più diseredate per costruire sulla disperazione dei poveri, col finanziamento di gruppi privilegiati, le proprie fortune politiche. Per queste ragioni, per una difesa valida dei principi di libertà, per combattere con efficacia l’eversione fascista è dunque essenziale agire sull’economia per l’aumento dell’occupazione e per lo sviluppo del Paese.» – Luciano Lama