tag:blogger.com,1999:blog-18273271733306629302023-06-21T06:42:38.174+02:00Avvenire dei LavoratoriECONOMIAUnknownnoreply@blogger.comBlogger312125tag:blogger.com,1999:blog-1827327173330662930.post-52738967680088678122020-05-11T00:45:00.001+02:002020-05-11T00:45:50.302+02:00AGENZIE DI RATING, MERCATI E STABILITÀ FINANZIARIA<p style="margin: 1em 0cm 0pt; line-height: normal;" class=""><font face="Verdana" class=""><b class=""><span lang="IT-CH" class=""> </span></b><b class=""><i class="">Il governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco nel meeting di primavera del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale, tenutosi per via telematica, ha affermato che senza liquidità e sostegno alle imprese, alle famiglie e ai lavoratori, il mondo rischia un default di massa. Non solo l'Italia, quindi. E ha aggiunto che "poiché la crisi è globale, la risposta deve essere globale". È necessario, perciò, preservare la "funzionalità dei mercati finanziari e la stabilità del sistema finanziario".</i></b></font></p><div style="margin: 1em 0cm 0pt; line-height: normal;" class=""><font face="Verdana" class=""><span lang="IT-CH" class=""> </span><br class="webkit-block-placeholder"></font></div><p style="margin: 1em 0cm 0pt; line-height: normal;" class=""><b class=""><span lang="IT-CH" class=""><font face="Verdana" class="">di Mario Lettieri, <i class="">già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)</i></font></span></b></p><p style="margin: 1em 0cm 0pt; line-height: normal;" class=""><b class=""><span lang="IT-CH" class=""><font face="Verdana" class="">e Paolo Raimondi, <i class="">Economista</i></font></span></b></p><div style="margin: 1em 0cm 0pt; line-height: normal;" class=""><font face="Verdana" class=""><span lang="IT-CH" class=""> </span><br class="webkit-block-placeholder"></font></div><p style="margin: 1em 0cm 0pt; line-height: normal;" class=""><font face="Verdana" class="">Non è la prima volta che le istituzioni italiane e i loro massimi rappresentanti si distinguono per chiarezza e lungimiranza in contesti e incontri internazionali. La puntualizzazione sull'aspetto finanziario merita, però, qualche riflessione aggiuntiva. Non per sminuire la gravità della situazione economica italiana, ma per meglio contestualizzarla nella ben più complessa e difficile situazione globale. </font></p><p style="margin: 1em 0cm 0pt; line-height: normal;" class=""><font face="Verdana" class=""> Per prima cosa intendiamo evidenziare l'importanza e le rilevanti ripercussioni della decisione della Banca centrale europea di "mettere fuori gioco" le agenzie di rating. Fino a qualche giorno prima, la Bce, sulla base di un singolare regolamento, accettava in garanzia da parte degli Stati membri soltanto titoli e obbligazioni con la pagella della tripla A fornita dalle agenzie di rating. Oggi la Bce si è "liberata" da questo obbligo e intende acquistare qualsiasi titolo pubblico, anche quelli sotto il rating<b class=""><i class=""> "</i></b>BBB-<b class=""><i class="">"</i></b>, cioè <i class="">'junk',</i> i cosiddetti titoli spazzatura. La mossa ha, tra l'altro, neutralizzato le solite superficiali valutazioni di rating nei confronti dell'Italia e di altri Paesi. Rating che solitamente abbassano la fiducia nei titoli dei debiti pubblici e che fanno aumentare i tassi di interesse da pagare. Ci auguriamo che questa decisione della Bce non valga solo fino a settembre 2021 ma che sia definitiva e che metta dette agenzie fuori dalla porta. </font></p><p style="margin: 1em 0cm 0pt; line-height: normal;" class=""><font face="Verdana" class=""> Si tenga presente che le tre sorelle del rating, <i class="">Standard&Poor's, Moody's e Fitch</i>, da anni non hanno più voce in capitolo negli Usa. Non si permettono più di esternare valutazioni critiche sui titoli di stato americani. Già ci fu un sonoro ceffone da Obama, adesso Trump sicuramente le "deporterebbe su un'isola deserta", se osassero commentare negativamente l'andamento dell'economia americana. In Italia e in Europa, purtroppo, sono ancora le benvenute.</font></p><p style="margin: 1em 0cm 0pt; line-height: normal;" class=""><font face="Verdana" class=""> Forse è sfuggito agli autorevoli commentatori italiani il film-documentario "Inside Job" recentemente trasmesso nel programma "Atlantide" de La7. Esso evidenzia in modo efficace le storture finanziarie sistemiche, le perversioni della speculazione, il ruolo dei derivati e l'interessata complicità delle agenzie di rating nel provocare la Grande Crisi del 2008. Il documentario è basato sui dati raccolti dalla Commissione del Senato americano: <i class="">"Wall Street and the financial crisis: Anatomy of a financial collapse"</i>. Fonte, tra le più autorevoli, spesso citata nei nostri articoli. </font></p><p style="margin: 1em 0cm 0pt; line-height: normal;" class=""><font face="Verdana" class=""> Un'altra riflessione merita di essere fatta sul ruolo presente e futuro del mercato. Si pensi al petrolio e ai suoi andamenti di borsa. Nei giorni passati si è assistito, attoniti e in silenzio, a un fatto storico gravissimo e senza precedenti: i contratti <i class="">future</i> sul petrolio venduti a un prezzo negativo! Il che significa che chi vendeva petrolio ha dovuto pagare per farlo comprare. Il petrolio pompato sarebbe stato così tanto che, sia per gli altissimi costi di stoccaggio sia per la mancanza di spazio per conservarlo, le compagnie petrolifere hanno o avrebbero dovuto pagare i loro clienti per prenderlo. Pura pazzia. Frutto di speculazioni finanziarie e di irresponsabili "giochi geopolitici globali" in un momento economicamente già molto pericoloso. </font></p><p style="margin: 1em 0cm 0pt; line-height: normal;" class=""><font face="Verdana" class=""> Occorre sapere che la stragrande maggioranza dei contratti <i class="">future</i> sono solo virtuali e speculativi, non prevedono cioè alcuna vera compravendita di greggio o di altre materie prime o di generi alimentari e, quindi, nessun loro passaggio fisico dal venditore al compratore. È evidente che non c'è alcun vantaggio per l'economia e neanche per la formazione del cosiddetto giusto prezzo di mercato. </font></p><p style="margin: 1em 0cm 0pt; line-height: normal;" class=""><font face="Verdana" class=""> La crisi odierna, per fortuna, sta facendo apprezzare il ruolo dell'economia reale e dello Stato. Non servono perciò straordinarie e complicate regole. Basterebbe imporne una: chi va sul mercato per qualsiasi business deve impegnarsi a portarlo a termine fisicamente. I veri operatori si comportano così. Per scoraggiare gli altri, cioè coloro che, invece, intendono soltanto lucrare sulla differenza di prezzo, dovrebbe essere loro imposto un significativo deposito di garanzia. </font></p><p style="margin: 1em 0cm 0pt; line-height: normal;" class=""><font face="Verdana" class=""> Lo stesso, ovviamente, dovrebbe essere fatto per tutte le operazioni finanziarie allo scoperto. Per esempio, vendere virtualmente un titolo qualsiasi per poi ricomprarlo a una certa scadenza, o viceversa. La finanza speculativa ha sempre giustificato simili operazioni come il toccasana dell'equilibrio di mercato. Non è così. La pandemia e il conseguente <i class="">lockdown</i> produttivo ci hanno insegnato empiricamente che contano le produzioni, i beni, e non le speculazioni. Queste ultime, così come i derivati <i class="">otc</i>, si basano anche su un'elevata leva finanziaria, cioè quel sistema che può generare enormi masse finanziarie sulla base di un piccolo capitale realmente a disposizione. In alcuni paesi europei, compresa l'Italia, tali operazioni allo scoperto sono state bandite per 3 mesi. A nostro avviso dovrebbe essere una misura definitiva da parte della Consob.<b class=""><i class=""></i></b></font></p><p style="margin: 1em 0cm 0pt; line-height: normal;" class=""><font face="Verdana" class=""> Da alcune settimane continuiamo ad assistere a evoluzioni delle borse così forti da far apparire come delle semplici altalene per bambini anche le più spericolate montagne russe. Non sorprende affatto che il mondo della finanza appaia indifferente. Ma è più che mai inaccettabile che le autorità politiche e quelle di controllo restino, impotenti o incompetenti, alla finestra. Sembra che in diversi paesi sia stato richiesto l'intervento delle autorità competenti. La Consob avrebbe voluto farlo ma ha scoperto di non averne il potere. </font></p><p style="margin: 1em 0cm 0pt; line-height: normal;" class=""><font face="Verdana" class=""> Riteniamo che l'emergenza pandemia ci insegni che l'interesse collettivo viene prima dell'interesse di parte. </font></p><p style="margin: 1em 0cm 0pt; line-height: normal;" class=""><font face="Verdana" class=""> Come ha affermato recentemente anche il direttore del Fondo monetario internazionale, la signora Kristalina Georgieva, i governi a livello mondiale si sono finora responsabilmente impegnati a sostenere le economie minate dal corona virus con circa 8.000 miliardi di dollari e le banche centrali sono disposte a fornire "liquidità illimitata". </font></p><p style="margin: 1em 0cm 0pt; line-height: normal;" class=""><font face="Verdana" class=""> Di fronte a questo straordinario impegno pubblico e a questa assunzione di responsabilità collettiva e condivisa non possiamo non chiederci perché ancora non si riformino i mercati e non si blocchino le speculazioni.</font></p> <br class="">Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-1827327173330662930.post-86878549497506090412019-04-18T16:30:00.000+02:002019-04-18T16:31:01.446+02:00Prospettive economiche italiane per il 2020<div class="WordSection1"> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><b><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif";color:red">FONDAZIONE NENNI </span></b><span lang="FR-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><b><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif";color:black"><a href="http://fondazionenenni.wordpress.com/">http://fondazionenenni.wordpress.com/</a></span></b><span lang="FR-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif";color:black"> </span><span lang="FR-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><b><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif";color:black"> </span></b><span lang="FR-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><b><i><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif";color:black">Nelle condizioni attuali, prospettare una “flat tax”, anche </span></i></b><span lang="FR-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><b><i><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif";color:black">solo in forma parziale, appare davvero da irresponsabili.</span></i></b><span lang="FR-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif";color:black"> </span><span lang="FR-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><b><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif";color:black">di Franco Cavallari </span></b><span lang="FR-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif";color:black"> </span><span lang="FR-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif";color:black">La maggior parte degli osservatori economici concorda nel considerare le prospettive per il 2020 particolarmente problematiche; e da qualche settimana, anche i proclami del Governo in carica sulle magnifiche sorti di quest’anno e dell’anno venturo stanno lasciando il posto a qualche preoccupazione sul modo di affrontare l’aggiustamento dei conti pubblici. Il DEF di primavera relativo al bilancio 2019, necessariamente generico, non ha dato alcuna precisa indicazione su come la maggioranza intende correggere lo schema macroeconomico per il 2020 proposto a fine 2018.</span><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif";color:black"> Gli obiettivi economici stabiliti in quella sede dopo lunga e penosa trattativa con l’UE prevedevano per il 2019 una crescita dell’1% ed un disavanzo del 2,04% del PIL; ma il loro conseguimento è ormai tramontato per lasciare il posto ad un più realistico tasso di crescita dello 0,2% ed un debito pubblico dell’ordine del 2,6-3,2% rispetto al PIL. Se il Governo dovesse sopravvivere al responso delle elezioni europee, com’è molto probabile, non è escluso che le intenzioni della maggioranza relativamente al complesso di una eventuale manovra correttiva intervengano in piena estate. Sarà quello, comunque, il momento in cui potrà iniziare un’attenta riflessione pubblica non solo con riferimento alla claudicante realtà economica dell’anno in corso, ma anche e soprattutto sulle prospettive per l’anno prossimo venturo.</span><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif";color:black"> I parametri economici che si prospettano per il 2020 e che costituiranno la base per la formazione del bilancio lasciano emergere ombre molto più inquietanti di quanto non appaia in superficie. Come accennato, la Legge di bilancio per il 2019 confrontata con la realtà in essere presenta non poche criticità; accettata come appena sufficiente dalla Commissione dell’UE (che già allora prevedeva una crescita per il 2019 dello 0,2%) rappresentava una via di fuga per il Governo italiano, invischiato in una impasse che rischiava lo scontro frontale tra lo Stato italiano e le istituzioni comunitarie.</span><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif";color:black"> Rispetto ai non ben calibrati parametri inseriti nel bilancio 2019, le nuove poste per il 2020 da inserire nella nuova Legge di bilancio dovranno fotografare un contesto in cui la crescita economica volge alla stagnazione, se non alla recessione. In primo luogo sarà necessario dare un riscontro all’esigenza di neutralizzare le clausole di salvaguardia che ammontano per il 2020 a ben 24 Mrd e che incombono sulla prospettiva di un pericoloso aumento dell’IVA. Come per il passato, una buona metà, circa 12 Mrd, potrà essere rinviata all’anno successivo, già carico per conto suo di clausole per 27 Mrd). Ci saranno poi da reperire i 18 Mrd di privatizzazioni inserite anche nel bilancio 2020 fin dai quadri prospettici delle finanziarie degli anni passati; tenuto conto delle rigidità e della lentezza già riscontrate in passato per questo tipo di operazioni. appare molto improbabile possano essere realizzate se non in misura minima, forse il 10%. Ci sono ancora altri 5-6 Mrd per i pensionamenti aggiuntivi (quelli del 2020) della “Quota 100”; infine lo stanziamento supplementare di circa 2 Mrd per il reddito di cittadinanza, il cui stanziamento nel 2019 si riferiva soltanto a otto mesi.</span><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif";color:black"> Il totale di queste poste aggiuntive rispetto al bilancio 2019 ammonta a circa 62 Mrd per i quali sarà necessario trovare una fonte di finanziamento. Per il momento, stando alle dichiarazioni del Vice Presidente Salvini, le relative risorse dovrebbero provenire dalla crescita sperata; che però, per il 2020 è stimata dal Governo stesso intorno allo 0,8%, vale a dire non più di 14 Mrd. Su questo surplus di risorse provenienti dalla maggiore crescita, le entrate pubbliche, al tasso del 46% della pressione fiscale, risulterebbero intorno ai 6-7 Mrd. Mancherebbero all’appello più di 50Mrd, senza considerare le non poche perplessità sulla possibilità che il sistema realizzi lo 0,8% di crescita previsto.</span><span lang="FR-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif";color:black"> Intanto, a lato delle incongruenze descritte, registriamo che il quadro di riferimento degli scambi internazionali non accenna a migliorare, anche se non è priva di significato la circostanza che nei primi mesi di quest’anno, malgrado il rallentamento del commercio mondiale, la variazione positiva delle esportazioni risulta lievemente maggiore rispetto all’anno precedente. Se è vero che in questi ultimi mesi, la tensione commerciale tra Cina e USA sembra essersi attenuata, è pur vero che si prevede per il commercio globale un lungo periodo caratterizzato da tensioni protezionistiche non trascurabili. Prospettive di rallentamento degli scambi internazionali emergono anche dal DEF di pochi giorni fa, ove lo stesso Ministero dell’Economia stima nel prossimo triennio in leggera contrazione le quote di mercato delle nostre esportazioni.</span><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif";color:black"> La sfavorevole congiuntura economica internazionale che si prospetta per il 2020 è testimoniata anche dalle ultime decisioni della BCE, la quale, nell’ultima riunione del Comitato Direttivo, ha deciso di iniziare a partire dal prossimo mese di settembre un nuovo programma di operazioni di rifinanziamento a lungo termine volto a creare condizioni più favorevoli al credito bancario.</span><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif";color:black"> Secondo il quadro macroeconomico del Governo, la congiuntura economica italiana, sostenuta prevalentemente dall’aumento dei trasferimenti alle famiglie, comincerebbe ad irrobustirsi già nella seconda parte di quest’anno e continuerebbe a crescere anche nel 2020; ma in senso contrario si esprimono, sia pur con toni diversi, il Fondo Monetario Internazionale e l’OECD, che prevedono per il 2019 una profonda stagnazione, se non addirittura la recessione e per l’anno prossimo una solo leggera ripresa. Questi enti internazionali considerano infatti che le misure del Governo a sostegno della domanda interna (il Reddito di cittadinanza e Quota 100) daranno, quest’anno come l’anno prossimo, un contributo alla crescita molto modesto. Al momento essi rilevano che l’accumulazione di capitale accusa condizioni di investimento molto sfavorevoli, essendo, peraltro, venuti meno gli incentivi, ad esempio l’iperammortamento, che hanno stimolato nel recente passato un’accumulazione di capitale di non trascurabile entità.</span><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif";color:black"> Come le istituzioni internazionali, anche quasi tutti gli istituti di previsione italiani, evidenziano la mancanza di una politica di investimenti pubblici che, oltre ad alimentare la domanda, potrebbe migliorare il clima economico generale, suscitando gli investimenti privati, forieri di un rilancio dell’occupazione. L’Ufficio Parlamentare di Bilancio, un organo indipendente previsto da una Legge costituzionale per effettuare valutazioni economiche relative alla formazione del bilancio, ha effettuato una stima dell’effetto macroeconomico del Reddito di cittadinanza nel 2019, concludendo per un impatto sulla crescita molto limitato (0,2%).</span><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif";color:black"> Indipendentemente dalle previsioni, il complesso dei dati macroeconomici di prospettiva appare fin d’ora talmente squilibrato che solo lo smisurato ottimismo del Governo riesce a vedere qualche spiraglio di miglioramento. In realtà, è indispensabile una netta inversione di rotta, vale a dire un bilancio pubblico per il 2020 capace di ricomporre in un contesto orientato allo sviluppo gli indispensabili sacrifici della spesa corrente con un serio programma di investimenti pubblici, entrambi necessari per riequilibrare il quadro finanziario. In caso contrario, le consuete schermaglie del prossimo autunno per la predisposizione della Legge finanziaria diverranno il pericoloso innesco di una grande instabilità nel mercato dei capitali.</span><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif";color:black"> Secondo molti centri di ricerca economica, l’ostacolo delle clausole di salvaguardia potrebbe essere affrontato con un aumento dell’IVA in misura ridotta: Due punti sulle aliquote più basse ed un punto e mezzo sull’aliquota del 22% darebbero un gettito vicino ai 12 Mrd, incidendo solo marginalmente sui prezzi (intorno a 0,50%). In questa ottica, un parziale aumento dell’IVA avrebbe un effetto depressivo sui consumi non eccessivo e potrebbe consentire, senza troppi traumi, di rinviare all’anno successivo le restanti clausole di salvaguardia per la differenza di 12 Mrd; resterebbero comunque da reperire circa 50 Mrd che, escudendo un aumento dell’imposizione, potranno solo in minima parte essere coperti con la “spending review”.</span><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif";color:black"> In queste condizioni, prospettare la “flat tax” (una riforma rifiutata da tutti i paesi industrializzati, che ha trovato applicazione solo in paradisi fiscali, piccole isole e paesi dell’ex impero sovietico nell’est europeo), anche in forma parziale, sarebbe davvero da irresponsabili.</span><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p class="MsoNormal"><span lang="IT-CH" style="font-size:12.0pt;font-family:"Verdana","sans-serif";color:black"> Per quanto riguarda la formazione del bilancio per il 2020, in assenza di una manovra coraggiosa sugli squilibri descritti, non si vede come si possa evitare che il volano incontrollato della spesa corrente abbia un impatto devastante sullo “spread” tra i Btp e i Bund tedeschi. Senza una preliminare netta presa di posizione unanime del Governo per un aggiustamento accettabile dei conti pubblici, sarà inevitabile che in autunno, nelle more della trattativa sulla legge di bilancio, il surplus di interessi che il mercato dei capitali richiederà per finanziarie il nostro debito pubblico subisca un brusco aumento rispetto ai livelli attuali. E non è da escludere che si vada incontro a squilibri in grado di porre in serie difficoltà la stabilità economica del nostro Paese e, probabilmente, anche l’assetto dell’Unione Europea.</span><span lang="IT-CH" style="font-size:12.0pt;font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p class="MsoNormal"><span lang="IT-CH" style="font-size:12.0pt;font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p> </o:p></span></p> <p class="MsoNormal"><span style="font-size:12.0pt;font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p> </o:p></span></p> </div> <br clear="both"> ______________________________________________________________________<BR> This email has been scanned by the Symantec Email Security.cloud service.<BR> For more information please visit http://www.symanteccloud.com<BR> ______________________________________________________________________<BR> Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-1827327173330662930.post-43345390503447410292019-04-18T16:29:00.001+02:002019-04-18T16:29:52.831+02:00Attivare fondi e progetti per la ripresa<div class="WordSection1"> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""> </span><b><i><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif"">Non si può essere soddisfatti di riconoscere che l’economia italiana è fortemente peggiorata nei passati mesi, come ammette lo stesso Documento di economia e finanza (<span style="text-transform:uppercase">Def</span>) appena presentato. Sarebbe, però, ancora più preoccupante se, di fronte a questa triste ed evidente realtà, il governo volesse continuare a “vivere sulle nuvole”, spargendo illusioni e promesse insostenibili. </span></i></b><span lang="FR-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""> </span><span lang="FR-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><b><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif";color:black">di Mario Lettieri, <i>già Sottosegretario all’economia (governo Prodi)</i> </span></b><span lang="EN-US" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><b><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif";color:black">e Paolo Raimondi, <i>Economista</i></span></b><span lang="EN-US" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif";color:black"> </span><span lang="EN-US" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif"">Palazzo Chigi ha messo nero su bianco che per il 2019 l’aumento del <span style="text-transform:uppercase">pil</span> dovrebbe passare dall’1% allo 0,2% e che di conseguenza il deficit di bilancio dovrebbe crescere dal 2,04% al 2,4%. Sono stime ancora troppo benevole che non tengono conto, purtroppo, degli effetti negativi a spirale che solitamente accompagnano la recessione economica. <o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""> Di ciò siamo fortemente preoccupati, anche perché il confronto politico è soprattutto di natura ideologica ed elettorale e, a volte, anche di rivalsa. Riequilibrare il bilancio dello Stato richiede decisioni chiare e tempi medi poiché si basa sulla ripresa degli investimenti, della produzione, dell’innovazione e dell’occupazione nei settori dell’economia reale. <o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""> Perciò, mantenere a tutti i costi le promesse fatte durante le campagne elettorali potrebbe sembrare positivo ma, in verità, non fa parte delle leggi che regolano il sano andamento e lo sviluppo dell’economia, sia nella teoria che nella prassi. Vale per tante iniziative, a cominciare dalla <i>flat tax</i> che ha fatto capolino nel <span style="text-transform:uppercase"> Def</span>. Per ora è una semplice enunciazione.<o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""> Per serietà e credibilità, portare come esempio da seguire nel nostro paese il modello ungherese della <i>flat tax</i>, che sarebbe la ragione del buon andamento dell’economia di Budapest, è un errore. <o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""> Per chiarezza è opportuno ricordare, invece, che la recente ripresa economica dell’Ungheria si basa su tre condizioni convergenti: a) il contributo a fondo perduto di ben 3,5 miliardi di euro annui da parte dell’Unione europea, b) l’intensa partecipazione economica e industriale della Germania verso i paesi dell’Europa centrale e c) il basso costo della mano d’opera ungherese, con una qualifica tecnologica mediamente elevata, che ha attirato notevoli investimenti. Tutte condizioni che in Italia non ci sono.</span><span lang="FR-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""> Ovviamente, il documento del <span style="text-transform:uppercase">Def</span> non contempla aumenti nella tassazione: sarebbe una clamorosa ammissione di totale fallimento. Per i prossimi mesi, però, il governo dovrà dimostrare come “bilanciare” l’aumento delle uscite con le minori entrate. Naturalmente, per il bene degli italiani ci si augura che lo sappiano fare. Ma è indubbio che dal prossimo gennaio possa scattare l’aumento delle aliquote <span style="text-transform:uppercase">Iva</span>. <o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""> A nostro avviso la priorità dovrebbe essere la ripresa degli investimenti pubblici in infrastrutture per l’effettiva apertura dei cantieri, a partire dal Mezzogiorno dove la situazione economica e occupazionale è a dir poco disperata. Secondo varie stime, oltre ai fondi recuperabili dall’enorme evasione fiscale, ci sarebbero 140 miliardi di euro già stanziati nei bilanci degli anni passati per svariati progetti. <o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""> Attraverso un accordo già operativo con la Banca europea per gli investimenti essi potrebbero diventare subito spendibili. Il vero problema sono le lungaggini delle burocrazie statali, regionali e locali. </span><span lang="FR-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""> Secondo l’Associazione nazionale costruttori edili (ANCE) si tratterebbe, tra l’altro, di 60 miliardi del Fondo investimenti e sviluppo infrastrutturale, di 27 miliardi del Fondo sviluppo e coesione, di 15 miliardi di Fondi strutturali europei, ecc. <o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""> Se si riuscisse a spendere in tempi ragionevolmente brevi i soldi in questione, sarebbe una leva per la ripresa economica. Si ricordi che l’Istat sostiene che ogni euro pubblico investito nelle infrastrutture possa generare una crescita di investimenti diretti e indiretti pari a 3-4 volte. </span><span lang="FR-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""> È il Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE), presso Palazzo Chigi, responsabile della gestione delle risorse sopra menzionate. Non ha svolto un’azione incisiva ed effettiva nei confronti degli enti e delle amministrazioni beneficiari dei progetti. <o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""> Bisogna accelerare i processi decisionali, snellendo il codice degli appalti e affidando, contemporaneamente, alle autorità anti corruzione il compito di prevenire e colpire le infiltrazioni malavitose e le mazzette legate ai lavori pubblici. <o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""> La situazione, nella sua complessità e urgenza, non può ancora essere lasciata alle lentezze burocratiche. Serve, invece, una chiara e netta assunzione di responsabilità da parte del governo e delle altre istituzioni. Il paese non può più aspettare.<o:p></o:p></span></p> <p class="MsoNormal"><span lang="IT-CH" style="font-size:12.0pt;font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p> </o:p></span></p> <p class="MsoNormal"><span lang="IT-CH" style="font-size:12.0pt;font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p> </o:p></span></p> <p class="MsoNormal"><span style="font-size:12.0pt;font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p> </o:p></span></p> </div> <br clear="both"> ______________________________________________________________________<BR> This email has been scanned by the Symantec Email Security.cloud service.<BR> For more information please visit http://www.symanteccloud.com<BR> ______________________________________________________________________<BR> Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-1827327173330662930.post-47027760112142492582019-04-18T11:48:00.001+02:002019-04-18T11:48:43.092+02:00Qualche riflessione per cercare di uscire dalla crisi<div class="WordSection1"> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><b><i><span lang="IT" style="font-family:"Verdana","sans-serif"">L’economia è l’ambito dove si misurano le capacità di una classe dirigente di guidare un paese verso la ricchezza collettiva e verso la realizzazione compiuta dello stato sociale.</span></i></b><span lang="FR-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><b><span lang="FR-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""></span></b><span lang="FR-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><b><span lang="IT" style="font-family:"Verdana","sans-serif"">di Ennio Ghiandelli</span></b><span style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span style="font-family:"Verdana","sans-serif""></span><span style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT" style="font-family:"Verdana","sans-serif"">Quando si parla di economia italiana non bisogna mai dimenticare alcuni dati fisici che sono una nostra caratteristica: scarsità di ricchezze naturali, soprattutto per quanto riguarda i minerali e i prodotti energetici; agricoltura che non brilla per efficienza anche per la tipologia del territorio; densità elevata della popolazione, nonostante il calo demografico di questi anni; orografia complessa che rende difficili le comunicazioni fra le diverse aeree del paese.</span><span style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT" style="font-family:"Verdana","sans-serif""> Nonostante questi deficit l’Italia, nel secondo dopoguerra, affidandosi alla capacità manifatturiera delle sue maestranze alla sua classe dirigente sia politica che industriale, e ai rapporti esistenti fra industria pubblica e privata, riesce a portarsi nei primi posti mondiali in alcune industrie chiave: dall’industria informatica, a quella aeronautica, all’elettronica di consumo, alla chimica, all’auto e alle produzioni High-tech.</span><span lang="IT" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT" style="font-family:"Verdana","sans-serif""> Pian piano questo patrimonio si è dissolto, gli errori compiuti nella politica economica dall’inizio degli anni Novanta ad oggi stanno dando i loro frutti resi ancora più velenosi dall’insipienza dell’attuale governo.</span><span lang="IT" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT" style="font-family:"Verdana","sans-serif""> L’Italia soffre di una crisi di produttività, cioè il costo per un’unità di prodotto aumenta rispetto agli altri paesi. Questo fatto rende impossibile, senza interventi appropriati qualsiasi ipotesi di recupero. La possibilità che si divenga una colonia di qualche altra nazione, soprattutto se questa ci finanzia il disavanzo acquistando i titoli del debito pubblico, è reale. Siamo un paese dove, ai tempi della globalizzazione, il tessuto produttivo è costituito per la gran parte da piccole e medie industrie. Eccelliamo nella produzione di marmo, di minerali abrasivi, nella produzione di olio di oliva, vino e filati di lana, molto poco per un sistema produttivo globale dove l’innovazione è l’elemento trainante. </span><span lang="IT" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT" style="font-family:"Verdana","sans-serif""> Si è svenduto il patrimonio industriale dello stato, in nome di un liberismo che non è mai esistito; gli industriali, che pure nel corso di questi anni hanno ricevuto utili rilevanti, hanno preferito investire i profitti in operazioni finanziarie, all’apparenza, molto più redditizie che in investimenti industriali.</span><span lang="IT" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT" style="font-family:"Verdana","sans-serif""> La politica oltre che per le ragioni prima ricordate ha anche la responsabilità di aver fatto invecchiare in maniera significativa il patrimonio infrastrutturale nazionale e mai ha sviluppato politiche atte a mettere mettere in sicurezza un territorio fragile come il nostro, anzi la speculazione edilizia supportata da continue sanatorie ha aggravato il problema.</span><span lang="FR-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT" style="font-family:"Verdana","sans-serif""> Tutto questo avvenuto è con una rapida concentrazione di ricchezza in poche mani e con un’erosione dello stato sociale che ha portato ad un impoverimento delle classi meno abbienti. Tutte le politiche sociali che il primo centro sinistra aveva realizzato sono state o abolite o devitalizzate.</span><span lang="IT" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT" style="font-family:"Verdana","sans-serif""> A questo stato di cose si aggiunge una politica fiscale che ha punito i lavoratori a reddito fisso, rendendo possibile una continua evasione fiscale, senza avviare una seria attività dello Stato per contrastarla efficacemente producendo una elevata pressione fiscale</span><span lang="IT" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT" style="font-family:"Verdana","sans-serif""> In questo quadro si presenta drammatico lo stato del disavanzo pubblico, drammatico non solo perché non si vedono politiche per abbatterlo, anche se la spesa corrente italiana al netto degli interessi del debito è da anni inferiore alle entrate, ma per l’assenza di una politica economica capace di attivare un credibile percorso di recupero della produttività del sistema Italia. </span><span lang="FR-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT" style="font-family:"Verdana","sans-serif""> Sovente nel corso del dibattito in questo anno di governo giallo verde si sente imputare, da esponenti della maggioranza, che la colpa di questo stato di cose è da ascriversi al fatto che con l’adozione dell’euro l’Italia non è in grado di gestire una propria economia, quindi occorre uscire dalla moneta europea e poco male se ci cacciano anche dai trattati. Errore tragico.</span><span lang="FR-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT" style="font-family:"Verdana","sans-serif""> A questo stato di cose si può e si deve reagire. La prima cosa immediata da fare è recuperare gettito fiscale, non aumentando le tasse a che già le paga, ma colpendo senza pietà gli elusori e gli evasori. Questo comporta immediatamente un riequilibrio del bilancio. Ciò ci consente, da un lato di allentare la presa sugli interessi che l’Italia paga sul debito pubblico, dall’altro di fermare il saccheggio del welfare. Da queste basi ripartire con una politica di investimenti pubblici sia sulle infrastrutture che sull’aumento della produttività (R&S) sostituendo il privato assenteista. Fissati questi capisaldi si deve procedere ad una più equa distribuzione del reddito.</span><span lang="IT" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif";color:black"> </span><span lang="IT" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><b><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif"">Da </span></b><span style="font-family:"Verdana","sans-serif""><a href="https://www.rivoluzionedemocratica.it/"><b><i><span lang="IT-CH">La Rivoluzione Democratica</span></i></b></a></span><b><span style="font-family:"Verdana","sans-serif";color:#00B050"> </span></b><span lang="IT" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><b><i><u><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif";color:red"><a href="https://www.rivoluzionedemocratica.it/">https://www.rivoluzionedemocratica.it/</a></span></u></i></b><span lang="IT" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size:12.0pt;font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p> </o:p></span></p> <p class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size:12.0pt;font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p> </o:p></span></p> <p class="MsoNormal"><span style="font-size:12.0pt;font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p> </o:p></span></p> </div> <br clear="both"> ______________________________________________________________________<BR> This email has been scanned by the Symantec Email Security.cloud service.<BR> For more information please visit http://www.symanteccloud.com<BR> ______________________________________________________________________<BR> Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-1827327173330662930.post-5820185075342815962019-03-28T17:39:00.001+01:002019-03-28T17:39:19.879+01:00Siamo il primo paese del G7 a sottomettersi alla Cina<div class="WordSection1"> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><b><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif";color:red">FONDAZIONE NENNI </span></b><span lang="FR-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><b><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif";color:black"><a href="http://fondazionenenni.wordpress.com/">http://fondazionenenni.wordpress.com/</a></span></b><span lang="FR-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif";color:black"> </span><span lang="FR-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><b><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif";color:black"> </span></b><span lang="FR-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><b><i><span lang="IT" style="font-family:"Verdana","sans-serif"">Sul memorandum Italia-Cina occorre ricordare un punto cardine del diritto europeo, cioè che la politica commerciale è materia UE e che quindi ogni genere di atto che contraddica il diritto comunitario è da considerarsi nullo. Quindi, almeno in linea teorica, non ci dovrebbero essere pericoli di penetrazione eccessiva degli interessi cinesi in Italia (ringraziando l’UE). Il vero dramma di questa negoziazione è che l’Italia stia ponendo le basi per una sottomissione totale al colosso cinese, così come hanno già fatto Grecia e Ungheria.</span></i></b><span lang="IT" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT" style="font-family:"Verdana","sans-serif""> </span><span lang="IT" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><b><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif";color:black">di Federico Marcangeli</span></b><span style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif";color:black"> </span><span style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif";color:black">La strategia di Xi Jinping è molto chiara e punta a tagliare le distanze tra i suoi prodotti ed il secondo mercato mondiale: l’Europa. Nel 2016 questa strategia aveva portato all’acquisizione cinese del porto del Pireo (il più grande porto greco), da usare come grimaldello per l’ingresso in UE e per puntare sempre di più verso la sua egemonia globale. Non a caso la Grecia pose il veto sulla risoluzione ONU del Giugno 2017, che condannava la Cina per le innumerevoli violazioni dei diritti umani. </span><span lang="FR-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif";color:black"> Fatto questo primo passo, la necessità era quella di portare le merci nel cuore dell’Europa e l’Italia ha pensato bene di stendere un tappeto rosso, grazie a Ferrovie dello Stato ed alle autorità portuali di Genova e Trieste. I soggetti appena citati rientrano infatti nell’accordo quadro raggiunto e dovrebbero contribuire a portare più rapidamente le merci cinesi in Italia. </span><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif";color:black"> Questa è solo una piccola parte del memorandum, perché sono 21 gli accordi in negoziazione con la Cina e, come è immaginabile, il coltello dalla parte del manico non è certo dell’Italia. Tali negoziati si inseriscono nella cosiddetta “Via della Seta”, progetto iniziato nel 2013 con 1000 miliardi di dollari cinesi investiti per migliorare i collegamenti del paese con il resto del mondo. Secondo Di Maio: “La Via della Seta si firmerà. È un memorandum che permetterà alle nostre imprese di esportare più Made in Italy nel mondo e quindi anche in Cina. E questa è una buona occasione per la nostra economia e le nostre aziende”. </span><span lang="FR-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif";color:black"> Peccato che la realtà dei fatti sia “un pò” diversa. La bilancia commerciale Italia-Cina pende infatti verso la seconda per circa 12 miliardi di dollari, nonostante i dazi presenti, che comunque hanno contribuito a ridurre il saldo negli ultimi anni. Con questo quadro, è difficile comprendere come l’ingresso nel progetto egemonico cinese possa giovare sul lungo periodo all’Italia.</span><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif";color:black"> Ancor di più se consideriamo l’opacità dell’accordo che, secondo il Sottosegretario agli esteri Guglielmo Picchi, prevede “intercomunicabilità, energia e telecomunicazioni”, dei campi oggettivamente vaghi e dai confini non delineati. Questo aspetto di non trasparenza è stato già appurato per l’intero progetto “Via della seta”, grazie ad un memorandum firmato nell’aprile del 2018 da 27 dei 28 ambasciatori europei in Cina (poi ratificato dal parlamento europeo, anche con il voto dei 5Stelle), che denunciavano alcuni aspetti chiave:</span><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif";color:black"> </span><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif";color:black">· </span><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif";color:black">Indebitamento degli stati europei (e non solo) verso la banca di stato cinese, grazie a prestiti a tassi convenienti ma poco trasparenti.</span><span lang="FR-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif";color:black">· </span><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif";color:black">Quasi tutti gli appalti per le infrastrutture sono assegnati a società cinesi.</span><span lang="FR-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif";color:black">· </span><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif";color:black">Scalate da parte di imprese cinesi (controllate ovviamente dallo stato) di numerose società del settore bancario ed energetico.</span><span lang="EN-US" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p style="margin:0cm;margin-bottom:.0001pt"><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif";color:black">· </span><span lang="IT-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif";color:black">Ostacolo del libero scambio con stati non aderenti. Lascio a voi ulteriori valutazioni.</span><span lang="FR-CH" style="font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p></o:p></span></p> <p class="MsoNormal"><span lang="FR-CH" style="font-size:12.0pt;font-family:"Verdana","sans-serif""><o:p> </o:p></span></p> </div> <br clear="both"> ______________________________________________________________________<BR> This email has been scanned by the Symantec Email Security.cloud service.<BR> For more information please visit http://www.symanteccloud.com<BR> ______________________________________________________________________<BR> Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-1827327173330662930.post-58955660957624985422019-03-03T13:37:00.001+01:002019-03-03T13:37:21.161+01:00La crescita dello “shadow banking”<div style="margin: 0cm 0cm 0pt;" class=""><font face="Verdana" class=""> <b class=""><i class=""><span lang="IT-CH" class="">Le banche stanno per andare in soffitta? Non è una battuta. </span></i></b></font></div> <p style="margin: 0cm 0cm 0pt; line-height: normal;" class=""><span lang="IT" class=""><font face="Verdana" class=""> </font></span></p> <div style="margin: 0cm 0cm 0pt; line-height: normal;" class=""><font face="Verdana" class=""><b class=""><span lang="IT" class="">di Mario Lettieri, </span></b><span lang="IT" class="">già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)<b class=""></b></span></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0pt; line-height: normal;" class=""><font face="Verdana" class=""><b class=""><span lang="IT" class="">e Paolo Raimondi, </span></b><span lang="IT" class="">Economista</span></font></div> <p style="margin: 0cm 0cm 0pt; line-height: normal;" class=""><span lang="IT" class=""><font face="Verdana" class=""> </font></span></p> <div style="margin: 0cm 0cm 0pt;" class=""><span lang="IT-CH" class=""><font face="Verdana" class="">Pochi crederebbero che nel mondo della finanza le banche non siano più i "number one". Eppure lo conferma il rapporto <i class="">Global Shadow Banking Monitoring Report 2017</i> del "Financial Stability Board" (Fsb, il Consiglio per la stabilità finanziaria). Si ricordi che è l'organismo internazionale con il compito di monitorare il sistema finanziario mondiale per ridurre il rischio sistemico. In passato è stato presieduto anche da Mario Draghi. </font></span></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0pt;" class=""><span lang="IT-CH" class=""><font face="Verdana" class=""> Secondo tale rapporto, alla fine del 2016 gli attivi finanziari globali totali ammontavano a 360.000 miliardi di dollari. Cinque volte e mezzo il Pil mondiale. Essi sono così suddivisi: 160.000 miliardi gestiti dagli organismi finanziari non bancari, 138.000 dalle banche, 26.000 dalle banche centrali e il resto da istituti finanziari pubblici. </font></span></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0pt;" class=""><span lang="IT-CH" class=""><font face="Verdana" class=""> Gli organismi finanziari non bancari, cioè "gli enti e le attività dell'intermediazione del credito che operano fuori dal sistema bancario regolare", sono dallo Fsb considerati e chiamati <i class="">shadow banking</i>, "sistema bancario ombra", definizione intesa dal Consiglio senza connotazioni spregiative. </font></span></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0pt;" class=""><span lang="IT-CH" class=""><font face="Verdana" class=""> Sta di fatto che i soggetti dello <i class="">shadow banking</i> manovrano cifre spaventose, se si confrontano con quelle del Pil mondiale. Per evidenziare tutta la fragilità e i rischi del sistema finanziario, è, inoltre, doveroso rilevare che non sono inclusi i noti derivati finanziari <span style="font-variant-ligatures: normal; font-variant-numeric: normal; font-variant-caps: small-caps; font-variant-alternates: normal; font-variant-position: normal; font-variant-east-asian: normal;" class="">otc</span> e altri prodotti speculativi, di cui più volte abbiamo denunciato la pericolosità. </font></span></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0pt;" class=""><span lang="IT-CH" class=""><font face="Verdana" class=""> I soggetti non bancari comprendono le assicurazioni con 29.000 miliardi di dollari di attivi concentrati negli Usa e in Europa, i fondi pensione con 31.000 miliardi, il 60% dei quali in mano americana, e ben 100.000 miliardi dei cosiddetti <i class="">Other Financial Intermediaries</i> (OFI) che includono vari tipi di fondi d'investimento, <i class="">hedge fund, holding</i> finanziarie e altri organismi finanziari, spesso "molto fantasiosi" e speculativi. </font></span></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0pt;" class=""><span lang="IT-CH" class=""><font face="Verdana" class=""> Circa la creazione del credito, però, le banche mantengono ancora il primato con 69.000 miliardi, pari al 77% del totale, lasciando molto indietro il settore dei citati OFI. Il che significa che questi ultimi sono attratti soprattutto da settori molto distanti da quelli concernenti l'economia reale.</font></span></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0pt;" class=""><span lang="IT-CH" class=""><font face="Verdana" class=""> Nel frattempo gli OFI hanno registrato un grande aumento in Europa. Ad esempio, rappresentano il 92% di tutti gli attivi finanziari del Lussemburgo, il 76% dell'Irlanda e il 58% dell'Olanda. L'area euro conta detti attivi per 32.000 miliardi di dollari, superando gli Usa, dove queste voci, in realtà, stanno diminuendo, e superando di molto la Cina, dove, al contrario, è in atto una crescita straordinaria. </font></span></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0pt;" class=""><span lang="IT-CH" class=""><font face="Verdana" class=""> All'interno degli OFI vi è un settore in continuo aumento che rappresenta ben 45.000 miliardi di attivi considerati molto rischiosi anche dallo Fsb, che li chiama "narrow measure of shadow banking", un nome senza senso anche in inglese e impossibile da tradurre in italiano in modo comprensibile. Non è la prima volta che prodotti finanziari molto rischiosi vengono chiamati, volutamente, in modo stravagante e fuorviante. </font></span></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0pt;" class=""><span lang="IT-CH" class=""><font face="Verdana" class=""> Secondo il Consiglio per la stabilità finanziaria, le operazioni "<i class="">narrow measure</i>" sono molto più rischiose in quanto utilizzano massicciamente la leva finanziaria, operando cioè con grandi numeri ma pochi capitali propri. </font></span></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0pt;" class=""><span lang="IT-CH" class=""><font face="Verdana" class=""> Di conseguenza sono vulnerabili ai rischi di rinnovo delle posizioni e di estensione della scadenza (<i class="">rollover risk</i>) e a quelli di eventuali massicci ritiri di fondi per timore di insolvenza (<i class="">run</i>), in particolare quando si rendono dipendenti da finanziamenti di breve periodo. </font></span></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0pt;" class=""><span lang="IT-CH" class=""><font face="Verdana" class=""> Queste sono esattamente le situazioni che si erano create alla vigilia della Grande Crisi del 2008 e che hanno provocato il crollo del sistema.</font></span></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0pt;" class=""><span lang="IT-CH" class=""><font face="Verdana" class=""> Circa le citate operazioni "<i class="">narrow measure</i>" gli Usa sono ancora i primi con il 31%, seguiti dall'Europa con il 22% e dalla Cina con il 16%. È molto rilevante il fatto che le Isole Cayman, il "paradiso fiscale" per eccellenza, con 4.700 miliardi di attivi, rappresentano il 10% del totale!</font></span></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0pt;" class=""><span lang="IT-CH" class=""><font face="Verdana" class=""> Nei passati cinque anni la quota del settore bancario si è andata riducendo di anno in anno, rimpiazzata da una crescente e sempre più ingombrante presenza dello <i class="">shadow banking</i>. La tendenza è stata ancor più forte in Europa. Comunque, resta sempre molto elevata l'interconnessione tra tutti i vari settori, bancari e non. Perciò permane il rischio di crisi sistemiche. </font></span></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0pt;" class=""><span lang="IT-CH" class=""><font face="Verdana" class=""> Gli studi fatti dal "Financial stability board" sono encomiabili e di grande aiuto. Però, la velocità e le dimensioni degli attuali processi finanziari appaiono davvero straordinarie e ci impongono una domanda. Le autorità di controllo sono veramente capaci di governare questi processi, oppure tentano di inseguire evoluzioni finanziarie che, di fatto, finiscono col dettare i movimenti e le regole di comportamento dei mercati e dei loro principali attori? È un dubbio inquietante che lascia sconcertati.</font></span></div> <font face="Verdana" class=""><br class=""> </font><br class=""> Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-1827327173330662930.post-60283536589206747972019-03-03T13:16:00.001+01:002019-03-03T13:16:46.430+01:00Produttività zero e recessione<font face="Verdana" class=""><b class=""><i class=""><span lang="IT-CH" class="">Recessione tecnica, recessione economica, </span></i></b><br class=""> </font> <div style="margin: 0cm 0cm 0pt;" class=""><b class=""><i class=""><span lang="IT-CH" class=""><font face="Verdana" class="">crisi economica. Troppe definizioni e poche decisioni…</font></span></i></b></div> <font face="Verdana" class=""></font> <p style="margin: 0cm 0cm 0pt;" class=""><span lang="IT-CH" class=""><font face="Verdana" class=""> </font></span></p> <font face="Verdana" class=""></font> <div style="margin: 0cm 0cm 0pt;" class=""><font face="Verdana" class=""><b class=""><span lang="IT-CH" class="">di Mario Lettieri, </span></b><b class=""><i class=""><span lang="IT-CH" class="">già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)</span></i></b><b class=""><span lang="IT-CH" class=""></span></b></font></div> <font face="Verdana" class=""></font> <div style="margin: 0cm 0cm 0pt;" class=""><font face="Verdana" class=""><b class=""><span lang="IT-CH" class="">e Paolo Raimondi, </span></b><b class=""><i class=""><span lang="IT-CH" class="">Economista</span></i></b></font></div> <font face="Verdana" class=""></font> <p style="margin: 0cm 0cm 0pt;" class=""><span lang="IT-CH" class=""><font face="Verdana" class=""> </font></span></p> <font face="Verdana" class=""></font> <div style="margin: 0cm 0cm 0pt;" class=""><span lang="IT" class=""><font face="Verdana" class="">Recessione tecnica, recessione economica, crisi economica. Troppe definizioni e poche decisioni, quando, invece, in Italia necessiterebbe un programma concreto di rilancio dell'economia, fatto d'investimenti, di lavori pubblici, d'incentivi per la modernizzazione e l'occupazione. In situazioni di emergenza, sarebbe necessario un accordo bipartisan per lo sviluppo, come ha saputo fare, anche con molte difficoltà, la Germania. In casa nostra, purtroppo, ieri come oggi, si preferisce "gufare", "tifare" per il fallimento dell'altro, facendo perdere tutti, soprattutto il Paese. </font></span></div> <font face="Verdana" class=""></font> <div style="margin: 0cm 0cm 0pt;" class=""><span lang="IT" class=""><font face="Verdana" class=""> L'ultima cosa di cui si ha bisogno sono le pagelle delle agenzie private di rating e del poco affidabile Fondo Monetario Internazionale. </font></span></div> <font face="Verdana" class=""></font> <div style="margin: 0cm 0cm 0pt;" class=""><span lang="IT" class=""><font face="Verdana" class=""> Gli analisti e la stampa internazionale, come al solito, puntano il dito sul nostro alto debito pubblico e sui ritardi delle cosiddette riforme strutturali dell'economia italiana. Temono che una successiva contrazione economica possa avere delle conseguenze sull'intero sistema.</font></span></div> <font face="Verdana" class=""></font> <div style="margin: 0cm 0cm 0pt;" class=""><span lang="IT" class=""><font face="Verdana" class=""> Secondo noi, una delle debolezze più preoccupanti, da correggere con urgenza, è la bassa produttività dell'economia italiana. </font></span></div> <font face="Verdana" class=""></font> <div style="margin: 0cm 0cm 0pt;" class=""><span lang="IT" class=""><font face="Verdana" class=""> Dal 2000 il nostro sistema non ha registrato alcun aumento della produttività! </font></span></div> <font face="Verdana" class=""></font> <div style="margin: 0cm 0cm 0pt;" class=""><span lang="IT" class=""><font face="Verdana" class=""> Si ha tale aumento quando, attraverso nuove tecnologie e innovazioni, si produce di più con la stessa mano d'opera. La crescita della produttività è il motore della competitività di ogni sistema. </font></span></div> <font face="Verdana" class=""></font> <div style="margin: 0cm 0cm 0pt;" class=""><span lang="IT" class=""><font face="Verdana" class=""> Occorre dire, in verità, che le nostre imprese sono state comunque capaci di mantenere un elevato grado di competitività, sfruttando l'innata creatività scientifica e imprenditoriale e mantenendo, nonostante tutto, la bilancia commerciale positiva, sostenuta <span style="color: rgb(34, 34, 34);" class="">da un export che dal 2009 è cresciuto del 25%. </span>Nel medio periodo, però, la scarsità dell'innovazione e della modernizzazione non regge il confronto con gli altri paesi che investono, e molto, nelle nuove tecnologie.</font></span></div> <font face="Verdana" class=""></font> <div style="margin: 0cm 0cm 0pt;" class=""><span lang="IT" class=""><font face="Verdana" class=""> La mancata crescita della produttività non è, comunque, imputabile solo all'alto indebitamento pubblico. Il Giappone, per esempio, ha un gigantesco rapporto debito/pil del 237% ma è il primo paese al mondo, prima degli Usa e della Germania, per la crescita della produttività.</font></span></div> <font face="Verdana" class=""></font> <div style="margin: 0cm 0cm 0pt;" class=""><span lang="IT" class=""><font face="Verdana" class=""> Non si può, quindi, imputare l'entrata in "recessione tecnica" soltanto all'effetto di fattori esterni, quali la contrazione economica cinese e tedesca. Nemmeno a certi retaggi del passato, come i disastri della grande crisi finanziaria ed economica del 2008. </font></span></div> <font face="Verdana" class=""></font> <div style="margin: 0cm 0cm 0pt;" class=""><span lang="IT" class=""><font face="Verdana" class=""> Ciò detto, ovviamente la nostra economia soffre più degli altri quando le citate "locomotive" frenano.</font></span></div> <font face="Verdana" class=""></font> <div style="margin: 0cm 0cm 0pt;" class=""><span lang="IT" class=""><font face="Verdana" class=""> Nel 2017 l''export di soli beni, senza i servizi, dell'Italia verso gli altri paesi europei è stato di 250 miliardi di euro, pari al 55% di tutte le nostre esportazioni. La Germania ha, invece, esportato in Europa beni per 750 miliardi: detiene il 22,4% di tutto il commercio infra Ue, mentre la quota italiana è appena del 7,4%. L'Italia mantiene la quinta posizione, dietro anche all'Olanda, alla Francia e al Belgio. </font></span></div> <font face="Verdana" class=""></font> <div style="margin: 0cm 0cm 0pt;" class=""><span lang="IT" class=""><font face="Verdana" class=""> Il più grande surplus nel commercio interno all'Ue (export meno import) è detenuto dall'Olanda con ben 200 miliardi di euro. Mentre l'Italia nel 2017 ha avuto un surplus di oltre 8 miliardi, la Francia e la Gran Bretagna, invece, hanno registrato un deficit nel commercio di beni con gli altri paesi europei rispettivamente di 107 e 110 miliardi di euro. Sono dati, questi ultimi, per certi versi sorprendenti.</font></span></div> <font face="Verdana" class=""></font> <div style="margin: 0cm 0cm 0pt;" class=""><span lang="IT" class=""><font face="Verdana" class=""> L'Eurostat prevede una momentanea contrazione dell'economia europea. Senz'altro la causa principale è legata all'altalenante guerra dei dazi che Trump ha lanciato contro la Cina e l'Ue. La Germania, in particolare, soffre degli scandali, originati negli Usa, contro le emissioni di gas e dei dazi americani sull'import di auto tedesche. </font></span></div> <font face="Verdana" class=""></font> <div style="margin: 0cm 0cm 0pt;" class=""><span lang="IT" class=""><font face="Verdana" class=""> Negli anni passati, l'Europa, in primis la Germania, ha beneficiato della politica cinese di modernizzazione. La Cina è il più grande mercato di macchinari tedeschi di vario tipo. La flessione della crescita cinese in corso va, quindi, a impattare l'export tedesco e comunitario. </font></span></div> <font face="Verdana" class=""></font> <div style="margin: 0cm 0cm 0pt;" class=""><font face="Verdana" class=""><span lang="IT" class=""> Non possiamo, quindi, negare i rischi di crescenti difficoltà per la nostra economia. Anche perché si deve tener presente che </span><span lang="IT" class="">l'Italia, a differenza di altri paesi europei, non ha ancora recuperato la perdita di pil provocata dalla grande crisi globale del 2008. È ancora di circa il 4% sotto il livello pre crisi. Anche gli investimenti, pubblici e privati, sono sotto del 19,2%. In dieci anni, poi, gli investimenti pubblici sono scesi dal 3% all'1,9% del pil. I consumi delle famiglie e il loro reddito disponibile sono inferiori rispettivamente dell'1,9% e dell'8,8% rispetto a dieci anni fa.</span><span lang="IT" style="color: rgb(80, 80, 80);" class=""></span></font></div> <font face="Verdana" class=""></font> <div style="margin: 0cm 0cm 0pt;" class=""><span lang="IT" class=""><font face="Verdana" class=""> L'ingresso dell'Italia in una fase di recessione ha già fatto sentire il suo segno negativo anche sulla borsa, in particolare sui titoli bancari. Si teme che la decrescita possa generare nel sistema bancario nuovi crediti deteriorati e rallentare lo smaltimento dello stock in sofferenza. A fine 2017 i suddetti crediti deteriorati ammontavano ancora a 264 miliardi di euro, pari al 17,6% del totale. E ciò avviene mentre la Bce sta riducendo il <i class="">quantitative easing</i>, cioè l'acquisto di titoli di Stato, che finora ha aiutato a sostenere i debiti pubblici sul mercato. </font></span></div> <font face="Verdana" class=""></font> <div style="margin: 0cm 0cm 0pt;" class=""><span lang="IT" class=""><font face="Verdana" class=""> Con la recessione il governo, a corto di munizioni, potrebbe essere tentato di aumentare il debito, sempre più caro e meno gestibile, o di aumentare la pressione fiscale. Occorre evitare di rincorrere la spirale negativa e, invece, è importante mettere in campo azioni anticicliche di sostegno agli investimenti, all'innovazione e al lavoro. Bisognerebbe far ripartire, senza perdere ulteriore tempo, tutti i cantieri e gli investimenti, anche privati, già decisi e finanziati. Sostenere i consumi è importante ma non sufficiente a rimettere in moto un'economia in recessione.</font></span></div> <font face="Verdana" class=""><br class=""> <br class=""> </font><br class=""> Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-1827327173330662930.post-85652160267781435182018-08-28T08:34:00.001+02:002018-08-28T08:34:30.435+02:00Il caso emblematico della Deutsche Bank<font face="Verdana" class=""><br class=""> </font> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""><br class=""> </font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""><b class=""> </b><b class=""><i class="">Parlare della situazione finanziaria della Deutsche Bank, la prima banca tedesca, ci sembra doveroso. Non tanto per ributtare oltralpe la palla dello scandalo e della polemica pretestuosa, ma per affrontare insieme una sfida difficile che tocca tutta l'Unione europea e l'intero sistema bancario e finanziario internazionale.</i></b></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><o:p class=""><font face="Verdana" class=""> </font></o:p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""><b class="">di Mario Lettieri, </b>già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)<b class=""><o:p class=""></o:p></b></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""><b class="">e Paolo Raimondi, </b>Economista<o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><o:p class=""><font face="Verdana" class=""> </font></o:p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class="">Dall'inizio dell'anno a oggi le azioni DB hanno perso oltre il 40% del loro valore. Certo, non per l'inaffidabilità del governo tedesco. Neanche per la decisione del <i class="">management</i> di operare una riduzione dell'organico di circa 10.000 dipendenti. E nemmeno per il recente abbassamento del <i class="">rating</i> fatto dall'americana Standard & Poor's.<o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""> La vera ragione, secondo noi, è negli effetti del fallimento provocato dalla conversione della banca da commerciale a banca d'investimento speculativo. <o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""> Ciò è stato candidamente ammesso da David Folkerts-Landau, l'economista capo della DB, che, in un'intervista al quotidiano economico <i class="">Handelsblatt</i>, ha affermato che dagli anni Novanta il <i class="">management</i> ha, di fatto, trasformato la banca in una specie di <i class="">hedge fund</i> speculativo di tipo anglosassone. A tutti i costi bisognava ottenere un rendimento del 25% sul capitale, "accettando di correre grossi rischi finanziari ed etici". <o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""> Fino alla fine degli anni ottanta la DB era stata la banca più impegnata nel sostegno ai grandi progetti industriali; poi, purtroppo, come hanno fatto tante altre banche, ha favorito il rischio e la speculazione rispetto all'economia reale. <o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""> Tra gli analisti indipendenti alcuni dicono che, se si collega la situazione emblematica della DB alla bolla globale del debito societario, si potrebbe essere vicini a una nuova crisi di liquidità, di enormi dimensioni. <o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""> Non è casuale il fatto che recentemente la Bce abbia richiesto che la banca faccia la simulazione di uno "scenario di crisi" per valutare i costi e gli effetti sistemici della repentina cessazione del reparto di <i class="">investment banking</i>. Quel reparto che opera in derivati e in altre operazioni finanziarie ad alto rischio sui mercati di Londra e di New York . <o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""> Indubbiamente la DB non è una "banchetta" qualsiasi e i suoi dirigenti si affannano a dimostrare che essa può contare, sulla carta, su alcuni elementi di garanzia, quali la notevole liquidità e un tasso di solidità, il cosiddetto CET1, pari a 13,4%, ben oltre i livelli richiesti dalla Bce. Com'è noto, esso misura l'ammontare del capitale versato con le attività a rischio.<o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""> Tutto ciò è vero. Infatti, non è l'intera DB a rischio <i class="">default</i>, ma la sua componente di banca d'affari potrebbe trascinare a fondo l'intero istituto. Da oltre tre anni essa registra consistenti perdite. Anche la cultura popolare sa che una mela guasta non rimossa può far marcire l'intero cesto! <o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""> Basta leggere il Rapporto annuale della Deutsche Bank del 2017. Fornisce due dati impressionanti: rispetto all'anno precedente, il 2017 ha visto perdite nel settore dei derivati pari a 124,1 miliardi di euro, mentre il valore nozionale totale dei derivati è salito da 42,9 a 48,3 trilioni di euro! E di questi quasi il 90% sarebbero i famigerati derivati <i class="">over the counter</i> (otc), quelli negoziati fuori dei mercati regolamentati.<o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""> Per obiettività, comunque, non si può certo negare quanto sostengono i dirigenti attuali della DB. Secondo loro la banca è da qualche tempo oggetto di una "particolare attenzione" e anche di attacchi all'interno degli Stati Uniti, come se si volessero addebitare alla DB tutte le malefatte finanziarie perpetrate negli ultimi anni da tutte le banche "too big to fail", in primis dalla Goldman Sachs, dalla JP Morgan, ecc. <o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""> Nel settembre 2016 il <i class="">Wall Street Journal</i> riportò che il Dipartimento di Giustizia americano aveva iniziato un procedimento legale contro la DB per ottenere il risarcimento di ben 14 miliardi di dollari con l'accusa di aver utilizzato dubbie ipoteche durante la grande crisi.<o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""> Naturalmente simili notizie dovrebbero essere mantenute nel riserbo assoluto per evitare conseguenze sui mercati e arrivare a possibili patteggiamenti. Nel caso specifico, dopo l'intervento da parte del governo tedesco, si convenne di far pagare alla DB circa la metà della somma. <o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""> Intanto l'immagine della banca era già stata fortemente compromessa, a tal punto che oggi si parla di una sua uscita dal mercato americano. Del resto anche la <i class="">Federal Reserve</i> ha avviato nel 2017 altre quattro azioni legali nei confronti della banca tedesca con multe per 200 milioni di dollari. Oggi, poi, la Fed rincara la dose e parla di "condizioni problematiche" in cui verserebbe la DB. <o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""> Se le pratiche delle grandi banche internazionali continuano a essere distorsive dei mercati, certamente il rischio di un'ulteriore crisi diventa più concreto. <o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""> È un problema globale che dovrebbe essere affrontato con urgenza, soprattutto dall'Europa.</font></div> <br class=""> Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-1827327173330662930.post-47189794725429644502018-04-30T14:54:00.000+02:002018-04-30T14:55:02.321+02:00L’Eni investe sette miliardi in Italia <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><b class=""><font face="Verdana" class=""><span style="color: rgb(192, 0, 0);" class="">Da Avanti! online </span><o:p class=""></o:p></font></b></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""><a href="http://www.avantionline.it/" style="color: purple;" class="">www.avantionline.it/</a><o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><o:p class=""><font face="Verdana" class=""> </font></o:p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><br class=""> </div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><b class=""><font face="Verdana" class=""><i class="">L'amministratore delegato dell'Eni, Claudio Descalzi, presentando alla comunità finanziaria il piano strategico 2018-2021 ha rivendicato che "l'Italia è il primo paese a livello di investimenti per il gruppo: 7 miliardi di euro nei prossimi quattro anni, di cui 1 miliardo destinato alle attività </i>green<i class="">, incluse le spese per la ricerca e lo sviluppo al servizio del processo di decarbonizzazione".<o:p class=""></o:p></i></font></b></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><b class=""><font face="Verdana" class=""> </font></b></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""><b class="">di Salvatore Rondello</b><o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><o:p class=""><font face="Verdana" class=""> </font></o:p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class="">"Lavoriamo in decine di paesi nel mondo e in ogni paese integriamo le nostre competenze e la nostra passione con quelle delle popolazioni che ci ospitano, con risultati straordinari ma le nostre radici sono in Italia ed è proprio qui che vediamo il potenziale per investire di più", ha detto Descalzi. Sul tema della sicurezza delle attività e della loro compatibilità ambientale ha aggiunto: "Nel 2017 abbiamo confermato il primato nell'ambito della sicurezza nel lavoro, con un numero di eventi registrati per milioni di ore lavorate (<i class="">Total Recordable Injury Rate</i>) pari a 0,33, in miglioramento del 7% rispetto al 2016. A livello ambientale, abbiamo ridotto l'intensità delle emissioni dalle nostre attività upstream del 3% rispetto al 2016 e del 15% rispetto al 2014, compiendo significativi progressi verso l'obiettivo di riduzione del 43% nel 2025 rispetto al 2014".<o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""> L'Amministratore delegato di Eni si è poi soffermato sul Progetto Italia, iniziativa di riqualificazione industriale che implica la realizzazione di impianti per la produzione di energia rinnovabile nell'ambito di terreni Eni bonificati. L'energia rinnovabile prodotta sarà destinata prevalentemente a soddisfare gli autoconsumi degli asset industriali di Eni, consentendo alla compagnia di ridurne i consumi energetici. Finora Eni ha identificato in questo ambito 25 progetti per una potenza complessiva pari a 220 megawatt, pari a 0,4 terawatt/ore all'anno di energia elettrica, e che entreranno in esercizio nel 2021.<o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""> Sempre in ambito green, Descalzi ha ricordato l'impegno della compagnia per la realizzazione di prodotti bio nell'ambito del downstream: Eni è stata la prima compagnia a convertire una raffineria tradizionale in bioraffineria, a Venezia, e completerà entro fine anno la conversione della raffineria di Gela; i due impianti, insieme, produrranno 1 milione di tonnellate all'anno di green diesel entro il 2021, facendo di Eni uno dei principali produttori d'Europa. La società, infine, ha lanciato una serie di progetti legati alla chimica verde come prodotti intermedi da olio vegetale e piantagioni sperimentali di Guayule per produrre gomma naturale.<o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""> Nel campo delle rinnovabili, ENI concentrerà la propria ricerca prevalentemente sul solare, sullo stoccaggio dell'energia, su biocarburanti avanzati, sulle biomasse e sull'energia eolica.<o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""> Per contribuire alla mobilità sostenibile, oltre alla tecnologia Ecofining per la produzione del green diesel, la società sta lavorando allo sviluppo di processi per la conversione del gas naturale in metanolo, progetto legato al memorandum firmato alla fine del 2017 con FCA e volto allo sviluppo di una serie di progetti di ricerca e applicazioni tecnologiche per la riduzione delle emissioni di CO2 nei trasporti su strada: tra gli ambiti della collaborazione vi è proprio l'utilizzo del metanolo tra le nuove tecnologie per l'utilizzo del gas nei trasporti, che consente di ridurre significativamente le emissioni. A questo scopo, ENI ha già sviluppato una nuova benzina composta per il 20% da carburanti alternativi (15% di metanolo e 5% bioetanolo).<o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""> Descalzi ha anche affermato: "Nell'arco del nuovo Piano spenderemo oltre 750 milioni di euro in ricerca e sviluppo. Grazie alla ricerca abbiamo consolidato e arricchito il nostro know how, formando nuove e importanti competenze interne. Lavoriamo con più di 50 istituiti tra Università e centri di ricerca, per un totale di oltre 220 progetti, di cui oltre la metà in Italia, promuovendo un profondo scambio di conoscenze tra ENI e il Paese. Dal 2009 al 2017, abbiamo speso in ricerca e sviluppo 1,7 miliardi di euro, costruendo un portafoglio di tecnologie nei più svariati ambiti, dall'upstream al downstream, dalle rinnovabili alla salvaguardia ambientale fino alla sicurezza, per un totale di oltre 6 mila brevetti".<o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""> La multinazionale italiana guarda al futuro, all'ambiente ed allo sviluppo del Paese di origine. Se tutte le multinazionali con origini italiane potessero seguire l'esempio di Eni, in Italia ci sarebbero sicuramente meno problemi da affrontare.<o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><o:p class=""><font face="Verdana" class=""> </font></o:p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class="">Vai al sito <a href="http://www.avantionline.it/" style="color: purple;" class="">www.avantionline.it/</a></font></div> <br class=""> Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-1827327173330662930.post-30604921790916238792018-04-30T14:24:00.001+02:002018-04-30T14:24:15.245+02:00Le amare lezioni del protezionismo<font face="Verdana" class=""><br class=""> </font> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""><b class=""> </b><b class="">di Mario Lettieri, </b><span style="color: windowtext;" class="">già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)</span></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""><b class="">e Paolo Raimondi, </b><span style="color: windowtext;" class="">Economista<o:p class=""></o:p></span></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><o:p class=""><font face="Verdana" class=""> </font></o:p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class="">Se gli Stati Uniti, la prima potenza economica e militare mondiale, lanciano una politica protezionistica imponendo alti dazi sulle importazioni, evidentemente intendono iniziare una vera e propria guerra commerciale. Le recenti dichiarazioni di Trump nei confronti della Cina e dell'Unione europea ne sono la prova. <o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""> Eppure Washington sa che, quando in passato sono state introdotte simili politiche, esse hanno soltanto esacerbato le crisi in corso aggravando le tensioni politiche internazionali. <o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""> Ciò avvenne dopo il crollo di Wall Street del 1929 con la conseguente Grande Depressione. Nel 1930 il presidente Herbert Hoover e, più ancora, il Congresso americano, allora dominato dal Partito Repubblicano, approvarono la legge <i class="">Smoot-Hawley Tarif Act</i> (dai nomi dei due parlamentari che la presentarono) imponendo pesanti dazi su oltre 20.000 prodotti d'importazione. <o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""> Si trattò di una specie di "America First". Avrebbe dovuto rilanciare produzioni, consumi e occupazione, sbarrando la strada ai prodotti provenienti da altri paesi. Fu la risposta negativa all'appello fatto in precedenza, nel 1927, dalla Lega della Nazioni, organizzazione precorritrice dell'ONU, che, al contrario, chiedeva di "porre fine alla politica dei dazi e di andare nella direzione opposta".<o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""> Fino ad allora gli Usa avevano avuto una bilancia commerciale positiva, con un surplus delle esportazioni. <o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""> I dazi imposti sui beni inclusi nella lista, che mediamente erano del 40,1% nel 1929, raggiunsero il livello di 59,1% nel 1932, con un balzo di 19 punti. <o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""> Ovviamente su tali politiche restrittive sono stati fatti molti studi. Nessuno dei quali mette in discussione l'effetto recessivo e depressivo provocato dai dazi. <o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""> Nel quadriennio 1929-1933 le importazioni americane diminuirono del 66% e le esportazioni del 61%. Anche l'export-import con l'Europa crollò. Il Pil Usa passò da 103 miliardi di dollari del 1929 a 76 nel 1931 e a poco più di 56 nel 1933. Anche il commercio mondiale nel suo insieme si ridusse di circa il 33%. <o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""> Nello stesso periodo la disoccupazione americana salì dall'8% del 1930 al 25% nel 1933. Questa tendenza cambiò solo durante la seconda guerra mondiale con la grande mobilitazione produttiva bellica. <o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""> Purtroppo oggi c'è la tendenza a ignorare le lezioni del passato. <o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""> Gli Usa e le <i class="">corporation</i> americane: hanno iniziato loro la cosiddetta politica dell'<i class="">outsourcing</i> e portando all'estero, dove c'era mano d'opera a basso costo, le fabbricazioni di componenti di prodotti manifatturieri.<o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""> È stata la Federal Reserve a inondare il mondo, e soprattutto le economie emergenti, con tanta liquidità a bassissimi tassi d'interesse. Ed è stato il famoso <i class="">Quantitative Easing</i> a favorire gli acquisti all'estero di beni da parte delle imprese americane e a sostenere nel contempo i consumi interni. Al contrario, i paesi emergenti hanno visto crescere i loro debiti accentuando la propria destabilizzazione finanziaria. <o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""> L'economia è stata quindi messa sottosopra, generando deficit enormi nella bilancia commerciale americana e di molti altri paesi. Si consideri che nel 2006 negli Usa esso ammontava a 762 miliardi di dollari e nel 2017 era ancora di 566 miliardi. Però, il deficit commerciale del settore dei beni reali va ben oltre gli 810 miliardi di dollari. <o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""> Di conseguenza anche il budget federale Usa è andato in tilt con deficit strepitosi: oltre 1'400 miliardi nel 2009, 1'300 miliardi nel 2011 e ancora 665 nel 2017, mentre quest'anno dovrebbe salire a oltre 830. <o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""> Tali politiche hanno portato a un grande indebitamento americano anche verso l'estero, in particolare verso la Cina, che detiene circa 1'000 miliardi di dollari in obbligazioni del Tesoro Usa, evidentemente emesse per coprire i deficit di bilancio.<o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""> Purtroppo Washington si sta muovendo come un elefante in un negozio di porcellane. Provoca tensioni con i partner commerciali, a cominciare dalla Cina e dall'Ue, e nello stesso tempo continua a esporsi con deficit e debiti che il resto del mondo dovrebbe in certo qual modo garantire. <o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""> C'è il forte timore che un qualsiasi evento non prevedibile in campo economico e finanziario possa generare guerre commerciali e monetarie con conseguenze incalcolabili. Ovviamente non solo negli Usa.</font></div> <br class=""> <br class=""> <br class=""> Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-1827327173330662930.post-90021398129859381442018-01-22T13:13:00.001+01:002018-01-22T13:13:49.645+01:00Inflazione al 2%: la panacea di tutti i mali?<p class="ox-ae5c2079db-MsoNormal"><span style="font-family: verdana,geneva,sans-serif; font-size: 12pt;"><strong><strong><em>Mario Draghi (BCE) e Janet Yellen (Fed) fanno <strong><em>a gara nel parlare dell'inflazione che non c'è…</em></strong></em></strong></strong></span></p><p class="ox-ae5c2079db-MsoNormal"><span style="font-family: verdana,geneva,sans-serif; font-size: 12pt;"><strong>di Mario Lettieri, </strong>già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)</span></p><p class="ox-ae5c2079db-MsoNormal"><span style="font-family: verdana,geneva,sans-serif; font-size: 12pt;"><strong>e Paolo Raimondi, </strong>Economista</span></p><p class="ox-ae5c2079db-MsoNormal"><span style="font-family: verdana,geneva,sans-serif; font-size: 12pt;">Il presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, e la presidente della Federal Reserve americana, Janet Yellen, nelle loro brevissime dichiarazioni prenatalizie hanno fatto a gara a parlare dell'inflazione che non c'è. Per loro una vera e propria ossessione.</span></p><p class="ox-ae5c2079db-MsoNormal"><span style="font-family: verdana,geneva,sans-serif; font-size: 12pt;">    A nostro avviso è la dimostrazione della mancanza di una corretta valutazione della situazione economica e finanziaria nazionale e internazionale e dell'assenza di un virtuoso piano di rilancio economico che punti allo sviluppo e non solo alla crescita.</span></p><p class="ox-ae5c2079db-MsoNormal"><span style="font-family: verdana,geneva,sans-serif; font-size: 12pt;">    La parola "inflazione" è stata ripetuta da entrambi ben 15 volte in un testo di 2 paginette. Yellen però batte Draghi 4 a 3 nella citazione del 2% di inflazione quale obiettivo da raggiungere per avere un'economia ben funzionante. Dal 2010 il target del 2% è diventato un mantra ossessivamente ripetuto in tutte le salse.</span></p><p class="ox-ae5c2079db-MsoNormal"><span style="font-family: verdana,geneva,sans-serif; font-size: 12pt;">    Nell'immaginazione di alcuni economisti di recente grido, il 2% d'inflazione sarebbe sinonimo di un'economia in movimento, dove aumentano gli investimenti, i consumi, i redditi delle famiglie e, dulcis in fundo, farebbe diminuire anche il debito pubblico che si svaluterebbe di anno in anno in rapporto ad un Pil inflazionato.</span></p><p class="ox-ae5c2079db-MsoNormal"><span style="font-family: verdana,geneva,sans-serif; font-size: 12pt;">    Questa teoria è stata totalmente sposata dalle banche centrali che, come è noto, da anni si danno da fare per far ripartire l'inflazione. Alcuni, per abbattere il debito pubblico, la vorrebbero al 4-6% annuo. Ci si scorda evidentemente che in un passato recente molti governi e molte famiglie in vari Paesi hanno lottato contro l'iperinflazione del 15-20%.</span></p><p class="ox-ae5c2079db-MsoNormal"><span style="font-family: verdana,geneva,sans-serif; font-size: 12pt;">    L'inflazione è una bestia selvaggia, innocua se ne parla soltanto, ma terribile e incontrollabile se si muove e comincia a galoppare.</span></p><p class="ox-ae5c2079db-MsoNormal"><span style="font-family: verdana,geneva,sans-serif; font-size: 12pt;">    Certo, anche la deflazione che abbiamo avuto per alcuni anni dopo la Grande Crisi è un "animale" non meno pericoloso. Essa avviene quando l'economia si avvita su se stessa, con una diminuzione dei prezzi dovuta in gran parte alla riduzione dei consumi e dei bilanci pubblici, al crollo dei commerci internazionali e di conseguenza anche delle produzioni e dell'occupazione.</span></p><p class="ox-ae5c2079db-MsoNormal"><span style="font-family: verdana,geneva,sans-serif; font-size: 12pt;">    La deflazione genera un immobilismo progressivo in cui tutti gli attori economici sono indotti a posticipare le decisioni d'investimento o di acquisto nella prospettiva che i prezzi possano scendere ancora. È un processo che porta direttamente alla recessione.</span></p><p class="ox-ae5c2079db-MsoNormal"><span style="font-family: verdana,geneva,sans-serif; font-size: 12pt;">    L'obiettivo "inflazione al 2%" è il "fratello gemello" della politica monetaria espansiva del <em>Quantitative easing</em> di creazione di grande liquidità da parte delle banche centrali per acquistare titoli di stato e, soprattutto, i titoli cosiddetti <em>asset-backed-security</em> (abs) in possesso delle grandi banche, che spesso sono di carattere speculativo e di bassa affidabilità.</span></p><p class="ox-ae5c2079db-MsoNormal"><span style="font-family: verdana,geneva,sans-serif; font-size: 12pt;">    Il programma avrebbe dovuto spingere il sistema bancario a concedere più crediti alle imprese e alle famiglie che così avrebbero creato più investimenti, più ricchezza, più consumi e, quindi, anche generato la desiderata inflazione del 2%.</span></p><p class="ox-ae5c2079db-MsoNormal"><span style="font-family: verdana,geneva,sans-serif; font-size: 12pt;">    Gli anni passati di bassa inflazione hanno anche comportato tassi d'interesse molto bassi, vicini allo zero, che, secondo la teoria, avrebbero dovuto agevolare nuovi crediti per nuovi investimenti.</span></p><p class="ox-ae5c2079db-MsoNormal"><span style="font-family: verdana,geneva,sans-serif; font-size: 12pt;">    Così non è stato. Si è trattato di due automatismi che non hanno funzionato. L'unico parametro che, invece, è veramente cresciuto è stato quello concernente i debiti pubblici e quelli delle imprese. L'altro parametro negativo è stato quello dei salari bassi e della precarietà.</span></p><p class="ox-ae5c2079db-MsoNormal"><span style="font-family: verdana,geneva,sans-serif; font-size: 12pt;">    Evidentemente le banche centrali, soltanto con la politica monetaria e finanziaria, non riescono a influenzare gli andamenti macroeconomici, come ad esempio i prezzi del petrolio e delle altre materie prime. In verità secondo noi, non sono state nemmeno capaci di orientare i comportamenti del sistema bancario e della finanza.</span></p><p class="ox-ae5c2079db-MsoNormal"><span style="font-family: verdana,geneva,sans-serif; font-size: 12pt;">    Alla fine s'intuisce che il cosiddetto "inflation targetting" più che una teoria economica è una politica dell'informazione. Da qualche tempo le banche centrali hanno fatto della loro comunicazione l'asse portante delle scelte economiche e monetarie, ritenendo che l'annuncio di alcuni paletti e degli obiettivi delle loro politiche fosse sufficiente a determinare comportamenti virtuosi nel complesso mondo bancario e finanziario.</span></p><p class="ox-ae5c2079db-MsoNormal"><span style="font-family: verdana,geneva,sans-serif; font-size: 12pt;">    È arrivato il momento di ritornare ai sani principi dello sviluppo economico. Se l'economia privata stenta a muoversi, lo Stato deve iniziare a investire in settori, come le infrastrutture, la modernizzazione tecnologica e altri, che possono trainare l'intera economia. Spesso lo ha fatto l'America industriale e capitalista. Negli anni trenta dello scorso secolo con il New Deal lo fece il presidente Franklin D. Roosevelt. Quindi, se il sistema bancario privato non fa rifluire sui mercati i soldi offerti gratuitamente dalle banche centrali, occorre creare nuovi canali di credito.</span></p><p class="ox-ae5c2079db-MsoNormal"><span style="font-family: verdana,geneva,sans-serif; font-size: 12pt;">    A proposito, in Europa che fine hanno fatto i <em>project bond</em> che la Commissione europea aveva proposto qualche anno fa? Si trattava di finanza produttiva e non speculativa che avrebbe dato un grande stimolo alla realizzazione delle nuove infrastrutture e alla modernizzazione del sistema produttivo, creando sicuramente nuovo reddito e una qualificata occupazione, soprattutto per tanti giovani lasciati allo sbando fuori dal mercato del lavoro.</span></p><p class="ox-ae5c2079db-MsoNormal"><span style="font-family: verdana,geneva,sans-serif; font-size: 12pt;">    Non vorremmo che nel nostro Paese il recente aumento delle bollette energetiche e delle tariffe autostradali, non certo giustificabili, fosse funzionale al fantomatico obiettivo dell'inflazione al 2%.</span></p>Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-1827327173330662930.post-40279746737675004132017-10-31T16:50:00.001+01:002017-10-31T16:50:29.988+01:00L'amaro frutto della Brexit<p></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;"><strong><strong>di Mario Lettieri,</strong></strong> già Sottosegretario all'economia</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;"><strong>e Paolo Raimondi, </strong>Economista</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">Nel mondo della finanza e delle grandi istituzioni bancarie cresce il turbinio di accuse incrociate contro chi sarebbe il primo responsabile di un'eventuale nuova crisi globale. Se fossero solo commenti più o meno forti non sarebbe un problema. Purtroppo i veri problemi ci sono e sono malamente celati sotto il tappeto.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">Si ricordi che il cuore finanziario mondiale è ancora Londra. Ecco perché certi effetti destabilizzanti della Brexit stanno emergendo in campo finanziario e bancario. Il governatore della Bank of England ha recentemente detto davanti al parlamento britannico che circa 25 trilioni (!) di dollari di derivati <em>over the counter</em> (otc) sarebbero a rischio, qualora la separazione tra Londra e l'Unione europea avvenisse in modo disordinato.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">Servirebbe un accordo tra le parti prima di marzo 2019 in modo tale che i contratti possano essere onorati. Altrimenti l'intero sistema di rischio, capitali, collaterali e persone coinvolte dovrebbero lasciare la City e trasferirsi in uno degli altri paesi dell'Ue. È ovvio che eventuali iniziative unilaterali non sarebbero risolutive. A oggi i contatti tra il governo britannico e la Commissione di Bruxelles non sembrano procedere positivamente.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">Anche il Comitato finanziario della Bank of England ha preparato uno studio sullo stesso argomento. Si dice che, senza un accordo congiunto, i derivati otc rischiano di essere invalidati. Anche una loro eventuale rinegoziazione richiederebbe tempi molto più lunghi rispetto ai pochi mesi che ci separano dalla primavera del 2019.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">Secondo una recente analisi del Financial Times, anche il mercato dei cambi monetari sarebbe messo in grande fibrillazione dalla Brexit. Si pensi che le relative operazioni quotidiane ammontano a circa 5 trilioni di dollari, il 40% delle quali è trattato nella City. Il giornale inglese riporta anche che circa la metà degli esistenti 600 trilioni di dollari di derivati otc sarebbe contrattata sul mercato londinese.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">È chiaro che Londra sta facendo di tutto per sollevare, forse anche con toni esagerati, i rischi e i pericoli insiti negli spostamenti dei mercati finanziari. Sta cercando in tutti i modi di mantenere la City come centro finanziario mondiale. Cosa non facile dopo la Brexit.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">Grandi attori economici, tra cui la Cina e il Giappone, hanno sospeso le proprie decisioni relative ai loro futuri rapporti con la City, in attesa di conoscere meglio gli effetti del divorzio con l'Ue. Londra vorrebbe che nel business si procedesse <em>as usual</em> e che alla City fosse garantito comunque il suo ruolo centrale e dominante nella finanza mondiale.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">Il problema di tutti gli attori in campo, però, potrebbe essere quello di sottovalutare i rischi e di sopravalutare una presunta capacità di gestione della crisi, che, nelle passate situazioni difficili, è sempre stata fatale. In questa diatriba, di fatto, si getta un velo sulla rischiosità intrinseca della montagna di derivati otc in circolazione e si mette in ombra la necessità di una profonda riforma di questo mercato molto speculativo, così come da noi ripetutamente evidenziato.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">Un altro argomento di scontro sulle responsabilità di una nuova crisi è la montagna del debito aggregato, pubblico e privato. Un recente dossier del Fondo Monetario Internazionale affermerebbe che l'intero sistema globale sarebbe minacciato dalla forte crescita del debito del settore non finanziario, pubblico e privato, della Cina. Si tratta cioè della somma del debito pubblico e di quello corporate, cioè delle imprese: Secondo il Fmi nel 2022 esso arriverebbe al 290% del Pil. Nel 2015 era al 235%.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">Indubbiamente in Cina sono cresciute molte bolle finanziarie. Ma ci sembra un tentativo pretestuoso per trovare un capro espiatorio. Invece è l'intero sistema che deve essere messo sotto la lente d'ingrandimento e riformato.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">Intanto economisti cinesi sono stati messi in campo per confutare le analisi del Fondo. Affermano che gran parte del debito cinese poggia su attivi e investimenti sottostanti nei settori dell'economia reale e delle infrastrutture. Ad esempio, nel 2015 i titoli sovrani cinesi erano pari a oltre 100.000 miliardi di yuan, equivalenti a circa 15.000 miliardi di dollari, però gli attivi sottostanti erano stimati a oltre 20.000 miliardi di yuan. Un rapporto indubbiamente migliore rispetto a tanti paesi dell'Occidente.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">La Cina, da parte sua, punta il dito contro le politiche di <em>Quantitative easing</em> che hanno inondato il sistema di liquidità senza mettere in moto nuovi investimenti e perciò causa di nuove instabilità.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">Sono segnali brutti. Quando, invece di incontrarsi per definire unitariamente la necessaria e improcrastinabile riforma del sistema finanziario globale, ci si accusa reciprocamente, allora c'è veramente da temere il peggio. Il che significa ignorare le lezioni del passato. Il <em>black monday</em> di trent'anni fa docet!</span></p>Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-1827327173330662930.post-54038438955282668022017-10-31T16:40:00.001+01:002017-10-31T16:40:28.915+01:00Il “secolo africano” e la questione del debito<p></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;"><strong><strong><strong><em>La questione del debito pubblico globale è sempre più scottante: è aumentato da 30 trilioni di dollari del 2007 ai 65 trilioni attuali. </em></strong></strong></strong></span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;"> </span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;"><strong>di Mario Lettieri, </strong>già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;"><strong>e Paolo Raimondi, </strong>Economista</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva;"> </span></p><p style="margin-bottom: 0pt;"><span style="font-family: verdana,geneva;">La questione del debito pubblico globale è sempre più scottante. Ovunque la si guardi essa suscita preoccupazione e paura. In generale nei media il debito pubblico è sinonimo di fallimento o di rischio. Non è una valutazione sbagliata poiché nel mondo esso è aumentato da 30 trilioni di dollari del 2007 ai 65 trilioni attuali.</span></p><p style="margin-bottom: 0pt;"><span style="font-family: verdana,geneva;">È più che raddoppiato in dieci anni. In rapporto al Pil negli Usa il debito pubblico in dieci è passato dal 62,5 al106%, nell'Eurozona dal 65 al 90%, in Italia dal 100 al 132,5%.</span></p><p style="margin-bottom: 0pt;"><span style="font-family: verdana,geneva;">Sono dati che parlano da soli. Ma è sorprendente il silenzio che accompagna le decisioni importanti in merito alla sua riduzione o alla sua cancellazione. E' il caso della Russia di Vladimir Putin che ha deciso di cancellare parte del debito contratto dagli stati africani.</span></p><p style="margin-bottom: 0pt;"><span style="font-family: verdana,geneva;">Come riportato nella pagina web del Cremlino, durante l'incontro pubblico dello scorso 27 settembre con Alpha Conde, presidente della Guinea Conakry e dell'Unione Africana, Putin ha detto che "la Russia sostiene attivamente gli sforzi della comunità internazionale per promuovere lo sviluppo degli Stati africani. Nell'ambito delle iniziative per aiutare i Paesi poveri molto indebitati, è stato deciso di cancellare oltre 20 miliardi di debiti ai Paesi africani".</span></p><p style="margin-bottom: 0pt;"><span style="font-family: verdana,geneva;">Si tratta di una cifra rilevante, cui la Russia ha deciso di rinunciare a beneficio di quei paesi africani, che con grandi sforzi e non poche difficoltà, stanno lavorando per superare il sottosviluppo e l'indigenza di grandi masse popolari.</span></p><p style="margin-bottom: 0pt;"><span style="font-family: verdana,geneva;">Già nel periodo 1998-2004, quando la Chiesa iniziò la grande campagna del Giubileo sollecitando una moratoria sul debito dei paesi poveri, la Russia cancellò ben 16,5 miliardi di dollari del debito africano.</span></p><p style="margin-bottom: 0pt;"><span style="font-family: verdana,geneva;">Putin ha aggiunto che dal 2016 Mosca sostiene i programmi alimentari mondiali e che 5 milioni di dollari di questi aiuti sono destinati per l'Africa. Tra questi vi è anche un interessante progetto dell'agenzia Unido per lo sviluppo dell'agricoltura e della pesca in Etiopia.</span></p><p style="margin-bottom: 0pt;"><span style="font-family: verdana,geneva;">In verità tutti i paesi Brics sono molto impegnati nello sviluppo economico e sociale e nella modernizzazione delle infrastrutture dell'intero continente africano. I loro summit hanno sempre dedicato molte energie e iniziative mirate all'Africa, nella consapevolezza che non si può prescindere dalla soluzione degli attuali squilibri.</span></p><p style="margin-bottom: 0pt;"><span style="font-family: verdana,geneva;">All'ultimo incontro di settembre a Xiamen, in Cina, hanno posto grande enfasi sull'importanza di allargare l'alleanza Brics verso i mercati emergenti e i paesi in via di sviluppo, rafforzando specialmente la cooperazione con l'Africa. In questo contesto, è molto importante la decisione di creare un Centro Regionale Africano all'interno della New Development Bank, la loro banca di sviluppo, e di lanciare un Piano di Azione per l'Innovazione e la Cooperazione soprattutto per l'Africa.</span></p><p style="margin-bottom: 0pt;"><span style="font-family: verdana,geneva;">I tanti pseudo esperti occidentali, purtroppo, sembra si stiano agitando per dimostrare che le decisioni della Russia e in generale dei Brics non sono altro che interessate operazioni per penetrare nel continente nero. Potrebbe anche esserci del vero. Ma i paesi europei e l'Unione europea dovrebbero spiegare perché stanno perdendo il loro naturale ruolo di amicizia e di cooperazione cui erano chiamati. Forse perché non hanno mai corretto l'arroganza propria del neocolonialismo? O forse perché mantengono un approccio prevalentemente improntato al massimo profitto e al liberismo più sfrenato? Noi pensiamo che l'approccio sia sbagliato.</span></p><p style="margin-bottom: 0pt;"><span style="font-family: verdana,geneva;">Al riguardo si ricordi che, per esempio, a più di 50 anni dalla dichiarazione di indipendenza dei Paesi francofoni dalla Francia, la loro moneta è ancora stampata a Parigi ed è totalmente controllata dalla Banque de France!</span></p><p style="margin: 0cm 0cm 0pt;"><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 10pt;"> Del resto non è un caso che anche la Chiesa, con l'enciclica “Populorum Progressio” di papa Paolo VI, abbia a suo tempo indicato la giusta strada per la riduzione del debito e per lo sviluppo dei popoli, denunciando, tra l'altro, "l'imperialismo internazionale del denaro". Si può costatare che la Chiesa è sempre stata molto attenta a queste problematiche economiche e sociali. I documenti del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace "Al servizio della Comunità umana: un approccio etico al debito internazionale" (1986) e "Per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale nella prospettiva di un'Autorità pubblica a competenza universale" (2011) sono chiari ed eloquenti.</span></p><p style="margin-bottom: 0pt;"><span style="font-family: verdana,geneva;">Anche l'Italia e le nostre imprese, purtroppo, pur avendo un'attitudine più cooperativa, e godendo di una certa simpatia in molte parti dell'Africa, non riescono ad esprimere una politica economica e culturale innovativa e più orientata allo sviluppo vero.</span></p><p style="margin-bottom: 0pt;"><span style="font-family: verdana,geneva;">Questo è il “secolo africano” che riteniamo debba essere affrontato con impegno maggiore e diverso nei 54 paesi che fanno parte dell'Africa.</span></p>Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-1827327173330662930.post-978083458894942492017-09-26T16:54:00.001+02:002017-09-26T16:54:21.690+02:00Jackson Hole e le reticenze delle banche centrali<p></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;"><strong><em>Incontro “strano” quello di fine agosto  </em></strong><strong><em>tra Janet Yellen, presidente della Federal </em></strong><strong><em>Reserve, e Mario Draghi, presidente della BCE…</em></strong></span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;"><strong>di Mario Lettieri, </strong>già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;"><strong>e Paolo Raimondi, </strong>Economista</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">È stato un incontro molto “strano” quello di fine agosto a Jackson Hole, dove si sono confrontati Janet Yellen, presidente della Federal Reserve, e Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">Ogni anno nella nota località del Wyoming si fa il punto della situazione monetaria, finanziaria ed economica degli Stati Uniti e del resto del mondo. Quest’anno i due massimi responsabili della politica monetaria internazionale hanno parlato di molte cose, anche interessanti, ma hanno evitato accuratamente di presentare i loro programmi monetari futuri.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    I maggiori mass media economici hanno sostenuto che Yellen avrebbe difeso le riforme finanziarie e bancarie parzialmente realizzate dall’amministrazione Obama, mentre Draghi si sarebbe schierato contro il ritorno a misure protezionistiche. In sostanza entrambi avrebbero criticato le politiche di Donald Trump che, in effetti, sta smantellando la già debole riforma Dodd-Frank relativa alle banche “too big to fail” e al “sistema bancario ombra” e sta riavviando la campagna neoprotezionista “America First”. </span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    Considerazioni condivisibili. Ma il mondo vorrebbe anche sapere se e come la Fed aumenterà i tassi d’interesse e come e fino a quando la Bce intende continuare con il <em>Quantitative easing</em>. In questo momento le banche centrali perseguono politiche molto differenti ma con effetti globali rilevanti.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    In occasione del decennale della Grande Crisi, Yellen ha evidenziato che quanto fatto negli ultimi dieci anni avrebbe reso l’intero sistema più stabile e più sicuro.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    Importante è stata la sua ammissione che i responsabili della politica economica e monetaria americana avevano negato l’evidenza del collasso persino mentre questo avveniva. In merito ha detto: "Dieci anni fa il sistema finanziario americano e quello globale erano in una situazione di pericolo. I prezzi delle case nel 2006 avevano toccato il massimo e le difficoltà del mercato ipotecario erano diventate acute nella prima metà del 2007. In agosto la liquidità nei mercati monetari era deteriorata a tal punto da richiedere degli interventi da parte della Fed. Nonostante ciò, la discussione a Jackson Hole nell’agosto 2007, con poche eccezioni, era stata molto ottimista rispetto alle possibili ricadute economiche negative derivanti dalle tensioni che scuotevano il sistema finanziario".</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    Il problema per i mercati, e non solo, è che la presidente della Fed ha attentamente evitato di confrontare la situazione del 2007 con quella di oggi. Eppure la situazione globale non è migliorata, anzi.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    Uno studio del Fondo Monetario Internazionale ha evidenziato che a fine 2015 il debito aggregato globale (pubblico, privato e corporate, senza il settore finanziario) ha toccato il livello di 152 trilioni di dollari, pari al 225% del Pil mondiale. La percentuale era di circa 190% nel 2007. E si stima che dal 2015 il debito sia cresciuto almeno di un trilione il mese.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    Intanto il debito pubblico mondiale è raddoppiato, passando da 29,5 trilioni del 2007 a circa 60 trilioni di dollari attuali.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    Lo stesso è accaduto per il debito “corporate”, cioè quello delle imprese private. È di circa 50 trilioni di dollari, di cui la metà nelle economie emergenti, in primis la Cina. Nei paesi emergenti si è passati dai 7 trilioni del 2007 ai 25 trilioni di dollari di oggi.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    Anche il commercio mondiale non ha recuperato dopo il crollo post crisi. Secondo l’UNCTAD, l’agenzia dell’Onu che studia il commercio, definito 100 il valore del commercio mondiale delle merci nel 2000, esso era 250 nel 2008, 194 nel 2009 e 247 alla fine del 2016.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    Le borse internazionali hanno invece avuto un andamento molto differente e anche poco comprensibile. L’indice della borsa italiana è circa la metà di quello del 2007 e l’Euro Stoxx 50 Stock Market (l’indice delle 50 principali aziende dell’Eurozona, che dà una rappresentazione dei principali settori dell’area) è di 3500 punti contro i 4500 del 2007. Invece, è il Dow Jones americano a sbalordire: dal livello di 14.000 del 2007 era sceso a 6600 nel marzo del 2008 per arrivare oggi alla stratosferica vetta di 22.000 punti. Una crescita inflazionata senza precedenti!</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    Non è un caso, quindi, che siano sempre più numerosi e autorevoli gli ammonimenti sul rischio di una nuova crisi finanziaria globale. Lo è sicuramente quello dell'ex presidente della Federal Reserve americana, Alan Greenspan, che, in una recente intervista all'agenzia stampa Bloomberg, ha detto che «siamo nel mezzo di una bolla relativa ai prezzi delle obbligazioni delle imprese».</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    «Stiamo entrando in una nuova fase dell'economia, una <em>stagflation</em> mai vista dal 1970», ha detto Greenspan. Si tratta, com'è noto, della micidiale combinazione tra la stagnazione dell'economia e l'inflazione sui prezzi.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    Jacques Attali, il più noto uomo dell'establishment francese, dalle pagine dell'<em>Express</em> ha sostenuto che «prima o poi, le banche centrali cesseranno di comportarsi come dei Madoff legalizzati. Dovranno ridurre il flusso di denaro gratuito che stanno dando alle banche. Ciò farà salire i tassi d'interesse e i governi e le imprese dovranno tagliare le spese o finiranno in bancarotta». Si ricordi che Bernard Madoff è lo speculatore americano condannato a 150 anni di carcere per aver truffato 65 miliardi di dollari.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva;">    <span style="font-size: 12pt;">Attali ha concluso che «sarebbe il momento di pensare collettivamente, con calma, a ridurre l'indebitamento e a mettere in atto delle vere riforme finanziarie da applicare a livello internazionale. Questo è il compito del G20. I governi dovrebbero occuparsi di questo, se hanno veramente a cuore l'interesse delle generazioni future. Naturalmente non si farà. Soltanto degli ottimisti lucidi potranno riuscirci». Un'amara conclusione, ma purtroppo realistica.</span></span></p>Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-1827327173330662930.post-20134808269054976352017-06-13T15:50:00.001+02:002017-06-13T15:50:26.175+02:00Via della seta: cambia il mondo<p></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;"><strong>di Mario Lettieri, </strong>già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;"><strong>e Paolo Raimondi, </strong>Economista</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">La conferenza internazionale sulla Nuova Via della Seta, oggi chia­ma­ta anche <em>Belt and Road Initiative</em> (Bri), tenutasi recentemente a Pechi­no inciderà profondamente sulle strategie delle potenze mondiali e sul­l'intero pianeta. Ciò a prescindere dal fatto se si sia preoccupati delle sue implicazione geo-politiche e geo-economiche. Non è un caso che abbiano partecipato oltre 120 Paesi e ben 29 capi di stato e di governo, tra cui anche il premier italiano, Paolo Gentiloni.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    In effetti il grande progetto può diventare il ponte di sviluppo tra i vari continenti attraverso importanti infrastrutture viarie, ferroviarie, marittime e telematiche. Sarà una nuova forma di globalizzazione, questa volta non sottomessa alle leggi della finanza.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    Il presidente cinese Xi Jinping, presentando il «progetto del secolo», ha fatto appello alla cooperazione internazionale, in quanto «le indu­strie sono il fondamento dell'economia». Una maggiore coope­ra­zione internazionale vuol dire migliorare la <em>governance</em> globale. Consapevo­le del ruolo delle banche e del credito il leader cinese ha det­to che «la finanza è la linfa dell'economia moderna. Servono una fi­nan­za stabile e inclusiva, nuovi modelli di investimento e di finanziamento diversifica­to e una forte cooperazione tra governi e capitale privato». Ci sono già finanziamenti governativi cinesi per oltre 110 miliardi di dollari.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    Il presidente Vladimir Putin, pur riconoscendo che gli obiettivi posti sono di non facile realizzazione, ha confermato il sostegno della Russia. «Quanto proposto è molto necessario e grandemente voluto e segue il trend dello sviluppo moderno», ha detto. «Questa è la ragione per cui la Russia non solo appoggia il progetto Bri ma intende parteciparvi attivamente insieme ai partner cinesi e degli altri Paesi interessati». Complessivamente sono previsti investimenti per oltre mille miliardi di dollari destinati a circa 900 progetti.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    L'Occidente, purtroppo, ha avuto finora un atteggiamento molto miope rispetto al Bri, anche confermato dalla decisione americana, inglese, francese e tedesca di mandare a Pechino rappresentanti di secondo piano. Anche l'India ha disertato il vertice a causa del coinvolgimento del Pakistan e per le temute implicazioni geopolitiche del previsto corridoio Cina-Pakistan.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    La nuova Via della Seta altro non è che una complessa rete di in­fra­strutture: strade, ferrovie ad alta velocità, oleodotti, porti, fibra ottica, telecomunicazioni. Collegherà la Cina con sei regioni: la Russia, l'Asia centrale, il Medio Oriente, il Caucaso, l'Europa orientale e infine l'Europa occidentale, diramandosi fino a Venezia, Rotterdam, Duisburg e Berlino. Ci sono poi i corridoi che collegheranno l'Asia meridionale: Cina-Birmania-Bangladesh-India e Cina-Afghanistan-Pakistan-Iran.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    Il Bri è quindi un'iniziativa fondamentale per lo sviluppo e decisiva per la pace nel mondo. È il caso di ricordare che dal suo annuncio del 2013 Che ad oggi la Cina ha già investito oltre 50 miliardi di dollari con fondi della Banca Centrale e dell'<em>Asian Infrastructure Investment Bank</em> (Aiib) di più recente costituzione.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva;">    <span style="font-size: 12pt;">È importante notare che con il Bri la Cina intende coinvolgere tutti gli stati dell'Unione europea, anche quelli più piccoli dell'Europa centrale e orientale e, in particolare, i Paesi del Mediterraneo. Coi primi, nel 2016, ha già sviluppato 50 progetti in differenti settori. Dal 2011 è entrato in attività il trasporto di merci su ferrovia tra l'Europa e la Cina: ben 3.600 treni merci hanno toccato 27 città cinesi e 28 città in 11 Paesi dell'Europa! Il Bri apre all'Italia grandi opportunità in tutti i campi, a cominciare da quelli industriali, del turismo e della cultura</span>.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva;">    <span style="font-size: 12pt;">È noto che dal 2015 il canale di Suez è raddoppiato, anche con in­ve­sti­menti cinesi. Ciò fa del Mediterraneo un naturale terminale stra­te­gi­co. Perciò occorre modernizzare e potenziare in tempi brevissimi tutta la nostra rete portuale, soprattutto nel Mezzogiorno, portando le ferro­vie fin dentro ai porti. È opportuno ricordare che i porti di Genova, Ve­ne­zia e Trieste già «arrivano» direttamente al centro dell'Europa più del Pireo o di qualsiasi altro porto mediterraneo. Occorre agire subito, ragionando però su uno spazio temporale di 30-50 anni.</span></span></p>Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-1827327173330662930.post-81245076984781872892017-05-30T13:27:00.001+02:002017-05-30T13:27:36.542+02:00La bolla del debito dei “corporate bond”<p></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;"><strong><em>La bolla dei corporate bond è una seria minaccia al sistema economico e finanziario mondiale. Forse è peggiore di quella dei famigerati mutui subprime e delle ipoteche immobiliari del 2008, in quanto ha abbondantemente superato i 30 trilioni di dollari.</em></strong></span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;"><strong>di Mario Lettieri, </strong>già Sottosegretario all'economia (governo Prodi) <strong>e Paolo Raimondi, </strong>Economista</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">Il dato più preoccupante è che nel settore <em>corporate</em> il tasso debiti/ricavi, il famoso <em>leverage</em>, è il più alto degli ultimi 12 anni.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">In Italia i <em>corporate bond</em> ammonterebbero a circa 1.200 miliardi di euro, il doppio del livello raggiunto nel 2007. In Europa si è secondi solo alla Germania che ha, però, un'economia più forte.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">Si tratta, come è noto, di prestiti obbligazionari emessi dalle società per cercare finanziamenti. Il ricorso al mercato dei capitali è indubbiamente una strada importante e positiva se imboccata con grande attenzione. Si può ottenere la necessaria liquidità per modernizzare e innovare le strutture produttive e per ampliare il perimetro del mercato. Purtroppo, però, come in molte altre situazioni economiche e finanziarie, l'abuso e la mancanza di oculatezza possono portare a dei veri disastri.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">L'anno scorso le grandi imprese hanno aumentato il loro debito <em>corporate</em> a livello mondiale di ben 3,7 trilioni di dollari. Un nuovo record. Una simile impennata si ebbe nel 2006, alla vigilia della crisi globale. Ora, non si può ignorare che recentemente anche il quotidiano economico tedesco <em>Handelsblatt</em> abbia ammonito il governo e gli investitori tedeschi del rischio dell'esplosione di questa nuova bolla.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">La “miccia” potrebbe essere accesa dall'atteso e progressivo aumento dei tassi di interesse. Negli Usa la bolla dei <em>corporate bond</em> ha raggiunto i 14 trilioni di dollari, superando di molto anche quella delle ipoteche immobiliari, che è di circa 11 trilioni. Perciò gli Stati Uniti potrebbero diventare l'epicentro di un'ulteriore e più grave crisi finanziaria globale.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">Dal 2008 a oggi l'ammontare dei <em>corporate bond</em> è cresciuto negli Usa del 75%, tanto da spingere persino il Fondo Monetario Internazionale a riconoscere che un aumento del tasso di interesse potrebbe far crescere il rischio di collasso per un quinto delle grandi <em>corporation</em> americane.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">Per quello che possa valere, anche le agenzie di <em>rating</em> ammettono un tale rischio soprattutto per le imprese del settore energetico e delle materie prime. Nel 2016 ci sarebbero stati 162 <em>bond default</em> per un totale di 240 miliardi di dollari, pari a più del doppio del livello del 2015 che era stato di 110 miliardi.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">I <em>quantitative easing</em> hanno di fatto permesso alle banche centrali di acquistare una grande quantità di titoli di Stato spingendo nel contempo le banche e gli altri grandi investitori verso il mercato dei <em>corporate bond</em>. Ciò ovviamente è stato molto favorito dalla politica di interesse zero che ha reso i titoli di Stato poco appetibili. Secondo il citato giornale tedesco, il gigante assicurativo <em>Allianz</em>, per esempio, avrebbe in portafoglio ben 250 miliardi di dollari di tali titoli, molti dei quali con un <em>rating</em> a dir poco mediocre.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">Secondo uno studio dell'<em>Institute of International Finance</em>, negli Usa e in Europa il 97% dei fondi resi disponibili per le imprese dai corporate bond sarebbe usato per operazioni di “ingegneria finanziaria” e soltanto un misero 3% verrebbe impiegato per l'acquisto di macchinari o per altri investimenti reali di lungo termine.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">È una palese distorsione, una scelta di vera “finanza creativa” che ha com­portato soprattutto operazioni di fusioni e acquisizioni, di riacqui­sto di quote azionarie e finanche di pagamento dei dividendi. Decisioni fatte solo per migliorare le valutazioni di breve termine in borsa. Infatti a Wall Street l'indice <em>Dow Jones</em> è passato da circa 12.000 punti del 2010 ai 21.000 di oggi! Una crescita assolutamente <em>ingiustificata</em> rispetto all'andamento dell'economia produttiva sottostante.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva;">Il citato studio sottolinea inoltre che, nonostante il fatto che l'attuale tasso di interesse sia inferiore all'1%, circa il 10% delle grandi imprese americane non realizzerebbe profitti sufficienti a coprire i costi del debito.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva;">Ignorare tutto ciò consegnerebbe l'economia e gli Stati a nuove e forse più drammatiche convulsioni sistemiche.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva;">Ci si augura che al recente meeting di Bari i ministri delle Finanze del G7 abbiano affrontato anche questo tema, che non è di certo secondario rispetto alle più grandi politiche di rilancio economico.</span></p>Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-1827327173330662930.post-49634999696119641582017-05-30T13:25:00.001+02:002017-05-30T13:25:57.392+02:00LA TRANSIZIONE ENERGETICA VINCE E GUADAGNA IN POPOLARITÀ<p></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;"><strong>IN SVIZZERA E IN FRANCIA </strong> </span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;"><strong>di Marco Morosini </strong></span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">Due avvenimenti europei dell'ultima settimana danno un segnale politico forte – epocale sotto diversi aspetti. Domenica scorsa “il sovrano” – come gli Svizzeri chiamano il popolo votante – ha preso una decisione storica, votando sì (58%) alla Legge sull'energia. Questa avvia la “Strategia energetica 2050” che mira a dimezzare l'uso pro capite di energia finale, a ridurre gradualmente l'uso di energia atomica e fossile, e a usare in prevalenza energie rinnovabili. Non meno importante del significato ecologico ed economico di questa decisione mi sembrano l'aspetto politico, procedurale e personale.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">La “Strategia energetica 2050” è un caso singolare di catena virtuosa accademia-governo-parti sociali-popolo: dal 1998 i Politecnici federali di Zurigo e di Losanna hanno concepito e motivato ecologicamente e tecnicamente gli obiettivi, mettendo a disposizione di Governo e Par­la­mento il loro <em>policy advice</em> (consulenza politica). Partendo dalla propo­sta dei Politecnici, il Governo ha condotto un processo di consultazione e discussione con tutte le parti sociali, accompagnato da un intenso di­bat­tito nei media e nella popolazione. Ne è scaturita la Legge sull'ener­gia, che è stata modificata e approvata da tutti i partiti in Parlamento (tranne la SVP), e infine sottoposta al giudizio del “sovrano”.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">In questa vicenda mi sembra importante anche l'aspetto personale e istituzionale. La “transizione energetica” svizzera infatti ha una “grande mamma”, perché la “Strategia energetica 2050” è incarnata da una giovane donna, la cristiano-democratica Doris Leuthard, l'esponente politico più popolare in Svizzera. Leuthard non solo è Ministro dell'ambiente e dell'energia, ma anche presidente della Confederazione. Questa combinazione (donna, responsabile dell'ambiente, capo di Stato), la troviamo anche in Germania, dove Angela Merkel è stata Ministra dell'ambiente, è capo del governo e gode di grande popolarità. Prendiamo nota, quindi che in Svizzera e in Germania la “transizione energetica” (<em>Energiewende</em>) ha due <em>madri</em>.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">Una settimana prima, anche dalla Francia è arrivato un segnale forte e peculiare per l'aspetto ecologico, personale e istituzionale. La nomina più applaudita del giovane presidente Macron, è stata quella di Nicolas Hulot, considerato in Francia “Monsieur Environnement” (Il “Signor Ambiente”). Hulot è un esperto e militante ecologista, autore e protagonista televisivo popolare forse come e più di Piero Angela in Italia. Aveva sempre voluto essere al di sopra dei partiti, per potere influenzare l'intera politica di sostenibilità a lungo termine, al di là dei cambi di maggioranza e di colore politico. Era stato consigliere di Presidenti francesi, ma aveva sempre declinato le offerte di un ministero. Martedì scorso ha sorprendentemente accettato di mettere in gioco la sua reputazione, e di diventare uno dei soli tre "Ministre d'Etat" (ambiente, interni e giustizia) del nuovo governo francese. Non solo l'ambiente assurge quindi allo stesso rango degli interni e della giustizia, ma diventa l'oggetto di un nuovo dicastero chiamato “Ministero per la transizione ecologica e solidale”. Anche in Francia la riforma ecologica ed economica più complessa è quella della "Loi sur l'energie" (la legge sull'energia), che mira – come in Svizzera – a un dimezzamento a lungo termine dell'uso di energia e ad una transizione a quelle rinnovabili.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">Per Macron e per Hulot «la sfida è immensa», come Macron spesso dice. Si può sperare che siano “condannati al successo”, perché se uno dei due fallisse, anche la reputazione di innovatore e di enfant prodige dell'altro subirebbe un duro colpo.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">Posso suggerire qualche insegnamento da trarre in questi giorni da Svizzera e Francia? L'energia e la necessità di ridurne l'uso e di renderla più sostenibile comincia ad essere gestita (come dovrebbe) da chi governa l'ambiente e le politiche di sostenibilità, non da chi governa l'economia. La transizione ecologica – di cui la transizione energetica fa parte – è e deve essere in mano ai capi di Stato e ai ministri più “pesanti” nei governi. Leuthard, Macron, Hulot: essere una star politica, primeggiare in televisione e in internet, avere una forte e accattivante personalità, “metterci la faccia”. Perché no, se questa popolarità è al servizio di transizioni epocali?</span></p>Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-1827327173330662930.post-15778482886500579042017-05-16T12:16:00.001+02:002017-05-16T12:16:35.888+02:00Iniziativa internazionale sul debito pubblico<p></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;"><strong>di Mario Lettieri, </strong>già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;"><strong>e Paolo Raimondi, </strong>Economista</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">Dal 2007 a oggi il debito pubblico mondiale è più che raddoppiato, passando da 28,7 a oltre 61 trilioni di dollari. Nello stesso periodo quello americano è triplicato, attualmente è circa un terzo del totale. Ogni cittadino americano ha più di 60.000 dollari di debito pubblico federale sulle sue spalle. Il record mondiale. Si ricordi che in Italia esso è di circa 38.000 euro pro capite.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">Il crescente debito globale è una delle più pericolose minacce di crisi sistemiche.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">Per il momento, però, sono i Paesi più poveri, e quelli impoveriti o a rischio default, ad esserne schiacciati. Finora i potenti della Terra, anche se di fatto sono i più indebitati, hanno avuto la spregiudicatezza e gli strumenti per far pagare il conto agli altri.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">E' perciò significativo che sia la Santa Sede, e non i governi, a portare all'esame delle Nazioni Unite il tema della legittimità del debito pubblico. Certamente si intravede la mano di papa Francesco.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">L'obiettivo, come ci ricorda il professor Raffaele Coppola, direttore del Centro di Ricerca “Renato Beccari” dell'Università di Bari e tra i principali coordinatori dell'iniziativa, è far pronunciare l'Assemblea Generale dell'Onu al fine di legittimare la richiesta di parere alla Corte internazionale di Giustizia dell'Aja sulla gestione del debito internazionale per verificarne le eventuali violazioni dei diritti umani e dei popoli.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">Si pone, quindi, l'esigenza di un'analisi approfondita dei fondamenti sia giuridici che etici della questione del debito. Non può diventare un macigno insostenibile per le popolazioni, né frenare lo sviluppo e limitare l'indipendenza e la sovranità di uno Stato.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">Molti giuristi di varie ispirazioni stanno riflettendo sul problema del pagamento del debito da parte dei Paesi poveri e sullo stato di forza maggiore e di necessità a cui vengono sottoposti. Per lo stato di forza maggiore il non pagamento dipende da un evento incontrollabile da parte dello Stato. Lo stato di necessità, invece, giustificherebbe l'inadempienza quando il pagamento sarebbe troppo gravoso per i cittadini. Chi può pensare di affamare il popolo per pagare a tutti i costi gli interessi sul debito?</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">L'iniziativa presso l'Onu costituirebbe un precedente giuridico su una materia nevralgica per lo sviluppo della globalizzazione e in particolare per il rapporto fra Paesi ricchi e Paesi poveri. Di conseguenza non potranno essere ignorati gli effetti deleteri della finanziarizzazione e della <em>deregulation</em> dell'economia.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva;">La proposta della Santa Sede non è campata in aria ma poggia anche su un precedente importante: la risoluzione 69/319 dell'Onu del 2015 relativa ai cosiddetti “fondi avvoltoio”, cioè quei fondi speculativi che operano in modo aggressivo sul debito dei Paesi in crisi. E' appena il caso di ricordare che essa fu approvata nonostante il parere contrario degli Stati Uniti.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva;">I valori esplicitati nella proposta si ispirano alla Carta di Sant'Agata de' Goti del 1997 nella quale giuristi, uomini di Chiesa, intellettuali e laici misero a punto una serie di principi giuridici per regolare secondo giustizia la questione del debito. In particolare «il divieto di accordi usurari», il rispetto «dell'autodeterminazione dei popoli» e il divieto di «una eccessiva onerosità del debito».</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva;">Intorno all'iniziativa vaticana si sta tessendo un'ampia rete di allean­ze. E' importante in quanto la Santa Sede ha lo status di osservatore alle Nazioni Unite e c'è bisogno che uno Stato presenti, in sua vece, la richiesta di discussione all'Assemblea Generale. E' un ruolo che l'Italia naturalmente potrebbe e dovrebbe assumere. Sull'argomento pare esista già un'intesa di massima con il governo italiano.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva;">Ricordiamo che l'Italia ha già avuto un ruolo meritorio nel 2000 quando il Parlamento approvò la legge 209 relativa alle «Misure per la riduzione del debito estero dei Paesi a più basso reddito e maggiormente indebitati». Il significativo provvedimento nacque sull'onda del Giubileo promosso da Giovanni Paolo II durante il quale fu lanciata la campagna per l'abbattimento del debito dei Paesi poveri.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva;">Al riguardo si ricordi l'articolo 7 della citata legge che recita: «Il Governo, nell'ambito delle istituzioni internazionali, competenti, propone l'avvio delle procedure necessarie per la richiesta di parere alla Corte internazionale di giustizia sulla coerenza tra le regole internazionali che disciplinano il debito estero dei Paesi in via di sviluppo e il quadro dei principi generali del diritto e dei diritti dell'uomo e dei popoli». E' esattamente l'obiettivo della Santa Sede.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva;">In merito l'Italia, non solo per il rispetto della sua legge ma anche per la sua indiscussa sensibilità per le problematiche dei Paesi in via di sviluppo, può davvero svolgere un ruolo incisivo a partire dal prossimo G7 di Taormina.</span></p>Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-1827327173330662930.post-73605270950569379972017-05-09T14:28:00.001+02:002017-05-09T14:28:17.627+02:00La separazione bancaria approda alla Camera<p class="ox-7fc189b6ba-MsoNormal"><span style="font-family: verdana,geneva,sans-serif; font-size: 12pt;"><strong><em>Si torna alla "Glass-Steagall"? La Commissione Finanze della Camera ha iniziato la discussione sulle proposte di legge relative </em></strong></span></p><p class="ox-7fc189b6ba-MsoNormal"><span style="font-family: verdana,geneva,sans-serif; font-size: 12pt;"><strong><em>alla separazione tra banche ordinarie e banche d'affari. Le varie proposte sono accomunate dalla medesima finalità fondamentale, </em></strong></span></p><p class="ox-7fc189b6ba-MsoNormal"><span style="font-family: verdana,geneva,sans-serif; font-size: 12pt;"><strong><em>la salvaguardia e la tutela del risparmio dei cittadini. </em></strong></span></p><p class="ox-7fc189b6ba-MsoNormal"><span style="font-family: verdana,geneva,sans-serif; font-size: 12pt;"><strong>di Mario Lettieri, </strong>già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)</span></p><p class="ox-7fc189b6ba-MsoNormal"><span style="font-family: verdana,geneva,sans-serif; font-size: 12pt;"><strong>e Paolo Raimondi, </strong>Economista</span></p><p class="ox-7fc189b6ba-MsoNormal"><span style="font-family: verdana,geneva,sans-serif; font-size: 12pt;">In generale le banche che svolgono attività di "commercio in proprio" di strumenti finanziari non dovrebbero svolgere anche le attività di raccolta del risparmio tra il pubblico né effettuare l'esercizio del credito.</span></p><p class="ox-7fc189b6ba-MsoNormal"><span style="font-family: verdana,geneva,sans-serif; font-size: 12pt;">    In alcune proposte opportunamente si fa riferimento alla legge Glass-Steagall che venne introdotta negli Usa dal presidente Roosevelt nel 1933 per combattere la speculazione e impedire l'utilizzo del risparmio delle famiglie in operazioni ad alto rischio da parte delle banche.</span></p><p class="ox-7fc189b6ba-MsoNormal"><span style="font-family: verdana,geneva,sans-serif; font-size: 12pt;"><span style="color: rgb(35, 35, 35);">    Il tema della separazione è diventato da tempo oggetto di discussione a livello mondiale, ma in Italia si è imposto soprattutto dopo il</span> gennaio 2016 quando i governi europei, anche il nostro, hanno sottoscritto l'obbligo di applicare il "bail in" in caso di dissesti bancari. Per coprire i buchi dei fallimenti bancari la nuova norma impone di rivalersi sugli azionisti, sugli obbligazionisti e sui depositi oltre i 100.000 euro.</span></p><p class="ox-7fc189b6ba-MsoNormal"><span style="font-family: verdana,geneva,sans-serif; font-size: 12pt;">    È il passo obbligato dopo l'approvazione del decreto legge relativo alle "Disposizioni urgenti per la tutela del risparmio nel settore creditizio". C'è da sperare che la Camera concluda in tempi brevi l'iter legislativo del provvedimento in questione.</span></p><p class="ox-7fc189b6ba-MsoNormal"><span style="font-family: verdana,geneva,sans-serif; font-size: 12pt;">    Intanto i dati riguardanti la salute del sistema bancario, evidenziati dalla Banca d'Italia, devono far riflettere.  Si evince che il 70% delle sofferenze bancarie, pari a 140 miliardi di euro su un totale di 210, è in mano al 3% dei debitori! Il che significa che il restante 97% dei debitori detiene solo il 30% delle sofferenze bancarie.</span></p><p class="ox-7fc189b6ba-MsoNormal"><span style="font-family: verdana,geneva,sans-serif; font-size: 12pt;">    Non possono essere, quindi, le famiglie e le pmi a pagare per le sofferenze succitate. I responsabili sono i grandi gruppi e le grandi imprese. È chiaro che le sofferenze sono state determinate dai prestiti facilmente concessi a chi evidentemente <em>ex ante</em> non era degno di credito. Continuiamo a ritenere indispensabile il puntuale accertamento delle responsabilità specifiche degli amministratori e del management delle singole banche.</span></p><p class="ox-7fc189b6ba-MsoNormal"><span style="font-family: verdana,geneva,sans-serif; font-size: 12pt;">    Le perdite accumulate dalle cinque banche a rischio fallimento, <em>in primis</em> il Monte dei Paschi di Siena, sfiorano i 20 miliardi di euro, quasi pari a una manovra finanziaria. Purtroppo si calcola che dal 2013 i risparmiatori abbiano perso almeno 30 miliardi dei loro risparmi, più di 10 miliardi sarebbero stati persi solo dai 200 mila azionisti delle due banche popolari venete. </span></p><p class="ox-7fc189b6ba-MsoNormal"><span style="font-family: verdana,geneva,sans-serif; font-size: 12pt;">    Rispetto al problema delle sofferenze il governo e le autorità sembrano navigare ancora a vista. Secondo noi, bisognerebbe considerare le esperienze altrui. In Germania, per esempio, nel caso della <em>Erste Abwicklungsanstalt</em>, l'agenzia centrale creata per far fronte alle sofferenze bancarie tedesche, lo Stato ha recuperato quasi tutti i 246 miliardi di <em>non performing loans</em>. Berlino non solo ha fatto una rigorosa analisi delle cause ma ha anche accertato le responsabilità. Naturalmente sono state realizzate le opportune politiche per la crescita dell'economia reale. </span></p><p class="ox-7fc189b6ba-MsoNormal"><span style="font-family: verdana,geneva,sans-serif; font-size: 12pt;">    Si ricordi che, dopo l'esplosione della crisi finanziaria globale, per stabilizzare i relativi sistemi bancari nazionali, la Germania spese 238 miliardi, la Spagna 52 e gli Stati Uniti 426. Purtroppo l'Italia non si attivò in merito prima dell'entrata del bail in.</span></p><p class="ox-7fc189b6ba-MsoNormal"><span style="font-family: verdana,geneva,sans-serif; font-size: 12pt;">    In conclusione si può affermare che, eliminate le varie degenerazioni, il sistema bancario italiano non sarebbe in pessime condizioni. Infatti il livello degli impieghi sul totale degli attivi, cioè i prestiti che le banche fanno sul totale delle loro attività, è quasi del 70%, mentre in Germania sarebbe del 56%. Inoltre i livelli dei derivati in Italia, sul totale degli attivi, sono meno del 10% a fronte di una media Ue del 20%, mentre in Germania essi arrivano al 34%.  </span></p><p class="ox-7fc189b6ba-MsoNormal"><span style="font-family: verdana,geneva,sans-serif; font-size: 12pt;">    L'argomento della separazione bancaria e della difesa del risparmio è troppo importante perché diventi materia per un ulteriore scontro elettorale ed ideologico. Potrebbe invece diventare un campo di fruttuosa cooperazione, mostrando che il bene comune è superiore agli interessi partitici o di bottega. Sarebbe anche un modo concreto per mostrare che in Italia vi sono anche degli statisti e non solo dei politicanti.  </span></p>Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-1827327173330662930.post-49294886162460075162017-05-02T16:16:00.001+02:002017-05-02T16:16:09.784+02:00Ritorna lo spettro del protezionismo e della guerra commerciale?<p></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;"><strong>di Mario Lettieri, </strong>già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;"><strong>e Paolo Raimondi, </strong>Economista</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;"> </span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">Mentre si aspetta ancora di conoscere come intende realizzare il suo annunciato piano di investimenti di mille miliardi di dollari per le infrastrutture, Trump ha dato inizio alla sua politica protezionista dell’ “America First ”che rischia di sconvolgere l’intero sistema com­mer­ciale mondiale.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">Ha già firmato due decreti esecutivi per rivedere la politica com­mer­ciale finora attuata e osteggiare i partner responsabili degli enormi de­ficit. Come è noto, nel 2016 il deficit è stato di 500 miliardi di dollari.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">Preoccupante, in verità, è la parte relativa ai settori manifatturieri che ammonta a oltre 750 miliardi, di cui 347 nei confronti della Cina! E’ stato un trend decennale. Ovviamente ciò ha inciso non poco sui livelli occupazionali. Secondo l’Ufficio di statistica dal 2001 si sarebbero persi ben sei milioni di posti di lavoro nelle sole attività manifatturiere.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">Secondo Trump il deficit con Cina, Giappone, Messico ed Europa è provocato dal fatto che questi Paesi hanno approfittato della di­spo­ni­bi­lità degli Stati Uniti. Perciò propone nuovi dazi e tariffe.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">Le misure protezionistiche, combinate con la promozione delle pro­du­zioni nazionali e del consumo <em>made in Usa</em>, sono una que­stio­ne e­stre­mamente complessa. Una cosa è operare attraverso il sostegno agli investimenti, altra è l’imposizione di dazi verso il resto del mondo.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">Probabilmente una certa forma di protezionismo potrebbe temporaneamente essere accettabile per l’economia di un Paese in via di sviluppo. Ma gli Stati Uniti d’America e il dollaro, invece, a livello mondiale rappresentano l’economia e la moneta dominanti in grado di determinare ogni rapporto commerciale e monetario. Perciò i dazi potrebbero scatenare una guerra commerciale.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">Secondo Wilbur Ross, il nuovo segretario per il Commercio, saremmo "già in una guerra commerciale" e con un’immagine militaristica ha aggiunto: "Lo siamo stati per decenni. La sola differenza è che i nostri soldati stanno finalmente arrivando al bastione. Non abbiamo un deficit commerciale per caso".</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">Intanto Trump ha stracciato i due trattati commerciali, quello con il Pacifico e quello con l’Unione europea, anziché cercare un condiviso modus operandi.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">E’ il caso di ricordare che il deficit commerciale americano ha origini lontane. Comincia nel 1975, quando la Cina era ancora un Paese agricolo del terzo mondo, con poche manifatture e senza export. Negli Usa allora c’era la spinta verso la progressiva finanziarizzazione dell’economia nel contesto del processo di globalizzazione. Invece di sviluppare le attività manifatturiere e le nuove tecnologie, nei settori dell’energia, ad esempio, si preferì importare petrolio dai grandi produttori, quali l’Arabia Saudita.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">L’accordo di libero scambio del Nafta con il Messico e il Canada del 1994 fu promosso dalle grandi industrie e dalle banche americane che preferivano de localizzare le loro produzioni industriali nelle terribili <em>maquilladoras</em> messicane, città di confine dove si produceva a prezzi stracciati, sfruttando al massimo il lavoro quasi schiavistico e per niente sindacalizzato. Successivamente un processo simile è stato avviato anche con la Cina, che si è assunta l’impegno di acquistare i titoli di stato americani emessi per sostenere i deficit commerciali di Washington. Ancora oggi Pechino detiene oltre mille miliardi di dollari di <em>Treasury bond</em>.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">La storia insegna che, in un mondo globalizzato, la politica protezionistica provoca effetti negativi anche per il Paese che la inizia.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">Così avvenne dopo il crac borsistico del ’29, quando gli Usa approvarono la legge <em>Smoot-Hawley Tariff</em> che impose misure e dazi protezionistici alle importazioni di prodotti esteri, accelerando la Grande Depressione.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva;">Di conseguenza dal 1929 al 1933 il commercio mondiale si ridusse di due terzi, da 5,3 a 1,8 miliardi di dollari.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva;">Le prospettive, quindi, sono piuttosto preoccupanti, per l’Europa e per l’Italia. L’Amministrazione di Washington sembra voglia già imporre dazi su alcuni prodotti europei, dagli scooter Vespa all’acqua minerale San Pellegrino e Perrier, fino ai formaggi più noti, ecc.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva;">La Cina, essendo un colosso economico e politico, è in grado di trovare i necessari accomodamenti commerciali con gli Usa. Ma l’Europa, divisa e senza una vera politica economica unitaria, è purtroppo assai debole rispetto alle scelte e alle imposizioni americane. E rischia di pagare il conto più salato.</span></p>Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-1827327173330662930.post-71714574976571352492017-04-18T15:31:00.001+02:002017-04-18T15:31:10.923+02:00Derivati senza controlli<p></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;"><strong>di Mario Lettieri</strong>, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">e <strong>Paolo Raimondi</strong>, Economista</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">La Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea ha recentemente pubblicato due studi sui mercati dei derivati otc in cui evidenzia che il loro valore nozionale è salito in sei mesi, dal dicembre 2015 al giugno 2016, da 493 a 544 trilioni di dollari. E’ un’impennata significativa che interrompe la tendenza decrescente iniziata nel 2013, quando la montagna dei derivati aveva raggiunto la vetta di 710 trilioni!</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    Il dato più preoccupante è quello relativo al cosiddetto “gross market value” degli otc che nel periodo indicato è letteralmente esploso, pas­san­do da 14,5 a 20,7 trilioni di dollari, valore che sta ad indicare il co­sto per rimpiazzare al prezzo di mercato tutti i contratti aperti. Tale au­mento riflette la grande tensione in certi settori, soprattutto quello dei cambi monetari dove i derivati relativi alla sterlina e allo yen sono più che raddoppiati a seguito delle significative oscillazioni delle due valu­te. Nei citati sei mesi lo yen si è apprezzato del 15% rispetto al dol­laro, mentre la sterlina ha perso il 10%. Sono segnali di grande instabilità.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    La crescita dei mercati dei derivati va di nuovo di pari passo con la loro opacità. E’ l’effetto visibile e misurabile del progressivo svuotamento delle regole per contenere i fenomeni speculativi, in vigore durante l’Amministrazione Obama.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    In merito, anche Aitan Goelman, ex presidente della <em>Commodity Futures Trading Commission</em> (CFTC), l’agenzia americana che dovrebbe regolare le operazioni in derivati finanziari, ha dichiarato che vi sarebbe una "massiccia quantità di comportamenti irregolari" nel mercato dei <em>futures</em>, delle <em>options</em> e degli <em>swaps</em>, i vari nomi con cui si distinguono i derivati, troppo spesso speculativi.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    Negli Usa ogni giorno vengono registrati circa 325 milioni di opera­zioni in derivati finanziari, di cui non poche sono truffaldine. Infatti, le manipolazioni spesso comportano l’uso di <em>insider trading</em>, di finan­zia­menti senza copertura, di capitali non propri, di piramidi finanziarie e di ordini fatti senza l’intenzione di portarli a termine. Secondo Goel­man la CFTC è a conoscenza di molte frodi ma non riesce a com­bat­ter­le efficacemente per mancanza di mezzi e di fondi. Ha un budget an­nua­le di 250 milioni di dollari di cui soltanto il 20% per la lotta alle frodi. Di conseguenza almeno due terzi dei casi sospetti non vengono neanche indagati.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    Una storia “molto italiana”. Nel nostro Paese le lungaggini della giustizia generano innumerevoli prescrizioni che creano impunità e sfiducia diffusa.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    Anche in Europa le operazioni in derivati da parte delle banche sono state troppo consentite. La Bce è stata molto tollerante verso le banche, soprattutto verso la <em>Deutsche Bank</em> che negli anni è incredibilmente diventata <em>leader</em> mondiale nei mercati otc.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    Per ben due volte, nel 2014 e nel 2016, la Bce avrebbe omesso di valutare il rischio dei derivati cosiddetti “Livello 3”. Questi titoli non hanno un prezzo affidabile in quanto vengono trattati fuori dai mercati regolamentati. Per esempio, a fine 2015 alla banca tedesca sarebbe stato permesso di iscrivere a bilancio tali titoli per un valore di ben 31 miliardi di euro.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    La Bce non sarebbe stata in grado di dare una credibile valutazione dei titoli in questione per mancanza delle necessarie competenze e degli indispensabili sofisticati software. Che, guarda caso, avrebbero soltanto gli stessi inventori dei derivati otc, cioè le grandi banche come la Goldman Sachs. Non si può pretendere da loro una corretta valutazione. Sarebbe come affidare ai lupi la protezione del gregge!</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    In Europa il permissivismo verso i derivati riflette, purtroppo, anche la decisione delle banche di non far fluire la liquidità verso l’economia reale e l’imprenditoria produttiva. I dati parlano chiaro. Secondo uno studio dell’agenzia Bloomberg, le banche europee hanno depositato circa 1,16 trilioni di dollari presso la Bce, anche senza ricevere alcun interesse. Spesso sono soldi ricevuti dalla stessa Bce che acquista titoli di stato dei Paesi europei e altri titoli in possesso delle stesse banche.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    Nonostante la Bce abbia immesso nel sistema finanziario europeo 1,8 trilioni di dollari, i finanziamenti da parte delle banche verso l’economia, nel periodo del <em>Qe</em> sono aumentati di appena 175 miliardi, restando comunque ben al di sotto del livello del 2012.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    Sembra di raccontare una storia vecchia e ripetuta. Essendoci ancora il rischio di nuove crisi sistemiche, meglio non tacere, per non trovarsi ancora una volta impreparati.</span></p>Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-1827327173330662930.post-30299365515800672752017-03-30T16:52:00.001+02:002017-03-30T16:52:50.357+02:00The Government - La più chiacchierata banca d’affari americana all’arrembaggio dell’Amministrazione Trump<p></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;"><strong>di Mario Lettieri</strong>, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">e <strong>Paolo Raimondi</strong>, Economista</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">Molti negli Usa si riferiscono all’amministrazione Trump con l’appellativo “Government Sachs” in quanto ha imbarcato un numero impressionante di personaggi che, in vario modo, hanno lavorato o collaborato con Goldman Sachs, la più chiacchierata banca d’affari americana.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">Dall’esplosione della crisi globale la banca ha scalato molte posizioni nella lista delle banche americane più esposte in derivati finanziari <em>over the counter</em> fino a conquistare la terza posizione con oltre 45,5 trilioni di dollari di valore nozionale.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">Rispetto alle prime due, la Citigroup e la JP Morgan Chase, c’è una “piccola” differenza. Essa vanta il peggiore rapporto in assoluto tra il valore dei derivati e gli asset (gli attivi), che sono soltanto 880 miliardi di dollari. Il che significa che per ogni dollaro di asset, la GS ha quasi 52 dollari di derivati, mentre la Citigroup ne ha 28,5 e la JP Morgan 20. Per cui, se queste due ultime non navigano in mari tranquilli, per la GS il mare rischia di essere sempre in burrasca.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">Sono dati significativi quanto preoccupanti tanto che anche <em>l’Office of the Comptroller of the Currency</em> (OCC), l’agenzia di controllo delle banche americane, a fine settembre 2016 ha affermato che il rapporto tra l’esposizione dei crediti e il capitale di base <em>(credit exposure to risk-based capital</em>) era del 433% per Goldman Sachs, rispetto al 216% della JP Morgan e al 68% della Bank of America.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">Sempre secondo il citato rapporto, sei anni dopo l’entrata in vigore della riforma finanziaria Dodd-Frank, che obbligava le banche a sottoscrivere tutti i contratti derivati attraverso piattaforme regolamentate, la GS mantiene ancora il 76% dei suoi derivati in otc non regolamentati. Si tratta della percentuale più alta tra tutte le banche quotate a Wall Street.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">Come è noto l’opacità dei derivati otc ha giocato un ruolo determinante nella crisi finanziaria, in quanto le banche in quel periodo avevano in gran parte sospeso di farsi credito reciprocamente sospettando buchi nascosti. Di conseguenza le stesse hanno cercato di garantirsi contro eventuali crolli accendendo polizze presso le grandi assicurazioni, in particolare con il gigante AIG.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">Solo di recente è diventato noto che circa la metà dei 185 miliardi di dollari versati dal governo americano per salvare la citata AIG è andata a beneficio delle grandi banche “too big to fail”. Infatti la GS ne avrebbe ricevuti ben 12,9 miliardi.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">Crediamo non debba sorprendere il fatto che la GS sia sempre stata al centro delle grandi indagini per far emergere i responsabili della crisi globale, né tanto meno il conoscere che la banca sia stata in prima fila nel tentativo di bloccare tutte le riforme del sistema bancario e finanziario americano.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">E’ sorprendente, invece, che il presidente Trump continui a reclutare molti dei suoi uomini tra gli ex leader della GS. Da ultimo il suo team economico si è “arricchito” con l’arrivo di Dina Power, presidente della Fondazione della Goldman Sachs.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">Ma la nomina più provocatoria indubbiamente è quella di Jay Clayton a capo della <em>Security Exchange Commission</em> (SEC), l’agenzia governativa preposta al controllo della borsa valori, l’equivalente della nostra Consob. Clayton è un importante avvocato che ha lavorato per la GS, cosa che la di lui moglie fa ancora.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">Si tratta della stessa SEC che ha multato più volte Goldman Sachs per operazioni illegali di vario tipo: nel 2010 una multa di 550 milioni di dollari per operazioni fraudolente con titoli tossici immobiliari subprime e un’altra di 11 milioni nel 2012 perché alcuni suoi analisti avevano segretamente favorito dei clienti ben selezionati.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">Anche la <em>Federal Reserve</em> nell’agosto 2016 le ha inflitto una sanzione di 36,3 milioni di dollari per aver usato informazioni confidenziali risultanti da operazioni di controllo fatte dalla stessa Fed. Per non dire della condanna a pagare 120 milioni per manipolazioni fatte sui tassi di interesse comminata nel dicembre dell’anno scorso dalla <em>Commodity Futures Trading Commission</em> (CFTC), l’agenzia che ha il compito di controllare le borse delle merci e delle relative operazioni in derivati finanziari.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva;">Non è un caso, quindi, che nelle settimane passate alcuni senatori americani abbiano chiesto alla Goldman Sachs di rendere pubbliche le sue attività di lobby contro la legge di riforma Dodd-Frank e di conoscere l’ammontare dei profitti risultanti dalla sua cancellazione. Si ricordi che tra i primi provvedimenti del presidente Trump c’è stata l’abrogazione della citata legge.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva;"><em><span style="font-style: normal;">Evidentemente, purtroppo, il presidente americano ha dimenticato quando da lui stesso detto qualche settimana fa: "Per troppo tempo, un piccolo gruppo nella capitale della nostra nazione ha raccolto i compensi governativi, mentre la gente ne ha sostenuto le spese. Washington ha prosperato, tuttavia il popolo non ha condiviso la sua ricchezza". E’ il classico esempio di quanta distanza a volte c’è tra il dire e il fare. </span></em></span></p>Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-1827327173330662930.post-49250255084620588502017-03-23T15:23:00.001+01:002017-03-23T15:23:36.280+01:00Il debito pubblico italiano e la globalizzazione senza regole<p></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;"><strong><em>Tutti si sentono autorizzati a chiedere riforme strutturali, rientri veloci, tagli ed austerità. Gli ultimi dati indicano che il rapporto </em></strong></span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;"><strong><em>del debito pubblico italiano rispetto al pil è intorno al 133%.</em></strong></span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;"><strong>di Mario Lettieri</strong>, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">e <strong>Paolo Raimondi</strong>, Economista</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">Il debito pubblico italiano è sempre al centro di tutte le discussioni relative al ruolo dell’Italia nell’Unione europea. Anche se siamo stati tra i fondatori dell’Unione, più di un governo europeo ci vorrebbe relegati nel secondo o addirittura nel terzo girone.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    Gli ultimi dati indicano che il rapporto del debito pubblico italiano rispetto al pil è intorno al 133%. Di conseguenza, tutti si sentono autorizzati a chiedere riforme strutturali, rientri veloci, tagli ed austerità, fino a sollecitare forti sanzioni finanziarie per il mancato rispetto dei parametri di Maastricht.                                                     </span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    L’andamento del nostro debito pubblico nei decenni passati è sem­pre stato in aumento per una serie di motivi negativi, politici ed ammi­nistrativi, che ancora oggi necessitano di essere affrontati e corretti.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    Noi, però, dobbiamo anche evidenziare come la speculazione finanziaria internazionale, esplosa in alcuni momenti cruciali della nostra storia, ha inferto delle tremende accelerazioni nella crescita del debito pubblico, portandolo così fuori dai normali canali istituzionali.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    Il primo grande attacco speculativo contro la lira avvenne nel 1992. Era parte del più vasto attacco contro il Sistema Monetario Europeo (Sme). Lo Sme doveva preparare con maggior attenzione e con una velocità moderata, il processo di cooperazione e di unione europea, anche nel campo monetario e finanziario.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    Come è noto, in Italia l’attacco speculativo era combinato con la pressione internazionale verso la privatizzazione delle imprese a partecipazione statale. Ovviamente non vi fu solo la spinta internazionale… Alla fine, con la massiccia svalutazione della lira, vi fu una vera e propria <em>svendita</em> delle aziende pubbliche.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    L’effetto sul debito pubblico fu devastante. Il rapporto debito/pil, che era di 105,4% nel 1992, salì al 115,6% nel 1993 fino a raggiungere 121,8% nel 1994.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    Sotto la pressione dei mercati i tassi di interesse sui titoli di stato salirono notevolmente, aggravando ulteriormente l’andamento del debito pubblico.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    Fu necessario un enorme sforzo, sia per la ripresa economica che per i tagli della spesa pubblica, per ridimensionare i tassi. Anche l’entrata nell’euro incise nel rapporto debito/pil che scese intorno al 103% nel 2004 e nel 2007-08.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    Poi la crisi finanziaria globale, partita dagli Usa, investì il mondo intero, e <em>in primis</em> l’Europa, colpendo tutti i settori economici, bancari e commerciali provocando pesanti crolli nelle produzioni ed enormi salvataggi pubblici delle banche a rischio bancarotta. In Italia il rapporto debito/pil schizzò dal 103,6% del 2007 al 116,0% del 2009. </span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    L’altra impennata più recente si è registrata nel 2011 a seguito del­l’attacco speculativo contro l’Italia, che portò lo <em>spread</em> a oltre 500 punti (5%) sopra il tasso di interesse del <em>Bund</em> decennale tedesco, con effetti pesanti per gli interessi dei titoli di stato italiani. Come noto, la crisi determinò anche mutamenti negli assetti di governo. Per fortuna l’attacco si fermò: nel preciso momento in cui Mario Draghi, pre­si­dente della Bce, dichiarò che avrebbe utilizzato tutti i mezzi necessari nella difesa dell’euro. Il famoso “whatever it takes”.</span></p><p><span style="font-size: 12pt;">    Ma il rapporto debito/pil, che nel 2011 era del 120,7%, schizzò al 127,0% l’anno successivo.</span></p><p><span style="font-size: 12pt;">    Si stima che le grandi banche internazionali, in particolare quelle europee, nel pieno di quelle turbolenze finanziarie abbiano venduto non meno di 200 miliardi di euro di titoli di Stato italiani. E’ difficile dare una valutazione precisa, ma non si è lontani dalla verità se si af­ferma che siano state coinvolte anche certe banche tedesche e francesi, quelle stesse che in precedenza erano state salvate dai rispettivi governi.</span></p><p><span style="font-size: 12pt;">    E’ da ipocriti affermare in Europa o in Italia che la speculazione attacca chi se lo merita per un'endogena debolezza economica di cui si è i soli responsabili. Si dimentica che un’economia più debole deve an­che fare degli sforzi enormi per recuperare le perdite generate da una crisi a volte provocata da altri.</span></p><p><span style="font-size: 12pt;">    I dati e le stesse discussioni ci dicono che c’è ancora molto da fare. Nelle sedi europee non servono né l’ottimismo di maniera né la classi­ca voce grossa. In quelle sedi non solo bisogna evidenziare che il nostro Paese, a seguito dei ripetuti attacchi speculativi, ha subito un ag­gravamento del rapporto debito/pil non inferiore al 30%, ma soprat­tut­to far comprendere che è il momento di decidere che gli investimenti non possono essere sottoposti a un irrazionale principio di austerità che, anziché lenire, aggrava i malanni di un Paese.</span></p>Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-1827327173330662930.post-54926381372796515162017-03-11T14:17:00.001+01:002017-03-11T14:17:33.720+01:00L’Italia e le nuove Vie della Seta<div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><b class=""><i class=""><font face="Verdana" class="">Con la recente visita del presidente Sergio Mattarella l'Italia e la Cina si impegnano a promuovere una cooperazione a tutto campo</font></i></b></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><o:p class=""><font face="Verdana" class=""> </font></o:p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""><b class="">di Mario Lettieri</b>, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)<o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class="">e <b class="">Paolo Raimondi</b>, Economista<o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><o:p class=""><font face="Verdana" class=""> </font></o:p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class="">La Via della Seta è nel dna dell'Italia. Non è un caso che furono italiani, in particolare Marco Polo e il padre gesuita Matteo Ricci, a far conoscere la Cina in un'Europa che coniugava il localismo con le ambizioni colonialiste. <o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""> Con la recente visita del presidente Sergio Mattarella l'Italia e la Cina si impegnano a promuovere una cooperazione a tutto campo, a cominciare dalla fattiva partecipazione alla realizzazione del grande progetto infrastrutturale "One Belt One Road" (OBOR), cioè la Nuova Via della Seta, sia terrestre che marittima. <o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""> Le ricadute in campo industriale, tecnologico, occupazionale e, evidentemente, anche geopolitico potrebbero essere veramente rilevanti per il nostro Paese. <o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""> Per cominciare, la delegazione imprenditoriale italiana ritorna con un carnet di accordi economici per oltre 5 miliardi di euro nei settori più disparati, dall'agroalimentare all'esplorazione dello spazio, dai trasporti alle nuove tecnologie, dalla ricerca alla cultura.<o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""> Ma è proprio il progetto OBOR a rappresentare la grande sfida soprattutto per l'Italia, che, come ha ribadito il presidente Cinese Xi Jinping, "offre vantaggi imparagonabili quale porta tra Oriente e Occidente". L'OBOR prevede la costruzione di una serie impressionante di infrastrutture, tra ferrovie, autostrade, porti e snodi logistici. <o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""> Le sfide per l'Italia sono anzitutto poste al "sistema Paese", visto che spesso le individualità non mancano. Il governo italiano e le relative istituzioni dovrebbero muoversi in modo organico e strutturato sui mercati internazionali. <o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""> Le visite istituzionali "apripista" sono essenziali, ma il vero "sistema Paese" lo si vede dopo, quando, nel tempo, deve mettere in campo in modo efficace, continuo e non burocratico le varie strutture di sostegno agli investimenti, al credito, all'export, ecc. <o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""> Lo stato italiano, in verità, ha già un ventaglio completo di enti mirati a questi servizi, ma troppo spesso i nostri imprenditori si lamentano della loro inefficacia, tanto da preferire a volte che non si intromettano nel business perché creerebbero più impicci e ritardi che aiuti. <o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""> La nostra forza sta nelle Pmi, soprattutto quelle dell'alta e della nuova tecnologia. Agevolare e sostenere la formazione di reti di imprese, che sappiano muoversi in modo efficace nei mercati internazionali, dovrebbe essere l'impegno principale e costante. In questo campo, noi riteniamo che il modus operandi della Germania sia quello vincente. Le industrie tedesche, grandi e piccole, si muovono costantemente nel mondo per sottoscrivere importanti contratti, sempre affiancate dal governo e dalla banca nazionale di sviluppo KFW, che è l'equivalente della nostra Cassa Depositi e Prestiti. <o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""> Non si dimentichi che partecipare alla realizzazione delle Nuove Vie della Seta significa essere coinvolti in un progetto epocale, straordinario, di corridoi di trasporto, di sviluppo e di urbanizzazione che richiedono la capacità di lavorare in settori complessi e multifunzionali. Infatti esse coinvolgeranno direttamente numerosi Paesi con un mercato vastissimo, prevedendo una crescita della classe media di ben tre miliardi di persone entro il 2050 e un aumento del commercio mondiale di ben 2.500 miliardi di dollari in dieci anni.<o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""> Il corridoio marittimo collegherà la Cina con l'Europa passando attraverso il rinnovato Canale di Suez. Perciò il Pireo dovrebbe diventare un importante hub logistico. Ma l'aspetto più importante verterà intorno al ruolo di cerniera giocato dal Mediterraneo. Al riguardo il nostro Mezzogiorno, con i suoi porti e attraverso lo sviluppo delle autostrade del mare, potrebbe davvero diventare lo snodo dei collegamenti verso il nord dell'Europa e, sotto molti aspetti anche più rilevanti, verso l'intero continente africano. <o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""> Si tenga presente anche il fatto che la Cina da tempo sta lavorando per connettere il citato OBOR con il corridoio infrastrutturale russo, il TransEurasian Belt of Development, conosciuto come "Progetto Razvitie", che collega l'Europa con Mosca fino al porto strategico di Vladivostok sull'Oceano Pacifico. Infatti, la città russa di Kazan sta diventando lo snodo centrale di collegamento tra i due corridoi.<o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""> Questi progetti intercontinentali di sviluppo infrastrutturale richiedono ovviamente grandi linee di credito e notevoli finanziamenti. La Cina, di conseguenza, ha già creato l'Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB), a cui anche l'Italia e altri 50 Paesi hanno aderito. Questa banca sarà essenziale per i necessari finanziamenti ma, speriamo, potrebbe diventare promotrice di nuove forme di finanza produttiva e non speculativa. <o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""> E' certo che il legame tra un differente sistema bancario e finanziario e lo sviluppo reale dell'economia potrebbe gettare le basi per un nuovo e più equo sistema finanziario e monetario internazionale. <o:p class=""></o:p></font></div> <div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;" class=""><font face="Verdana" class=""> In definitiva, anche per gli stretti legami storici, culturali e "di simpatia" tra Cina e Italia, il nostro Paese potrebbe diventare l'attore privilegiato nei rapporti tra Cina ed Europa. E' una prospettiva strategica quanto mai entusiasmante.</font></div> Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-1827327173330662930.post-84858707264934971852017-02-13T15:55:00.001+01:002017-02-13T15:55:26.954+01:00Con Trump le banche tornano libere di speculare?<p></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;"><strong>di Mario Lettieri</strong>, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">e <strong>Paolo Raimondi</strong>, Economista</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">A meno di due settimane dalla sua nomina, con un sorprendente “Executive Order On Core Principles for Regulating the United States Financial System”, il presidente Donald Trump ha cancellato la riforma di Wall Street e del mercato finanziario americano conosciuta come “Dodd-Frank Act”.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    Le grandi banche “too big to fail” potranno da oggi tornare ad operare come prima delle crisi globale del 2008, senza restrizioni, senza regole e senza controlli più stringenti.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    Questa decisione potrebbe avere delle ripercussioni pericolose e devastanti sul fronte economico e finanziario internazionale, soprattutto in Europa.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    La Dodd-Frank, voluta da Obama dopo il fallimento della Lehman Brothers, avrebbe dovuto mettere dei freni alle operazioni finanziarie più rischiose. Tra le restrizioni previste c’era quella specifica di mantenere le operazioni speculative entro un limite percentuale delle loro attività. Erano previsti inoltre maggiori controlli per le banche con 50 miliardi di dollari di capitale che venivano considerate di “rischio sistemico”.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    Pur non essendo una legge perfetta essa era stata, anche se parziale, una risposta alla crisi.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    Come prevedibile, dopo la sua introduzione, il sistema bancario americano ha operato in modo sistematico e continuo per neutralizzarla.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    Adesso, con un colpo di penna, Trump, che già in passato l’aveva definita “un disastro che ha danneggiato lo spirito imprenditoriale americano”, la abroga!</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    Lo abbiamo scritto qualche settimana fa quando Trump indicò Steve Mnuchin come suo ministro delle Tesoro. Ci sembrò che l’arrivo nell’Amministrazione di ex grandi banchieri avrebbe potuto significare una sicura involuzione a favore dei mercati finanziari.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    Mnuchin è stato a capo della Goldman Sachs, una della banche più aggressive nel mondo della finanza. Non solo, nella nuova Amministrazione sono stati imbarcati altri grandi banchieri, tra questi Gary Cohn, ex Goldman Sachs, come direttore del Consiglio economico della Casa Bianca, e Wilbur Ross, ex capo della filiale americana della banca Rothschild, come capo del Dipartimento del Commercio.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    La decisione di Trump è arrivata dopo il primo incontro del cosiddetto “Strategic and Policy Forum”, che è il suo gruppo di consiglieri privati, tra i quali Jamie Dimon, capo della JP Morgan e Gary Cohn. Quest’ultimo più volte ha dichiarato che le banche americane continueranno ad avere una posizione dominate nei mercati finanziari internazionali “fintanto che non ci escludiamo noi stessi attraverso un sovraccarico di regole”.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    In altre parole si ritorna, purtroppo, al leit motiv secondo cui i mercati si autoregolamentano meglio senza interferenze e direttive del governo.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    Al termine dell’incontro Trump ha addirittura dichiarato che “ non c’è persona migliore di Jamie Dimon per parlarmi della Dodd-Frank e delle regole del settore bancario”, mostrando un entusiasmo in verità degno di migliore causa.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    Intanto l’ordinanza esecutiva impegna il Segretario del Tesoro, che dovrebbe appunto essere Steve Mnuchin nel caso ottenga l’approvazione del Congresso, a preparare entro 4 mesi un rapporto per una nuova regolamentazione del sistema finanziario. Si è ingenui chiedersi chi saranno i veri beneficiari di tali proposte?</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    Contemporaneamente è stato firmato un altro memorandum presidenziale soppressivo della regola secondo cui i consulenti devono anteporre l’interesse dei loro clienti a qualsiasi altra considerazione. Secondo Trump va invece rafforzato il principio secondo cui i cittadini devono liberamente fare le loro scelte finanziarie. Non è una cosa da poco. Infatti, in questo modo se un risparmiatore accetta di comprare un titolo ad alto rischio, anche senza capire bene i termini dell’operazione, non potrà in seguito lamentarsi delle eventuali perdite</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    Non è un caso che la stampa finanziaria di Wall Street abbia salutato le citate decisioni come una coraggiosa scelta di ritorno ad una accentuata deregulation.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    Tali decisioni non possono non suscitare diffuse preoccupazioni in quanti continuano a ritenere che l’economia reale debba essere centrale e tutelata rispetto alle attività speculative.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    Perciò le dichiarazioni di Trump, circa una nuova legge Glass-Steagall relativa alla separazione delle attività bancarie, suonano false o come delle mere battute elettorali. C’è da sperare che la proposta di legge per reintrodurre la Glass-Steagall, presentata al Congresso da un gruppo bipartisan appena prima dell’emissione dell’ordine esecutivo, venga discussa e approvata.</span></p><p><span style="font-family: verdana,geneva; font-size: 12pt;">    E’ ancora presto per dare un giudizio definitivo sull’Amministrazione Trump, ma questi segnali sicuramente non depongono bene.</span></p>Unknownnoreply@blogger.com