2.09.2011

Sì agli eurobond

Economia
a cura di ItaliaOggi

Sono uno scudo all'economia debole

di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)
e Paolo Raimondi, Economista

Secondo alcuni recenti studi, suffragati anche dai dati della Banca per i Regolamenti Internazionali (Bri), nel 2009 il mercato obbligazionario mondiale ha raggiunto i 91 trilioni di dollari. C'è stata una crescita del 10% rispetto all'anno precedente. Non vi sono ancora calcoli precisi per il 2010, ma l'aumento dovrebbe essere ragguardevole.

    Ormai questo mercato è diventato una grande fonte sistemica di finanziamento. Circa il 70%, pari a 64 trilioni, è costituito da obbligazioni emesse all'interno dei vari paesi. Per il restante 30% invece sono bond internazionali, tra cui quelli sottoscritti nei paradisi fiscali.

    Globalmente nel 2009 sono state emesse nuove obbligazioni per 6,8 trilioni di dollari per tappare i buchi di bilancio delle banche e degli stati, i cui debiti pubblici sono cresciuti per finanziare le operazioni di salvataggio del sistema bancario.

    Secondo l'Ocse, nel 2010, tra rifinanziamenti di obbligazioni in scadenza e nuovi titoli, nel mondo sarebbero stati emessi bond di debito pubblico per 16 trilioni di dollari! C'è stato un aumento di ben 4 trilioni rispetto al 2008. Esso è stato determinato dal fatto che nei paesi industrializzati il rapporto debito pubblico/Pil è passato mediamente dal 78% del 2006 a oltre il 100% del 2010.

    Si evidenzia che dei complessivi 64 trilioni citati, il 39% riguarda gli Usa, il 18% il Giappone e il 20% l'intera zona dell'euro. Purtroppo, 10 trilioni di bond americani si basano su ipoteche e in parte, circa 1,4 trilioni di dollari, sui mutui subprime speculativi.

    Complessivamente trattasi di quantitativi enormi che rivelano la malattia e la debolezza dell'intero sistema finanziario. Ci si chiede perché, rispetto alle differenti situazioni geo economiche citate, sotto tiro della speculazione siano i debiti pubblici dei paesi dell'euro e non i Treasury bond e le altre obbligazioni americani.

    Lungi da noi l'intento di voler ignorare le responsabilità dell'Europa e le sue urgenti correzioni alla sua politica economica. Ma non si comprende l'agitazione dei mercati sulla solvibilità della Grecia, o dell'Irlanda, che pur avendo rispettivamente un debito totale di 236 e di 867 miliardi di dollari (dati Bri d qualche mese fa), hanno però un'economia reale sottostante abbastanza funzionante. Stranamente l'accanimento di “lor signori” non riguarda il trilione e mezzo di dollari di mutui subprime inesigibili.

    I grandi operatori finanziari internazionali, capitanati dalle 5 banche americane dominanti, puntano di volta in volta le loro scommesse contro una delle pedine europee più deboli, consapevoli evidentemente della non coesione nelle politiche economiche e finanziarie e di confronto alla speculazione dell'Ue.

    A fronte di tutto ciò si ripropone con forza la necessità di far ricorso agli eurobonds, come risposta difensiva e come misura di rilancio dell'economia. La proposta di Giulio Tremonti e Jean-Claude Juncker di emettere obbligazioni europee per rimpiazzare titoli di debito pubblico dei paesi dell'Ue in quantità non superiore al 40% del loro Pil è valida.

    Non si tratta di creare nuovo debito, ma di fornire uno scudo più robusto al debito pubblico dei paesi europei impegnati in politiche di risanamento dei loro conti pubblici. Contrariamente a quanti temono un allentamento nel rigore di bilancio degli stati più indebitati, questi sarebbero messi in condizione di operare con maggior sicurezza e continuità nella realizzazione delle loro politiche correttive.

    La stessa Germania, oggi non del tutto d'accordo con gli eurobonds, avrebbe il vantaggio di ridurre la propria quota nel fondo di salvataggio, garantendo così anche le banche tedesche pesantemente esposte nei confronti della Grecia, dell'Irlanda del Portogallo e della Spagna per oltre 520 miliardi di dollari.

    Gli oppositori degli eurobond sono invece tra i più facinorosi sostenitori della politica del «quantitative easing» della Bce. Tale politica, con la immissione di nuova liquidità, ricalca la vecchia strada monetaria che avvantaggerebbe il sistema bancario internazionale, creando nel contempo una spinta inflattiva.

    Si ricordi che già nel 1993 Jacques Delors propugnava gli Union Bond europei per finalizzarli alla produzione di ricchezza reale e all'aumento dell'occupazione attraverso la realizzazione di grandi progetti infrastrutturali e di innovazione tecnologica nei settori dei trasporti, delle comunicazioni, dell'energia, della ricerca, ecc.

    Noi riteniamo che gli eurobond siano le due facce della stessa medaglia, una che protegge dalla speculazione e l'altra che favorisce la crescita economica per aiutare l'Ue a uscire dalla pericolosa impasse in cui oggi si trova.        

2.01.2011

Boom futures commodities . . .A monte delle rivolte per il pane

Economia
a cura di ItaliaOggi

Speculano senza freni. Prezzi alimentari alle stelle per i poveri: i mostri di cui parla Tremonti mutano davvero come in un videogioco, mentre le decisioni per eliminarli tardano.

Le drammatiche rivolte del pane nei paesi del Nord Africa e altrove ci catapultano nuovamente nell'emergenza economica e sociale globale. Ci ricordano con violenza che il «business as usual», ritornato imperante nei centri della finanza e della geopolitica, è una pericolosa illusione con riverberi devastanti negli assetti interni agli stati e tra gli stati.

    Certamente vi sono più chiavi di lettura per le sollevazioni sociali in corso. Una cosa però è certa: i prezzi dei generi alimentari primari sono schizzati alle stelle, falcidiando i miseri bilanci degli strati sociali più poveri e più deboli di molti paesi, soprattutto di quelli in via di sviluppo.

    Non si può dire che ciò dipende dal gioco della domanda e dell'offerta, in quanto la prima è globalmente diminuita e la seconda è rimasta relativamente stabile.

    Infatti un recente studio dell'Ocse prevede, in una situazione di stabilità e di crescita economica e demografica futura, un aumento dei prezzi alimentari del 40% solo alla fine del 2020. Ciò per effetto della crescente domanda della Cina e dei paesi emergenti e per il contemporaneo aumento della produzione di biocarburanti, a spese dei terreni coltivabili destinabili alla produzione di cibo.

    È la seconda volta in tre anni che la speculazione, soprattutto quella in futures e altri derivati legati alle commodities, materie prime e prodotti alimentari, sta sconvolgendo il mondo. A dicembre 2010 il food price index mensile ha raggiunto 214,7 punti. Siamo tornati ai livelli del giugno 2008 quando esso era di 213,5. Si ricordi che a giugno del 2000 era di soli 87,5 punti.

    Infatti nei mesi a cavallo del 2007-8 i prezzi del grano erano aumentati dell' 80% rispetto a quelli di un anno prima, quelli del mais del 90%, quelli del riso del 320%, e via dicendo. Como noto, vi furono rivolte del pane in 30 nazioni del sud del Mondo. All'improvviso 200 milioni di persone, soprattutto bambini, persero le magre razioni di cibo e videro lo spettro della fame.

    I dati della Fao registrarono un aumento di 100 milioni di persone povere e malnutrite che così raggiunsero il miliardo.Allora le solite 10 banche dei derivati più alcuni potenti hedge fund, fecero a gara per moltiplicare i contratti futures sulle commodities.

    È ormai evidente che non si commercia più soltanto in merci reali, che si possono eventualmente proteggere dai rischi di fluttuazione dei prezzi con una singola assicurazione-derivato. Invece si costruiscono e vendono contratti finanziari derivati in enormi quantità il cui riferimento ai prodotti sottostanti è puramente virtuale.

    Nel 2008, dopo la fiammata inflattiva, i prezzi dei beni alimentari tornarono a scendere. Per due ragioni. La crisi bancaria negli Usa richiedeva di dirottare le finanze a copertura di perdite subite in altri campi come quello immobiliare e gli speculatori avevano deciso che era arrivato il momento di speculare al ribasso.

    La commodity petrolio è emblematica. I dati ufficiali, molti precisi, forniti nel 2009 in varie audizioni della Cftc, Commodity futures trading commission americana sono eloquenti. I future sul petrolio trattano giornalmente 1 miliardo di barili, mentre la produzione reale mondiale è di 85 milioni di barili di petrolio al giorno! Nel 1998 la parte speculativa dei mercati petroliferi era del 25%, nel 2008 era già salita al 65%. In dimensioni differenti la stessa cosa è successa anche per i prodotti alimentari e per le altre materie prime.

    I fautori della bontà dei derivati finanziari raccontano la favola che questi prodotti risolverebbero la mancanza di liquidità che potrebbe rallentare i mercati. E' esattamente il contrario! L'enorme liquidità immessa nel sistema dalle banche centrali, in aggiunta alla circolazione dei derivati finanziari, scarica tutta la sua potenza distruttrice sui mercati delle commodities.

    Nei mesi passati molti governi hanno denunciato la pericolosità dei derivati sui prodotti alimentari. Il commissario europeo per il mercato interno, Michel Barnier, ha gridato contro lo scandalo della speculazione sulle commodities invitando il parlamento europeo a prendere delle contromisure. Recentemente Nicolas Sarkozy ha posto la lotta contro questo tipo di speculazione al centro del suo programma di presidenza del G20.

    I mostri di cui parla il ministro dell'economia Giulio Tremonti mutano sempre pelle e sono in aumento, mentre le decisioni per eliminarli tardano.

    Certo le buone intenzioni sono tante, ma intanto, mentre nei paesi del Nord Africa le rivolte per il pane, il lavoro e la libertà divampano, da noi l'inflazione sta tornando a farsi minacciosa.