12.22.2011

Le agenzie di rating (o di governo?) ci portano là dove la ripresa non c'è

di Mario Lettieri , già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)

e Paolo Raimondi , Economista

 

1) Ripresa sconfitta anche nel recente Summit di Bruxelles

 

Ancora una volta i capi di stato e di governo europei, fortemente condizionati dagli accordi privilegiati tra Merkel e Sarkozy, non hanno saputo coniugare l'esigenza del rigore con quella della crescita. 

    Secondo i leader dell'eurozona, prima devono venire i tagli di bilancio, le misure di austerità per abbattere il debito pubblico e i cambiamenti dei trattati, poi si penserà alla ripresa economica!

    Sembra sia ideologicamente impossibile far marciare insieme il treno del rigore e quello della ripresa.

    Eppure tutti sanno, come del resto ha ricordato anche la Banca d'Italia, che nell'intervallo tra il nuovo patto di bilancio e le future misure di rilancio ancora da definire, ci sarà una recessione economica con una riduzione del Pil, soprattutto nei paesi più deboli. Di fatto ciò andrà ad aggravare il tanto temuto rapporto debito/Pil e ad esacerbare le crescenti e giustificate tensioni sociali. Come già sta accadendo in Italia.

    Oltre agli ormai arcinoti dettagli sulla stabilità fiscale e sugli automatismi correttivi dei disavanzi di bilancio, la Dichiarazione di Bruxelles rivela però che per la coppia franco-tedesca non è stato tutto rose e fiori. Infatti se la si legge alla luce della lettera che Merkel e Sarkozy hanno mandato solo pochi giorni prima al presidente del Consiglio Europeo Herman van Ronpuy si deduce che il progetto di imporre il loro asse dominante non è passato.

    Per creare una governance europea rafforzata e per assicurare la disciplina di bilancio, la lettera chiedeva di definire un'architettura istituzionale basata su summit regolari dei capi di stato e di governo due volte all'anno in tempi normali ed una volta al mese durante le crisi, come quella attuale, con un presidente permanente. Proponeva inoltre la creazione di un eurogruppo a livello ministeriale ed una struttura preparatoria per mettere in atto le decisioni dei summit. A questo processo si sarebbero dovuto poi "associare" la Commissione europea e i parlamenti di Strasburgo e nazionali.

    Anche se può sembrare il nuovo auspicato decisionismo dei governi europei, in realtà esso è un tentativo della Germania, sostenuta per convenienza dalla Francia, di impossessarsi delle leve di comando economico dell'Europa.  Se ciò accadesse, a nostro avviso si verrebbe meno ai mandati e ai principi costitutivi dell'Unione europea, con l'esautorazione di fatto della Commissione che evidentemente è ritenuta troppo lenta e troppo influenzabile dai governi.

    La Dichiarazione del 9 dicembre per fortuna ha relegato la richiesta franco-tedesca al punto 10 dove si dice che "sarà rafforzata la governance della zona euro, come concordato in occasione del vertice europeo del 26 ottobre. In particolare si svolgeranno vertici europei almeno due volte l'anno".

    Ancora una volta risulta chiara la volontà della Merkel di voler far perdere del tempo prezioso. Invece di prendere delle decisioni coraggiose come quella degli eurbond, la cancelliera sembra preferire tergiversare intorno alla costruzione di architetture, di condizionamenti e di nuovi accordi che stravolgerebbero l'interno processo di unificazione europea.

    L'altra grande novità del summit è stata la decisione della Gran Bretagna di non firmare l'accordo e di accelerare l'annunciata rottura con l'Ue. Il premier David Cameron ha detto di voler difendere la sovranità e l'indipendenza inglesi. In realtà il motivo vero della rottura ruota intorno al ruolo della City in quanto vero centro mondiale della finanza, dei derivati, degli hedge fund e del "sistema bancario ombra". Londra ha voluto proteggere la City dalla tassa sulle transazioni finanziarie e dalle altre regole che l'Europa finalmente vorrebbe introdurre.

    Il fatto che la City rappresenti oltre il 10% del Pil britannico solleva ulteriori dubbi sulla effettiva solvibilità di Londra. Tale decisione getta luce sul ruolo della finanza nell'attuale crisi sistemica e sulle sue responsabilità negli effetti di contagio.

    Fintanto che gli inglesi restano al servizio della City non potranno che svolgere il compito loro assegnato, cioè il sabotaggio della riforma globale del sistema finanziario.

    L'abbandono di Londra potrebbe trasformarsi in una accelerazione verso la costruzione politica dell'Europa, sempre che ci si liberi della "dottrina Thatcher" che Londra invece vorrebbe lasciarci in eredità.

    Comunque, indipendentemente dalla decisione di Cameron, la situazione in Europa continua ad essere preoccupante e gli speculatori ancora in sella.



2) Agenzie di rating o di governo?

 

C'è un non so che di perverso nel seguire in televisione i difficili andamenti degli incontri dei capi di stato europei sul futuro dell'euro e dell'Unione mentre sullo schermo, a piè di pagina, scorrono le ultimi sortite delle agenzie di rating che ne proclamano gli imminenti fallimenti.

    Nei giorni scorsi le "tre sorelle" hanno "offerto gratuitamente" la loro valutazione al ribasso per l'intera eurozona nel suo insieme.

    Standard and Poor's poco tempo fa ha messo sull'avviso che anche gli ultimi sei paesi europei con la tripla A, tra cui Germania e Francia, potrebbero essere a breve declassati.  Se uno solo di questi Stati perdesse questo rating, anche la funzione del fondo salva stati, l'European Financial Stability Facility (Efsf) perderebbe di credibilità e verrebbe compromessa. Oggi l'Efsf con 440 miliardi di dollari mantiene un ruolo certamente insufficiente ma comunque insostituibile nella difesa contro i rischi di default sovrani.

    E' sempre più evidente il fatto che le agenzie assumono un significato sempre più politico! Con le loro recenti critiche sembrano voler forzare le decisioni dei summit europei a loro favore. Infatti i loro rapporti sono sempre più pieni di raccomandazioni sulle politiche economiche da seguire. Sono quasi sempre meno agenzie di valutazione del merito e del credito di istituti economici e finanziari e sempre più tese a sostituirsi a coloro che sono preposti alle decisioni di governo.

    Dicono di parlare a nome degli investitori, che spesso sono obbligati a seguire le implicazioni del rating a causa di standard imposti per legge, ma non detengono alcuna responsabilità politica. E' una intollerabile anomalia!

    Da giorni, anche se con troppo ritardo, la stampa tedesca e francese ha cominciato a sollevare i veli che coprono le storie delle "tre sorelle". Parlando della S&P's, il principale quotidiano della Germania, il Frankfurt Allgemeine Zeitung, ha ricordato che "essa è un'agenzia degli Stati Uniti che, quando valuta nazioni e società, guarda con lenti americane. In questo lavoro rappresenta gli interessi di Wall Street"!

    Eppure fino alla grande crisi del 2007-8 le agenzie di rating erano di fatto al servizio della grande finanza e sfornavano, dietro lauti pagamenti da parte delle banche e di altri istituti finanziari che le richiedevano, compiacenti pagelle con la tripla A per i peggiori titoli tossici e per prodotti derivati altamente speculativi.

    Ciò è denunciato  con dovizia di documenti e di testimonianze da due importanti commissioni americane, l'indipendente Financial Crisis Inquiry Commision e la Commissione Dodd-Frank del Congresso. Il presidente della Fcic, Phil Angelides, a suo tempo parlò della Moody's come di "una fabbrica delle triple A". Essa nel 2006 ne sfornava 30 al giorno. I Rmbs (titoli garantiti da mutui ipotecari) gratificati avevano un valore totale di 869 miliardi di dollari, ma all'arrivo della crisi l'83% del loro insieme fu drasticamente declassato.

    Ci sono state e vi sono tuttora indagini sui compromessi e sui conflitti di interesse delle tre agenzie. Vi sono molti procedimenti legali aperti con richieste di risarcimento per centinaia di miliardi di dollari da parte di chi, banche comprese, si è trovato con in mano carta straccia.

    Nel frattempo le tre sorelle hanno spostato con successo le loro operazioni mettendo nel mirino i debiti sovrani, soprattutto dell'Europa, ed il sistema dell'euro. Insieme al mondo della grande finanza hanno "pilotato" la più grande e meglio riuscita operazione di "transfer". Non sono più il sistema bancario ed i suoi comportamenti ad essere al centro dell'attenzione pubblica e dei mercati ma gli stati con le loro difficoltà e con i loro debiti.

    La domanda che inquieta è questa. Perché le istituzioni europee e gli investitori sono ancora così dipendenti dalle valutazioni di tre agenzie private? Forse perché i governi dell'Europa hanno per decenni goduto della tripla A e opportunisticamente ignorato quanto nei paesi dell'Asia o dell'America Latina accadeva a seguito dei rating negativi. Alcune economie furono disastrate.

    Purtroppo i riferimenti ai rating dati dalle tre agenzie sono stati incorporati in molti regolamenti, dalle direttive europee per realizzare le linee guida dettate da Basilea II e da Basilea III per i requisiti di capitale delle banche e dalla direttiva Solvency relativamente alle assicurazioni operanti sul territorio europeo.

    Anche la Bce fa riferimento alle triple A delle "tre sorelle" per molte operazioni di garanzia e di credito. Il mondo politico europeo irresponsabilmente ha dato alle agenzie di rating quasi un potere di legge. Le loro valutazioni hanno un effetto reale, quasi automatico, su molte decisioni e valutazioni economiche.

    Dall'inizio del 2011 l'Esma, l'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati, ha introdotto qualche forma di regolamentazione delle attività delle agenzie. Ha persino minacciato di ritirare loro la licenza europea se non obbediscono ai regolamenti di Bruxelles. Tutto vano, fino a che le triple A delle tre sorelle continueranno a dettare legge nelle istituzioni europee!

    Sarebbe almeno opportuno prendere atto della decisione di un giudice federale dello stato americano del New Mexico che ha rifiutato la richiesta delle agenzie di rating di avere "la protezione del Primo Emendamento della Costituzione sul diritto alla libertà di parola anche per le valutazioni e opinioni comprovate come false".

    Riteniamo che sarebbe corretto da parte dei nostri mass media se, ogni qualvolta riportano un annuncio delle agenzie di rating sui titoli sovrani europei ed italiani, ricordassero ai lettori o agli ascoltatori che esse sono società private la cui reputazione non è affatto limpida.

12.06.2011

EU vittima di un big game?

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Ci chiediamo se l'euro sia bersaglio "solo" dei mercati o non ci siano anche rischi di rottura dell'Ue provocati da giochi geopolitici esterni. Una cosa è certa: se la leadership di oggi non avrà la determinazione e la lungimiranza degli ideatori dell'Europa, l'Unione rischia di arrivare anzitempo al capolinea.

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di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)

e Paolo Raimondi, Economista

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La crisi dell'euro e dei debiti sovrani è soltanto l'effetto delle reazioni dei mercati al rischio di insolvenza oppure l'Europa sta per diventare vittima anche di pericolosi giochi geopolitici?

Urge una risposta adeguata perché il tempo sta per scadere. Se non si capisce o non si vuole capire quello che sta veramente accadendo allora l'Unione europea ed il sistema dell'euro rischiano di finire per sempre.

Ai cantori della supremazia e dell'esclusività dei mercati vogliamo ricordare che se la crisi finanziaria del 2008 fosse stata lasciata soltanto in balia delle dinamiche interne ai mercati, avremmo avuto un'implosione globale con il crollo a catena dell'intero sistema bancario internazionale. La verità è che sono stati gli interventi degli Stati sovrani, in quanto attori esterni ai mercati, che, indebitandosi in media di oltre il 20% del loro Pil, hanno in parte momentaneamente stabilizzato la situazione.

Nei confronti dell'Europa oggi abbiamo un mix esplosivo di problemi oggettivi dovuti alla mancanza di crescita e all'insostenibilità dei bilanci, che devono essere urgentemente corretti, e di operazioni "mirate" al suo fallimento. Per affrontare i primi c'è bisogno di tempo che taluni poteri interessati spingono per ridurlo drasticamente.

Il New York Times ha appena annunciato che le banche americane si stanno preparando al crollo dell'euro. Si stanno ritirando dall'Europa per paura del contagio che sarebbe prodotto da una crisi che loro stesse hanno scatenato! Secondo le stime della JP Morgan, è dall'inizio dell'anno che le banche e i fondi americani hanno deciso di disinvestire dalle banche europee ritirando oltre 700 miliardi di euro aggravando così la loro crisi di liquidità.

Ovviamente ciò ha avuto un effetto traino anche tra i paesi emergenti che hanno ridotto la quota in euro delle loro nuove riserve dal 29% del 2008 al 17% attuale.

Sono e sono stati disinvestimenti anche dai titoli di Stato europei. Di conseguenza si è aggravato il problema di solvibilità oltre che di liquidità.

E' facile quindi per le agenzie di rating giustificare le loro rettifiche al ribasso per le banche europee e per i titoli di Stato buttando benzina sul fuoco. La Fitch oggi declassa 8 banche italiane. La Standard and Poor's "si sbaglia" e abbatte il rating della Francia e delle sue banche. Poi le banche dell'Austria entrano nel mirino destabilizzando anche i paesi dell'Europa centrale e dell'Est. La Moody's rilancia sul rischio di default multipli in Europa. E, com'era prevedibile, le banche tedesche inevitabilmente sono il prossimo bersaglio.

Intanto, bisognerebbe riconoscere che si tratta di crisi sistemica globale e non di un terremoto con un epicentro europeo.

Infatti, un dettagliato documento pubblicato a settembre dalla Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea mette a confronto il totale nel 2010 della somma dei debiti pubblici, di quelli del business privato e di quelli delle famiglie di tutti i paesi dell'Ocse. Il Giappone risulta il più esposto con un livello pari al 456% del Pil. Seguono l'UK con 322%, la Francia con 321%, l'Italia con 310%, gli Usa con 268%, la Germania con 241%. Siamo tutti sulla stessa barca e in media gli Usa stanno peggio della zona euro.

Per evidenziare però la realtà della situazione Usa non bastano le percentuali. Occorre considerare che quasi il 60% di tutti i derivati Otc sono gestiti dalle banche americane!

Si ricordi inoltre che la verità sui conti pubblici truccati dalla Grecia evidenziò che il governo ellenico aveva operato con grandi banche di investimento come la Goldman Sachs per trasformare alcuni debiti in sofisticati derivati Otc. Ed è noto che gli Otc finiscono fuori bilancio!

Per l'Europa però il problema sta nella sua incapacità di dare una risposta politica ai gravi processi degenerativi in atto. Gli stessi banchieri europei, soprattutto tedeschi, riuniti a Francoforte per il Congresso Bancario Europeo, hanno posto il "grande cambiamento", cioè del passaggio da un sistema unipolare, leggi "sistema del dollaro", ad uno multi-polare con la partecipazione più forte dell'Europa e delle nuove potenze economiche.

In definitiva è emersa con forza la questione della leadership politica come la chiave di volta del futuro dell'Unione. Ed è davvero singolare che i leader europei non accelerino il processo di unità politica.

Anzi e purtroppo, proprio adesso le elite inglesi stanno cercando di dare una spallata decisiva alla costruzione dell'architettura politica ed economica di un'Europa federale. In un recente convegno organizzato a Parigi da tre importanti fondazioni europee impegnate nei programmi di un'economia sociale di mercato, il professor Charles Grant, il presidente britannico del Centre of Economic Researches, ha avvertito gli sbalorditi convenuti di "esser pronti all'uscita della Gran Bretagna dall'Ue entro i prossimi dieci anni".

Perciò, il tempo stringe. Molto dipende dalla volontà e dalla capacità di decisione dei tedeschi. A Berlino sottovalutano i tempi. Certi cambiamenti richiesti ai partner non possono essere fatti con la celerità che l'urgenza impone. Ciò però non giustifica la dilazione relativa a decisioni importanti quali gli eurobond.

Una cosa è certa: se la leadership di oggi non avrà la stessa determinazione e lungimiranza di Monet, Schumann, Adenauer, De Gasperi e degli altri ideatori dell'Europa, l'Ue rischia davvero di arrivare troppo presto al capolinea.

11.29.2011

Le idee del Prof. Monti

di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)

e Paolo Raimondi, Economista

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Le idee del Prof. Monti sono solide e consolidate. Certo aspettiamo la verifica dell'operato del suo governo. Oltre alle indicazioni date nei discorsi alle Camere del Parlamento, vi sono due suoi importanti documenti, preparati in momenti non sospetti, che meritano un'attenta lettura.

Sono dei paper che possono aiutare a capire meglio lo spirito ed il progetto dell'"uomo dell'emergenza".

Il primo è "La Commissione Attali e l'Italia" pubblicato nel 2008, prima della Lehman Brothers e dell'esplosione della crisi finanziaria globale, insieme al Prof. Franco Bassanini. Il documento è l'introduzione alla pubblicazione in italiano del "Rapporto Attali. Liberare la crescita. 300 decisioni per cambiare la Francia" che dettaglia le proposte per far fronte alle sfide di sviluppo e di dinamismo dell'economia e della società francesi.

Monti rimase positivamente impressionato dall'iniziativa francese di mettere in campo un vasto spettro di competenze economiche e politiche ma soprattutto culturali e professionali europee ed internazionali, per riflettere non solo sui problemi generali ma per predisporre un set di riforme e di misure precise. Infatti, bisognava convincere i francesi, che vivevano le sfide della competizione globale come se fosse una minaccia.

La Commissione Attali propone riforme che mettono in discussione rendite e privilegi per affrontare al meglio il futuro. Si trattava e si tratta di "dire la verità anche con un'analisi spietata della realtà economica", di sfidare i "medici pietosi", le cui deboli analisi sui ritardi nella modernizzazione economica e sociale "offrivano alibi a scelte di conservazione e alle resistenze da parte degli interessi colpiti dalle riforme".

Il Rapporto Attali fa proprio le best pratices degli altri paesi per superare i ritardi accumulati, per coniugare le sue proposte di crescita con il superamento delle disuguaglianze, per liberare energie e risorse per la ripresa, salvaguardando i livelli di solidarietà e di coesione sociale.

Monti rimase affascinato dallo spirito europeo con cui Jacques Attali affrontava la sfida, superando i vecchi cliché dello sciovinismo francese e collocandosi nel solco dell'economia sociale di mercato che "valorizza meriti e talenti, la capacità di imprenditoria e la tutela dei diritti fondamentali di tutti".

Riteniamo che tale esperienza sia stata d'ispirazione per il Prof. Monti anche nella stesura del suo Rapporto "Una nuova strategia per il Mercato unico" preparato per la Commissione europea e pubblicato il 9 maggio 2010.

Si tratta di un documento di 118 pagine denso di proposte concrete per una risposta europea unitaria alle sfide dell'integrazione e della crescita economica e sociale contro la crescente "stanchezza da integrazione" e l'avanzata dei nazionalismi economici che, spinti dagli effetti della crisi, potrebbero portare a delle "conseguenze drammatiche" e allo "sgretolamento dell'Ue".

Monti parla della necessità della "decisione politica" nella costruzione dell'Unione economica europea. Ribadisce che la piena realizzazione del Mercato unico è il pilastro essenziale per dare forza e unità al sistema monetario dell'euro e alla capacità di crescita dell'economia europea. Ciò significa riformare, modernizzare e semplificare l'intero sistema delle norme fiscali, legali, amministrative, economiche, ecc. di ogni singolo Stato membro dell'Unione ed uniformarle per promuovere il mercato della produzione, del lavoro, dei movimenti di uomini, di mezzi e di capitali a livello europeo. Solo così per Monti il Mercato unico può preparare la formazione di un unico governo economico europeo e diventare fattore di solidità generale dell'Ue..

Nel suo Rapporto gli interlocutori principali per avviare un tale processo sono i cittadini, i consumatori e le Pmi. Quindi vuole un'Europa dove le libertà economiche devono "dialogare" con i diritti dei lavoratori, dove le priorità sono nella creazione delle infrastrutture "fisiche" del Mercato unico, che deve rimanere "aperto ma non disarmato rispetto ai concorrenti a livello globale".

Va sottolineato il fatto che sulle cause della crisi globale Monti evidenziava che "la liberalizzazione finanziaria iniziata negli anni '90 senza essere accompagnata, soprattutto negli Usa, da regolamentazioni prudenziali e di vigilanza, è stata una dei principali fattori dell'origine della crisi finanziaria", che non può essere affrontata con soluzioni "troppo blande".

Tra le sue proposte, significativa è quella dell'istituzione degli eurobond con cui trasformare parte delle obbligazioni dei singoli Stati in titoli europei. C'è ovviamente il sostegno, anche con un quadro giuridico più favorevole, agli investimenti di lungo termine nelle infrastrutture, come quelli proposti dal Fondo Margherita delle Casse Depositi e Presti europee.

Il Rapporto è ricco di proposte concrete. Egli però insiste sul "rafforzamento del processo di attuazione". A tal fine propose la creazione di "un gruppo specifico per la politica fiscale" in Europa.

Il successo dell'azione del governo Monti dipenderà, oltre che dal risanamento di bilancio italiano, dalla capacità di intervento in sede europea per la realizzazione di un vero Mercato unico e di una effettiva unione politica ed economica oltre che monetaria dell'Europa. Nonché dall'impegno collettivo a non essere "disarmati" nei confronti della speculazione e dei mercati finanziari senza regole.

11.16.2011

Al G20 ha vinto il “sistema del dollaro”

Non sorprende che il G20 di Cannes non abbia prodotto gran che. E' dal 2008 che i G20 ci hanno abituato a tante promesse e a tante "raccomandazioni". Non hanno mai presentato iniziative efficaci capaci di cambiare a fondo il sistema che ha generato la crisi finanziaria ed economica globale.

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di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)

e Paolo Raimondi, Economista

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Il recente summit rivela però un profondo cambiamento geopolitico. Infatti, dopo tre anni di una crisi che è stata originata primariamente dal e nel sistema bancario e finanziario americano, a Cannes la barra del timone sembra essere ritornata pericolosamente in mano al "sistema del dollaro".

Ciò in barba al fatto che l'economia americana sia la più debole del settore avanzato e che le sue banche abbiano una "leva" assolutamente sproporzionata rispetto al proprio capitale. Sono quindi le più esposte ai rischi ed ai titoli tossici.

La dichiarazione finale del summit purtroppo rivela il grande lavoro fatto dalle lobby per spostare la responsabilità della crisi dalla finanza e dalle banche a quella dei debiti sovrani. In particolare a quelli dell'eurozona.

"Dopo il nostro ultimo meeting, si legge nel documento, la ripresa economica globale si è indebolita e le tensioni sui mercati finanziari sono aumentati soprattutto a causa dei rischi sovrani in Europa".

Il grave e "vecchio" problema della finanza è stato quindi messo in second'ordine. E' scomparso qualsiasi riferimento agli Stati Uniti e alle sue difficoltà, dimenticando il quasi default federale esploso soltanto lo scorso mese di luglio. Anche i piani di ripresa della produzione, dell'occupazione e della crescita sono finiti nel portabagagli della macchina del G20!

Viene invece riconosciuto un ruolo centrale al Fondo Monetario Internazionale nella gestione dei paesi con un debito pubblico più pesante. Al Fondo dovrebbero essere assegnati più risorse e più poteri di intervento. La parola chiave è "sorveglianza", cioè la possibilità di interferenza nelle decisioni economiche nazionali ed europee. Da subito ciò vale per la Grecia e per l'Italia. In un futuro non lontano potrebbe valere per la Francia e per l'intera Ue, responsabile di non sapere gestire i suoi membri più riottosi. Si ritorna di fatto ai condizionamenti e alle sanzioni che il Fmi ha incompetentemente e con grandi danni attuato in passato nei confronti di tutti i paesi in via di sviluppo. Si ricordino gli interventi nell'America Latina. Il Fmi è stato ed è la lunga mano del "sistema del dollaro".

Il voluto ritorno dell'"egemonia del dollaro" è dimostrato dal fatto che l'idea di una grande riforma del sistema monetario internazionale basato su un paniere di monete sia stata accantonata.

Il summit ha infatti sottolineato che "la composizione del paniere dei Diritti speciali di prelievo (Dsp) deve continuare a rappresentare il ruolo che le monete hanno nel sistema finanziario e commerciale globale e che essa può essere nel tempo modificata qualora le caratteristiche e il ruolo delle monete cambiassero". La valutazione della sua composizione quindi dovrebbe essere basata sui "criteri attuali". Il Fmi è chiamato semplicemente a renderli più chiari. In ogni modo, dice il documento, si riparlerà della composizione del paniere dei Dsp soltanto nel 2015!

Infine il G20, su pressioni americane, è tornato a premere sulla Cina e sugli altri paesi con un surplus economico affinché sottopongano le loro monete al giudizio dei mercati e quindi ad una rivalutazione.

Anche la tanto osannata decisione del nuovo presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, di abbassare dello 0,25% il tasso di sconto, che è forse l'unica "decisione" pratica di Cannes, di fatto fa seguito alla recente esplicita richiesta del ministro del Tesoro americano Tim Geithner. Egli chiese, si ricorderà, che la Bce seguisse le orme della Federal Reserve nel creare maggiori livelli di liquidità.

Secondo noi ciò non è un automatico stimolo alla crescita. Senza meccanismi specifici di credito per i settori produttivi, tale decisione, oggi come in passato, può andare solo a vantaggio del sistema bancario internazionale e creare pericolose "bolle liquide" che potrebbero dar luogo anche ad attività speculative.

Per il resto il vecchio sistema finanziario ha messo in stallo gran parte delle riforme. Nonostante ciò bisogna riconoscere che alcune istituzioni, a cominciare dal Financial Stability Board fino allo IOSCO, l'organizzazione internazionale delle autorità di controllo dei mercati finanziari, hanno preparato degli studi importanti e dettagliati di riforma dei derivati, degli Otc, dei Cds, delle banche ombra, di quelle di importanza sistemica, ecc. Essi però rischiano di rimanere dei lavori accademici, se i decisori del G20 non li mettono in pratica.

A Cannes Sarkozy ha giocato con Obama la sua carta elettorale di grande capo europeo e di guida del mondo, ma una Francia sopravalutata e artificialmente stabilizzata potrebbe a breve crollargli addosso come un castello di carta.

Se guardiamo oltre l'uscio di casa, Cannes è stato un passo indietro. Non solo sul fronte della nuova architettura finanziaria, monetaria ed economica mondiale, ma anche sullo scacchiere dei giochi geopolitici globali. La riteniamo una sconfitta strategica per l'intera Europa.

11.07.2011

Idee deboli e vecchie dal Summit Ue

Decisioni coraggiose e convincenti avrebbero dovuto includere gli eurobond, la creazione di un ministero europeo di "difesa economica" e nuove snelle architetture di credito per il rilancio dell'economia reale e dell'occupazione attraverso investimenti di medio e lungo periodo nelle infrastrutture e nella modernizzazione di tutti i Mezzogiorno d'Europa. Invece, i capi di Stato e di Governo dell'Ue hanno recitato le solite litanie . . .

 

di Mario Lettieri , già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)

e Paolo Raimondi , Economista

 

Di positivo c'è soltanto la decisione di non lasciare andare alla deriva l'Unione europea e di non far implodere in tempi brevi il sistema dell'euro. Per il resto il drammatico Summit del Consiglio europeo dei capi di stato e di governo del 26 ottobre a Bruxelles ha prodotto una serie di proposte insoddisfacenti e lontane dall'affrontare di petto la speculazione e le sfide presentate dai crescenti debiti sovrani.

    A nostro avviso le decisioni coraggiose e convincenti avrebbero dovuto includere gli eurobond, la creazione di un ministero europeo di "difesa economica" e nuove snelle architetture di credito per il rilancio dell'economia reale e dell'occupazione attraverso investimenti di medio e lungo periodo nelle infrastrutture e nella modernizzazione di tutti i Mezzogiorno d'Europa.

    La dichiarazione finale del Summit, invece, è farcita di vecchie idee non idonee a "combattere gli effetti della crisi finanziaria globale". Il consolidamento fiscale, gli aggiustamenti di bilancio e alcune eventuali riforme strutturali nei paesi più indebitati non bastano, e possono causare deflazione e recessione.

    Un atto politico unitario e serio sarebbe potuto essere la trasformazione di una parte dei debiti pubblici nazionali, intorno al 60%, in debito europeo, cioè in eurobond.

    Questi non sono la panacea di tutti i problemi del debito e delle loro cause, ma avrebbero trasmesso un messaggio di stabilità e di fermezza politica dell'Unione ai cosiddetti mercati.

    Sarebbe stato il primo baluardo contro la speculazione! Avremmo così guadagnato tempo per le necessarie manovre di correzione dei bilanci europei. Basate però più sulla ripresa e sulla crescita che sulla dominante isteria dei tagli.

    L'Eurosummit, invece, ha deciso di affrontare il pericolo di contagio attraverso operazioni di leverage fatte sulla base delle risorse dell'Efsf, il fondo salva-stati. Si è fatto esplicitamente riferimento a una leva fino a 4 o a 5 volte i 440 miliardi di euro del fondo. Parliamo dei circa 2.000 miliardi di euro di cui si era già accennato nelle settimane passate.

    Tra le possibilità, l'Efsf potrà creare dei "Special Purpose Vehicle", nuovi prodotti finanziari per un valore multiplo del capitale di base del fondo. Di fatto sarebbero dei titoli parzialmente garantiti dal fondo stesso e d'incerta appetibilità da parte degli investitori istituzionali e privati.

    Se funzionasse, tale somma dovrebbe essere utilizzata per la capitalizzazione delle banche private in difficoltà e per acquistare bond statali in caduta libera sui mercati. Le capitalizzazioni delle 90 banche europee di rilevanza sistemica dovrebbe essere, per il momento, intorno ai 106 miliardi di euro. Alla fine graveranno quasi per intero sul citato fondo.

    Sono operazioni finanziarie che dovranno sempre essere messe al vaglio dei mercati dove operano gli operatori e gli speculatori che sono stati la causa della crisi e che purtroppo continuano a muoversi al di fuori delle regole.

    Riteniamo ciò molto grave e preoccupante. Ancora una volta si dimostra l'incapacità di adottare decisioni politiche indipendenti da parte dell'Ue e la sua evidente sudditanza ai mercati e agli interessi della grande finanza.

    Eppure prima del Summit alcuni avevano parlato della necessità di dimostrare l'effettiva unità politica ed economica dell'Europa creando un ministero centrale dell'economia. Le lungaggini e le evidenti difficoltà della sua realizzazione imporrebbero una più realistica e immediata "Autorità centrale europea per la difesa economica".

    Le misure di difesa da adottare contro la speculazione dovrebbero essere: il divieto di tutte le operazioni allo scoperto e dei Cds speculativi, una tassa sulle operazioni finanziarie, l'obbligo di depositi in contanti a garanzia delle stesse, ecc.

    In passato in verità la Merkel aveva già proposto simili provvedimenti.

    Il meeting del Consiglio europeo, invece, ha inventato il ruolo del Presidente dell'Eurosummit che si riunirà almeno due volte l'anno. Scelta interessante, ma sempre interlocutoria, di informazione e non di decisione esecutiva. Inoltre, sembra aggiungersi alle burocrazie del presidente della Commissione Europea e a quella del presidente del Consiglio Europeo.

    Ma è sul fronte del rilancio produttivo, la vera opzione di stabilità economica e sociale e di riduzione del debito pubblico, che il Summit è mancato. Avrebbe potuto indicare e sostenere nuove emissioni europee di project bond per attrarre capitali privati ed internazionali interessati a investimenti in infrastrutture e nelle nuove tecnologie.

    Il documento finale ha invece sottolineato che la Commissione europea applicherà condizioni ferree e una stretta sorveglianza sui comportamenti dei paesi membri. I sostegni dell'Ue saranno mantenuti "a condizione che tutti i programmi concordati (cambiamenti strutturali, consolidamenti fiscali, tagli di bilancio, liberalizzazioni e privatizzazioni, nda) siano rispettati".

    Se non sono le solite litanie, sono però vecchie ricette.

10.31.2011

Dal G20 di Parigi un mega- bailout delle banche

di Mario Lettieri , già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)

e Paolo Raimondi , Economista

 

Le crescenti tensioni finanziarie ed il rischio di un rallentamento significativo dell'economia globale sembrano spingere il G20 verso un nuovo mega bailout del sistema bancario.  Il debito sovrano dei paesi più esposti evidentemente passa in secondo ordine.

    E' la vecchia ricetta fallimentare.  Se fosse ripetuta si riproporrebbero interventi che in passato abbiamo sperimentato senza successo. Il dato ignorato è che l'economia dei paesi occidentali oggi è fortemente indebolita e più indebitata rispetto a tre anni fa.

    La impraticabilità della citata ricetta emerge anche dal comunicato finale del recente summit di Parigi dei ministri delle finanze e dei governatori delle banche centrali dei paesi del G20.

    Al di là dei tanti "we agree" and "we welcome" su tematiche importanti ma "futuribili", come la regolamentazione degli Otc, la preparazione della lista dei grandi istituti internazionali di importanza sistemica o la gestione dei flussi di capitali  "crossborder" potenzialmente destabilizzanti, lo scettro è rimasto saldamente nelle mani del dominante "Re bailout".

    Infatti il testo dice chiaramente che "siamo impegnati ad intraprendere tutte le azioni necessarie per preservare la stabilità del sistema bancario e dei mercati finanziari. Noi garantiremo che le banche siano adeguatamente capitalizzate e abbiano accesso sufficiente ai fondi per fronteggiare i rischi attuali. Recentemente le banche centrali hanno preso iniziative decisive al riguardo e continueranno a mantenersi pronte a fornire la liquidità necessaria alle banche".

    La seconda ciambella per i salvataggi finanziari dovrebbe essere quella del Fondo Monetario Internazionale a cui si devono "garantire adeguate risorse per renderlo capace di realizzare le sue responsabilità sistemiche". Il Fmi, che sulla carta dovrebbe avere a disposizione 390 miliardi di dollari, sarà chiamato a studiare "nuovi modi per fornire, caso per caso, liquidità a breve termine a quei paesi che devono far fronte a shock esogeni e sistemici derivanti dagli strumenti finanziari in possesso e dalle condizioni esistenti".

    A Parigi fortunatamente non è stata sostenuta la precedente proposta del ministro del Tesoro americano Tim Geithner di trasformare la Banca Centrale Europea in un'altra Fed che stampasse soldi a go go e diventasse il prestatore illimitato di ultima istanza per tutti i bancarottieri, privati e pubblici. E' noto che l'agitazione di Geithner è finalizzata a "coprire" la situazione delle banche americane la cui necessità di finanziamento dei debiti è di gran lunga più grande di quella delle banche europee.

    A tal fine l'impatto del fondo Efsf salva stati "dovrebbe essere massimizzato per evitare il contagio". Si chiede anche che il Consiglio europeo prepari un "piano comprensivo capace di rispondere alle sfide correnti" per il suo prossimo meeting del 23 di ottobre.

    A Parigi infatti si è parlato di portare la "capacità di fuoco" dell'Efsf da 440 a 2.000 o a 2.500 miliardi di euro per i piani di salvataggio.

    La questione è: per fare che cosa?

    Per salvare le banche in caduta libera e per comprare i titoli di debito di paesi che nessuno più vuole o per creare eurobond e trasformare il 60% del debito pubblico in obbligazioni europee garantite dall'Unione europea?

    Nel primo caso, secondo noi, sarebbe un disastro e dimostrerebbe la sudditanza dell'Ue ai mercati e al sistema bancario. Si consideri che i bond dei paesi Piigs direttamente in mano al sistema bancario europeo sarebbero 750 miliardi di euro,150 dei quali sono titoli greci.

    Nel secondo caso, quello dell'emissione di eurobond, avremmo invece una posizione politica univoca e forte da parte dell'Europa che dimostrerebbe la chiara volontà di contrastare la speculazione finanziaria puntando alla stabilizzazione e alla riduzione del debito pubblico attraverso politiche di crescita economica.

    Il documento finale di Parigi, comunque, contiene qualche elemento a nostro avviso  positivo. Il primo, chiaramente sollecitato dai Brics e dagli altri paesi emergenti, chiede di "allargare il paniere degli SDR, i diritti speciali di prelievo, come un contributo all'evoluzione del sistema monetario internazionale". E' la prima volta che in un atto ufficiale di rilevanza internazionale si menziona il processo di superamento del sistema del dollaro e si fa riferimento ad un paniere di monete.

    Ci sembra interessante che il prossimo G20 che si terrà a Cannes il 3-4 novembre dovrebbe affrontare il problema delle fonti di finanziamento per progetti di investimento in grandi infrastrutture, alcuni dei quali dovrebbero essere presentati come esempi guida. E' un passo nella giusta direzione.  Ne parliamo da tempo, come del resto fanno i paesi emergenti e alcune istituzioni europee, quali le Casse Depositi e Prestiti,  che già promuovono investimenti di lungo periodo nei settori trainanti delle infrastrutture e delle innovazioni tecnologiche.

10.10.2011

IPSE DIXIT / Lavoro e diritti : Italia più povera, pagano i giovani ; Giornalisti precari e informazione flessibile

IPSE DIXIT


Per diventare Vip - «Quel cervellone barbuto di Karl Marx l'aveva detto che nessuno può diventare ricco con il proprio lavoro soltanto e che per diventare un Vip ed entrare nell'élite dei più ricchi bisogna far lavorare gli altri. Per perseguire questo sogno, sono state tentate numerose soluzioni ingegnose nel corso della storia, dalla schiavitù e i lavori forzati, la tratta, la servitù debitoria e le colonie penali fino alla precarizzazione, i contratti a zero ore, il lavoro flessibile, la clausola di non-sciopero, lo straordinario obbligatorio, il lavoro autonomo forzato, le agenzie interinali, la subfornitura, l'immigrazione clandestina, l'esternalizzazione e molte altre novità organizzative improntate alla massima flessibilità». Marina Lewycka

LAVORO E DIRITTI

a cura di rassegna.it<http://www.rassegna.it/home/index.cfm>

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Italia più povera,

pagano i giovani

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Draghi, presidente designato della Bce, lancia l'allarme sull'economia italiana: "Servono riforme strutturali, perché nella situazione attuale si generano problemi di equità. I giovani sono fra coloro che ne subiscono i contraccolpi più forti".

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"La crescita economica non può fare a meno dei giovani né i giovani della crescita" e "la valorizzazione dei giovani è una condizione necessaria allo sviluppo di un'economia moderna". Lo ha detto il governatore della Banca d'Italia Mario Draghi, al seminario dell'Intergruppo parlamentare per la sussidiarietà 'Giovani e crescita', all'Abbazia di Spineto (Sarteano).

Poi, il prossimo presidente Bce ha spiegato: "In passato, soprattutto nella lunga fase di espansione che ha caratterizzato le economie avanzate dopo la guerra, questo duplice nesso si manifestava chiaramente nello sviluppo demografico e della produttività, nel progresso tecnico, nelle caratteristiche del capitale umano adatte a sostenere lo sviluppo. Oggi non è più così". Draghi, infine, sottolinea come "la crisi che dal 2008 ha colpito l'economia mondiale ha acuito drammaticamente il problema perché i giovani sono fra coloro che ne subiscono i contraccolpi più forti".

Draghi ha sottolineato inoltre che "la famiglia costituisce" per i giovani "anche un riparo dalle temperie dell'economia. Ma se il miglioramento del proprio tenore di vita non avviene tramite l'accumulazione di risorse collegate al proprio lavoro come accadeva più frequentemente cinquant'anni fa, quando i patrimoni familiari erano modesti e i tassi di crescita del reddito elevati si generano problemi di equità".

A detta del numero uno di Bankitalia, "se per alcuni giovani, una maggiore rilevanza della ricchezza ereditata può costituire una forma di compensazione rispetto alle minori opportunità di guadagno, in generale tende ad accrescere le disuguaglianze nelle condizioni di partenza. Il legame tra i redditi da lavoro dei genitori e quelli dei figli è in Italia tra i più stretti nel confronto internazionale, più vicino ai valori elevati osservati negli Stati Uniti e nel Regno Unito che a quelli stimati per i paesi nordici e dell'Europa continentale".

La ricetta di Draghi, quindi, consiste nel "favorire i processi di riallocazione dei lavoratori tra imprese e settori per cogliere più prontamente le opportunità di crescita sui mercati globali" per poi "ridurre il grado di segmentazione del mercato del lavoro, oggi diviso in settori protetti e non protetti, intervenendo sulla regolamentazione delle diverse tipologie contrattuali ed estendendo la copertura degli istituti assicurativi". "E' indispensabile - ha detto ancora l'inquilino di Palazzo Koch - proseguire nell'azione di riforma del settore dell'istruzione per incrementare lo stock di capitale umano, oggi inferiore in quantità e qualità rispetto ai paesi con cui competiamo sui mercati".

"Questi interventi - ha concluso - si rifletterebbero in un miglioramento anche delle opportunità economiche e professionali dei giovani. Rimuovere gli ostacoli all'attività economica riducendo i costi di apertura e di gestione delle nuove imprese promuove anzitutto la partecipazione economica delle nuove generazioni. Allentare le difficoltà di accesso al capitale di rischio, promuovendo lo sviluppo delle attività di venture capital significa in primo luogo aiutare la nascita e sostenere l'espansione delle imprese giovani a più alto potenziale innovativo. Ridurre la segmentazione del mercato del lavoro consente di riequilibrare le opportunità occupazionali e le prospettive di reddito, oggi fortemente sbilanciate a favore delle generazioni più anziane. Valorizzare le capacità e le competenze dei nostri studenti, riducendo il divario con i coetanei dei principali paesi europei, migliora la competitività e la capacità propulsiva delle imprese che li occuperanno, o che da essi verranno fondate".


Giornalisti precari e

informazione flessibile

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Si tiene a Firenze una due giorni per fare il punto sui precari nel giornalismo. Sono circa 100mila, di cui il 70% pubblicisti, hanno stipendi inferiori ai 5000 euro l'anno. Falcidiati dalla crisi, chiedono diritti e contratto.

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di Antonio Fico

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Il 7 e l'8 ottobre si tiene la due giorni "Giornalisti e giornalismi", l'iniziativa che per la prima volta chiama a raccolta a Firenze giornalisti precari e free lance, con l'obiettivo di fare il punto sulle difficili condizioni di lavoro nel settore e di promuovere una carta professionale dei diritti (per i precari) e dei doveri (per gli editori).

L'incontro nazionale, che vedrà oggi arrivare da tutta Italia centinaia di collaboratori di testate più o meno note del panorama editoriale italiano, e che avrà il suo fulcro al teatro Odeon di Firenze è promosso dall'Ordine nazionale dei Giornalisti, dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana, dall'Ordine dei giornalisti della Toscana e Assostampa Toscana, con il sostegno di Inpgi e Casagit.

Sempre più importanti per le attività di quotidiani e dei settimanali, sempre più numerosi, i precari rappresentano la spina dorsale di molte redazioni. Sono quasi sempre la manovalanza a basso costo, pronta all'uso indiscriminato e senza possibilità di contrattare i propri compensi. Secondo le stime dell'Ordine dei giornalisti, sono circa 100mila i giornalisti iscritti all'ordine, di cui il 70% pubblicisti. E una buona parte di essi percepiscono compensi inferiori ai 5000 euro l'anno.

Una situazione esasperata dalla crisi, durante la quale sono andati persi 5 mila posti di lavoro, per la decisione degli editori di bloccare il turn over. "A questo – spiega Antonella Cardone, del Coordinamento emiliano giornalisti precari e freelance e consigliere nazionale dell'Ordine dei giornalisti – si aggiungono le scuole di giornalismo che producono professionisti in serie mentre cala a picco l'offerta di lavoro stabile. La conseguenza? Che si è disposti anche a lavorare gratis in redazione, soprattutto nelle testate online".

I punti salienti della Carta di Firenze, che l'assemblea discuterà e dovrebbe approvare in via definitiva definitiva sabato, puntano a ridisegnare i rapporti di forza nel settore: compensi più alti e coinvolgimento effettivo nella contrattazione collettiva; percorsi di regolarizzazione e verso contratti stabili a tempo indeterminato; un'allenza tra ordine e sindacato per " il coinvolgimento dell'opinione pubblica e delle istituzioni in una vera e propria campagna per la dignità del lavoro; strumenti di rappresentanza del lavoro autonomo all'interno delle testate; ammortizzatori sociali.

Il programma della due giorni, prevede tra le altre cose, per la mattina del 7 ottobre i racconti a "microfono aperto" di collaboratori e freelance sulla loro esperienza di lavoro e una manifestazione in Piazza Signoria.

In vista dell'incontro dell'Odeon, decine di famiglie fiorentine hanno offerto la loro disponibilità ad ospitare i giornalisti in arrivo. Così come si è offerta di ospitare i precari, venuta a conoscenza dell'iniziativa, la Comunità islamica del capoluogo toscano. La due giorni è dedicata alla memoria di Pierpaolo Faggiano, il giornalista precario che si è tolto la vita pochi mesi fa.

10.09.2011

Un timido raggio di sole

La politica di Obama sta dando i suoi primi frutti? L'economia USA registra in settembre 103 mila posti di lavoro in più rispetto al mese precedente. Il mercato del lavoro americano appare in crescita "oltre le aspettative", rilevano gli esperti.

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(mes) - Un timido raggio di sole lambisce il mercato del lavoro amerciano, profondamente scosso dalla crisi. Lo ha annunciato venerdì il ministero dell'economia dell'Amministrazione USA precisando che il numero degli occupati sarebbe salito ben oltre le previsioni.

Gli analisti avevano calcolato un aumento di 60 mila posti di lavoro, con una quota di disoccupati intorno al 9.1%. La crescita è stata invece di 103 mila posti in più. Metà dell'incremento è derivato, tuttavia, dal ritorno al lavoro di 45 mila dipendenti della Verizon, impresa delle comunicazioni nella quale le maestranze avevano scioperato durante il mese di agosto. D'altro canto, però, vanno tenute in debito conto anche le correzioni aritmetiche riguardanti i mesi precedenti, che sono positive, riferisce l'agenzia Reuters.

In agosto negli USA si sono creati 57 mila jobs contro una previsione originaria a crescita zero. Analogo incremento in luglio: 127 mila unità in più contro una previsione di 85 mila.

A settembre la crescita dell'occupazione ha interessato soprattutto i settori dei servizi, della sanità ed edilizio.

Sul piano psicologico si segnala una diminuzione delle "paure da recessione" che si accompagna con il dato reale di un lieve aumento delle retribuzioni su base oraria (+0,2%). Anche l'orario medio di lavoro è salito negli Stati Uniti da 34,2 a 34,3 ore alla settimana.

Il buon risultato, nonostante un'estate "debole", viene letto come un segnale di possibile fuoriuscita dalla recessione dell'economia USA.

Il presidente Barack Obama, che aveva annunciato in agosto l'avvio della "Campagna elettorale per il lavoro", può tirare un sospiro.


Forse, persino le gravi perdite registrate nei mesi scorsi in ambito azionario potrebbero aver toccato il punto di minima. Almeno per il momento.

I grandi problemi epocali planetari restano lì, ovviamente, ma è possibile che la ripresa economica americana e la stabilizzazione finanziaria preludano a una fase nuova. A patto che l'Europa, però, affronti in modo risoluto, e cioè con un salto di qualità politico, la crisi dei debiti sovrani.

Qui si sposta ora la sfida, concordano gli esperti.

Ed è tutto l'Occidente a rischiare grosso, se l'Europa sbarella, per via di quell'"effetto domino" che verosimilmente potrebbe innescarsi in seguito al default di un paese appartenente all'eurozona.

Il pallino è in mano della Germania. Peccato che quest'anno all'Oktoberfest furoreggi una leggenda metropolitiana di gusto, come dire, berlusconico.

In essa si narra di un gruppo di turisti bavaresi recatisi in Grecia l'estate scorsa. Una sera, giunti sull'isola di Kos, dopo aver ben mangiato e ben bevuto il gruppo si alza da tavola improvvisamente abbandona il locale senza saldare il conto: "Abbiamo già dato pagando le nostre tasse", dicono al cameriere sghignazzando.

Oggi lo scherno riguarda la Grecia. Domani chissà. Ma davvero c'è poco da ridere. Anzitutto, a rigor di logica lo scherno dovrebbe valere nei confronti non delle osterie greche, ma di svariate banche distribuite su tutto il territorio del nostro continente, a sud delle Alpi come nel Settentrione, al di qua come al di là del Reno.

Due ex cancellieri tedeschi, il socialdemocratico Helmut Schmid e il suo successore democristiano Helmut Kohl, mettono poi in guardia i loro connazionali da pericolose sbornie di altezzosità, ricordando che se gli altri popoli europei trarranno l'impressione di una leadership della Germania divenuta inaffidabile, il conto più salato lo pagherà, alla fine, proprio il popolo tedesco.

Helmut Schmid ha infine aggiunto: «Mi piace suddividere l'umanità in tre categorie: la prima sono le persone normali. Tutti noi da ragazzini abbiamo portato via una mela, ma poi siamo diventati delle persone decenti. La seconda categoria sono quelli che hanno una vena criminale e questi bisogna condurli davanti al giudice. La terza è data dai manager dei fondi e delle banche d'investimento».

10.03.2011

Salva stati, salva banche

Cari amici in Europa, incredibile, lo stanno facendo di nuovo: i nostri governi stanno riempiendo con i soldi nostri le tasche delle banche!

    Dobbiamo dare il via libera al fondo salva-stati il prima possibile per salvare la Grecia, l'Europa e l'euro. Tuttavia l'attuale fondo salva-stati fa sì che siamo noi contribuenti a rimborsare le banche del 90% dei loro investimenti forsennati. I greci non vedranno nemmeno un euro di tutti i soldi che stiamo per destinare ai ricchi banchieri. Peggio ancora: il 30% dei nostri soldi andrà agli speculatori, che faranno profitti enormi dalla speculazione sul fondo salva-stati!

    Come può essere che i nostri governi abbiano siglato il fondo salva-stati, che ricopre d'oro banche e speculatori e lascia la Grecia in mutande? La risposta è semplice: i governi hanno chiesto anche ai banchieri di firmare il patto. I nostri ministri delle finanze s'incontreranno fra 3 giorni e decideranno del piano: lanciamo un appello enorme a loro e ai nostri parlamenti per tornare al tavolo delle trattative per salvare la Grecia e non le banche:

 

http://www.avaaz.org/it/eu_people_vs_banks/?vl

 

In un momento in cui ovunque c'è una grossa stretta sul credito e fette importanti della nostra spesa sociale vengono tagliate con l'accetta, i governi cedono davanti all'altare della lobby dei banchieri. Si giustificano dicendo che sono preoccupati che alcune banche non saranno in grado di assorbire la perdita degli investimenti in Grecia, e che senza gli aiuti fallirebbero. Ma se siamo noi ad avere bisogno di aiuto, e di conseguenza ci rivolgiamo alle banche, non riceviamo soldi gratuitamente, bensì prestiti. Ora le banche sono in difficoltà e si sono rivolte a noi: perché dovremmo trattarle diversamente da come fanno loro? Anziché dare via i nostri soldi gratuitamente, facciamo prestiti o investimenti nelle banche, e chiediamo che ci vengano restituiti a un buon tasso d'interesse!

    Questo è quello che hanno fatto Gordon Brown nel Regno Unito e Barack Obama negli Stati Uniti: quando le banche stavano per fallire, non le hanno salvate con finanziamenti a tasso zero, ma con prestiti e investimenti. E nel giro di un anno i contribuenti ci hanno persino guadagnato!

    Questo accordo è corruzione pura e semplice. Non c'è ragione alcuna legata all'interesse pubblico per fare questo regalo a banche e speculatori, mentre ci sono miliardi di buoni motivi per provare a proteggere i conti pubblici. Invece di dare via quei soldi, possiamo investirli in Grecia e nella capacità delle nostre società di uscire dalla crisi finanziaria e cominciare nuovamente a crescere. E' arrivato il momento per i nostri politici di non nascondersi più dietro argomentazioni complicate scritte dai banchieri: questo gioco è finito. Urliamo il nostro no a questo scandaloso fondo salva-stati e chiediamo un nuovo patto:

 

http://www.avaaz.org/it/eu_people_vs_banks/?vl

 

Troppo spesso ormai il futuro dell'economia e dei nostri bambini viene deciso nelle segrete stanze da interessi corrotti che vogliono solo fare profitto. I cittadini sono totalmente tagliati fuori: è ora di dire basta. I banchieri e i politici ritengono che tutto questo sia troppo complicato perché le persone possano capire o interessarsene. Dimostriamo loro quanto si sbagliano.  Con speranza,


Alex, Iain, Antonia, Emma,

Alice, Maria Paz, Pascal 

e il team di Avaaz

Maggiori informazioni su:

 

=> Corriere della Sera - Gli hedge fund faranno profitti sul recupero dei bond greci

=> Il Fatto quotidiano - Crisi greca, alunni a scuola senza libri. E un dipendente pubblico su 5 resterà a casa

=> Corriere tv - Austerità e crescita: un binomio difficile

=> La Repubblica - G20: maxi piano da tremila miliardi

per la ricapitalizzazione delle banche

9.20.2011

La spinta è finita (2/2)

Riceviamo e volentieri pubblichiamo / Dibattito a sinistra

 

Fenomenologia della crisi e del possibile passaggio.

di Rodolfo Ricci

 

Nel 2011 appare chiaro che ciò che chiamiamo "mercati" è così forte da mettere in crisi interi Stati, non Stati marginali o periferici, ma Stati centrali, al centro dell'Impero; gli stessi Stati che ospitano e hanno allevato e fatto crescere l'oggettività dogmatica dei mercati.

    L'operazione straordinaria a cui stiamo assistendo è che questi poteri ci stanno dicendo che sono superiori alle loro madri, alle loro levatrici storiche. Sono cioè il vero dominio globale. Ben più potenti degli Stati più potenti. I quali debbono ora riconoscere pubblicamente la loro superiorità e abdicare definitivamente alla loro costitutiva funzione di sovranità.

    Questo è il messaggio e il risultato a cui si deve accondiscendere. Nell'aggressione agli Stati centrali dell'Impero, i veri poteri intendono indicare che essi rappresentano l'unica oggettività sistemica, mentre gli Stati non sono altro che il prodotto di meri processi storici umani, parziali, discutibili, relativi. [4]

    Loro sono cioè la NATURA, mentre gli Stati sono solo la STORIA. Ed è la seconda che, notoriamente, accade e si sviluppa dentro la prima. Non viceversa.

  La NATURA inoltre, può dislocarsi secondo logiche del tutto svincolate dall'etica, da qualsiasi tipo di etica, anche dall'etica della nazione e della patria, che le aveva internamente costituite, ai suoi albori, come strumento del suo potere.

    Vi è cioè un processo di emancipazione totale della finanza dagli Stati. Anche dagli Stati Uniti d'America, ove essa si è strutturata nella sua forma più avanzata, dopo che aveva tentato, nel corso del '900, una dislocazione per aree di potenza nazionali o continentali, forme queste ultime, limitate rispetto alle sue potenzialità interne.

    In questo senso, il progetto di Nuovo Secolo Americano configurato dagli eventi dell'11/9, è stato forse l'ultimo tentativo di controllo operato da leaderships patriottiche degli USA per produrre una limitazione nazionale alla proliferazione finanziaria globale. La sua sconfitta, corrisponde al superamento definitivo della territorialità sistemica. Ora la fase che si attraversa è quella della compiuta extraterritorialità finanziaria dei poteri globali. [5]

    Non costituisce dunque alcun problema sostanziale dislocare la propria attenzione e potenzialità di investimento verso un paese comunista come la Cina, poiché non vi è più alcun vincolo ideologico. La extraterritorialità è quindi fisica, ma anche ideologica.

    In ciò, il carattere Naturale del nuovo potere viene ulteriormente confermato.

    Esso si manifesta come spirito naturale superiore agli uomini e ad ogni creazione umana, inclusi gli Stati, la democrazia e ogni altro artefatto antropologico. A posteriori, esso si presenta come la nuova Scolastica destinata a regnare per il millennio a venire, con tutti i risvolti feudali che esso comporta nell'articolazione astratta (sovrastrutturale) e concreta (strutturale) del nuovo impero e dei suoi poteri.

    Ma perché e a quali condizioni, questo progetto potrà funzionare ?

    Esso può funzionare solo se potrà acquisire gli elementi di consenso tipici di ogni epoca dogmatica: quegli elementi che possono essere riassunti con il termine di FEDE.

    A ciò si stanno predisponendo con un'enorme riconversione mondiale i media mainstream che hanno coperto l'epoca imperiale anglosassone. Da ora in poi, essi dovranno costituire e coprire la funzione di nuove cattedrali gotiche attraverso le quali dovrà essere diffuso il verbo del nuovo ordine mondiale astratto, ubiquo, e indipendente da nazioni e da Stati.

    I dispositivi utilizzati saranno analoghi e allo stesso tempo diversificati come gli infiniti ordini clericali medioevali che dovranno rappresentare e contenere le innumerevoli sollecitazioni delle minoranze razziali, etiche, di genere, di classe, in cui è possibile suddividere l'umanità sul pianeta. In ciò si appresta a cambiare la funzione POLITICA; essa servirà a tentare una rappresentanza dell'infinito particolare e allo stesso tempo a confermare la base strutturale della naturalità di sistema. Governi ed opposizioni si diversificheranno (come sta già accadendo) ovunque per ottenere questo risultato.

    Una dinamica che per certi versi ricorda quella tra domenicani e francescani nel corso della seconda metà del tredicesimo secolo.

    Il consenso sarà acquisito attraverso l'abito trasversale, interrazziale, interclassista, evolutivo, libertario, antietico (con varie improvvise escrescenze reazionarie alle quali verrà riconosciuta una parziale legittimità strumentale), con cui negli ultimi decenni ha già iniziato a vestirsi dopo aver pian piano dismesso la divisa militare.

    Ciò non significa affatto che esso abbandonerà la guerra e la violenza, ma la nuova guerra e il nuovo monopolio della violenza sarà sempre più guerra, dentro e fuori ogni confine, contro gli elementi ERETICI.

    La lotta alle ERESIE sarà il suo progetto, la sua linea di condotta. Insieme alla soppressione delle inevitabili jacquerie.

    C'è tuttavia un problema di fondo che il nuovo potere del millennio dovrà rapidamente risolvere: si tratta della sua insita e manifesta – almeno per ora, almeno finchéquesti dispositivi non avranno pienamente sviluppato i loro effetti - dimensione limitante rispetto alle potenzialità storiche, tecnologiche e spirituali raggiunte dalle masse a partire dai paesi avanzati dell'occidente che hanno costituito la sua levatrice storica.

    Questo problema è attuale – è il presente - e dalla sua soluzione dipenderà il corso degli eventi, della sua vittoria o della sua sconfitta: ove l'evidenza del carattere di limitazione e di blocco derivante dalla sua sostanziale natura (profitto e potere) arrivasse a convincere grandi masse, l'umanità potrebbe ancora evitare il medioevo prossimo venturo.

    Ove il meccanismo della solvibilità del debito dovesse accentuare, come sembra, la riduzione delle possibilità individuali (sta già accadendo e dovrebbe intensificarsi nei prossimi anni), ci troveremmo di fronte ad una possibile crisi analoga a quella del socialismo reale, nella quale, le potenzialità dei singoli e delle masse risultavano costrette da un sistema burocratico che non le riconosceva e che non era in grado di valorizzarle, malgrado le intenzioni costitutive del socialismo.

    La funzione di emancipazione del socialismo reale venne compromessa da questo fatto: le società erano più avanzate del sistema. Il sistema risultava essere un limite. E venne superato, salvo cadere dalla padella alla brace neoliberista.

    Oggi, anche se il sistema globale di finanza sembra avere un grande futuro nelle aree Brics, esso potrebbe non avere la stessa chance nei paesi avanzati. Qui, appare infatti più chiaro, a partire dalla quotidianità individuale e dal livello medio di coscienza sociale, che esso si è convertito in un enorme limite allo sviluppo soggettivo ed oggettivo.

    La grande battaglia per deliberare la fine del sistema propulsivo del capitalismo si gioca quindi nei prossimi mesi e nei prossimi immediati anni. Dopo sarà troppo tardi e riuscirà ad avere il sopravvento. E governerà fino a che le inevitabili eresie non riusciranno a scalzarlo. Ma in questo caso, potrebbe trascorrere molto tempo.

    Va fatto emergere con grande forza che se il nuovo equilibrio di poteri ci porta ad una riduzione drastica di benessere, seppure parziale, contraddittorio ed ecologicamente non sostenibile, ciò significa soltanto che la spinta propulsiva del capitalismo è terminata. E che bisogna introdure nel sistema tutti gli accorgimenti utili a farlo definitivamente crollare e a sostituirlo.

    Il primo di questi accorgimenti consiste nell'evitare in ogni modo il suo approvvigionamento di valori pubblici che intende realizzare e il secondo è quello di gridare a tutte le latitudini che la sua natura è meramente convenzionale, creatura storica parziale, che può e deve essere abbattuta e superata per sempre.

    Esistono le tecnologie per gestire la transizione dal valore di scambio al valore d'uso. O, se si vuole, dall'alienazione alla valorizzazione delle infinite potenzialità umane come parte dei processi evolutivi della natura; una valorizzazione svincolata da ogni profitto e da ogni interesse. - (2/2 - Fine )

 

NOTE

 

[4] – La discussione italiana intorno alla corruzione della casta politica e alla sua incapacità di gestione nazionale dei processi finanziari globali, costituisce una modalità interessante e su cui riflettere del modo in cui il meccanismo finanziario si pone ad un meta-livello rispetto alla politica. Ciò è già avvenuto per la Grecia e in generale per i paesi del sud Europa in crisi. Mentre per i paesi del nord Europa, la discussione si è già spostata intorno alla capacità della politica di contenere con ogni mezzo le jacquerie e l'ordine costituito, come avviene in questi giorni a Londra.

     [5] - Il termometro di questo processo sono le agenzie di rating, costrette anch'esse, a conferma e coerenza del processo in corso, a declassare il debito USA, a cui seguirà a breve il declassamento del debito di altri grandi paesi.