FONDAZIONE NENNI
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Nelle condizioni attuali, prospettare una “flat tax”, anche
solo in forma parziale, appare davvero da irresponsabili.
di Franco Cavallari
La maggior parte degli osservatori economici concorda nel considerare le prospettive per il 2020 particolarmente problematiche; e da qualche settimana, anche i proclami del Governo in carica sulle magnifiche sorti di quest’anno e dell’anno venturo stanno lasciando il posto a qualche preoccupazione sul modo di affrontare l’aggiustamento dei conti pubblici. Il DEF di primavera relativo al bilancio 2019, necessariamente generico, non ha dato alcuna precisa indicazione su come la maggioranza intende correggere lo schema macroeconomico per il 2020 proposto a fine 2018.
Gli obiettivi economici stabiliti in quella sede dopo lunga e penosa trattativa con l’UE prevedevano per il 2019 una crescita dell’1% ed un disavanzo del 2,04% del PIL; ma il loro conseguimento è ormai tramontato per lasciare il posto ad un più realistico tasso di crescita dello 0,2% ed un debito pubblico dell’ordine del 2,6-3,2% rispetto al PIL. Se il Governo dovesse sopravvivere al responso delle elezioni europee, com’è molto probabile, non è escluso che le intenzioni della maggioranza relativamente al complesso di una eventuale manovra correttiva intervengano in piena estate. Sarà quello, comunque, il momento in cui potrà iniziare un’attenta riflessione pubblica non solo con riferimento alla claudicante realtà economica dell’anno in corso, ma anche e soprattutto sulle prospettive per l’anno prossimo venturo.
I parametri economici che si prospettano per il 2020 e che costituiranno la base per la formazione del bilancio lasciano emergere ombre molto più inquietanti di quanto non appaia in superficie. Come accennato, la Legge di bilancio per il 2019 confrontata con la realtà in essere presenta non poche criticità; accettata come appena sufficiente dalla Commissione dell’UE (che già allora prevedeva una crescita per il 2019 dello 0,2%) rappresentava una via di fuga per il Governo italiano, invischiato in una impasse che rischiava lo scontro frontale tra lo Stato italiano e le istituzioni comunitarie.
Rispetto ai non ben calibrati parametri inseriti nel bilancio 2019, le nuove poste per il 2020 da inserire nella nuova Legge di bilancio dovranno fotografare un contesto in cui la crescita economica volge alla stagnazione, se non alla recessione. In primo luogo sarà necessario dare un riscontro all’esigenza di neutralizzare le clausole di salvaguardia che ammontano per il 2020 a ben 24 Mrd e che incombono sulla prospettiva di un pericoloso aumento dell’IVA. Come per il passato, una buona metà, circa 12 Mrd, potrà essere rinviata all’anno successivo, già carico per conto suo di clausole per 27 Mrd). Ci saranno poi da reperire i 18 Mrd di privatizzazioni inserite anche nel bilancio 2020 fin dai quadri prospettici delle finanziarie degli anni passati; tenuto conto delle rigidità e della lentezza già riscontrate in passato per questo tipo di operazioni. appare molto improbabile possano essere realizzate se non in misura minima, forse il 10%. Ci sono ancora altri 5-6 Mrd per i pensionamenti aggiuntivi (quelli del 2020) della “Quota 100”; infine lo stanziamento supplementare di circa 2 Mrd per il reddito di cittadinanza, il cui stanziamento nel 2019 si riferiva soltanto a otto mesi.
Il totale di queste poste aggiuntive rispetto al bilancio 2019 ammonta a circa 62 Mrd per i quali sarà necessario trovare una fonte di finanziamento. Per il momento, stando alle dichiarazioni del Vice Presidente Salvini, le relative risorse dovrebbero provenire dalla crescita sperata; che però, per il 2020 è stimata dal Governo stesso intorno allo 0,8%, vale a dire non più di 14 Mrd. Su questo surplus di risorse provenienti dalla maggiore crescita, le entrate pubbliche, al tasso del 46% della pressione fiscale, risulterebbero intorno ai 6-7 Mrd. Mancherebbero all’appello più di 50Mrd, senza considerare le non poche perplessità sulla possibilità che il sistema realizzi lo 0,8% di crescita previsto.
Intanto, a lato delle incongruenze descritte, registriamo che il quadro di riferimento degli scambi internazionali non accenna a migliorare, anche se non è priva di significato la circostanza che nei primi mesi di quest’anno, malgrado il rallentamento del commercio mondiale, la variazione positiva delle esportazioni risulta lievemente maggiore rispetto all’anno precedente. Se è vero che in questi ultimi mesi, la tensione commerciale tra Cina e USA sembra essersi attenuata, è pur vero che si prevede per il commercio globale un lungo periodo caratterizzato da tensioni protezionistiche non trascurabili. Prospettive di rallentamento degli scambi internazionali emergono anche dal DEF di pochi giorni fa, ove lo stesso Ministero dell’Economia stima nel prossimo triennio in leggera contrazione le quote di mercato delle nostre esportazioni.
La sfavorevole congiuntura economica internazionale che si prospetta per il 2020 è testimoniata anche dalle ultime decisioni della BCE, la quale, nell’ultima riunione del Comitato Direttivo, ha deciso di iniziare a partire dal prossimo mese di settembre un nuovo programma di operazioni di rifinanziamento a lungo termine volto a creare condizioni più favorevoli al credito bancario.
Secondo il quadro macroeconomico del Governo, la congiuntura economica italiana, sostenuta prevalentemente dall’aumento dei trasferimenti alle famiglie, comincerebbe ad irrobustirsi già nella seconda parte di quest’anno e continuerebbe a crescere anche nel 2020; ma in senso contrario si esprimono, sia pur con toni diversi, il Fondo Monetario Internazionale e l’OECD, che prevedono per il 2019 una profonda stagnazione, se non addirittura la recessione e per l’anno prossimo una solo leggera ripresa. Questi enti internazionali considerano infatti che le misure del Governo a sostegno della domanda interna (il Reddito di cittadinanza e Quota 100) daranno, quest’anno come l’anno prossimo, un contributo alla crescita molto modesto. Al momento essi rilevano che l’accumulazione di capitale accusa condizioni di investimento molto sfavorevoli, essendo, peraltro, venuti meno gli incentivi, ad esempio l’iperammortamento, che hanno stimolato nel recente passato un’accumulazione di capitale di non trascurabile entità.
Come le istituzioni internazionali, anche quasi tutti gli istituti di previsione italiani, evidenziano la mancanza di una politica di investimenti pubblici che, oltre ad alimentare la domanda, potrebbe migliorare il clima economico generale, suscitando gli investimenti privati, forieri di un rilancio dell’occupazione. L’Ufficio Parlamentare di Bilancio, un organo indipendente previsto da una Legge costituzionale per effettuare valutazioni economiche relative alla formazione del bilancio, ha effettuato una stima dell’effetto macroeconomico del Reddito di cittadinanza nel 2019, concludendo per un impatto sulla crescita molto limitato (0,2%).
Indipendentemente dalle previsioni, il complesso dei dati macroeconomici di prospettiva appare fin d’ora talmente squilibrato che solo lo smisurato ottimismo del Governo riesce a vedere qualche spiraglio di miglioramento. In realtà, è indispensabile una netta inversione di rotta, vale a dire un bilancio pubblico per il 2020 capace di ricomporre in un contesto orientato allo sviluppo gli indispensabili sacrifici della spesa corrente con un serio programma di investimenti pubblici, entrambi necessari per riequilibrare il quadro finanziario. In caso contrario, le consuete schermaglie del prossimo autunno per la predisposizione della Legge finanziaria diverranno il pericoloso innesco di una grande instabilità nel mercato dei capitali.
Secondo molti centri di ricerca economica, l’ostacolo delle clausole di salvaguardia potrebbe essere affrontato con un aumento dell’IVA in misura ridotta: Due punti sulle aliquote più basse ed un punto e mezzo sull’aliquota del 22% darebbero un gettito vicino ai 12 Mrd, incidendo solo marginalmente sui prezzi (intorno a 0,50%). In questa ottica, un parziale aumento dell’IVA avrebbe un effetto depressivo sui consumi non eccessivo e potrebbe consentire, senza troppi traumi, di rinviare all’anno successivo le restanti clausole di salvaguardia per la differenza di 12 Mrd; resterebbero comunque da reperire circa 50 Mrd che, escudendo un aumento dell’imposizione, potranno solo in minima parte essere coperti con la “spending review”.
In queste condizioni, prospettare la “flat tax” (una riforma rifiutata da tutti i paesi industrializzati, che ha trovato applicazione solo in paradisi fiscali, piccole isole e paesi dell’ex impero sovietico nell’est europeo), anche in forma parziale, sarebbe davvero da irresponsabili.
Per quanto riguarda la formazione del bilancio per il 2020, in assenza di una manovra coraggiosa sugli squilibri descritti, non si vede come si possa evitare che il volano incontrollato della spesa corrente abbia un impatto devastante sullo “spread” tra i Btp e i Bund tedeschi. Senza una preliminare netta presa di posizione unanime del Governo per un aggiustamento accettabile dei conti pubblici, sarà inevitabile che in autunno, nelle more della trattativa sulla legge di bilancio, il surplus di interessi che il mercato dei capitali richiederà per finanziarie il nostro debito pubblico subisca un brusco aumento rispetto ai livelli attuali. E non è da escludere che si vada incontro a squilibri in grado di porre in serie difficoltà la stabilità economica del nostro Paese e, probabilmente, anche l’assetto dell’Unione Europea.
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