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(mes) - Un timido raggio di sole lambisce il mercato del lavoro amerciano, profondamente scosso dalla crisi. Lo ha annunciato venerdì il ministero dell'economia dell'Amministrazione USA precisando che il numero degli occupati sarebbe salito ben oltre le previsioni.
Gli analisti avevano calcolato un aumento di 60 mila posti di lavoro, con una quota di disoccupati intorno al 9.1%. La crescita è stata invece di 103 mila posti in più. Metà dell'incremento è derivato, tuttavia, dal ritorno al lavoro di 45 mila dipendenti della Verizon, impresa delle comunicazioni nella quale le maestranze avevano scioperato durante il mese di agosto. D'altro canto, però, vanno tenute in debito conto anche le correzioni aritmetiche riguardanti i mesi precedenti, che sono positive, riferisce l'agenzia Reuters.
In agosto negli USA si sono creati 57 mila jobs contro una previsione originaria a crescita zero. Analogo incremento in luglio: 127 mila unità in più contro una previsione di 85 mila.
A settembre la crescita dell'occupazione ha interessato soprattutto i settori dei servizi, della sanità ed edilizio.
Sul piano psicologico si segnala una diminuzione delle "paure da recessione" che si accompagna con il dato reale di un lieve aumento delle retribuzioni su base oraria (+0,2%). Anche l'orario medio di lavoro è salito negli Stati Uniti da 34,2 a 34,3 ore alla settimana.
Il buon risultato, nonostante un'estate "debole", viene letto come un segnale di possibile fuoriuscita dalla recessione dell'economia USA.
Il presidente Barack Obama, che aveva annunciato in agosto l'avvio della "Campagna elettorale per il lavoro", può tirare un sospiro.
Forse, persino le gravi perdite registrate nei mesi scorsi in ambito azionario potrebbero aver toccato il punto di minima. Almeno per il momento.
I grandi problemi epocali planetari restano lì, ovviamente, ma è possibile che la ripresa economica americana e la stabilizzazione finanziaria preludano a una fase nuova. A patto che l'Europa, però, affronti in modo risoluto, e cioè con un salto di qualità politico, la crisi dei debiti sovrani.
Qui si sposta ora la sfida, concordano gli esperti.
Ed è tutto l'Occidente a rischiare grosso, se l'Europa sbarella, per via di quell'"effetto domino" che verosimilmente potrebbe innescarsi in seguito al default di un paese appartenente all'eurozona.
Il pallino è in mano della Germania. Peccato che quest'anno all'Oktoberfest furoreggi una leggenda metropolitiana di gusto, come dire, berlusconico.
In essa si narra di un gruppo di turisti bavaresi recatisi in Grecia l'estate scorsa. Una sera, giunti sull'isola di Kos, dopo aver ben mangiato e ben bevuto il gruppo si alza da tavola improvvisamente abbandona il locale senza saldare il conto: "Abbiamo già dato pagando le nostre tasse", dicono al cameriere sghignazzando.
Oggi lo scherno riguarda la Grecia. Domani chissà. Ma davvero c'è poco da ridere. Anzitutto, a rigor di logica lo scherno dovrebbe valere nei confronti non delle osterie greche, ma di svariate banche distribuite su tutto il territorio del nostro continente, a sud delle Alpi come nel Settentrione, al di qua come al di là del Reno.
Due ex cancellieri tedeschi, il socialdemocratico Helmut Schmid e il suo successore democristiano Helmut Kohl, mettono poi in guardia i loro connazionali da pericolose sbornie di altezzosità, ricordando che se gli altri popoli europei trarranno l'impressione di una leadership della Germania divenuta inaffidabile, il conto più salato lo pagherà, alla fine, proprio il popolo tedesco.
Helmut Schmid ha infine aggiunto: «Mi piace suddividere l'umanità in tre categorie: la prima sono le persone normali. Tutti noi da ragazzini abbiamo portato via una mela, ma poi siamo diventati delle persone decenti. La seconda categoria sono quelli che hanno una vena criminale e questi bisogna condurli davanti al giudice. La terza è data dai manager dei fondi e delle banche d'investimento».