11.04.2015

Lo smart work nella legge di stabilità

LAVORO E DIRITTI

a cura di www.rassegna.it

  

Attorno al telelavoro (smart work) qualcosa si muove. Dopo molti anni in cui le parti sociali hanno preferito stipulare accordi nazionali, locali e di impresa, temendo che ogni legge avrebbe irrigidito una forma di lavoro da sperimentare

 

di Patrizio Di Nicola

 

Tra le molte innovazioni presenti nella legge di stabilità 2016 vi è anche la possibilità per le aziende di utilizzare una nuova forma di prestazione lavorativa, definita “lavoro agile”, che consiste nello svolgere la propria opera fuori dei locali dell’azienda, sfruttando l’elevato livello di digitalizzazione che caratterizza ormai una grande quota di attività produttive. L’articolato, che prende la forma di decreto collegato alla norma principale (e che per inciso innova anche le tutele previste per il lavoro autonomo, proponendosi di sanare alcune eclatanti ingiustizie previdenziali che colpiscono i professionisti senza albo), deriva in buona parte dalla proposta di legge sullo Smart Work presentato a inizio 2014 dalla deputata Alessia Mosca e altre colleghe. Tale proposta prendeva spunto a sua volta da una ricerca condotta dal Politecnico di Milano, la quale sosteneva come fosse giunto ormai il momento di andare oltre l’idea tradizionale di telelavoro, che veniva percepito come troppo “pesante” per aziende che fanno della flessibilità il loro modo di operare. Allo Smart Work faceva esplicito riferimento anche il testo originale dell’art. 14 della Riforma della Pubblica Amministrazione (Legge 7 agosto 2015, n. 124), che prevedeva il coinvolgimento di almeno il 20% del personale. Nell’iter parlamentare l’articolo ha poi perso il riferimento anglofilo, affermando invece che gli enti avrebbero dovuto utilizzare telelavoro e “nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa” per almeno il 10% del personale nei successivi tre anni.

    Insomma, attorno al Telelavoro/Smart Work/Lavoro Agile qualcosa si sta muovendo anche a livello legislativo. E ciò dopo molti anni in cui le parti sociali hanno preferito stipulare accordi nazionali, locali e di impresa, temendo che ogni legge in materia avrebbe irrigidito una forma di lavoro emergente e ancora da sperimentare, lasciando alla sola pubblica amministrazione il compito di regolare il telelavoro per i propri dipendenti in via legislativa.

    Chi scrive segue le vicende del telelavoro sin dalla metà degli anni ’90, avendone studiato vari aspetti sociologici (come ad esempio il problema dell’isolamento dei telelavoratori domiciliari o le innovazioni organizzative legate alla necessità di modificare i compiti del management intermedio) sia in Italia che con studi comparativi internazionali, e soprattutto avendo “aiutato” aziende grandi e piccole e varie pubbliche amministrazioni a implementare il telelavoro nella propria pratica organizzativa. Ciò, in qualche modo mi permette di fare alcune considerazioni sulla metamorfosi del telelavoro tra oggi, ieri e domani…. Continua la lettura sul sito rassegna.it