11.04.2015

La finanziaria del 2016 - Tra propaganda e recessione

La finanziaria del 2016 corrisponde a quanto dichiarato dal Capo del Governo, e cioè che è una norma volta a favorire lo sviluppo?

 

di Dario Allamano,

Labouratorio Buozzi Torino, Aderente al Gruppo di Volpedo e a Rete Socialista

 

La finanziaria del 2016 corrisponde a quanto dichiarato dal Capo del Governo, e cioè che è una norma volta a favorire lo sviluppo?

In piccola parte si, ma soprattutto è una finanziaria molto attenta al breve periodo, alla propaganda utile per una eventuale campagna elettorale, che rinvia a tempi lontani il necessario risanamento dei conti italiani, unica soluzione per riconsegnare all’Italia le leve per avere risorse da redistribuire e da investire, e per poter realmente avviare il circolo virtuoso della “domanda aggregata”. 

    A tutt’oggi il costo del debito è superiore a più di 80 miliardi di euro annui, e per il pagamento degli interessi si utilizzano risorse pubbliche che dallo Stato vanno ai sottoscrittori del debito. È un atto che conferma che la redistribuzione c’è, ma sta avvenendo in una direzione prevalente: verso le grandi strutture finanziarie.

    Proviamo a spulciare nei vari capitoli che il capo del Governo ha magnificato e cerchiamo di capire perché non si può dire che questa finanziaria provveda ad una equa redistribuzione delle poche risorse disponibili.

    Innanzitutto il primo dato che balza all’occhio è che è una manovra basata soprattutto su un aumento del debito, un 2,2% virtuale di deficit , che, se non riequilibrato da un consistente sviluppo economico (una crescita del PIL superiore all’1,5%), non genererà nuove risorse, trasformandosi inevitabilmente in un ulteriore aumento del debito.  

    Il secondo atto messo in cantiere, l’abolizione di IMU e TASI, conferma la direzione sbagliata (o meglio propagandistica) di questa finanziaria. È sbagliata sia dal punto di vista finanziario, perchè sottrae agli Enti Locali le uniche fonti di reddito autonome, sia dal punto di vista politico: è l’ennesima operazione centralizzatrice messa in atto in questi anni, che consegna  nelle mani del Governo un formidabile mezzo di pressione: la copertura (promessa) del mancato gettito con fondi pubblici. Gli Enti Locali saranno sempre di più terminali del potere esecutivo e sempre meno Enti autonomi.

    Taluni obietteranno che il caso Roma (ma non solo) autorizza questo “commissariamento” di fatto dei Comuni. Anche in questo caso però la soluzione doveva essere più autonomia e più responsabilità e meno ristorni dal centro. L’esperienza di questi anni dovrebbe averci insegnato che le coperture dei deficit a piè di lista (casi Roma, Napoli ecc.) non hanno mai funzionato. Solo la responsabilità di dover richiedere ai residenti sul proprio territorio le fonti necessarie per coprire i buchi (e le buche) può rendere responsabili quegli amministratori che vivono di spese ad libitum.

    L’abolizione di IMU E TASI  è poi un problema anche da punti di vista dell’ipotetico rilancio dei consumi, la quota di imposte risparmiata è bassa, soprattutto per chi avrebbe bisogno di redditi aggiuntivi per riprendere a consumare di più e meglio. La media nazionale è di 180 euro pro capite, per cui molto limitata, ma soprattutto perché, come dice Banca d’Italia, è percepita come una imposta ballerina, e l’eventuale risparmio tende ad essere accantonato a copertura di future nuove tasse.

    Sarebbe stato molto più serio, ed in grado di incidere molto di più sui consumi (e sull’evasione), un intervento sull’IVA che oggi ha raggiunto aliquote in grado di uccidere qualsiasi propensione al consumo, e nel contempo agevola i furbetti dell’evasione. Alzi la mano chi non ha mai ricevuto in Italia la tipica domanda dall’evasore di turno: “vuole la fattura o no? Se la vuole il servizio costa il 20% in più”. Personalmente sono sempre più convinto che nell’ultimo passaggio, dal fornitore di servizi al consumatore, l’IVA debba avere una aliquota bassissima, meglio ancora nessuna aliquota. È forse tempo di ritornare a ripensare la vecchia IGE (Imposta Generale sulle Entrate) in vigore sino al 1973, che faceva pagare l’imposta sul giro d’affari. Una Imposta sulle attività economiche l’Italia la si sta tra l’altro sperimentando da anni sulla pelle delle aziende che non possono eludere l’emissione della fattura, si chiama IRAP.

    Mantenendo poi in vigore (invece di eliminarlo) l’obbligo di pagamenti tracciabili per le transazioni superiori ai 1000 euro, e l’obbligo della ricevuta (o scontrino fiscale di revigliana memoria) per quelle fino a 1000, si riuscirebbe a tracciare, se non a definire con precisione, i giri d’affari di quella “buona borghesia” dell’evasione (dentisti, cliniche private ecc.), che ognuno di noi conosce ma non ha la forza di denunciare.

    La cancellazione di quell’obbrobrio delle clausole di salvaguardia della finanziaria del 2015 (aumento di IVA e accise al mancato raggiungimento degli obiettivi) è solo un fatto di semplice buon senso, non la si può spacciare come azione per il “rilancio” dello sviluppo, comunque anche in questo caso la cancellazione avviene a “debito” utilizzando quell’aumento di deficit che l’Europa ci concede.

    A questo punto immagino che leggendo questa mia riflessione molti penseranno che il sottoscritto si è iscritto al club dei tedeschi (a parte il fatto che già il mio cognome può essere sospetto) , ebbene io credo che solo uno Stato non sottoposto al ricatto dei sottoscrittori del debito può avere una sua vera autonomia. Non è l’euro che ci uccide, bensì l’aver finanziato, in nome di un keynesismo d’accatto, spese improduttive ed una burocrazia pervasiva ed inefficiente. 

Il non aver saputo fare per tempo quelle operazioni necessarie nel momento in cui spariva l’unica leva che per decenni aveva “salvato” l’Italia: le svalutazioni competitive che davano fiato all’export italiano, ha contribuito e non poco all’affossamento della nostra economia.. È questo l’errore tremendo che i governi che si sono susseguiti in questi  vent’anni hanno scaricato sulle spalle degli italiani, non aver raccontato la verità ai cittadini, imbonendoli come Berlusconi (o rabbonendoli come Prodi) sull’idea di vivere in un paese tra i più solidi nel mondo.

    In conclusione oggi ci troviamo di nuovo di fronte ad una ennesima manovra fintamente “espansiva”, utile al massimo per una buona propaganda a base di slides, ma non in grado di portare l’Italia fuori dal tunnel, anche perché, se sono vere le ipotesi di prossima recessione, derivante dalla latente crisi cinese e dal suo impatto sui consumi globali, tutto il castello costruito in questi mesi rischia di rivelarsi per quel che è: un castello di sabbia.