Da Avanti! online
di Daniele Unfer
Non è un quadro tranquillizzante quello dipinto dall’Ocse. In particolare i colori usati per dipingere lo stato dell’occupazione giovanile dell’Italia sono decisamente cupi. Nel Belpaese infatti il tasso di occupazione dei giovani tra 15 e 29 anni è sceso di quasi 12 punti percentuali tra il 2007 e il 2013, passando dal 64,33% al 52,79%, il secondo peggior dato tra i Paesi Ocse, dietro alla sola Grecia 48,49%). Sono questi infatti i numeri che emergono dall’ultimo Rapporto Ocse su Giovani e occupazione pubblicato oggi.
Non va molto meglio per i meno giovani: siamo quartultimi tra i Paesi Ocse per il tasso di occupazione nella fascia d’età 30-54, sceso dal 74,98% del 2007 al 70,98% del 2013. Il nostro Paese, sottolinea l’organizzazione, ha “uno specifico problema di disoccupazione giovanile, in aggiunta a uno più generale”, a causa di “condizioni sfavorevoli e debolezze nel mercato del lavoro, e nelle istituzione sociali ed educative”. Dai dati si legge anche che in Italia, il 31,56% dei giovani svolge un “lavoro di routine”, che non richiede l’utilizzo di competenze specifiche, e il 15,13% ha un’occupazione che comportava uno scarso apprendimento legato al lavoro. Il nostro Paese è in particolare quello con la più elevata percentuale di giovani tra i 16 e i 29 anni che non hanno alcuna esperienza nell’uso del computer sul posto di lavoro, con il 54,3%, a fronte di una percentuale di giovani che non usano mai il computer ferma al 3%. La “mancata corrispondenza”, o “mismatch”, tra posto di lavoro e competenze è un problema sempre più diffuso tra i giovani nei Paesi Ocse: in media, il 62% hanno un lavoro che non corrisponde alla loro formazione, con in particolare un 26% di sovraqualificati (il 14% dei quali lavora inoltre in un settore che non sarebbe il suo), e un 6% di persone con competenze superiori a quelle richieste.
Un altro numero inquietante è quello dei cosiddetti “Neet”, Not (engaged) in Education, Employment or Training. Questi giovani che non studiano, non hanno un lavoro e neppure sono apprendtisti, sono il 26,09% degli under 30, quarto dato più elevato tra i Paesi Ocse. All’inizio della crisi, nel 2008, erano il 19,15%, quasi 7 punti percentuali in meno rispetto ad oggi. Ma questo non è problema solo italiano visto che nell’insieme dei Paesi Ocse, i giovani “Neet” erano oltre 39 milioni a fine 2013, più del doppio rispetto a prima della crisi. Tra i giovani “Neet” italiani, il 40% ha abbandonato la scuola prima del diploma secondario superiore, il 49,87% si è fermato dopo il diploma e il 10,13% ha un titolo di studi universitario. La percentuale di “Neet” è più elevata tra le femmine (27,99%) che tra i maschi (24,26%).
Tristi note anche sulle competenze in italiano e matematica. L’Italia è infatti il Paese Ocse con la maggior percentuale di giovani in età lavorativa (16-29 anni) e adulti (30-54) con scarse competenze di lettura, rispettivamente il 19,7% e il 26,36%. L’Italia ha inoltre la percentuale più elevata di persone con scarse abilità in matematica tra gli adulti, il 29,76%, e la seconda tra i giovani in età lavorativa, il 25,91%, dietro agli Usa (29,01%). In generale, riferisce la tabella Ocse per la misurazione dell’occupabilità dei giovani, il nostro Paese è al di sotto della media per le competenze dei giovani, i metodi di sviluppo di queste competenze negli studenti e la promozione del loro utilizzo sul posto di lavoro. L’Italia è inoltre seconda tra i paesi Ocse per percentuale di giovani under 25 che hanno abbandonato la scuola prima di aver terminato le superiori, e non stanno seguendo un’altro tipo di educazione, il 17,75%, dietro la Spagna con il 23,21%.
L’abbandono scolastico, rileva sempre l’Ocse, ha un impatto significativo rilevante sul livello di competenze: se si considera per esempio la matematica, la percentuale di persone con competenze insufficienti è del 58,5% tra chi non ha terminato le superiori, e scende al 27,7% per chi ha ottenuto un diploma.
IPSE DIXIT - Economia politica
«Le minacce di un serio, ulteriore deterioramento della situazione economica e di conseguente caduta dell’occupazione, rappresentano a nostro giudizio un pericolo incombente per gli spazi che in tal modo si offrirebbero alle manovre eversive dei nemici della Repubblica. Il fascismo non solo in Italia ha sempre utilizzato le inquietudini e l’insicurezza sociale delle masse più diseredate per costruire sulla disperazione dei poveri, col finanziamento di gruppi privilegiati, le proprie fortune politiche. Per queste ragioni, per una difesa valida dei principi di libertà, per combattere con efficacia l’eversione fascista è dunque essenziale agire sull’economia per l’aumento dell’occupazione e per lo sviluppo del Paese.» – Luciano Lama