4.15.2013

I SOLDI NASCOSTI ALLE CAYMAN

Da Critica liberale riceviamo e volentieri pubblichiamo



L’ultimo capitolo di Wikileaks è la rivelazione di soggetti che hanno nascosto i loro denari alle isole Cayman.

Tra questi ci sarebbero anche duecento italiani.


di Giovanni La Torre

In queste “gare” internazionali gli italiani non mancano mai di far valere la loro presenza. D’altro canto quei conti, molto probabilmente, non sono altro che l’altra faccia di quella medaglia che vede sull’altro verso i nostri primati nella corruzione e nell’evasione fiscale. Tra l’una e l’altra vengono sottratti alla collettività circa 250 miliardi di euro. Miliardi che potrebbero consentire la ripresa degli investimenti pubblici in tutti i settori e contemporaneamente l’abbassamento sostanziale della pressione fiscale ma, soprattutto, potrebbero consentire finalmente l’ingresso del nostro paese sulla strada di un capitalismo di tipo occidentale moderno, e non di tipo “feudale” e di relazione come quello attuale. Infatti sia l’evasione fiscale sia la corruzione alterano i meccanismi competitivi e consentono non solo la sopravvivenza, ma la vera e propria crescita di soggetti economici inefficienti, per nulla votati all’innovazione, i quali condannano ancora il nostro paese alla marginalità e al declino.

    La stessa democrazia viene falsata. Le forze politiche diventano ostaggio dei corruttori. Il personale politico viene selezionato non per le loro doti di amministratori e di gestori della cosa pubblica, ma per la loro acquiescenza al sistema  e per la dimestichezza a muoversi nei meandri della corruzione per sfruttarla a proprio beneficio, poi. Beneficio non solo politico ma anche, e più materialmente, di arricchimento personale. L’ingrossamento continuo, poi, dell’esercito degli evasori rende sempre più difficile il combatterli, vista la forza elettorale che si è consentito loro di raggiungere; come la mafia, che ormai ha raggiunto una forza e una potenza economica da poter sfidare anche l’esercito di uno stato come l’Italia.

    Tutto questo quadro conferisce al nostro paese una connotazione feudale. Di un paese cioè, dove qualsiasi intrapresa imprenditoriale deve fare i conti con il potente del luogo, il quale in cambio ti offre poi protezione e la promessa di una legislazione fiscale permissiva. Ma è un paese che offre anche un volto, diciamo così cinquecentesco, con quella lotta tra “famiglie” e tra potentati, che avviene senza alcun rispetto delle regole di uno stato di diritto e senza la trasparenza di un sistema capitalistico avanzato che dovrebbe attrarre gli investimenti anche stranieri.

    Il dissesto delle nostre finanze pubbliche, il dissesto del nostro sistema giudiziario, sia civile che penale, il dissesto del nostro sistema scolastico e formativo, il degrado della nostra cultura, l’abbandono delle nostre ricchezze artistiche, l’inefficienza borbonica della pubblica amministrazione, sono un tutt’uno con quel contesto di disprezzo delle regole e, diciamolo pure, malavitoso che caratterizza ormai da decenni la vita dello stato italiano.

    Mentre venivano svelati i conti alle Cayman, nelle Marche tre persone si suicidavano perché avevano difficoltà di sopravvivenza a causa della crisi. Chissà, forse qualcuno dirà che erano in difficoltà perché non riuscivano a trovare un posto libero nei ristoranti troppo pieni. Noi diciamo che queste morti, come altre simili, sono il pendant di quella corruzione e di quella evasione che sottraggono mezzi allo stato e all’economia in generale, e che fanno sì che anche in un paese del G7 si possa morire per povertà.