3.21.2013

Donne e straniere, due volte penalizzate

LAVORO E DIRITTI

a cura di www.rassegna.it


Lo studio - Guadagnano 300 euro in meno rispetto agli uomini e il 31% in meno rispetto alle italiane: questa la condizione delle lavoratrici migranti che emerge in uno studio della Fondazione Leone Moressa. Eppure la loro quota di occupazione è in aumento.


Le donne italiane guadagnano, come è noto, meno degli uomini italiani. Ma le donne straniere, nel nostro Paese, sono messe ancora peggio, dato che prendono circa 300 euro in meno rispetto ai loro connazionali maschi e il 31% in meno delle donne italiane. Se infatti lo stipendio medio di un uomo straniero in Italia (dati 2011) è pari a 1122 euro, le donne percepiscono invece una media di 790 euro. Al contempo, mentre il differenziale retributivo tra stranieri e italiani si aggira intorno al -21% (- 289 euro) per gli uomini, per le donne sale al -31%. I dati, emergono da uno studio sulla condizione occupazionale, retributiva e contributiva delle donne straniere, condotto dai ricercatori della Fondazione Leone Moressa, istituto nato per volontà della Cgia di Mestre.

    Studio che evidenzia appunto una vulnerabilità di questa popolazione e la presenza di disuguaglianze, sia rispetto ai propri connazionali uomini sia rispetto alla popolazione femminile autoctona. Eppure, il lavoro straniero femminile è in aumento (+5,2% tra il 2009 e il 2010, mentre gli uomini sono cresciuti del 3%), e rappresenta ormai il 42,2% del lavoro straniero complessivo in Italia. Mediamente una donna straniera dichiara annualmente 10.247 euro, a fronte dei 14.100 dichiarati dagli uomini stranieri.

    Le nazionalità per cui si registra il più alto numero di contribuenti donne sono l'Ucraina (71,2%), la Polonia (61,8%) e il Brasile (60,3%). Escluse Svizzera, Germania e Francia, i redditi medi annui più alti tra le donne straniere vengono percepiti dalle egiziane (15mila), dalle argentine (12.600), dalle donne provenienti dai paesi dell'ex-Jugoslavia (11.750) e dalle tunisine (11.590).

    Tra il 2009 e il 2010 l'incremento maggiore di contribuenti donne ha interessato le moldave (+21,4%) e a seguire le ucraine (+14,6%), le rumene (+12,9%) e le cinesi (+12,7%). Una tendenza negativa in questo senso è invece sperimentata dalle donne provenienti dall'ex Jugoslavia.

    La percentuale di contribuenti donne sul totale dei contribuenti stranieri non varia considerevolmente da una regione all'altra. La regione in cui tale percentuale è più alta è la Val d'Aosta (49,5%), mentre quella in cui è più bassa è la Lombardia (38,5%). Maggiori differenze regionali si rilevano, invece, se consideriamo il reddito medio: per le donne è più alto in Lombardia (quasi 12 mila) e in Friuli Venezia Giulia (11 mila), mentre è più basso in Calabria (6 mila), Puglia (7.600) e Basilicata (7.800).

    “La condizione delle donne straniere – osservano i ricercatori della Fondazione Moressa - riflette da una parte le criticità della società di arrivo rispetto alle problematiche di genere e dall'altra le difficoltà tipiche del percorso migratorio. D'altra parte, è opportuno notare - affermano ancora i ricercatori - come l'inserimento forzato in alcune nicchie professionali delle donne straniere, quali i lavori di assistenza e di cura, sebbene portino queste lavoratrici a recepire compensi inferiori rispetto ai loro connazionali, dovuti in primis a monte ore ridotti e alle peculiarità di questo tipo di attività, tuttavia le ha preservate dalla contrazione che la crisi economica e finanziaria in corso ha invece causato in altri settori tipicamente più attrattivi per la popolazione maschile, come il comparto delle costruzioni”.


 

 

 

LAVORO E DIRITTI

a cura di www.rassegna.it


Sanità fatta in casa


Più badanti che dipendenti Asl. Il rapporto della Federazione Asl e ospedali: nel 2012 in Italia ci sono 774mila badanti contro 646mila dipendenti Asl. Si punta sempre più sul "welfare fai da te" per assistere anziani e malati. Cresce la sfiducia nella sanità pubblica, colpita dai tagli


(Adnkronos Salute) - In Italia più badanti che dipendenti Asl. Le donne e gli uomini che assistono i nostri anziani e i nostri malati, infatti, sono 774 mila, contro 646 mila persone che lavorano nelle aziende sanitarie locali. Insomma, si conta sempre di più sul welfare 'fai da te', e i nostri connazionali giudicano sempre più inadeguati i servizi offerti dal Servizio sanitario nazionale (Ssn). A scattare la fotografia gli esperti dell'università Bocconi, con il 'Rapporto Oasi 2012', presentato oggi a Roma dalla Federazione di Asl e ospedali (Fiaso).

    La tanto sbandierata politica di "razionalizzazione della spesa" - spiegano gli esperti - più che ridurre gli sprechi avrebbe finito per tartassare ancor più i contribuenti. Che indossati i panni di assistiti hanno scoperto di dover pagare anche sempre più servizi sanitari, tant'è che la spesa privata ha oramai superato il tetto dei 30 miliardi, anche se con la crisi è calata di un modesto 1%.

    Certo, se andiamo a vedere la classifica degli anni di vita attesa in buona salute l'Italia, almeno fino al 2010, si classifica al secondo posto con oltre 67 anni sia per gli uomini che per le donne, dietro solo alla Svezia, dove le donne vivono in forma fino a 67 anni e mezzo, gli uomini fino quasi a 72. Ma che qualcosa da noi cominci a non andare per il verso giusto sono per primi proprio gli assistiti a segnalarlo.

    I dati elaborati dal Rapporto Oasi rivelano che nel Centro-Sud oramai la maggioranza dei cittadini giudica inadeguati i servizi offerti dal nostro Ssn: 53,5% al Centro e 62,2% al Sud contro una media Italia del 43,9%. E il trend è del tutto negativo, come mostra quel 31,7% di assistiti che giudica peggiorati i servizi sanitari della propria regione.

    Un'altra discriminante nel livello di qualità percepito dagli assistiti è poi la più massiccia politica di tagli che giocoforza hanno dovuto mettere in atto le 8 Regioni in piano di rientro dai deficit: il 57,8% di chi vive in Campania, Lazio, Abruzzo, Molise, Piemonte, Calabria, Puglia e Sicilia si è dichiarato "insoddisfatto" contro un più modesto 23,3% di "scontenti" delle altre Regioni. Una riprova dell'impatto tutt'altro che indolore delle politiche di austerity in sanità.

 

(Adnkronos Salute / Rassegna it / ADL)