Da CRITICA LIBERALE
di Paolo Bonetti
La crisi economica non sembra avere soluzioni, se non in tempi lunghi o lunghissimi, mentre aumenta il disagio sociale non solo di operai e pensionati, ma anche di quella vasta classe media (che è poi, in realtà, un coagulo di ceti diversi) che costituisce la vera spina dorsale dell’economia e della società italiana. Artigiani, piccoli e medi imprenditori, commercianti, liberi professionisti, partite Iva e lavoratori autonomi dei più diversi settori professionali, tutti costoro cominciano a disperare del proprio avvenire, a perdere il gusto del rischio e dell’innovazione, a ripiegare su scelte di prudenza e di rinuncia, convinti ormai che la ripresa non ci sarà o sarà lenta e debolissima. Tutti costoro costituiscono la grande maggioranza del paese, assai più di una classe operaia che si è venuta progressivamente riducendo, man mano che avanzavano i processi di terziarizzazione del tessuto economico e si veniva imponendo, anche in Italia come in tutti i paesi avanzati, un’economia dei servizi. Per di più anche il nostro capitalismo abbandonava anno dopo anno gli investimenti produttivi per rifugiarsi nel più lucroso campo della speculazione finanziaria.
Dovrebbe essere noto che gli scioperi funzionano e migliorano le condizioni economiche delle classi subalterne, quando l’economia è in crescita e ci sono utili da redistribuire. Ma oggi, in Italia, siamo in piena recessione e gli investimenti non decollano. Bisognerebbe incrementare la domanda interna, ma c’è da dubitare che, nell’attuale condizione di depressione psicologica oltre che economica, essa servirebbe davvero a far ripartire il ciclo produttivo per creare nuova occupazione. Il capitalismo italiano, abituato da sempre a vivere e prosperare con le protezioni e i sussidi statali e con la periodica svalutazione della moneta, sembra aver alzato bandiera bianca di fronte alle difficoltà e ai rischi del mercato globale. S’invoca (lo ha fatto recentemente D’Alema) un nuovo massiccio intervento dello Stato, ma questo Stato (inteso come l’insieme delle pubbliche amministrazioni) ha ampiamente dimostrato di non saper spendere neppure quei denari che la Comunità europea gli ha messo a disposizione. Scioperare potrà anche essere una riaffermazione di identità e di ruolo del sindacato, ma alla fine sarà soltanto un’ulteriore perdita della ricchezza nazionale e, in molti casi, un maggiore disagio per i cittadini-utenti.
In questa situazione di crescente disgregazione sociale, non esiste alcuna alternativa di sinistra all’attuale governo e questo va detto anche a costo di urtare le convinzioni e la suscettibilità di molti. Non è un’alternativa la sinistra ondivaga e inconcludente del partito democratico, come non lo sono la demagogia di Sel o le astrattezze ideologiche dei partitini che ancora si richiamano al comunismo. In quanto al M5S, il guaio di questa ancora numericamente consistente forza politica è che essa non sa letteralmente che cosa fare e in che direzione muoversi: la confusione è totale e il rischio di una diaspora, che si tradurrebbe poi nella subordinazione ad altre forze politiche, è più che mai incombente.
E veniamo allora a Salvini e alla sua nuova Lega di cui si parla nel titolo di questo articolo. Nello sfaldamento sociale e anche culturale in atto, Salvini, come il Front National in Francia e l’Ukip in Gran Bretagna, sta trovando il terreno più favorevole per una crescita che si sta gonfiando mese dopo mese. Messa da parte la fisima del federalismo, il capo leghista ha furbescamente capito che nell’intera società italiana, da Nord a Sud, ci sono una sofferenza economica e uno sbandamento morale che possono permettere lo sfondamento elettorale di una forza politica nazionalpopulista capace di far leva sulla rabbia e sulla vera e propria disperazione di ceti sociali che non riescono più a individuare per se stessi motivi credibili di rassicurazione e di speranza. Se i metalmeccanici di Landini si agitano nei cortei, la variegata e sempre più sofferente piccola borghesia italiana resta più silenziosa, ma comincia ancora una volta a pensare che della democrazia si può fare a meno, se la democrazia è soltanto tasse, corruzione politica e inefficienza burocratica.