3.06.2014

«Per giudicare Renzi aspettiamo il programma»

LAVORO E DIRITTI

a cura di www.rassegna.it

Barbi (Cgil): "Il Jobs act del governo è solo una serie di titoli, non sono nemmeno quelli principali. Sembra che il problema sia solo del sistema italiano, mentre non c’è traccia di Europa e del resto del mondo".

intervista raccolta da Guido Iocca

“A oggi è molto difficile, quasi impossibile, dare un giudizio sul governo presieduto da Matteo Renzi. Saremo in grado di farlo solo quando si passerà dall’enunciazione dei titoli al programma vero e proprio”. Danilo Barbi, segretario confederale della Cgil, non si vuole sbilanciare rispetto al discorso pronunciato in Senato da Matteo Renzi lo scorso 24 febbraio. “La Cgil – prosegue il responsabile delle politiche economiche di corso d’Italia – è da tempo che invoca la necessità di un governo di cambiamento. Ci auguriamo che questa esigenza, imprescindibile per affrontare una stagione difficile comel’attuale, trovi un riscontro concreto nelle scelte politiche dei nuovi inquilini di Palazzo Chigi. Al momento, sappiamo di sicuro che la maggioranza è uguale a quella del governo Letta, mentre ancora poco si è capito sulle reali novità programmatiche e, soprattutto, su dove reperire le risorse che servono”.

Al di là del suo discorso programmatico, ancora troppo generico per essere valutato, con il Jobs Act, presentato alla direzione del Pd lo scorso 16 gennaio, Renzi era già entrato nel merito del suo piano per il lavoro. Che giudizio ne dai?

Barbi Una serie di titoli, che poi non sono nemmeno quelli principali. Perché la priorità non può essere rappresentata dalle regole del lavoro, che pure sono importanti, ma piuttosto dalla creazione – concreta e fattiva – del lavoro.

Cos’altro non convince la Cgil di quel documento?

Barbi L’analisi della crisi e le risposte necessarie al suo superamento. A leggere il Jobs Act renziano sembra che il problema sia solo del sistema italiano, mentre non c’è traccia del livello europeo e del livello globale della crisi. La nostra convinzione è invece che ci troviamo a dover affrontare tre crisi sovrapposte e intrecciate. Una crisi del modello di sviluppo dei paesi avanzati, dovuta soprattutto alla globalizzazione finanziaria e alla degenerazione nel capitalismo finanziario di un sistema di produzione e di consumo del sistema internazionale. Accanto a questa, c’è una crisi del Vecchio continente, con la grande architettura europea, incompiuta e contraddittoria, che invece di aiutare a risolvere i problemi, li ha addirittura moltiplicati.

Il terzo livello della crisi è naturalmente quello italiano…

Barbi La crisi italiana è una crisi di lungo periodo che riguarda innanzitutto il modello di specializzazione produttiva, che è troppo polarizzato. Mi riferisco al fatto che noi abbiamo alcune imprese assolutamente avanzate, che hanno una produttività dei fattori e del lavoro assolutamente paragonabile alle imprese migliori tedesche e francesi. È la gamma delle imprese medie, quelle che reggono la sfida della qualità delle esportazioni e del valore aggiunto, a differenza delle piccole e delle grandi. Queste ultime non esportano e non sono in grado di fare prodotti competitivi perché non investono abbastanza, non certo perché i lavoratori non sono bravi, mentre la pletora di piccole imprese non organizzate, non consorziate, non è in grado di stare al livello dei nuovi mercati sovranazionali. C’è dunque un problema di modello. Cos’è che noi produciamo? Di tutti i prodotti innovativi, dalla telefonia alla microelettronica, noi non realizziamo niente.

Sul versante della specializzazione produttiva c’è una responsabilità anche della politica…

Barbi Direi soprattutto della politica. Da noi è mancata per 30 anni una politica industriale degna di questo nome. Negli altri paesi scelte finalizzate all’innovazione le hanno sempre fatte: le politiche degli Stati, non solamente delle singole imprese. E non si tratta di certo dell’unico ambito nazionale in cui l’assenza della politica ha prodotto danni…

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