2.18.2014

Lavoro e diritti

LAVORO E DIRITTI - Rapporto Istat

a cura di www.rassegna.it

 

In Italia solo 6 adulti su 10 hanno un lavoro

 

Dati allarmanti nel Rapporto 'Noi Italia': "In Italia lavorano solo 61 persone su 100 tra i 20 e i 64 anni". Un livello che è ancora di 14 punti inferiore al target europeo 2020. Dramma Mezzogiorno: 9,5 milioni di persone vivono in povertà relativa

 

In Italia lavorano solo 61 persone su 100 tra i 20 e i 64 anni un livello che è ancora di 14 punti inferiore al target europeo 2020 (75%). Lo si legge nel Rapporto Istat 'Noi Italia' nel quale si sottolinea come nel 2012 per le donne occupate il dato sia ancora peggiore (solo il 50,5%). Peggio dell'Italia fanno solo Spagna (59,3%) e Grecia (55,3%).

 

Nel 2012 il valore dell'indicatore in Italia (61%) è diminuito di due decimi di punto rispetto al 2011 e presenta uno squilibrio di genere molto forte (71,6% per gli uomini e appena il 50,5% per le donne). La riduzione dell'indicatore osservata nel 2012 è dovuta esclusivamente alla componente maschile (un punto percentuale in meno a fronte di un incremento di 0,6 punti tra le donne). La media europea nel 2012 per l'occupazione e' al 68,5%.

 

Il tasso di occupazione medio europeo delle persone tra 20 e 64 anni è inferiore di 6,5 punti percentuali al traguardo fissato per il 2020. Cinque paesi (Svezia, Paesi Bassi, Germania, Austria e Danimarca) hanno già raggiunto e superato l'obiettivo stabilito per il 2020; ma sono ancora 16 i paesi con valori dell'indicatore inferiori al 70%.

 

L'Italia, inoltre, è uno dei Paesi con la percentuale più alta di disoccupazione di lunga durata, ovvero quella che dura da almeno 12 mesi (52,5% sul totale dei senza lavoro contro il 44,4% della media Ue). Ma nel nostro Paese la media è il risultato di situazioni molto differenti a livello territoriale con il 59,8% di disoccupazione di lunga durata nel Sud e il 37,6% nel Nord Est. E anche per l'occupazione il 61% tiene conto del 70,5% di occupazione del Nord Est e del 47,6% nel Sud. La situazione è ancora piu' difficile per le donne con appena il 34,3% delle donne del Sud tra i 20 e i 64 anni che ha un lavoro.

 

E' inoltre allarme povertà nel nostro paese, soprattutto al Sud. Secondo l'Istituto di statistica, nel 2012 le famiglie in condizioni di povertà relativa sono il 12,7 per cento, pari ad oltre 9,5 milioni di individui (15,8 per cento della popolazione). La povertà assoluta coinvolge il 6,8 per cento delle famiglie, per un totale di oltre 4,8 milioni di individui.

Da quanto si legge nel rapporto 'Noi Italia', infine, il Mezzogiorno presenta una situazione particolarmente svantaggiata, con in media oltre un quarto di famiglie povere; per il Centro e il Nord, l'incidenza è, viceversa, molto più contenuta (rispettivamente 7,1 e 6,2 per cento). Nel 2011 il 50 per cento delle famiglie ha percepito meno di 24.634 euro (circa 2.053 euro mensili). Circa il 58 per cento delle famiglie residenti in Italia ha conseguito un reddito netto inferiore all'importo medio annuo (29.956 euro, circa 2.496 euro al mese).

 

 

LAVORO E DIRITTI – La proposta

a cura di www.rassegna.it

 

Una patrimoniale per il lavoro

Campagna della Cgil per un piano straordinario sull'occupazione. Barbi: "Con una tassa sulle ricchezze finanziarie oltre i 350mila euro lo Stato incasserebbe 10 miliardi l'anno da investire per l'emergenza disoccupazione". Quella del lavoro nel nostro paese, è un’emergenza sempre più pesante. Disoccupazione (soprattutto quella giovanile) oltre i livelli di guardia. Fenomeni come quelli dei “lavoratori poveri” in aumento. Multinazionali (e non solo) all’attacco di diritti e salari. Quasi una tempesta perfetta, insomma. Con un governo sempre più in difficoltà per trovare le risorse necessarie per ridurre la pressione fiscale sul lavoro e sulle imprese, come pure aveva promesso, e costretto a equilibrismi davvero improbabili come il decreto Imu-Banca d’Italia per grattare il fondo del barile e racimolare entrate purchessia. L’altra faccia di tutto questo è un paese in cui l’ineguaglianza, nella distribuzione della ricchezza e del reddito (più la prima che la seconda, comunque) è sempre più evidente e insopportabile.

Come ricorda la Banca d’Italia, il 10 per cento delle famiglie più ricche possiede oltre il 45 per cento dell’intera ricchezza netta delle famiglie italiane; a fronte della metà più povera che ne detiene meno del 10 per cento. In pratica, a circa 2.390.000 famiglie si possono attribuire mediamente 1.640.000 euro di patrimonio netto. Se da quel 10 per cento scendiamo al 5 per cento, il 1.200.000 di famiglie più ricche, il loro patrimonio netto ammonta mediamente a 2 milioni e 360.000 euro (circa il 34 per cento del totale del patrimonio privato italiano), ovvero 35 volte la ricchezza netta media posseduta dalla metà delle famiglie più povere. Cifre evidentemente insostenibili, quando poi i sacrifici vengono chiesti sempre ai “soliti noti”. Nel suo Piano del lavoro la Cgil ha già lanciato da tempo la sua proposta di un intervento straordinario per l’occupazione. Così come da tempo la confederazione insiste nella proposta di un’imposta patrimoniale ordinaria sulle grandi ricchezze, per tassare equamente il patrimonio privato delle famiglie, in modo da rilanciare l’economia, ricreare investimenti e crescita, ridare respiro ai redditi da lavoro e da pensione, risanare i conti pubblici.

Ma davanti a questa tempesta perfetta che si sta abbattendo sul paese, occorre fare qualcosa di più. Per questo in Cgil si sta ragionando, e a breve verrà lanciata una campagna, per mettere assieme queste due emergenze, con la proposta di un piano straordinario per l’occupazione, soprattutto giovanile ma non solo, finanziato proprio da una patrimoniale straordinaria sulla ricchezza finanziaria. Se per un’imposta che aggredisca i patrimoni immobiliari, occorrerebbe rivedere tutta la tassazione sugli immobili, contestualmente a una revisione degli estimi catastali, un intervento straordinario sulla ricchezza finanziaria pone assai minori problemi “tecnici”. Ne parliamo con Danilo Barbi, segretario confederale della Cgil e responsabile del dipartimento delle politiche economiche.

Intervista con Danilo Barbi, segretario confederale della Cgil e responsabile del dipartimento delle politiche economiche

di Enrico Galantini

“Questa patrimoniale sulla ricchezza finanziaria è una proposta di anticipazione, rispetto alla patrimoniale più generale che resta comunque in campo. È una proposta dettata dall’emergenza, quel dramma della disoccupazione che è sotto gli occhi di tutti – spiega Barbi –. Pur essendo alla fine pagata solo dal 5 per cento delle famiglie, questa patrimoniale sulla ricchezza finanziaria (depositi, titoli di Stato, azioni, fondi comuni d’investimento, liquidità, a partire da una soglia di 350.000 netti euro a livello famigliare) potrebbe comunque dare, con aliquote progressive (dallo 0,5 all’1,8), un reddito di 10 miliardi l’anno. Con questo anticipo, magari da reiterare per tre anni – prosegue il segretario della Cgil – si potrebbe fare un piano anch’esso triennale per l’occupazione, un piano per la creazione diretta di lavoro per giovani, donne e persone di una certa età che hanno perso e perdono il lavoro: abbiamo calcolato che con questo investimento si potrebbero creare oltre 290.000 nuovi posti di lavoro pubblici e quasi 740.000 nuovi occupati potenziali, tra pubblico e privato”.

Enrico Galantini Avete in mente anche in quali settori?

Barbi Questa creazione diretta di lavoro dovrebbe avvenire attraverso piani di lavori di pubblica utilità nei beni ambientali, nei beni comuni, nei beni sociali. Per fare tre esempi, si potrebbe costruire un piano ambientale di messa in sicurezza dal rischio idrogeologico e di risanamento dei siti industriali, uno sociale che si occupi di asili nido e nonautosufficienza, e un terzo di valorizzazione dei beni culturali, anche in funzione turistica. Tre piani così di lavori straordinari, magari anche temporanei, ma ben pagati, che creino qualificazione professionale e titoli per fare concorsi pubblici, un po’ sul modello della legge 285 del 1977. Con la differenza che, allora, di giovani ce n’erano tanti. Mentre oggi sono pochi. E se pur essendo pochi per loro non c’è lavoro, la cosa è ancora più preoccupante per il paese.

EG Questa proposta di nuovi investimenti permetterebbe, oltre a impegnare spesa pubblica nuova, di riorganizzare e riqualificare una spesa pubblica già prevista…
Barbi Questi programmi dovrebbero essere fatti sul modello del New Deal: un’agenzia nazionale che ha le risorse, che si connette con la programmazione locale e individua i progetti prioritari, territorio per territorio, mobilitando e riorientando le risorse pubbliche già stanziate, ricompattandole e riqualificandole. Anche le attività produttive possono essere riorientate se sono previsti investimenti consistenti in una certa direzione: se si privilegia la bioedilizia o le ristrutturazioni invece di nuove costruzioni, si riorienta anche la domanda e l’offerta privata. Investimenti, insomma, che hanno anche effetti moltiplicatori. Con una politica così, io potrei chiedere anche alle fondazioni bancarie di investire in questi tre anni una certa parte delle loro risorse – vogliamo dire la metà? – in progetti di utilità sociale, ambientale o culturale, come quelli di cui parlavo prima, ovviamente scelti dalle stesse fondazioni, che, com’è noto, hanno una notevole autonomia decisionale...

EG Non senti già arrivare le solite critiche sulla Cgil che apre il libro dei sogni e così via…

Barbi Il modello cui ci rifacciamo è quello del New Deal, del Piano Beveridge in Gran Bretagna e, più modestamente, come accennavo prima, della legge 285 qui da noi. Il problema – il problema per gli altri, evidentemente, per chi si oppone, non per noi – è che queste cose hanno sempre funzionato. Tutti questi piani che hanno usato lo strumento concettuale non dell’aumento della crescita, ma dell’aumento del lavoro – pensando che l’aumento del lavoro poi produrrà una crescita – sono necessari quando la disoccupazione è così alta che l’aumento della crescita – pur necessario, certo – non basta a invertire davvero la tendenza.

EG Si tratta insomma di avviare un circuito virtuoso…

Barbi Esattamente. Oggi quello che serve è creare domanda aggiuntiva. E come farlo se non creando lavoro? Il problema è che devi farlo nei settori giusti, quelli che hanno un effetto moltiplicativo e che rispondono a bisogni sociali che la popolazione legittima, perché sa che sono nell’interesse di tutti. Con conseguenze, come sottolineavo prima, di non poco conto anche per l’industria: nuove attività, per esempio nel recupero del territorio, richiedono nuovi materiali, che vanno prodotti riorientando anche la filiera dell’industria delle costruzioni. Queste cose il mercato non le fa da solo: ha bisogno, in partenza, di una grande spinta del volano pubblico che metta in moto le convenienze, anche private.