di Alfonso Isinelli
Le vicende Telecom, Alitalia, Ansaldo che in questi giorni occupano le prime pagine dei giornali, sono la punta dell'iceberg del processo delle privatizzazioni in Italia negli ultimi anni. Posto che alcune delle aziende che sono state messe sul mercato in condizioni disastrose, vedi Alitalia, altre che erano, sia pur nelle difficoltà finanziarie (Telecom), dei fiori all'occhiello, sono state ridotte ai minimi termini sia a livello di valorizzazione patrimoniale, che di qualità di servizi. E altre ancora, vedi Ansaldo, che ancora oggi sono dei gioielli sia a livello economico che industriale, sono appetiti da cinesi e giapponesi, per la disastrosa gestione della casa madre, Finmeccanica travolta dalla corruzione di matrice politica. Ed è proprio questo il punto: l'incredibile incapacità politica nella conduzione di questi processi; incapacità in cui si sono distinti, paritariamente sia il centro-destra che il centro-sinistra.
E' storia che la consegna di Telecom ai "capitani" coraggiosi guidati da Colannino, avvenne per diretto volere di Massimo D'Alema (che coniò l'ardita definizione) con il solo risultato di farli arricchire quando, quattro anni dopo vendettero con enorme plusvalenza, a Tronchetti Provera, che l'ha usata come cassaforte personale, con l'appoggio del gotha bancario e finanziario italiano, per poi venderla, lasciando il cerino in mano al suddetto gotha, che oggi la cede (all'insaputa del suo presidente Bernabè!), a prezzi di saldo agli spagnoli di Telefonica, consegnandogli il vero asset strategico, la rete e il mercato brasiliano, che è l'unico con TIM Brasil, che crea utili.
Al centro-destra (e ai sindacati) va invece attribuita la vicenda Alitalia: nel 2008 Air France era pronta a mettere sul piatto tre miliardi di euro ed accollarsene altrettanti rilevando i debiti della nostra compagnia di bandiera. Ma al grido dell'interesse nazionale, Berlusconi, poco prima delle elezioni, impedì a Prodi di chiudere l'operazione, con la complicità dei sindacati, che vedevano con preoccupazione i processi di ristrutturazione previsti dei francesi. Risultato: dopo le elezioni, il governo Berlusconi, cede la compagnia ad un nuovo gruppo di "capitani" coraggiosi (fra i quali spiccano i nomi di Riva, Ligresti, Caltagirone Bellavista, oggi tutti ospiti delle patrie galere) ad un miliardo di euro, mentre i debiti vengono caricati allo Stato, così come le spese per cassa integrazione, esodati, pensionamenti anticipati, visto che una notevole fetta di lavoratori viene mandata a casa. Fanno circa 6 miliardi di euro a carico del bilancio statale (quelli che oggi si cercano per IMU, IVA ecc.) con in sovrappiù la beffa che oggi Air France, acquisirà il controllo di Alitalia con appena 250 milioni.
Che fare? Esclusa la nazionalizzazione, sia per i vincoli europei, sia, soprattutto, perché sarebbe questa classe politica a gestirla, il primo passo da fare sarebbe quella di ripristinare la golden share (che il governo Monti non aveva previsto per le telecomunicazioni!), almeno per quello che riguarda la rete telefonica, imponendo il suo scorporo e poi che si ricominciasse a programmare una politica industriale.