Economia
Gli altri paesi dell'Ue si impegneranno a sostenere il governo Monti nei mercati dei titoli pubblici? Oppure l'Italia sarà lasciata sola rendendo vani tutti i sacrifici richiesti? Una cosa è certa: se l'euro muore si arresta la riforma del sistema monetario internazionale . . .
di Mario Lettieri , già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)
e Paolo Raimondi , Economista
Gennaio è un mese caldissimo per il governo Monti e per l'Unione europea. La proposta di un nuovo accordo, fortemente voluto dalla Germania, e anche dalla Francia, al Consiglio europeo del 9 dicembre scorso, potrà essere un passo in avanti nell'unità politica dell'Europa oppure può diventare la tomba delle attuali istituzioni europee.
Gli altri paesi dell'Ue riconosceranno lo sforzo compiuto dal governo Monti con la dura finanziaria e si impegneranno a sostenerne la politica correttiva anche nei mercati dei titoli pubblici? Oppure l'Italia sarà lasciata sola in balia degli squali della finanza rendendo vani tutti i sacrifici richiesti ai cittadini italiani?
Questo è il pressante interrogativo che gli europeisti convinti si pongono.
Nelle prossime riunioni europee, il governo italiano paradossalmente si troverà ad avere in mano le carte decisive non solo per il suo futuro ma anche per la sopravivenza dell'Ue e dell'euro. Nonostante la sua debolezza e la sua passata emarginazione.
Il nuovo accordo europeo si baserebbe su due assiomi ideologici più che su una visione unitaria di ripresa economica e di rigore.
E' indubbio che il primo dovere sarebbe quello di mettere la propria casa in ordine. Tutti sono chiamati ad applicare le correzioni necessarie per un bilancio stabile e veritiero. Ma tale dottrina potrebbe rivelarsi falsa e banale se si partisse dall'assioma che "se tutti i governi nazionali tengono la propria casa in ordine, sarebbe in ordine anche il mondo intero". Come più volte ci ricordava Padoa Schioppa.
Sarebbe falsa perché l'economia e la finanza globale richiedono una forte cooperazione internazionale che trascende la sovranità nazionale in almeno tre aree: nella politica monetaria, nella supervisione bancaria e nei sistemi di pagamento e del commercio mondiale. Banale perché riflette l'improponibile ideologia ultra individualistica e liberista della scuola di Bernard de Mandeville che sostiene che l'economia è la mera somma dei redditi individuali e il benessere della società la sommatoria dei vizi e degli egoismi individuali.
In realtà le società organizzate hanno proprio nella cooperazione unitaria il motore vero dello sviluppo e dell'organizzazione dello Stato moderno.
Altrettanto sbagliato è il credo della efficienza degli automatismi. Con il nuovo accordo si vorrebbe far credere che basterebbe introdurre l'obbligo della parità di bilancio nelle costituzioni nazionali per risolvere tutti i problemi. Lo stesso dicasi per l'obbligo di ridurre annualmente di un ventesimo la quota di debito pubblico eccedente il 60% del Pil nazionale. Per l'Italia sarebbe equivalente a delle finanziarie annuali di 40-45 miliardi di euro! Un vero salasso.
E' illusorio pensare, come sostengono i monetaristi, che l'abbassamento del costo del denaro, del tasso di sconto, farebbe automaticamente aumentare gli investimenti nelle attività produttive. Basti ricordare la realtà degli Usa e dell'Europa dove, nonostante un tasso di interesse vicino allo zero, le loro economie si stanno sempre più avvitando in processi di deflazione e di recessione.
Per fortuna invece la crescita economica registratasi in Europa è stata determinata dal processo di unità europea, fin da suo inizio, con la creazione di un mercato unico che ha aiutato tutti gli Stati e in particolare la Germania. Certo la Germania, grazie alla sua capacità di innovazione e di competitività, è stata avvantaggiata. Si ricordi che il Pil tedesco è per il 46% legato all'export soprattutto di prodotti ad alta tecnologia. Il 60% di esso riguarda il mercato europeo.
Se l'Eu e l'euro si sgretolassero anche l'economia tedesca ne risentirebbe pesantemente. Senza considerare le drammatiche conseguenze geo politiche che ne deriverebbero.
Perciò necessita una politica unitaria, centralmente coordinata, per la crescita dell'intero "corpo" europeo in tutti i suoi arti e in tutte le sue componenti, anche quelle più deboli e periferiche come il nostro Mezzogiorno.
E' tempo che l'Europa avvii un vero governo economico unico, affronti positivamente la nota questione degli eurobond e della Banca Centrale e decida in sede di G20 di porre con maggiore forza la questione della finanza speculativa e tossica e delle ineludibili riforme del sistema finanziario, bancario e monetario globale.
E' forse l'ultima chiamata per l'Unione europea. Se non ci sarà la giusta risposta, il gelo paralizzerà tutta l'Europa, Germania compresa.
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Continua la strategia di demolizione dell'euro e dell'Ue. Dopo il declassamento dell'Italia, della Francia e di altri 7 paesi dell'Unione europea, l'agenzia di rating americana Standard & Poor's ha tolto la tripla A anche all'Esfs, il fondo salva stati.
Finalmente si sono levate voci di denuncia anche da parte di chi non è sospettabile di essere un fautore facinoroso della teoria del complotto. Il commissario per gli Affari Economici Europei, Olli Rehn, ha qualificato la S&P come un " soggetto con i suoi interessi economici" che opera in linea con il capitalismo finanziario Usa e di Wall Street. Mario Monti si è sentito obbligato a parlare di un "attacco all'euro" e Mario Draghi per la prima volta ha detto di non dare troppo peso alle valutazioni delle "tre sorelle".
Come è ormai noto le tre agenzie di rating, in particolare la dominante S&P, sia prima della crisi del 2008 che dopo, sono state responsabili di aver agevolato l'inondazione dei mercati di titoli tossici e di derivati altamente speculativi. Davano a tutti, dietro pagamento, la pagella con la tripla A.
Il commissario Rehn ha anche detto che "qualcuno ha fatto soldi dalla destabilizzazione" prodotta dall'abbassamento del rating. Sembra infatti che sia partita una speculazione al ribasso contro l'euro.
Ma la vera questione è: perchè un attacco all'euro così concentrato e forte?
Non basta il solito richiamo alla legge del mercato dove il "business è sempre business" e dove si fanno soldi su qualsiasi cosa si muova senza rispetto per nessuno. Quindi neanche per l'euro e per i debiti sovrani europei che continueranno ad essere sottoposti ad attacchi fintanto che non raggiungeranno una "posizione di equilibrio" accettata dai mercati.
Non basta nemmeno parlare di concorrenza tra cugini, in cui gli Stati Uniti ed il dollaro si sarebbero sentiti minacciati dall'emergere dell'Unione europea e di una moneta forte come l'euro che potrebbero sfidarli e rimpiazzarli sui mercati commerciali e finanziari internazionali.
In verità l'euro, proprio per le intrinseche debolezze sia strutturali che politiche, non ha mai posto un tale problema. Purtroppo l'Ue è ancora un cantiere in costruzione che ha bisogno di tempi lunghi e di stabilità interna ed internazionale per superare tutti gli ostacoli economici, politici e culturali che si frappongono ad una vera governance unitaria
Le lentezze e le debolezze del processo europeo possono giustificare soltanto gli attacchi degli "sciacalli della finanza" che speculano ai margini del sistema, non l'attuale strategia di annientamento dell'euro.
Secondo noi nessuna semplicistica spiegazione è accettabile. Occorre guardare ai grandi processi di globalizzazione, al ruolo dei nuovi potenti attori economici e politici, agli effetti della caduta del muro di Berlino e alla conseguente crisi del sistema unipolare del dollaro per meglio capire i processi in corso.
E' emersa una nuova ed inarrestabile domanda di riforme monetarie, economiche e commerciali capaci di dare risposte adeguate ad un mondo politico multi polare. Oltre all'Unione Europea, stanno scrivendo le pagine della storia i Paesi del Brics e altre coalizioni regionali di Paesi emergenti.
Non solo per un giusto affrancamento politico e per una nuova indipendenza economica, ma questi nuovi soggetti ritengono che sia arrivato il momento di pensare ad un rinnovato sistema monetario ed economico internazionale dove tutti abbiano un peso e una reale capacità di decisione.
E' di pochi giorni fa la notizia che i governi cinese e giapponese hanno firmato un accordo che prevede che i loro commerci avverranno in yuan e in yen e non più in dollari.
Molti ormai chiedono un paniere di monete che, oltre al dollaro, all'euro e allo yen comprenda anche le valute della Cina, dell'India, della Russia, del Brasile e di altri Paesi, oltre all'oro.
E' un processo non lineare e nemmeno privo di rischi geopolitici. Il sistema del dollaro, che ha dominato l'intera finanza mondiale, sa di dover perdere privilegi e rendite. Sa che le grandi bolle finanziarie, come quelle dei derivati Otc, non potranno avere spazio in un simile sistema.
Nella costruzione del nuovo paniere di monete l'euro ha un oggettivo peso sia economico che politico. L'Unione europea è la prima economia industriale del pianeta e come polo tecnologico è centrale. La sua stabilità può svolgere il ruolo di catalizzatore per le altre economie emergenti. Se venissero meno l'Europa e l'euro, il lavoro per il nuovo sistema monetario verrebbe bloccato. La Cina e gli altri paesi del Brics sono in forte crescita ma, secondo noi, non hanno ancora da soli la capacità di determinare simili cambiamenti sistemici.
Inoltre l'Ue e l'euro potrebbero essere attori centrali nella costruzione del contenente euroasiatico che sarà attraversato e unito da moderne "vie della seta". Si tratta di nuovi scenari di sviluppo non solo dell'economia ma soprattutto per la pace mondiale. I sostenitori di una geopolitica di vecchio stampo britannico li hanno sempre osteggiati perché vedono l'Eurasia in contrapposizione all'America e ritengono che l'eventuale sgretolamento dell'euro servirebbe a fermare tali processi.
Riteniamo che l'Europa debba rendersi consapevole di queste evoluzioni e affrontare i suoi problemi anche nell'ottica delle grandi sfide globali. Così facendo può trovare nei paesi del Brics alleati strategici e non cercare in loro soltanto dei possibili compratori di titoli di debito pubblico.