10.26.2010

Adesso arrivano le banche zombie?

Alcune banche sono diventate molto dipendenti dalle emissioni di liquidità della Banca Centrale Europea . . .


di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)

e Paolo Raimondi, Economista


La recente dichiarazione del governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, sul rischio rappresentato anche in Europa da certe «banche zombie» è veramente inquietante. Non tanto per il colore delle parole usate quanto per la pesante verità che esse nascondono.

Draghi ha detto che «alcune banche sono diventate molto dipendenti dalle emissioni di liquidità della Banca Centrale Europea, sono diventate addicted rispetto ai fondi ottenuti». Esse hanno preso a prestito a zero tasso di interesse la liquidità che la Bce da due anni sta fornendo a piene mani. Si tratta di una replica minore del «quantitative easing», cioè dell'espansione della base monetaria attivata dalla Federal Reserve americana.

I soldi ottenuti in prestito dalle banche sono stati utilizzati dalle stesse per operazioni ad alto rischio, con l'intento di un'immediata redditività finanziaria. Come abbiamo più volte sottolineato, certi settori più aggressivi del mondo bancario hanno sfruttato l'emergenza finanziaria per accaparrarsi fondi da «giocare» sui tavoli della speculazione. Proprio come prima della crisi.

Queste banche hanno abusato del moral hazard, sottovalutando i rischi e confidando sempre negli stati come creditori di ultima istanza. Cosa succederebbe se i tassi di interesse dovessero salire per contenere i rischi inflazionistici di una liquidità smisurata? Avremmo una nuova reazione a catena di collassi bancari innestata su un sistema fortemente indebolito da due anni di recessione e già enormemente indebitato.

Draghi dovrebbe dirci se simili zombie bancari esistono anche in Italia.

Di certo alcune banche irlandesi entrano a pieno titolo in questa categoria. L'anno scorso una parte dei loro titoli tossici, circa 80 miliardi di euro, furono trasferiti nella National Assets Management Agency (Nama), una sorta di bad bank messa in piedi dal governo di Dublino. Adesso si prospettano altri aiuti per circa 50 miliardi di euro per tamponare le nuove falle della Anglo Irish Bank e della Allied Irish Bank. L'Irlanda rappresenta un rischio concreto per l'Europa e per le banche internazionali, soprattutto europee, che sono esposte per 844 miliardi di dollari immessi nell'economia irlandese. Questo piccolo stato, con una popolazione pari a quella del Lazio, con un Pil in caduta libera e con un deficit di bilancio del 32% previsto nel 2010, è diventato una piccola «bomba atomica finanziaria». I primi a soffrire sono gli stessi irlandesi ma i rischi sono per l'intera Europa.

Si consideri inoltre che la Fed e la Bce sono in continua fibrillazione per la crescente bolla del debito pubblico degli stati. Entrambe hanno deciso di acquistare i rispettivi titoli di stato per evitare rischi di insolvenza, ma anche per cercare di contenere i tassi di interesse sui titoli stessi ed evitare buchi di bilancio più grandi. Dal programma di salvataggio della Grecia di maggio, la Bce ha acquistato circa 65 miliardi di euro di obbligazioni emesse dai singoli stati europei. Tanti, ma pochi rispetto agli acquisti di Treasury bond fatti dalla Fed.

Queste politiche hanno fallito il loro scopo di riportare l'economia globale fuori dalla crisi. Anche Obama ha riconosciuto che lo squilibrio del bilancio americano è insostenibile. Adesso si appresterebbe ad apportare tagli di bilancio che faranno sentire gli effetti negativi sulla produzione e sull'occupazione, mentre però la liquidità continua a rifluire verso i settori finanziari. È un mix esplosivo.

Perfino il Fondo Monetario Internazionale recentemente ha evidenziato il danno che l'eccessiva forbice di «bassi tassi di interesse e tagli di bilancio» produrrebbe nel breve periodo al sistema economico. E' anche da prendere come un serio avviso la recente ipotesi di studio sul rischio di «iper inflazione» fatta dall'International Accounting Standards Board (IASB), l'ente responsabile dei principi contabili internazionali.

Nonostante il tanto parlare di grandi riforme, il sistema finanziario continua ad operare come prima. Basti un dato. L'ultimo bollettino dell'Office of the Comptroller of the Currency ( Occ) americano sull'andamento dei derivati finanziari Otc conferma che a giugno, alla fine del secondo trimestre 2010, essi sono aumentati di 9 trilioni di dollari, pari al 3 % rispetto al trimestre precedente. Se l'economia americana va alla deriva con un deficit di bilancio di 1.500 miliardi di dollari, come è possibile che si tolleri un'ulteriore crescita della speculazione? Si avrà la forza di deliberare un'effettiva exit strategy a Seul il prossimo novembre?