1.14.2009

FORSE IN ITALIA ANDRA' MEGLIO CHE ALTROVE

UN 2009 DI CRISI NERA?
Lo dice Marco Fortis (Fondazione Edison): "Per fortuna siamo un paese 'arretrato', cioe' poco finanziarizzato. La nostra economia reale ci portera' fuori dal guado".

di M. Sironi
I primi dati dell'anno non sono certo incoraggianti: in dicembre negli USA (la locomotiva dell'economia mondiale) sono andati persi 700.000 posti di lavoro, e secondo stime i disoccupati potrebbero rapidamente arrivare a 13 milioni. In Germania (la locomotiva d'Europa) il numero dei disoccupati è tornato a salire, superando i tre milioni. In Italia, sempre in dicembre, il ricorso alla cassa di integrazione è piu' che raddoppiato. Come si fa ad essere ottimisti? Eppure c'e' qualcuno che, dati alla mano, guarda al futuro con relativa serenita': è l'economista Marco Fortis della Fondazione Edison, sostenitore della teoria secondo cui in Italia la crisi morderà meno forte che altrove. La ragione è semplice: l'Italia è rimasta essenzialmente un paese manifatturiero, poco finanziarizzato, con una struttura produttiva forte nei tre settori importanti dell'economia reale, l'agricoltura, il turismo e appunto il manifatturiero. Inoltre, se è vero che il nostro debito pubblico è gigantesco, è altrettanto vero che gli italiani come privati cittadini sono risparmiosissimi, il che compensa le follie di una Stato spendaccione.

Vediamo il primo punto: nella Penisola il rapporto tra il valore aggiunto del manifatturiero e e quello di banche e assicurazioni è di circa 4 a 1, contro ad esempio l'1,6 a 1 dell'Inghilterra. Siamo un paese legato all'economia reale ed occupiamo saldamente il secondo posto nella UE per il valore aggiunto in agricoltura (dopo la Francia), nel manifatturiero (dopo la Germania) e nel turismo (dopo la Spagna). Ma, osserva Fortis, nessuno nell'Unione ha questa felice combinazione di secondi posti. La Germania è debole nel turismo, l'Inghilterra nell'agricoltura e la Spagna nelle manifatture. Le cifre grosse si riferiscono a quest'ultimo settore, dove la Germania ci distacca con 460 miliardi di valore aggiunto contro i nostri 237, ma noi siamo fortissimi nella "quadrupla A": abbigliamento, arredocasa, automazione-meccanica, alimentari-vini . Nel 2007 il surplus commerciale italiano nelle quattro A è stato di 113 miliardi. Nel 2008 ha toccato probabilmente i 120 miliardi. Ed ora, di fronte al crollo dell' "industria della finanza", l'essere un paese relativamente arretrato ci fa buon gioco.

E veniamo al secondo punto, cioe' al nostro "gigantesco" debito pubblico. In Italia, dati 2007, il debito aggregato ( debito pubblico + debito delle famiglie) arriva al 138% del PIL. Ma negli USA, dopo anni di denaro facile prestato a tutti, la percentuale è del 167%, di cui la componente privata è di gran lunga la maggiore. In Inghilterra siamo al 144%, in Olanda l 149%. Ed è sempre il debito delle famiglie a far la differenza: da noi supera di poco il 34%, mentre è ormai pari al PIL (100% circa) negli altri paesi considerati.

A peggiorar le cose, per gli altri, sara' secondo Fortis proprio la crisi finanziaria in atto, che fara' lievitare anche il loro debito pubblico, fin qui percentualmente assai piu' basso del nostro, mentre il nostro restera' circa invariato. Mamme risparmiose, eccellenze nel made in Italy, gusto per la buona tavola e per il bello, arte del vivere: sembra una serie di luoghi comuni, ma se fosse invece il nostro salvagente? Speriamo di si, e comunque ad inizio d'anno fa piacere crederlo.

12.15.2008

Cento cortei in cento città

Visti dagli altri
A cura di Internazionale - Prima Pagina
Il sorpasso della Spagna
Secondo gli ultimi dati pubblicati da Eurostat nel 2006 le economie di Spagna e Italia - la quarta e la quinta in Europa - erano molto vicine: il pil pro capite in Spagna aveva raggiunto il 104 per cento del reddito medio degli abitanti dell'Unione europea, contro il 103 per cento dell'Italia. Nel 2007 il divario è cresciuto: il pil pro capite spagnolo è aumentato al 106 per cento contro il 101 per cento dell'Italia.

El País, Spagna
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Cento cortei in cento città
Un milione e mezzo di persone in piazza con la Cgil nonostante il maltempo. Grandissima partecipazione non solo allo sciopero generale ma anche alle manifestazioni che si sono tenute in 108 città, indette dalla Cgil e alle quali hanno partecipato non soltanto i lavoratori del sindacato di Epifani ma anche i movimenti, gli studenti, i migranti. 80 mila manifestanti a Milano, 30 mila a Torino e Bari, 40 mila a Napoli. Uno striscione della Cgil scuola di Genova: "Fatti non fummo per viver come... Silvio, ma per seguir virtute e conoscenza". La controriforma Gelmini costretta alla difensiva.

Guglielmo Epifani chiede al governo e a Confidustria una cabina di regia comune per affrontare la crisi: «Lo sciopero è un mezzo per raggiungere degli obiettivi e mai un fine. Gli obiettivi sono di chiedere al governo di affrontare la crisi e di intervenire come stanno facendo gli altri governi europei» - ha dichiarato il segretario generale della Cgil. «Se la crisi è eccezionale non si può affrontare con poche risorse. Perchè la Francia sostiene gli investimenti, l'Inghilterra i consumi e noi non facciamo niente?».
Altissime le adesioni allo sciopero generale indetto dal maggior sindacato italiano da parte di tutte le categorie dei lavoratori, al Nord come al Sud. Le condizioni atmosferiche non hanno fermato la protesta neppure nella capitale, ma le notizie sulla giornata di lotta sindacale sono state diaframmate, manipolate e silenziate da parte considerevole dei media, pesantemente condizionati dalla crisi del mercato pubblicitario che consegue allo
tzunami della finanza mondiale.

L'ufficio stampa della Cgil ha diffuso ieri in serata la presa di posizione che di seguito riportiamo: "Con vero stupore registriamo una serie di reazioni scomposte, tese a negare l’evidente riuscita delle nostre manifestazioni e dello sciopero generale. In alcuni casi si è fatto ricorso ad argomentazioni che offendono profondamente la nostra Organizzazione e i milioni di persone che oggi sono scese in piazza per rivendicare condizioni di vita migliori. Non intendiamo scendere sullo stesso piano. I numeri, le immagini, ciò che concretamente hanno visto gli occhi di centinaia di migliaia di persone, testimoniano la grande riuscita della giornata di lotta di oggi, nonostante le avverse condizioni meteorologiche che hanno imperversato su tutto il Paese. La scompostezza e le argomentazioni utilizzate confermano, al contrario, l’evidente risultato positivo e la delusione profonda di chi aveva scommesso sul fallimento dello sciopero e delle manifestazioni".

12.10.2008

A PROPOSITO DI ALITALIA

Dunque, la "nuova Alitalia", che attualmente ha un capitale di 160.000 euro (come un appartamentino alla periferia di Milano), si accinge a comprare la parte buona della nostra vecchia compagnia di bandiera, valutata dai periti 1.050 milioni di euro. Ma chi ci mettera’ veramente i soldi? Mentre scriviamo (venerdi’ 5 dicembre) Berlusconi incontra a Villa Madama i sedici soci di Cai (la "nuova Alitalia") per verificare chi vuol essere veramente della partita...

di M. Sironi

Clessidra, il fondo di private equity che partecipa a Cai attraverso la Lauro Quaranta spa, si è tirata indietro: troppe incertezze. Oltre al "cip" di partenza di 10.000 euro gia’ versato da tutti – ha fatto sapere Clessidra - non vi saranno altri versamenti da parte sua.

Molto incerto anche Gianluigi Aponte, patron della societa’ di crociere MSC, che doveva essere uno dei soci forti insieme alla IMMSI di Colaninno, alla Atlantia dei Benetton e naturalmente ad Intesa Sanpaolo, grande artefice dell’operazione. Ci sono poi voci di defezione da parte della Findim (Famiglia Fossati), i cui rappresentanti all’assemblea Cai del 28 ottobre si sono astenuti dal votare lo statuto, che impone ai soci di non vendere le proprie quote per i primi cinque anni. E i soliti ben informati danno per assai probabile la defezione, a tempo debito, anche di Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria: la sua partecipazione è infatti "simbolica", al solo scopo di contribuire al salvataggio di una parte storica del patrimonio industriale del Paese.

Dunque la "nuova Alitalia", che attualmente ha un capitale di 160.000 euro (come un appartamentino alla periferia di Milano), si accinge a comprare la parte buona della nostra vecchia compagnia di bandiera, valutata dai periti 1.050 milioni di euro. Ma chi ci mettera’ veramente i soldi?

Colaninno sta facendo un po’ di cassa tramite la vendita degli immobili turistici a Is Molas. C’è poi Carlo Toto, che conferira’ a Cai la sua Airone, compagnia aerea peraltro gia’ decotta e molto indebitata con la stessa Intesa Sanpaolo che l’ha sempre avuta a cuore, e che ora la salvera’ "buttandola" in Cai.

Ma pur di mandare in porto l’affare – dicono i soliti ben informati – Intesa Sanpaolo presterebbe soldi anche a tutti gli altri soci, accettando in garanzia le stesse azioni Cai che si accingono a comprare. Insomma, il solito gigantesco conflitto di interessi, che vede la banca guidata da Corrado Passera nella veste di artefice, partecipe e finanziatrice della cordata, nata apposta per rilevare una, anzi due societa’ in coma: Alitalia ed anche Airone.

Ecco il prezzo pagato dal Cavaliere perchè si costituisse in quattro e quattr’otto la "nuova Alitalia" promessa agli elettori: ha dovuto avvicinarsi a Passera, amministratore delegato di Intesa - gia’ puledro della scuderia De Benedetti come lo è stato anche Colaninno – che ha voluto tirarsi dietro pure Airone. Ma per i soci coraggiosi che vorranno salire su questa barca c’è gia’ in vista un cavaliere bianco: AirFrance, che alla fine – scommettono quasi tutti – comprera’ da chi vorra’ vendere. AirFrance ringrazia, perchè non troppo tempo fa era disposta a pagare Alitalia tre volte il prezzo attuale. Carlo Toto, patron di Airone, ringrazia e torna a fare il costruttore in Calabria. E un po’ ringrazia anche Lufthansa, che intanto ha stretto accordi con la SEA (gestore dell’aeroporto di Malpensa) e vede aumentare i propri passeggeri di mano in mano che Alitalia annulla i voli mentre i soci di Cai si dilungano in patteggi.

E gli altri? Colaninno probabilmente fara’ quello che ha fatto sempre (vedi Telecom ): comprare con i soldi delle banche, gestire per un po’, vendere incassando plusvalenze. E piu’ o meno è quanto si aspettano di fare anche gli altri soci, nessuno dei quali ha mai fatto viaggiare aerei per mestiere.

C’è qualcuno che non ringrazia? Sono i soliti. Gli azionisti della vecchia Alitalia, ex societa’ quotata, le cui azioni non valgono piu’ nulla, e tra di essi il pacchetto piu’ grosso l’ha sempre il Tesoro. Ci sono poi quelli che hanno in mano obbligazioni Alitalia: piu’ di 700 milioni in controvalore, distribuite tra risparmiatori, fondi, gestioni. E anche qui piu’ della meta’ le ha sottoscritte il Tesoro.

Visti dagli altri - A cura di Internazionale - Prima Pagina

Licenziamenti in vista a Telecom Italia
Si annunciano tempi duri per i lavoratori della società di telecomunicazioni italiana Telecom. Nel piano industriale per il 2009-2010 che l'azienda ha presentato a Londra sono annunciati quattromila licenziamenti in più, oltre ai cinquemila giù previsti per il 2010. L'amministratore delegato Franco Bernabè ha annunciato che l'obiettivo è ridurre il debito a cinque miliardi di euro, contro i 37,5 dello scorso agosto.

El Pais, Spagna
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A PROPOSITO DI ALITALIA

Dunque, la "nuova Alitalia", che attualmente ha un capitale di 160.000 euro (come un appartamentino alla periferia di Milano), si accinge a comprare la parte buona della nostra vecchia compagnia di bandiera, valutata dai periti 1.050 milioni di euro. Ma chi ci mettera’ veramente i soldi? Mentre scriviamo (venerdi’ 5 dicembre) Berlusconi incontra a Villa Madama i sedici soci di Cai (la "nuova Alitalia") per verificare chi vuol essere veramente della partita...

di M. Sironi
Clessidra, il fondo di private equity che partecipa a Cai attraverso la Lauro Quaranta spa, si è tirata indietro: troppe incertezze. Oltre al "cip" di partenza di 10.000 euro gia’ versato da tutti – ha fatto sapere Clessidra - non vi saranno altri versamenti da parte sua.

Molto incerto anche Gianluigi Aponte, patron della societa’ di crociere MSC, che doveva essere uno dei soci forti insieme alla IMMSI di Colaninno, alla Atlantia dei Benetton e naturalmente ad Intesa Sanpaolo, grande artefice dell’operazione. Ci sono poi voci di defezione da parte della Findim (Famiglia Fossati), i cui rappresentanti all’assemblea Cai del 28 ottobre si sono astenuti dal votare lo statuto, che impone ai soci di non vendere le proprie quote per i primi cinque anni. E i soliti ben informati danno per assai probabile la defezione, a tempo debito, anche di Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria: la sua partecipazione è infatti "simbolica", al solo scopo di contribuire al salvataggio di una parte storica del patrimonio industriale del Paese.

Dunque la "nuova Alitalia", che attualmente ha un capitale di 160.000 euro (come un appartamentino alla periferia di Milano), si accinge a comprare la parte buona della nostra vecchia compagnia di bandiera, valutata dai periti 1.050 milioni di euro. Ma chi ci mettera’ veramente i soldi?

Colaninno sta facendo un po’ di cassa tramite la vendita degli immobili turistici a Is Molas. C’è poi Carlo Toto, che conferira’ a Cai la sua Airone, compagnia aerea peraltro gia’ decotta e molto indebitata con la stessa Intesa Sanpaolo che l’ha sempre avuta a cuore, e che ora la salvera’ "buttandola" in Cai.

Ma pur di mandare in porto l’affare – dicono i soliti ben informati – Intesa Sanpaolo presterebbe soldi anche a tutti gli altri soci, accettando in garanzia le stesse azioni Cai che si accingono a comprare. Insomma, il solito gigantesco conflitto di interessi, che vede la banca guidata da Corrado Passera nella veste di artefice, partecipe e finanziatrice della cordata, nata apposta per rilevare una, anzi due societa’ in coma: Alitalia ed anche Airone.

Ecco il prezzo pagato dal Cavaliere perchè si costituisse in quattro e quattr’otto la "nuova Alitalia" promessa agli elettori: ha dovuto avvicinarsi a Passera, amministratore delegato di Intesa - gia’ puledro della scuderia De Benedetti come lo è stato anche Colaninno – che ha voluto tirarsi dietro pure Airone. Ma per i soci coraggiosi che vorranno salire su questa barca c’è gia’ in vista un cavaliere bianco: AirFrance, che alla fine – scommettono quasi tutti – comprera’ da chi vorra’ vendere. AirFrance ringrazia, perchè non troppo tempo fa era disposta a pagare Alitalia tre volte il prezzo attuale. Carlo Toto, patron di Airone, ringrazia e torna a fare il costruttore in Calabria. E un po’ ringrazia anche Lufthansa, che intanto ha stretto accordi con la SEA (gestore dell’aeroporto di Malpensa) e vede aumentare i propri passeggeri di mano in mano che Alitalia annulla i voli mentre i soci di Cai si dilungano in patteggi.

E gli altri? Colaninno probabilmente fara’ quello che ha fatto sempre (vedi Telecom ): comprare con i soldi delle banche, gestire per un po’, vendere incassando plusvalenze. E piu’ o meno è quanto si aspettano di fare anche gli altri soci, nessuno dei quali ha mai fatto viaggiare aerei per mestiere.

C’è qualcuno che non ringrazia? Sono i soliti. Gli azionisti della vecchia Alitalia, ex societa’ quotata, le cui azioni non valgono piu’ nulla, e tra di essi il pacchetto piu’ grosso l’ha sempre il Tesoro. Ci sono poi quelli che hanno in mano obbligazioni Alitalia: piu’ di 700 milioni in controvalore, distribuite tra risparmiatori, fondi, gestioni. E anche qui piu’ della meta’ le ha sottoscritte il Tesoro.


Visti dagli altri - A cura di Internazionale - Prima Pagina
Licenziamenti in vista a Telecom Italia
Si annunciano tempi duri per i lavoratori della società di telecomunicazioni italiana Telecom. Nel piano industriale per il 2009-2010 che l'azienda ha presentato a Londra sono annunciati quattromila licenziamenti in più, oltre ai cinquemila giù previsti per il 2010. L'amministratore delegato Franco Bernabè ha annunciato che l'obiettivo è ridurre il debito a cinque miliardi di euro, contro i 37,5 dello scorso agosto.

El Pais, Spagna
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10.13.2008

ALLO SBANDO

I MERCATI FINANZIARI SONO ALLO SBANDO

DI CHI E' LA COLPA? E CHI PAGHERA' ALLA FINE?


di M. Sironi
 

Se una pensionata va in banca a comprare qualche buono del Tesoro, prima di aprire un dossier titoli deve compilare un bel po' di scartoffie e sottoporsi ad un esamino da parte del funzionario, atto a stabilire il suo "profilo di rischio".

    Dopo i casi Cirio e Parmalat è d'obbligo l'assoluta correttezza. Se i funzionari dell'ufficio titoli vogliono impiegare i soldi della banca in operazioni ad alto rischio/alto rendimento sui mercati over the counter (ndr, non regolamentati) o addirittura comprare dei credit default swaps ( cioe' scommettere che, ad esempio, il Tesoro italiano fara' bancarotta), lo possono fare.  Anzi, lo hanno fatto largamente per anni, soprattutto all'estero. 

    In Italia, essendo gli "investitori istituzionali" relativamente poco numerosi, lo si è fatto un po' di meno: ecco perche', secondo gli esperti, il ciclone finanziario dovrebbe risparmiarci. A dirlo sono gli stessi esperti  che fino a ieri l'altro auspicavano una presenza assai piu' massiccia di banche d'affari e fondi di investimento,  gli institutionals appunto, i soli in grado di dare al nostro mercato dei capitali spessore e stabilita', indispensabili tra l'altro per un sano sviluppo del terzo pilastro pensionistico.

    Adesso col senno di poi sia gli operatori che le autorita' di controllo parlano di "errori di valutazione del rischio". Lo ha detto anche Alessandro Profumo, amministratore delegato di Unicredit, quando domerica scorsa ha messo in cantiere un aumento di capitale da tre miliardi per recuperare un po' di liquido.


    Tutto qui?  Negli USA l'alta dirigenza delle banche d'affari salvate dal Governo è stata congedata con premi di milioni di dollari, come da contratto di assunzione. Il perche' è semplice: non hanno commesso illeciti, non ci sono state truffe grossolane come nei casi Enron o Parmalat. E la sottovalutazione del rischio, specie se si tratta di un comportamento comune, non è un illecito.  La colpa è del sistema dei controlli, dicono gli addetti ai lavori, ormai del tutto inadeguati.

    "E' la regolamentazione finanziaria che va cambiata" – dice Gregorio De Felice, presidente AIAF (Associazione italiana analisti finanziari). "Come è possibile che  la Security and Exchange Commission  (la Consob statunitense) abbia accettato di buon grado l'incremento abnorme della leva finanziaria delle societa' che doveva controllare, arrivata fino a 40 volte il rapporto tra debito e capitale? ".

    Sconcertante, afferma De Felice, è anche l'enorme discrezionalita' con cui la FED ha deciso i suoi interventi: l'AIG è stata salvata con un'iniezione diretta di 85 miliardi di dollari, la Lehman Brothers è stata sacrificata, mentre la Bearn Stearns è stata data su un piatto d'argento alla J. P. Morgan.  Dove è finita la fede yankee nel libero mercato, ora che il Governo ha salvato Fannie Mae e Freddie Mac nazionalizzandole?

    La crisi statunitense è innanzitutto una profonda crisi di valori, scoppiata con il caso Enron e mai risolta: a cosa è servita – si chiedono in molti -  la severissima e complicata legge Sarbanes Oxley, varata di gran carriera dopo lo scandalo?  Non è servita a nulla, anzi peggio, dice Jonathan Macey (Yale Law School). Intervenendo al convegno di fine settembre della Fondazione Courmayeur, Macey ha sparato a zero tra gli applausi della platea:  la FED e soprattutto la SEC operano ormai sotto l'influenza di potentissime lobbies, mentre le societa' di revisione, come quelle di rating, sono "captive" dei loro committenti, perche' sono questi ultimi che pagano per essere giudicati.

    L'etica puritana negli affari, i timori di possibili danni reputazionali appartengono ad un tempo che fu, quando a regolare il mercato non c'erano le moltitudini di authority, di norme, di adempimenti costosissimi che troviamo ora.  Ora solo i grossi attori riescono a muoversi, e di fatto dettano legge: ecco il punto. Al G8 di meta' novembre i potenti della Terra cercheranno di riscrivere le regole del capitalismo di mercato, ormai sfuggito di mano.  La proposta di istituire un fondo di emergenza europeo per le banche in crisi è stata bocciata dall'Ecofin di lunedi' scorso: tocchera' quindi al Tesoro di ciascun paese rimediare ai propri crack domestici.

    Ed eccola li', la nostra pensionata con i BOT: gira gira, è sempre da lei che si ritorna.