5.31.2012

Da Berlino gravi dubbi sull'Italia e l'euro


Cosa sta succedendo in Germania? È ancora maggioritario il “partito europeo” o prevalgono già i sostenitori del “Piano B”?


di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)

e Paolo Raimondi, Economista


C’è uno strano “odore di zolfo” in certe stanze del potere a Berlino. Che la Merkel e il suo più stretto entourage si siano da tempo irrigiditi con pronunciamenti per “il rigore innanzitutto” è risaputo. La novità degli ultimi giorni però è il ritorno del dubbio sempre più pressante sul futuro e sulla sopravvivenza del sistema dell’euro.

    E’ sorprendente la concomitanza dell’uscita di scena di Sarkozy in Francia e la pubblicazione di un duro attacco tedesco alla partecipazione dell’Italia all’euro.

    Il governo di Berlino, sollecitato dal settimanale Der Spiegel, ha rilasciato documenti relativi al periodo 1994-98  sul processo di introduzione dell’euro. I documenti includono rapporti preparati dall’Ambasciata tedesca a Roma, memorandum interni dell’allora governo di Bonn e i resoconti dei meeting della Cancelleria.

    Secondo il settimanale tedesco tutti i documenti proverebbero che l’Italia non avrebbe mai dovuto essere inclusa nella moneta unica europea. Infatti gli analisti del governo tedesco e anche i messaggi confidenziali mandati al cancelliere Helmut Kohl presentavano l’Italia come inaffidabile e incapace di raddrizzare le sue finanze pubbliche e soddisfare i criteri di Maastricht.

    Citando dirigenti di altissimo livello del governo Kohl – quali il segretario di stato Juergen Stark, il direttore per gli affari europei ed internazionali del ministero delle Finanze, Klaus Regling, che oggi presiede il fondo europeo salva-stati EFSF, e l’allora negoziatore-capo di Bonn per il trattato di Maastricht, Horst Khoeler, diventato in seguito presidente dell’Associazione delle Casse di Risparmio – il settimanale conclude che le misure di austerità e di correzione di bilancio dei governi italiani di allora erano dei trucchi contabili supportati da decisioni mai realizzate.

    “Si trattava di cure miracolose, almeno sulla carta”, scrive il più importante settimanale tedesco, non nuovo a simili uscite euroscettiche. Der Spiegel si spinge fino a dire che l’adesione di Roma all’euro nel 1998 “creò un precedente per un errore maggiore due anni dopo, cioè l’accettazione della Grecia nella zona euro”.

    Si accusa anche Helmut Kohl di essere stato consapevole delle debolezze e dei trucchi dell’Italia, ma di aver messo il suo interesse politico davanti alla realtà economica.

    Kohl, oltre ad essere (romanticamente, goethianamente) amico dell’Italia, contava sul lavoro di persone come il primo ministro Romano Prodi e il ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi, di cui aveva alta stima e fiducia. Secondo i documenti raccolti dal settimanale il governo italiano nel 1997 avrebbe suggerito per due volte di posporre il lancio dell’euro, ma Bonn avrebbe rifiutato l’idea.

    Con la pubblicazione dei documenti Der Spiegel di fatto rilancia alla grande l’iniziativa legale intrapresa allora da quattro professori tedeschi presso la Corte Costituzionale per far dichiarare illegittima l’adesione della Germania al Trattato di Maastricht, accusando anche l’amministrazione Kohl di “aver ingannato la popolazione tedesca”.

    Der Spiegel conclude denunciando tutta l’operazione come la manifestazione dell'opportunismo politico dominante. Quattordici anni dopo la firma del Trattato e con due anni di crisi nella zona euro alle spalle, “cresce a Berlino e in altre capitali europee la convinzione che lo status quo non può più continuare”. Con pochissima convinzione il settimanale scrive che l’unità monetaria sarebbe in grado di andare avanti solo se si procedesse speditamente verso l’unione politica ed economica dell’Europa. Comunque il tono dell’articolo è tutt’altro che ottimista al riguardo!

    Ci si chiede allora: perché proprio adesso questi documenti vengono messi a disposizione di un giornale notoriamente euroscettico? Da italiani sappiamo fin troppo bene come simili documenti confidenziali e di grande impatto emotivo possano essere messi in circolazione in momenti particolari, in modi molto selettivi e per fini altrettanto mirati.

    Di certo è un messaggio ai cosiddetti mercati: la Germania non ha e non ha mai avuto fiducia nelle capacità italiane di correggere e gestire le crisi e le difficoltà economiche.

    La questione ora è capire cosa stia veramente succedendo a Berlino: è ancora maggioritario il “partito europeo” o prevalgono già i sostenitori del “Piano B” di uscita dall’euro e di  rottura dell’Unione europea?

5.24.2012

JP Morgan: Suona ancora la campana della crisi globale



di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)

e Paolo Raimondi, Economista


La perdita della banca americana  JP Morgan Chase di oltre 2 miliardi di dollari (ma si vocifera di buchi ben più grandi) in operazioni con  derivati speculativi Otc fatte dal suo ufficio di Londra va vista e capita come l’inizio di una seconda e più pericolosa fase della crisi finanziaria globale.

    La JP Morgan è la più grande banca americana e mondiale. E’ quindi la number one nella lista delle “too big to fail” che sempre di più determinano la finanza e ricattano i governi fino a sottometterli ai propri voleri. E’ la number one mondiale anche nelle operazioni in derivati Otc e, secondo le ultime stime dell’ufficio del Comptroller of the Currency Usa, ne avrebbe in pancia più di 70 trilioni!

    Dal 2008 è stata uno dei maggiori ideatori e creatori di credit default sawps (cds) che hanno per mesi occupato le prime pagine di tutti i giornali soprattutto in relazione alla crisi dei debiti sovrani europei. Da anni è stata molto esposta a perdite sui cds.

    E’ sempre stata in prima fila anche nelle speculazioni sulle commodity, come il carbone e l’argento.

    Negli anni ottanta rischiò l’insolvenza e fu salvata con i fondi dello stato. La stessa cosa si ripeté nel 2009 quando ottenne 25 miliardi di dollari dal fondo di salvataggio pubblico TARP. Lo stesso anno, però, distribuì 8,69 miliardi di dollari in bonus ai propri manager.

     In questo periodo, prima di andare essa stessa in crisi, essa stranamente acquistò la quinta banca d’affari americana, la Bear Stearns, in fallimento. Si ricordi che le azioni di quest’ultima, che prima valevano sulla borsa di Wall Street 55 dollari, furono acquistate a 2. Non frattempo però la Fed si era accollata 30 miliardi di dollari in titoli inesigibili della Bear Stearns. L’operazione venne salutata come un grande servizio per la stabilità finanziaria degli Stati Uniti!

    In breve la JP Morgan insieme alla Goldman Sachs da anni partecipa al Treasury Borrowing Advisory Committee, che indirizza la politica finanziaria del governo.

    Nei passati 4 anni, forte di queste medaglie, ha guidato la lobby bancaria in operazioni di annacquamento e, diciamolo, di sabotaggio della riforma finanziaria Dodd-Frank voluta da Obama per cercare di mettere ordine nel sistema finanziario e bancario americano.

    I dirigenti della JP Morgan hanno sempre goduto della fama di operatori moderati sempre disponibili ad accettare la riforma del sistema. Il suo executive director, Jamie Dimon, il “golden boy” di Wall Street, è stato anche nel direttivo della Federal Reserve di New York nonostante fosse il maggior portavoce della deregulation! I mass media lo avevano finanche indicato come un possibile rimpiazzo di Timothy Geithner a capo del Tesoro americano. Che abbaglio!

    Ora le autorità indagano sul loro operato.

    Certo dopo alcune operazioni speculative andate male, alcuni dirigenti sono stati rimossi. Ma sono stati prontamente rimpiazzati da un vecchio pescecane della finanza, Matt Zames, già membro dell’ufficio esecutivo della JP Morgan, che nel suo curriculum ha il primo e più grande fallimento della storia di un hedge fund, quello del Long Term Capital Management che nel 1998, con un buco di circa 4 miliardi di dollari, aveva già portato il sistema finanziario vicino all’implosione.

    Tutto ciò ci dice che in questi anni di fatto non è cambiato proprio nulla. Vi sono stati soltanto i salvataggi fatti dagli Stati con i soldi pubblici e la concessione di liquidità alle banche ad un tasso di interesse vicino allo zero. Liquidità che viene poi usata per comprare titoli di stato invece di sostenere la crescita e lo sviluppo con nuovi crediti. In merito, la vicenda dei Fondi della Bce docet.

    Senza iattanza, come sosteniamo nel libro “I gattopardi di Wall Street” si dovrebbe realizzare una nuova Bretton Woods che organizzi una riforma fatta di regole, indirizzi e controlli dell’intero sistema finanziario e bancario internazionale.  Deve essere un accordo tra i governi. Deve essere un’operazione guidata dagli Stati e non dalle agenzie finanziare preposte, siano esse il Financial Stability Board o il Fondo Monetario Internazionale.

    Secondo noi questo è il vero ruolo del G20 che finora non è stato svolto in quanto il mondo anglosassone e quello dell’Europa continentale hanno voluto giocare a fare i furbi. Si tratta di svolgere un ruolo politico e non tecnico e di una assunzione di responsabilità di fronte al mondo e alle esigenze dei cittadini, più che degli interessi delle banche.

    Occorre un vero “curatore fallimentare” per separare la finanza produttiva da quella speculativa ed eliminare la seconda con regole e azioni precise e sperimentate.

    Si deve reintrodurre ed estendere a tutti i mercati il sistema “Glass-Steagall” già voluto dal presidente Roosevelt per fronteggiare la crisi bancaria del ’29 che separa le banche commerciali da quelle di investimento, proibendo l’utilizzo dei soldi versati dai risparmiatori nei giochi speculativi.

    Occorre essere consapevoli che senza regole stringenti ed efficaci c’è solo l’aggravamento della crisi economica con i conseguenti scontri sociali e la disgregazione dei rapporti di collaborazione tra gli Stati nonché nuovi conflitti geopolitici.

5.15.2012

LAVORO E DIRITTI

LAVORO E DIRITTI

a cura di www.rassegna.it


Ue: all'Italia serve sforzo, non manovra


Olli Rehn precisa dopo le notizie circa la necessità una nuova manovra per il nostro paese: "Raggiungerete gli obiettivi previsti per il 2013, perché siete in linea con il Patto di stabilità e crescita. Si prevede una graduale ripresa nel 2013.


"L'Italia è sulla strada giusta per raggiungere il pareggio strutturale di bilancio e non ha bisogno di nuove manovre". E' la precisazione del commissario europeo agli Affari economici Olli Rehn, dopo che in mattinata erano circolate insistenti notizie circa la previsione da parte della Commissione di Bruxelles di una nuova manovra per il nostro paese.

Il nostro paese "raggiungerà gli obiettivi previsti per il 2013" nel rapporto deficit/pil "al netto degli effetti ciclici ed in termini strutturali", ha specificato il vicepresidente della Commissione, presentando le stime di primavera. "E' in linea con il Patto di stabilità e crescita", ha aggiunto.

In sostanza, per risollevare le sorti dell'Italia basterebbero gli interventi programmati. In Italia, a dirla tutta, ci sono delle "fragilità", ha continuato Rehn. "La nostra indicazione per un rapporto deficit-pil 2013 a -1,1% è un po' peggiore del target italiano dello 0,5% del pil, ha aggiunto il commissario "ma in termini strutturali, al netto degli effetti ciclici e di misure una tantum, questo significa un bilancio in equilibrio nel 2013. Quindi - ha precisato - anche le nostre previsioni dicono che l'Italia dovrebbe raggiungere i suoi obiettivi di bilancio a medio termine l'anno prossimo. Pertanto - ha concluso Rehn - l'Italia è in linea con le disposizioni del Patto di stabilità e di crescita".

E' essenziale, però, che "Italia ed Europa lavorino in generale sul fronte della stabilizzazione e anche della promozione della crescita", ha rimarcato il commissario. "Una graduale ripresa è previsto che cominci nella seconda metà di questo anno e prenderà velocità nel 2013".

 

La valutazione delle "condizioni macroeconomiche", in ogni caso, è stata fatta non solo per Italia e Spagna ma per tutti i paesi sotto procedura di deficit eccessivo. Un approccio politico della Commissione diverso da quello del recente passato e che potrebbe preludere alla introduzione della 'golden rule', ovvero dello scorporo degli investimenti produttivi dal calcolo del deficit come proposto da Roma e come chiesto anche dai socialisti al Parlamento europeo.


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LAVORO E DIRITTI

a cura di www.rassegna.it


Adinolfi, rivendicano

gli anarchici del Fai


La risposta dei lavoratori alla notizia della rivendicazione dell'attentato: "Dire no a qualsiasi forma di violenza, specie quella terroristica".


La "Federazione Anarchica Informale" si attribuisce l'attentato all'ad di Ansaldo Nucleare in un documento inviato al Corriere della Sera. I lavoratori annunciano un'ora mobilitazione per lunedì: no alla violenza. Sindacati liguri: tenere alta la guardia

    Dopo quattro giorni arriva la rivendicazione per l'attentato all'ad di Ansaldo Nucleare, Roberto Adinolfi. Ad attribuirsi il gesto è la "Federazione Anarchica Informale, cellula Olga" in un documento di varie pagine arrivato l'11 maggio via posta ordinaria alla redazione di Milano del Corriere della Sera. Una rivendicazione che "in linea di massima pare attendibile", ha detto della il procuratore di Genova, Michele Di Lecce. "Dobbiamo ancora analizzarla a fondo ma è strutturata". Nel frattempo, Adinolfi ha lasciato l'ospedale san Martino di Genova, dov'era ricoverato da lunedì: in sedia a rotelle, ma sorridente e apparentemente tranquillo, non ha rilasciato commenti.

    "Abbiamo azzoppato Roberto Adinolfi, uno dei tanti stregoni dell'atomo". È uno dei passaggi del testo che annovera il dirigente "tra i maggiori responsabili insieme a Scajola del rientro del nucleare in Italia". "Pur non amando la retorica violentista - scrivono gli anarchici - con una certa gradevolezza abbiamo armato le nostre mani, con piacere abbiamo riempito il caricatore. Piombo nelle gambe per lasciare un imperituro ricordo di quello che è un grigio assassino". Secondo gli autori dei gesto terroristico, presto ci potrebbe essere una Fukushima europea. E di questo viene ritenuto colpevole anche Adinolfi. Con il ferimento del manager, la Fai annuncia "una campagna di lotta contro Finmeccanica piovra assassina. Oggi l'Ansaldo nucleare, domani un altro dei suoi tentacoli, invitiamo tutti i gruppi e i singoli a colpire tale mostruosità con ogni mezzo necessario".

    Che gli anarco insurrezionalisti fossero anche pronti a uccidere, gli analisti lo sapevano da tempo. E lo scorso 22 febbraio, a parlarne davanti ai parlamentari della Commissione Affari costituzionali era stato lo stesso capo della polizia, Antonio Manganelli. Se fino ad oggi non c'è scappato il morto, come ad esempio in Grecia, aveva sottolineato Manganelli, "è perché abbiamo avuto la fortuna che non accadesse". Ma non è certo un mistero - perché sono stati loro stessi a scriverlo in documenti intercettati sul web - che gli aderenti alla Federazione anarchica informale avessero aderito alla proposta degli 'omologhi' greci delle Cellule di cospirazione di fuoco, ovvero alla proposta di "adesione ad un network internazionale più agguerrito, che mira a mettere in piedi azioni violente antisistema". E' una galassia antagonista armata in cui non è facile distinguere le varie posizioni, ma che appare pronta ad alzare il livello dello scontro. L'ultima apparizione sulla scena italiana della Fai risale allo scorso dicembre scorso, alla ennesima "campagna di Natale" di cui fecero le spese prima l'ad della Deutsche Bank, poi il direttore generale di Equitalia, destinatari di altrettanti pacchi bomba.

    Ansaldo Energia e Ansaldo Nucleare si fermeranno almeno un'ora lunedì mattina per "dire no a qualsiasi forma di violenza, specie quella terroristica". È la risposta dei lavoratori alla notizia della rivendicazione dell'attentato. Cgil Cisl Uil di Genova e della Liguria respingono "con fermezza ogni azione violenta e antidemocratica che va contro la civile convivenza; ogni atto volto a creare tensione sociale e a destabilizzare il Paese è da condannare senza appello". I sindacati invitano i lavoratori genovesi "a tenere alta la guardia contro ogni atto contrario ai principi democratici fondanti la nostra società e rinnovano l’impegno del sindacato contro ogni forma di violenza, anche con forme di mobilitazione nei confronti di azioni criminali che la città e il Paese hanno già tristemente conosciuto in passato".

 

5.04.2012

Il paradosso della crescita

Non ho una laurea in economia e quindi molte cose possono sfuggirmi, eppure il fatto che ogni produttore sia al contempo un consumatore mi pare una cosa chiarissima.
di Nunzio Mastrolia

Produttore/lavoratore e consumatore sono la stessa persona. Altrettanto mi pare chiaro che la crescita economica sia in massima parte il frutto dei consumi. Ora se il produttore se la passa male, come può il consumatore spendere e spandere?
Perchè il produttore se la passa male? O perchè non ha la certezza di un reddito o perchè il reddito che ha non gli basta o perchè nel futuro vede nero.
Liberalizzazioni, investimenti in infrastrutture, usare il peso politico per far vincere contratti e commesse alle nostre imprese all'estero, aggredire i mercati internazionali, attirare gli investimenti esteri: tutto utile per carità, ad eccezione dei danni che il mercantilismo può creare sul sistema internazionale. Tuttavia se non si parte da quei tre mali del produttore/consumatore è difficile che ci sia davvero crescita.
Dunque come fare? Ricostruire una rete di diritti intorno al lavoro, che garantiscano redditi dignitosi (e questo non significa il posto fisso) e ridare fiducia nel futuro. Sia chiaro, non basta urlare ai quattro venti che la crisi è finita o ripetere ostinatamente Tout va très bien madame la Marquise. In altre parole, non si tratta solo, per dirla con Keynes, di modificare le aspettative future, si tratta di restituire la certezza di poter controllare il futuro, di non aver paura dei giorni che verranno: la certezza di un aiuto contro la malasorte e di un supporto per poter assicurare un futuro decente ai proprio figli e alla propria vecchiaia. Come? Assicurando diritti sociali: assistenza, sanità pubblica, istruzione pubblica, pensioni.
Ipotizziamo pure che la ricchezza aumenti nel paese o grazie alle esportazioni o grazie agli investimenti internazionali: aumenteranno allora i consumi? Non è detto. Infatti non è detto che una maggiore ricchezza dovuta alle esportazioni o a nuovi investimenti vada anche nelle tasche dei più: senza una maglia di diritti la ricchezza scivola nelle mani di pochi. Ma mettiamo pure che per un qualche meccanismo imprevisto aumentino anche i redditi dei produttori. Con più soldi in tasca è possibile che il produttore/lavoratore consumi di più? Anche in questo caso non è detto: se il futuro continua ad apparire nero per sé e per i propri figli aumenteranno i risparmi ma non i consumi.
In conclusione, bisognerebbe ragionare per paradossi, visto che è l'equità e la sicurezza che generano la crescita economica, e non il contrario. Se vogliamo aspettare che, come una piena del Nilo, la crescita venga ad inondare e arricchire i campi, per poter poi redistribuire la ricchezza si corre il rischio di una lunga e vana attesa. In altre parole, non arriverà nessuna crescita se prima non si ristrutturano e potenziano i diritti del lavoro e la sicurezza sociale. Solo allora, paradossalmente e magicamente, la crescita farà la sua apparizione. Se così stanno le cose, non ha molto senso pensare ad una "fase 1" di messa in ordine dei conti pubblici (austerity), con l'aggravante dell'erosione dei diritti e sperare in una "fase 2" di crescita. L'austerity si mangia la crescita e la recessione continuerà ad avvitarsi su se stessa.

Gara a sostenere le banche?

di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)
e Paolo Raimondi, Economista
Anche il presidente della Bce Mario Draghi, dopo che la banca centrale ha immesso in due mesi, tra la fine di dicembre e la fine di febbraio scorso, ben 1.023 miliardi di euro di nuova liquidità a sostegno del sistema bancario europeo, mostra una certa preoccupazione per il rischio di inflazione. Infatti in una recente dichiarazione afferma: "Siamo continuamente in allerta per il rischio inflazione, ma questo rischio non si sta ancora materializzando, almeno per ora. Inoltre, le aspettative di inflazione rimangono fermamente ancorate, in linea con la stabilità dei prezzi."
Ovviamente la decisione non è stata presa in solitaria dai banchieri di Francoforte. Anzi, sono stati proprio i governi, a cominciare da quello della Merkel, ad avallare e sostenere una tale iniziativa che non ha precedenti nella storia dell'Unione europea. Anche se adesso è proprio la Bundesbank tedesca a lamentarsi dei gravi rischi di inflazione.
Quindi non è un caso se la tradizionalista e ingessata Banca centrale europea in un batter d'occhio ha battuto i maestri della Federal Reserve americana, che è sempre stata accomodante con la grande finanza. Si ricordi che si è sempre sostenuto che per salvare il sistema bancario la Fed era disposta persino a gettare dollari dall'elicottero. Adesso dovremmo parlare delle nuove immissioni di liquidità come le "valanghe di Davos".
Il bilancio della Bce ha raggiunto i 3.000 miliardi di euro, pari al 32% del Pil della zona euro, mentre quello della Fed è di 3.000 miliardi di dollari, pari al 20% del Pil Usa.
La decisione della Bce, più di qualsiasi altra spiegazione, come quella legata alla crisi dei debiti sovrani, rivela la debolezza e le difficoltà in cui si dibattono le banche europee, a cominciare da quelle tedesche e francesi.
Delle 800 banche che hanno beneficiato della seconda immissione di liquidità sembra che ben 400 siano tedesche.
Lo stesso Draghi in una recente intervista afferma che dei 490 miliardi di euro immessi con la prima operazione di dicembre, 280 sono serviti per coprire i prestiti a breve termine in scadenza precedentemente assunti dal sistema bancario europeo. Ne restano 210 miliardi. Poiché le obbligazioni bancarie in scadenza nel primo trimestre 2012 ammontano esattamente a 210 miliardi, "è molto probabile che le banche abbiano riacquistato le loro obbligazioni in scadenza", come candidamente ha ammesso lo stesso governatore centrale.
Sapendo che le obbligazioni bancarie in scadenza per l'intero 2012 ammontano a circa mille miliardi di euro, si può presumere che anche gran parte della seconda tranche di nuova liquidità di fine febbraio, pari a 533 miliardi di euro, verrà utilizzata per lo stesso scopo.
Se poi si aggiunge il fatto che le banche stanno "parcheggiando" con operazioni overnight presso la stessa Bce i propri capitali disponibili per cifre crescenti che superano abbondantemente gli 800 miliardi di euro, non c'è da stupirsi se i rubinetti del credito verso i settori produttivi, le Pmi e le famiglie restino sempre chiusi! Evidentemente sono tutte operazioni di giro all'interno del sistema bancario.
L'immissione di nuova liquidità forse era dovuta non solo per accondiscendenza verso il sistema bancario ma per lo stato di necessità creato dai precedenti attacchi speculativi sui debiti sovrani. Basti vedere l'altalena degli spread dei tassi di interesse e degli indici di borsa per comprendere la pesantezza della situazione.
Nella seconda metà del 2011 le banche europee erano in ginocchio. Dove rifinanziarsi? Chi poteva dare loro credito e liquidità? C'era una spinta eccezionale verso il "sistema del dollaro" cui attingere aiuti e crediti. Ciò avrebbe potuto segnare la fine del sistema bancario della zona euro se fosse diventato troppo dipendente dal dollaro e dalle banche americane. Non a caso, parlando di fronte alla Commissione economica del Parlamento europeo l'11 ottobre 2011, l'allora presidente della Bce Jean-Claude Trichet aveva paventato "i rischi sistemici prodotti dalla crescente dipendenza delle banche europee dai finanziamenti di breve termine in dollari Usa".
La Bce ha fatto come la Fed dopo il fallimento della Lehman Brothers: il sistema bancario doveva essere salvato ad ogni costo.
E l'economia reale, le imprese e il lavoro? Adesso non basta esorcizzare i rischi di inflazione e parlare delle sfide della competitività e della modernizzazione tecnologica dell'intero sistema economico europeo. Bisogna far affluire crediti, sostegni e progetti per il rilancio dell'economia reale.
Purtroppo anche da questa operazione di salvataggio delle banche europee emerge, ancora una volta, la debolezza politica dell'Europa che non sa decidere sugli eurobond ma che è disposta a rischiare molti fondi pubblici delegando interamente al sistema bancario ruoli e compiti che esso ha già dimostrato di non saper assolvere. Anche per la mancanza di nuove regole condivise a livello internazionale.