2.16.2012

Eurobond, la proposta Prodi

Un nuovo strumento finanziario che comprende le finalità di un titolo già esistente (lo Stability Bond) e di altri, solo progettati, per ottenere maggiore coesione dell'Unione monetaria europea: questo il senso della proposta avanzata da Romano Prodi e Alberto Quadrio Curzio ad agosto del 2011. Si ipotizza l'istituzione di un nuovo fondo comune, il Fondo finanziario europeo, con un capitale conferito dagli Stati membri in proporzione alle loro quote di partecipazione al capitale della Banca centrale europea. Il capitale del fondo, 1.000 miliardi di euro, è composto quasi per metà dalle riserve auree del sistema europeo delle Banche centrali, e per la parte restante da obbligazioni e azioni di società pubbliche presenti nei settori a rete dell'energia, telecomunicazioni e trasporti, stimate in base ai loro valori reali e non a prezzi di mercato sviliti.

    Con questo capitale di partenza il fondo può emettere tremila miliardi di titoli, gli EuroUnionBond, a durata decennale. La parte prevalente degli EuroUnionBond è finalizzata a ridurre il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo che hanno in media i paesi membri verso il mercato, portandolo al 60 per cento rispetto all'attuale 85 per cento, attraverso l' acquisizione di titoli per un controvalore di 2.300 miliardi. Così il debito sul pil dell'Italia scenderebbe al 95 per cento, mentre Francia e Germania si stabilizzerebbero sotto il 60. I rimanenti 700 miliardi di EuroUnionBond sono destinati a finanziare grandi investimenti europei e a far crescere imprese continentali operanti nei settori a rete, delle quali il fondo diviene azionista.

    Diversi i vantaggi del nuovo strumento: la stabilizzazione dei debiti pubblici dei singoli stati con un effetto di scoraggiamento nei confronti della speculazione, la riduzione dei tassi d'interesse necessari a rifinanziarli e lo stimolo tangibile alla crescita e all'occupazione nell'area dell'euro. Infine, per rendere appetibile l'ipotesi, rassicurando i paesi più diffidenti, si prospetta che nella governance del fondo il potere di voto degli stati sia rivisto periodicamente in modo da tener conto, oltre che delle quote di capitale, anche della misura in cui il rapporto debito pil del singolo paese aderente eccede il valore medio del 60 per cento.