di Mario Lettieri *) e Paolo Raimondi **)
Recentemente i presidenti delle Casse depositi e prestiti europee hanno congiuntamente stigmatizzato le politiche fiscali e restrittive decise dai governi europei dopo le recenti crisi nell'eurozona. Le motivazioni per le riforme strutturali sono comprensibili. Ma, hanno detto che esse «avranno un effetto negativo sulla crescita, rendendo ancora più difficile l'aggiustamento richiesto, con il rischio di forti tagli agli investimenti». Secondo i presidenti, «la priorità dei policy maker europei dovrebbe essere invece sostenere una crescita di lungo periodo».
Coerentemente, le Cdp europee e gli altri attori internazionali, quali la Banca europea per gli investimenti, hanno da poco più di un anno creato il Long Term Investments Club, che il 17 giugno a Roma ha tenuto la sua seconda conferenza pubblica presso l'Accademia dei Lincei alla presenza del presidente Giorgio Napoletano e del ministro dell'economia Giulio Tremonti. L'assoluta novità è stata la partecipazione di delegazioni della Russia, della Cina e del Marocco. Gli autori erano tra gli ospiti del convegno.
Nel 2014 il rapporto tra debito pubblico e Pil per l'intero gruppo dei paesi del G20 sarà mediamente del 101,8%. Secondo le stime del Fmi, questa percentuale raggiungerebbe il livello del 245% in Giappone, del 108% negli Usa e del 100% nell'eurozona. In Italia si ipotizza il 128,5%. Il debito pubblico tenderebbe quindi ad assorbire sempre più quantità di capitali e di risparmi. Ciò determinerà un'inevitabile competizione, anche con le banche e corporation private, per piazzare le obbligazioni sui mercati internazionali.
È uno scenario preoccupante nel quale sono penalizzati gli investimenti produttivi e la crescita dell'economia.
Il presidente della Cdp, Franco Bassanini, nel suo paper preparato con l'economista Edoardo Reviglio, ha sottolineato i pericoli insiti nei tentativi di ridurre il debito pubblico attraverso politiche di inflazione pilotata o di meri tagli di bilancio. La prima opzione potrebbe provocare «nuove pazzie ideologiche», mentre nel secondo caso, come dimostrano le esperienze dei passati 15 anni, condoni fiscali, privatizzazioni e altre operazioni contabili non sono riusciti a raddrizzare i conti.
Per l'Europa l'unica via d'uscita dalla crisi economica e del debito è la crescita reale del Pil attraverso una politica di investimenti a lungo termine nei settori delle infrastrutture, dell'energia e delle modernizzazioni tecnologiche. Ed è appunto in quest'ottica che le Cdp europee, forti di un volume di capitali di oltre 1.300 miliardi di euro, sono impegnate a definire nuove strategie e promuovere nuovi strumenti di intervento.
La domanda mondiale di investimenti in energia, ambiente e infrastrutture è enorme. Solo nel campo dell'energia si calcola che sarebbero necessari investimenti per 26 trilioni di dollari entro il 2030. Per quanto riguarda l'Europa, la Banca mondiale stima la necessita di investimenti annui di 40 miliardi di euro in nuove infrastrutture (produzione energetica, telecomunicazioni e trasporti) e 60 miliardi per la manutenzione e il rimpiazzo di quelle già esistenti.
Se tali stime sono realistiche, aumenterà la domanda di prodotti di investimento a lungo termine e a basso rischio da parte di fondi pensione, assicurazioni, fondi sovrani e anche dei piccoli risparmiatori.
Il Long Term Investment Club ha già creato degli strumenti appropriati per far fronte a queste grandi sfide. Uno di questi è la creazione della rete Marguerite di fondi equity per investimenti mirati in specifici settori economici e aree geografiche, come quella Mediterranea. La finalità delle scelte delle Cdp è quella di coinvolgere capitali privati, con la creazione di partenariati pubblico privato (Ppp), che, in cambio di profitti contenuti ma sicuri, potrebbero contribuire alla crescita dei vari paesi, abbandonando le sirene dei mercati speculativi.
Le Cdp puntano anche alla emissione di specifiche obbligazioni in relazione a singoli progetti europei e a nuovi sistemi di garanzia, che possono avere la fiducia di investitori privati. Un altro strumento è l'European Joint Undertaking, già sperimentato nella realizzazione del programma satellitare europeo Galileo.
Particolarmente innovativa è la proposta delle «Union bonds», strumenti di debito sovrano europeo, che, se finalizzate agli investimenti invece che alle spese correnti, non peserebbero sulle finanze pubbliche. In merito il presidente Bassanini ha proposto ai paesi europei di trasferire il 15-20% del loro debito pubblico in Union Bonds. Ciò creerebbe un mercato di obbligazioni di circa 2-3 trilioni di euro. Anche se con tassi di interesse più modesti, sarebbero più appetibili per gli investitori internazionali perché avrebbero il marchio europeo e non dei singoli paesi. Questi però dovrebbero continuare a pagare interessi come se fossero i loro vecchi bonds. La differenza tra gli interessi delle vecchie e delle nuove obbligazioni, calcolata in 8/9 miliardi di euro all'anno, dovrebbe andare a finanziarie investimenti a lungo termine in infrastrutture.
Sembra una credibile exit strategy europea dalla crisi, che del resto riprende idee sostenute in vari occasioni già da Jacques Delors, da Romano Prodi e più recentemente da Giulio Tremonti.
*) Già sottosegretario all'economia nel governo Prodi
**) Economista