5.31.2010

Non solo tagli

 

Il rigore nei conti dell'Ue è un atto dovuto, sul quale pesa molto l'indecisione dei governi. Non si affronta la crisi solo con i tagli serve una lotta seria alla speculazione.


di Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**


Non sono state le affermazioni della cancelliera tedesca Angela Merkel su un euro ancora in pericolo a determinare l'ultimo crollo delle borse. Il rischio di una prolungata crisi dovrebbe essere qualcosa di cui essere consapevoli tutti. Non si è avuta cioè una «reazione psicologica dei mercati» all'ammissione di difficoltà nella gestione della crisi europea. Il duro attacco speculativo è stato invece una vera sfida ai governi europei, che poche ore prima avevano concordato di limitare lo strapotere degli hedge fund e gli spazi operativi dei derivati finanziari, quali i noti credit default swaps.

    Il Consiglio europeo dei ministri delle finanze e lo stesso Parlamento europeo avevano appena presentato due progetti convergenti per regolamentare i comportamenti degli hedge fund e di altri istituti di private equity, creati dalle stesse grandi banche internazionali, spesso per aggirare i controlli e le limitazioni esistenti a cui esse dovevano sottostare. A Bruxelles si è registrata una sostanziale condivisione da parte di tutti i paesi. Contro è stato solo il governo inglese. Probabilmente il peso della City, dove ha sede l'80% di tutti gli hedge fund del mondo, conta non poco.

    La Bafin, l'agenzia tedesca di controllo dei mercati finanziari, aveva già deciso di bandire fino al 31 marzo 2011 i contratti speculativi «nudi», cioè senza un sottostante reale, e «short», cioè al ribasso, su alcune obbligazioni di debito della zona euro. Queste misure riguardano anche i cds e le vendite short di azioni di una decina di banche e assicurazioni tedesche. Il provvedimento della Bafin è sostanzialmente un'anticipazione delle specifiche legislazioni in merito, che Berlino starebbe preparando per regolamentare i mercati di tutti i titoli tedeschi.

    Gli hedge fund rappresentano un settore crescente della finanza internazionale con oltre 1.700 miliardi di dollari in asset. Operano essenzialmente sui mercati dei derivati Otc non regolamentati. Non sono interessati alle operazioni tradizionali di credito o alla produzione di beni reali, ma soltanto a manovrare «titoli sintetici», cioè derivati finanziari di vario tipo. Secondo l'Office of the Comptroller of the Currency, nel 2009 le banche americane hanno fatto registrare profitti per 22, 6 miliardi di dollari provenienti soltanto da operazioni in derivati. Questo mentre il bilancio americano chiudeva con un disavanzo dell'11% e il Pil si riduceva del 2,4%.

    La Commissione Europea ha accertato che banche e istituti europei avrebbero almeno 2.000 miliardi di euro investiti in strumenti alternativi, come gli hedge fund. Evidentemente, l'America e l'Europa hanno le stesse sofferenze circa i problemi della «finanza globale».

    La crisi sistemica, evidenziata in modo dirompente dal fallimento della Lehman Brothers e poi da quello del debito greco e dalla speculazione contro l'euro, non può che essere affrontata in sede di G20. È chiaro che devono essere i governi a fissare le regole del gioco e non il mercato. Negli Stati Uniti le banche e i signori di Wall Street hanno messo in campo i loro lobbisti per bloccare le riforme in discussione al Congresso. In Europa la finanza speculativa, soprattutto quella della City, aggredisce in modo violento i mercati europei con l'intento di destabilizzare e ricattare. Mai come ora gli Stati Uniti, l'Europa e i paesi del BRIC (Brasile, Russia, India, Cina - ndr) hanno un interesse comune di definire le nuove regole per il sistema finanziario. Il problema non è più rinviabile e le stesse resistenze inglesi non sono più giustificabili.

    Il rigore dei conti pubblici dei paesi dell'Ue è senz'altro dovuto e opportuno per rendere stabile l'economia, ma le ultime drammatiche vicende della crisi molto probabilmente sono il frutto anche dell'indecisione dei governi circa le nuove regole, che sono state declamate ma non praticate. Se si pensa solo ai tagli di bilancio, senza effettivamente attaccare la speculazione e senza attivare un programma di rilancio a lungo termine dell'economia reale, si rischia di avere, oltre alla crisi finanziaria e di deflazione, anche quella sociale.

    In Italia, inoltre, dovremmo sapere che la lotta all'evasione fiscale, alle frodi, al riciclaggio, al lavoro sommerso non può essere sbandierata come un impegno eccezionale motivato dalla crisi e dalle correzioni di bilancio, ma dovrebbe essere un elementare e costante dovere dello stato, indipendentemente dai governi che passano.


*)     Già sottosegretario economia nel governo Prodi

**)   Economista